lunedì 21 dicembre 2015

L’assurda Odissea dei due nostri fanti di marina continua

Inizia oggi la serie di post dedicati ai nostri Marò vittime di una profonda ingiustizia e la cui condizione sembra essere ormai divenuta un fatto “normale” per l’opinione pubblica nazionale. GeopoliticalCenter, grazie agli interventi di importanti firme, cercherà di riportare al centro dell’attenzione dei media la questione dei nostri due militari per i quali chiediamo giustizia, la giustizia del Diritto Internazionale che l’India e l’impotenza delle relazioni internazionali italiane gli negano. Oggi un articolo dell’Amm. Giuseppe Lertora.

Il silenzio mediatico avvolge, incomprensibilmente, la vicenda travagliata dei 2 Fucilieri di Marina le cui sorti sono state affidate alle decisioni del Tribunale del Mare di Amburgo, cui l’Italia si è finalmente rivolta invocando l’Arbitrato Internazionale: ad esso spetta l’onere di stabilire chi, fra Italia e India, ha la giurisdizione del caso e quindi il diritto a giudicarli. Dopo mesi che non se ne parla, e dopo quasi quattro anni da quel 15 febbraio del 2012, qualche giorno fa la Farnesina ha richiesto di far rientrare in Italia, Girone che, come noto, è ancora detenuto presso l’Ambasciata italiana di New Delhi. 

L’altro sottufficiale, Latorre, è ancora in Patria, autorizzato fino al 13 gennaio 2016, per benevola? concessione degli indiani, onde poter continuare le delicate cure, a seguito del grave ictus che l’aveva colpito, oltre un anno fa. Una densa nebbia sembra avvolgere la vicenda dei 2 FCM e nessuna notizia è trapelata dalle brume di Amburgo, anche se ci sarebbe più di un motivo per tener debitamente informata la pubblica opinione dei fatti e degli sviluppi inerenti questi due fedeli servitori del nostro Stato. Al massimo si assiste a qualche dichiarazione di facciata, a qualche saluto estemporaneo in occasione di festività, ma senza che le Istituzioni si sbilancino più di tanto; sembra quasi che si vogliano cancellare i fatti che li riguardano con un metodo opinabile: banalmente con la tecnica di non parlarne, ignorandoli e sostituendoli con notizie del tutto collaterali, spesso inconsistenti, ma volutamente coprenti e diversive. 

Stiamo da troppo tempo assistendo a inutili giri di valzer, a farse inaccettabili; siamo in presenza di una commedia degli equivoci e degli inganni, se non dei soprusi da parte indiana, che si tiene nel teatro dell’assurdo, in cui le vittime sono state elette a capri espiatori di una paradossale vicenda, e i nostri attori istituzionali si tengono dietro le quinte senza prendere posizione, recitando delle inutili e afone litanie. Nella nebulosa che avvolge la loro odissea personale e familiare, si sono alternati tre Presidenti del Consiglio, tre Ministri della Difesa, 4 Ministri degli Esteri, due Presidenti della Repubblica, che sono –questi ultimi- altresì i Comandanti Supremi delle Forze Armate, e sta per passare ‘’il quarto Natale’’ senza che siano state prese decisioni idonee a far rispettare i loro diritti, e la nostra sovranità statuale. 

Una Nazione dimentica dei propri figli, cui aveva ordinato di compiere una missione delicata contro il crimine della pirateria, per proteggere gli equipaggi della nostra marineria mercantile, nelle infestate acque dell’oceano Indiano. Non solo dimenticanze; nel tempo l’odissea ha assistito a un vero e proprio tradimento perpetrato dal governo Monti, quando i 2 FCM, dopo quel permesso pasquale, furono rimandati -il 22 marzo del 2013- in pasto agli indiani, a prescindere dal dettato della nostra Costituzione che espressamente vieta l’estradizione di nostri cittadini verso un paese in cui vige la pena di morte. 

