Sul banco degli imputati, con Girone e Latorre e la gestione indiana, c’è l’Italia stessa. Ma uno Stato sovrano che ritenga in pericolo i propri uomini, può decidere di agire d’imperio
Mentre chi può prepara le valigie per le vacanze, mentre il
Parlamento italiano discute di legge elettorale e di criteri di
rappresentanza nel nuovo Senato della Repubblica, mentre l’economia
ristagna, la disoccupazione cresce e mentre metabolizziamo il disastro
della nostra nazionale ai mondiali di calcio, quelli che per tanti mesi
abbiamo definito “i nostri Marò” si avviano a trascorrere l’ennesima soffocante estate in India, dimenticati un po’ da tutti.
Forse
il fatto che i due fucilieri della Marina italiana non siano più in
condizione di detenzione ma siano stati “distaccati” dal Ministero della
Difesa indiano presso l’ambasciata italiana di New Delhi, può
aver attenuato il livello di attenzione della politica e della Pubblica
Amministrazione verso un caso che sembra lungi dall’avviarsi verso una
soluzione. Salvo conteggiare il costo sostenuto sinora dall’Italia per
la loro difesa (3,6 milioni di euro, secondo Il Giornale).
Prima di tentare di analizzare cosa si potrebbe fare adesso per riportare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone
in Italia, può essere utile esaminare la catena di azioni, errori e le
incongruenze che hanno segnato il caso dei fucilieri di Marina sin
dall’inizio.
- Il tragico errore dello sbarco
La versione ufficiale delle autorità indiane, dell’armatore della nave Enrica Lexie
D’Amato e del ministero della Difesa italiano, è che dopo il
disgraziato incidente nel quale persero la vita due pescatori indiani al
largo delle coste del Kerala, i due Marò vennero sbarcati per “aiutare
le autorità locali” nell’inchiesta sul duplice omicidio.
Questa
versione pare però smentita da un video che mostra come i due militari
italiani, al momento dello sbarco dalla nave, portassero sulle spalle il
loro sacco di ordinanza contenente tutti gli effetti personali. Quelle
immagini attestano che chi li fece sbarcare sapeva che non li avrebbe
reimbarcati a breve termine. Altrimenti perché fargli portare dietro
l’intero bagaglio?
Ma la domanda vera è: chi li fece sbarcare?
Nella nebbia delle versioni ufficiali, sembra emergere che l’ordine di
lasciare le acque internazionali per rientrare nelle acque territoriali
indiane - perdendo così la relativa totale immunità - venne dato alla
Enrica Leixe dall’ammiragliato italiano. Questo appare come il primo
errore clamoroso. Perché fu ordinato alla nave di fare marcia indietro e
rientrare subito nella giurisdizione indiana?
Tra l’altro, con
una fretta che non trova spiegazione, perché la nave poteva rimanere
tranquillamente in acque internazionali, in attesa che prima di sbarcare
i nostri marinai si muovessero le magistrature, i governi e le
diplomazie varie per discutere con calma sul da farsi.
Se i due
Marò dovevano soltanto testimoniare circa l’accaduto, avrebbero potuto
farlo attraverso una semplice rogatoria internazionale. Si è scelto
invece di consegnarli. Forse l’armatore temeva che, in caso di scontro
diplomatico con le autorità indiane, alle sue navi sarebbe poi stato
vietato di continuare a lavorare in quel Paese? Forse. Non lo sapremo
mai. Perché la versione ufficiale continua a non spiegarci il motivo che
ha portato alla prima mossa disastrosa: quella di consegnare Latorre e
Girone a un’autorità giudiziaria che si è dimostrata poi inaffidabile e
incapace di istruire un processo in due anni e mezzo.
- Trattenerli in Italia, si poteva fare
Dal
momento del loro ingresso nella giurisdizione indiana, Girone e Latorre
sono stati risucchiati nel gorgo delle tensioni politiche indiane e
usati in modo strumentale e cinico nel dibattito pre-elettorale, allo
scopo non ultimo di danneggiare il partito della “italiana” Sonia
Ghandi.
Già questa deviazione dalla legalità internazionale
avrebbe dovuto convincere le autorità italiane sull’esigenza di usare
ogni mezzo, anche spregiudicato, per togliere i due uomini del San Marco
dalle grinfie di una giustizia politicizzata. Un’occasione si è
presentata quando a Girone e Latorre è stato consentito di trascorrere
le vacanze di Natale del 2012 in Italia.
Il mezzo per trattenerli
in modo legale e senza toccare la loro parola d’onore c’era ed era a
disposizione. Il mezzo più semplice: la Procura della Repubblica di
Roma. Come tutti sanno, la Procura di Roma è competente per tutte le
indagini relative a crimini commessi da cittadini italiani all’estero. E
i due Marò sono stati accusati di un crimine gravissimo, il duplice
omicidio.
Vista l’esistenza nei codici italiani
dell’obbligatorietà dell’azione penale, la Procura di Roma era
legittimata ad avviare nei confronti di Latorre e Girone al loro rientro
in Italia un procedimento per il presunto omicidio dei due pescatori
indiani. A quel punto, sarebbero stati loro ritirati i passaporti e si
sarebbe creato un impedimento oggettivo e ineccepibile sotto ogni
aspetto del diritto internazionale perché non lasciassero più il
territorio nazionale, avviando quindi il procedimento sul suolo italiano
e sottraendoli così alla gestione artatamente cialtronesca della
magistratura indiana.
- Che fare adesso?
Dal momento,
però, che nessuno finora si è posto questa domanda, non tentiamo
neanche di trovare un risposta. In ogni caso, tra fughe in avanti e
ripensamenti dell’ultima ora, i due Marò nel gennaio 2013 sono stati
rispediti in India. Dove a tutt’oggi sembrano più degli ostaggi che dei
cittadini stranieri indagati di reato.
Certo, è una situazione
attenuata dal fatto che sono liberi e distaccati presso la nostra
ambasciata. Ma resta il fatto che, al netto delle responsabilità da
accertare, sono avviluppati in un gioco politico-giudiziario del quale
non si vede la soluzione in tempi ragionevoli.
Così, pian piano,
ce li stiamo dimenticando. Ma se dovessimo ritenerli degli ostaggi,
perché non pensare a una soluzione che li tolga una volta per tutte
dalle grinfie dei loro “rapitori”? Un Paese moderno gli strumenti li sa
trovare. Basta cercarli e usarli con intelligenza e coraggio. Chi vuol
capire, capisca.
Fonte: http://news.panorama.it/oltrefrontiera
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