E’ stata una nuova Caporetto, disonorevole, tanto più per i successivi dubbi emersi e l’ipotesi di aver scambiato i 2 FCM per business, per un pugno di lenticchie, per contratti ‘’in being’’ con l’India. Che, come accade oggi con la cessione della storica Pinin Farina agli indiani di Mahindra, rischiano di risolversi in un flop, simile a quello d’ allora per gli elicotteri EH-101 dell’Agusta, finiti in perdite enormi di soldi e, con essi, di reputazione nazionale. Altro che supportati e tutelati; li abbiamo abbandonati e gettati a mare ripetutamente; lasciati in balia di un’opinabile giustizia indiana che, nonostante siano trascorsi oltre tre anni e mezzo, non è riuscita a produrre prove della loro colpevolezza, né specifici capi di accusa: secondo le peggiori tradizioni giuridiche sono stati mantenuti in attesa di giudizio per quel tempo inaccettabile, tipico di uno Stato a-democratico e a-garantista, ma che dell’inganno, dell’arroganza e del giustizialismo ha fatto una propria, medievale e tetragona bandiera. 

All’atteggiamento indiano, l’Italia ha sempre risposto in modo ondivago e con sudditanza, nella speranza che, pagando inopinatamente a destra e a manca con centinaia di migliaia di dollari, nell’erroneo presupposto di risarcire i danni presunti, ci fossero perdonati i fatti a cui -molto probabilmente- i 2 FCM sono del tutto estranei: altro che beffa! Va anche doverosamente detto che circa due anni fa, e non con il senno di poi, si suggeriva di attivare l’Arbitrato senza successivi indugi, esortando le ministre della Difesa ed Esteri a procedere, anche per dar seguito alle roboanti dichiarazioni fatte all’atto del loro insediamento in merito alle vicende dei 2 FCM; si propugnava letteralmente di ‘’ attivare da subito l’Arbitrato obbligatorio, facendo sì che Latorre e Girone non siano sottoposti al processo illegittimo che gli indiani, con tutta calma, vorrebbero fare a casa loro’’. 

Purtroppo, fra giri di valzer inconcludenti abbiamo perso tanto tempo, troppo! E solo a fine giugno del 2015 l’Arbitrato veniva formalizzato. Possibile che, da allora, i nostri governanti e i nostri media non si chiedano cosa stia succedendo ad Amburgo, nonostante le discrasie emerse, già in prima battuta, riguardo i risibili documenti della perizia balistica, per tacere delle incongrue posizioni relative fra le imbarcazioni coinvolte, e delle differenze di orari dichiarate che si discostano di ben cinque ore! Ciò che desta più meraviglia è la stravagante competenza di alcuni giornali che, con argomentazioni approssimative e partigiane, antimilitari per definizione, sorvolano sull’incredibile e farlocca perizia balistica che cerca di quadrare un cerchio impossibile fra calibro e circonferenza dei proietti, facendoli rimpicciolire dal riscontro reale di colpi da 7, 62 mm ad un 5,56mm. 

Gli specifici Allegati presentati dalla delegazione indiana hanno suscitato notevoli perplessità e meraviglia da parte dello stesso Tribunale per i farseschi contenuti; uno di essi, l’Allegato 5, arriva perfino ad instillare il dubbio che a bordo della Lexie vi fosse un’altra arma nascosta, del calibro 7,62, per far tornare le loro farneticanti teorie balistiche! In buona sostanza, invece, i 2 FCM sono innocenti e non c’entrano nulla con quell’incidente; gli indiani hanno costruito ed alimentato strumentalmente la vicenda per motivi elettoralistici, politici e di lobby industriali, ma ora devono essere rintuzzati in tutti i modi e ‘’smondanati’’ anche dal Tribunale Arbitrale. 

Di recente l’Italia ha avanzato, come il solito, temporalmente ‘’in zona cesarini’’, la richiesta direttamente al Tribunale Arbitrale dell’Aja per far rientrare in Patria, Girone affinché possa attendere nel proprio Paese la decisione finale di tale Alto Consesso; tale richiesta era già stata avanzata senza esito al Tribunale di Amburgo che aveva motivato, correttamente, la sua decisione negativa in quanto si trattava di misura collaterale discendente da quella principale sulla giurisdizione. Inoltre, non sussistendo motivi di urgenza/ emergenza per decidere in tal senso, per far rientrare Girone in Patria, il comportamento è stato corretto, anche se umanamente e secondo alcuni iper-ottimisti, avrebbe potuto esaminare e comunque approvare tale richiesta impropria, anzitempo e debordando dai propri compiti istituzionali. ‘’Battere le ortiche con l’affare altrui, è sempre così semplice e scontato, per i ciarlatani..’’ dice un vecchio motto, ma non sempre funziona! 

Ora l’Italia ci riprova, anche se l’Aja non si è ancora espressa sulla giurisdizione che dovrebbe –lo si auspica davvero- essere riconosciuta come un diritto esclusivo italiano: speriamo che ci sia una decisione favorevole, ma realisticamente è assai probabile che tale Tribunale soprassederà ancora, nelle more di una decisione primaria sulla questione, e soltanto dopo, si pronuncerà sulle misure collaterali. L’odissea dei due poveri FCM, purtroppo, continua… e non si risolverà nell’arco di pochi mesi! Né si può sperare che l’attuale stampa ci informi debitamente sulle future vicende, non essendo più quel cane da guardia del potere sul quale fare affidamento; ma, almeno, desideriamo che i nostri governanti abbiano rispetto dell’opinione pubblica e ci risparmino quelle insulse dichiarazioni nel rispetto dell’intelligenza dei comuni cittadini: visto che sempre più i successi, si fa per dire, dell’annuncite sono fragorosi, ma gli insuccessi silenti, si spera in un dignitoso silenzio. 

D’altronde, dichiarazioni come quelle scandite nel tempo per cui ‘’ li rivogliamo a casa, e non li dimenticheremo’’, e che ‘’la giurisdizione è solo italiana e ci batteremo per questo..’’ nonchè al famoso ‘’bisogna pensarci molto, ma non parlarne..’’, fino a quelle rilasciate dalla Ministra della Difesa solo alcuni giorni fa in risposta ad una precisa interpellanza parlamentare, fanno parte di una filastrocca inutile, antipatica e piena d’ipocrisia. Quest’ultima recita,(è il caso di dirlo) bellamente che, ‘’le iniziative? che il governo intende intraprendere (siamo ancora alle intenzioni dopo 4 anni!!) per consentire il rapido e definitivo rientro in Patria dei 2 marò, si collocano nell’alveo della procedura giurisdizionale internazionale già avviata..’’ : lascia esterrefatti e sconcertati che siamo ancora alle intenzioni, dopo 4 anni e 4 Natali! 

Un governo dovrebbe fare delle azioni, governare le situazioni, gestirle e risolverle, non a parole; che operi alla luce del sole o sottobanco, poco importa; ma non si può limitare a raccontare ‘’le intenzioni’’ a mò di favolette ai bambini delle elementari; tutti si chiedono se anziché il tricolore su quella nave Lexie sventolava una bandiera inglese, americana o francese: i loro marines, illegalmente detenuti, sarebbero ancora sotto le grinfie indiane? Sicuramente no! Eppure, nonostante tali incresciosi eventi, per tacere del resto, i nostri del San Marco -con un portamento irreprensibile, con la loro fierezza e tenuta disciplinare- sono riusciti a risvegliare un sentimento di dignità e di Patria, ormai dimenticato: a loro va la nostra ammirazione ed alle loro famiglie, per le privazioni e le continue vessazioni sofferte. 

Non sono bastate, evidentemente, neppure le petizioni al Capo dello Stato, che è anche il loro Supremo Capo; non sono bastate le proposte inviate, una decina, fra cui, nel rispetto del Diritto Internazionale, si ricercasse un forte appoggio dell’UE, dell’ONU e degli stessi USA. Che, a ben vedere, sono ancora del tutto valide, attuali e attuabili; quelli stessi non possono essere sempre ‘’passivi’’ e stare alla finestra, nonostante la presenza massiccia dei nostri contingenti nei vari teatri di crisi. Forse, probabilmente, non sono state neppure vagliate quelle suppliche fatte con specifiche ‘’letterine di Natale’’ al Presidente della Repubblica pro-tempore, che erano improntate a garantire aspetti umanitari e i diritti basilari dei 2 FCM, ma anche a tutelare, con un minimo di azioni concrete, la credibilità, la sovranità e l’onore della nostra Nazione. 

Coloro che credono ancora in questa triade di valori non si rassegnano al nichilismo nostrano tipico dei miscredenti pseudo-identitari e a-morali di questa società, né ad assistere passivamente al procedere della incredibile odissea dei nostri Fucilieri di Marina: mai lasciare il posto alla rassegnazione, ma continuare nel rappresentare con forza i diritti a tutela di ogni cittadino, con o senza stellette, e mai abbandonare la speranza che il prossimo anno veda chiudersi, e bene, questa tremenda odissea: con i più cari Auguri ai nostri due del San Marco! 

Fonte: http://www.geopoliticalcenter.com/

Marò: perché l’Italia poteva fare di più!

Continua oggi la serie di post dedicati ai nostri Marò vittime di una profonda ingiustizia e la cui condizione sembra essere ormai divenuta un fatto “normale” per l’opinione pubblica nazionale. GeopoliticalCenter, grazie agli interventi di importanti firme, cercherà di riportare al centro dell’attenzione dei media la questione dei nostri due militari per i quali chiediamo giustizia, la giustizia del Diritto Internazionale che l’India e l’impotenza delle relazioni internazionali italiane gli negano. Oggi un articolo del Gen. Leonardo Tricarico

 
Nella vicenda dei marò vanno innanzitutto chiariti i fatti non solo per il puro desiderio di raccontare “le cose così come sono andate” caro agli storici ma soprattutto per trarne tutti i possibili insegnamenti  ed evitare così di ripetere gli errori. Da parte politica si è rivendicato ad ogni pie’ sospinto la collegialità delle decisioni adottate via via, citando vagamente i consessi e le forme della concertazione. Se qualcosa è davvero mancato, è stata però la collegialità delle decisioni. 

Nessuno ha mai pensato di utilizzare gli organismi interministeriali che esistono da tempo e sono oggi normati dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) 5 maggio 2010, “Organizzazione nazionale per la gestione di crisi” e che avrebbero dovuto costituire la via maestra. Questo “hardware” comprende due tavoli di concertazione, l’uno tecnico (conosciuto giornalisticamente come Unità di Crisi, ma più precisamente NISP, Nucleo Interministeriale Situazione e Pianificazione) e l’altro di livello prettamente politico (il CoPS, Comitato Politico Strategico). 

La norma prevede che il CoPS sia presieduto dal Presidente del Consiglio e che vi siedano ministri, sottosegretari, capi dipartimento ed alti funzionari titolati a gestire le situazioni emergenziali. In compenso il Presidente Monti ha affermato in un’intervista televisiva che la decisione del rientro fu presa, per motivi tutti da verificare,  nella riunione del Comitato Interministeriale per la Sicurezza della Repubblica (CISR), organo più di “intelligence” che di gestione delle crisi.


Se qualcuno nutrisse dubbi – come può capitare in un Paese in cui la conoscenza e il rispetto delle leggi sembrano un optional – sulla prevalenza del DPCM 5 maggio 2010, il decreto stesso definisce all’art. 2 una fattispecie di “crisi internazionale” che calza alla perfezione il caso dei marò: “eventi che turbano le relazioni tra Stati o, comunque, suscettibili di mettere in pericolo il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale e che possono coinvolgere o mettere a rischio gli interessi nazionali”. 

Ebbene, risulta per certo che nella crisi dei Marò nessuno dei due tavoli, ne’ quello tecnico ne’ quello politico, sia mai stato attivato e questo nella grave ed incomprensibile inosservanza da parte della Presidenza di una norma emanata dalla stessa Presidenza. Non è superfluo ricordare che lo stesso tavolo di crisi gestì il Millennium Bug e il post 11 settembre, autoconvocandosi sempre ad horas. Di norma lo stesso tavolo effettua, simulando il Vertice di Governo, le periodiche esercitazioni Nato ed europee che non infrequentemente disegnano scenari simili a quello che hanno riguardato i marò. Ma forse anche questo non è noto ai protagonisti di vertice di questa vicenda. 

È anche utile avanzare, più che un sospetto, la ragionevole convinzione che siano gli stessi Ministri (o, comunque, le strutture ministeriali centrali e periferiche) a non voler fare funzionare i tavoli di coordinamento interministeriale istituiti, nella perniciosa convinzione che coordinare sottrarrebbe loro autonomia o esporrebbe il loro operato a un vaglio sgradito. In passato più di un componente di quello che oggi si chiama  NISP ammise, a microfoni spenti,  di aver avuto dal proprio dicastero istruzioni a non essere troppo zelanti e collaborativi nelle iniziative collegiali di Palazzo Chigi. Nulla autorizza a credere che oggi le cose siano cambiate, anzi questa crisi conferma un peggioramento del quadro complessivo.

Il fatto che l’operatore dominante sia la Farnesina rafforza la convinzione dell’insofferenza verso il giogo interministeriale. Nessuno come i diplomatici è da sempre  recalcitrante a che  alcuno si intrometta in  questioni che occorrano fuori dei confini nazionali. 

L’unico caso che si ricordi in questo secolo fu quando Guido Bertolaso, con il suo caratteraccio, riuscì a ottenere la titolarietà della gestione dei fondi nei paesi colpiti dallo Tsunami del 2004, dopo un lungo braccio di ferro con l’allora Ministro Fini, spalleggiato dalle feluche di turno. Nel caso marò anche il Presidente del Consiglio è parso un po’ distratto rispetto alla perentorietà del Decreto per la gestione delle crisi, forse perché non è riuscito a spogliarsi del personaggio di risanatore dell’economia per rivestire a pieno titolo quello di capo del governo. Il suo comportamento pare richiamare quello del tenace detentore della delega per la gestione dei Servizi; allora parve che fosse stata la tragica fine dell’ostaggio Lamolinara in Nigeria l’8 marzo 2012 durante un blitz unilaterale inglese a convincerlo a nominare finalmente un Sottosegretario con delega per gli organismi di Sicurezza. 

Oggi vi è da sperare che questa circostanza non colta da lui serva da monito per che gli è succeduto per dare finalmente concretezza alle attività di coordinamento interministeriale, che per queste materie non possono e non debbono avere l’unica sterile ed inadeguata espressione nel plenum del Consiglio dei Ministri. Prima riflessione parziale quindi: il Presidente del Consiglio di turno deve gestire gli eventi critici che comportano la competenza di più istituzioni in maniera coordinata, esercitando finalmente la potestà di coordinamento che la legge stessa assegna a lui (e solo a lui). Con più lungimiranza sarebbe auspicabile un coordinamento interministeriale permanente per la salvaguardia dell’interesse statuale permanente al centro dell’azione quotidiana, senza attendere la crisi. Negli USA, ad esempio, sin dal 1947  esiste il National Security Council.
Come si vede queste sono considerazioni tecniche, che prescindono dal colore del Governo di turno ma che dovrebbero far parte del bagaglio professionale delle strutture permanenti di gestione del Paese. Nel caso marò bisogna invece osservare come a mancare non sia stato il disegno politico di un Governo politico – titolato a fare scelte anche sbagliate, ma in qualche modo poggianti sul consenso popolare – quanto proprio la capacità tecnica di quelli che sulla carta erano ciò che di meglio le istituzioni potevano prestare alla politica.

In altre parole, nessuno meglio di un diplomatico all’apice di una brillante carriera avrebbe potuto e dovuto valutare le conseguenze di un aspro confronto  con un grande Paese come l’India, così come nessuno meglio dell’Ammiraglio Di Paola, unica persona nella storia delle Forze Armate italiane ad aver ricoperto tutti gli incarichi di vertice nazionali ed internazionali, avrebbe potuto e dovuto  cogliere il senso  delle vicende operando  le scelte meno dannose per l’interesse nazionale e nel contempo più efficaci per tutelare i diritti dei due militari con la sua stessa uniforme. Senza contare il Ministro della Giustizia, un comprimario non da poco il cui ruolo – dato il contesto ed i riferimenti giuridici  cui  ambedue le parti fanno appello – non può sfuggire.
 Ma forse questa, paradossalmente, è la seconda riflessione parziale da trarre. I militari, i diplomatici, i magistrati, i professori, proprio perché padroni del sapere specifico consolidato in lunghi anni ne restano poi prigionieri nei momenti della decisioni importanti.

L’etica dei loro comportamenti, divenuta negli anni pratica di vita, finisce per costituire ostacolo insormontabile per una politica più attenta a tutti gli interessi in campo. Infine, uno sguardo ad alcuni passaggi critici non sufficientemente chiari della vicenda. Dando per scontata l’indipendenza della magistratura indiana nell’effettuare le proprie indagini, non si capisce come mai l’Italia non sia stata ammessa a partecipare a una commissione di indagine governativa che potesse ricostruire meglio di chiunque altro l’accaduto. Giova ricordare, ed altrettanto andava fatto con le autorità indiane, che questa non sarebbe stata un’invenzione mirabolante ma solo l’applicazione di una consuetudine universalmente accettata da tutte le democrazie: quando occorre un incidente che veda coinvolti più Paesi, le indagini vanno condotte da una commissione mista. La Nato ha fatto di questo concetto una norma in un apposito accordo permanente (in gergo, Stanag).
 
Gli esempi sono tanti. A Ramstein, a seguito della tragedia causata dalle Frecce Tricolori nel 1998, indagò  una Commissione trinazionale  composta dalla Germania (ove era capitato l’evento), dagli USA (titolari della base) e dall’Italia (titolare della Pattuglia). Per la tragedia del Cermis furono create due commissioni governative distinte, che però poi operarono insieme, giungendo a conclusioni non del tutto condivise ma scaturite da un aperto e tenace confronto. Quando Nicola Calipari fu ucciso in Iraq a un posto di blocco statunitense, l’ambasciatore statunitense a Roma Mel  Sembler, in un incontro a Palazzo Chigi con Gianni Letta e Berlusconi, dovette cedere alle richieste manifestate dal nostro governo di inserire un membro italiano nella Commissione di inchiesta. Fu scelto l’ambasciatore Ragaglini, oggi capo missione a Mosca che andò a integrare la Commissione USA e consentì all’Italia una totale visibilità sulle indagini in corso.

Latorre e Girone non sono né eroi, né assassini. I due militari incorsi in un inconveniente connesso alla loro professione solo gli unici due protagonisti che in questa penosa vicenda hanno tenuto un atteggiamento di compostezza, dignità e lealtà che può essere ammirato in tutto il mondo e ci rende orgogliosi di essere italiani. 

Se il nostro Paese avesse più memoria e fosse più attento al mondo della Difesa, si accorgerebbe che quello che accade oggi ai due marò è un film già visto più volte, con diverse sceneggiature ma appartenente allo stesso genere. Alla fine del conflitto nei Balcani il Generale Arpino e l’Amm. Guarnieri, rispettivamente Capo di Stato Maggiore della Difesa e della Marina, furono processati per la bombe sganciate in Adriatico dai velivoli Nato impegnati nelle operazioni belliche. I due furono trascinati in giudizio solo per aver compiuto il loro dovere; tra l’altro al gen. Arpino non fu neanche accordata l’assistenza dell’Avvocatura di Stato. La vicenda giudiziaria durò tre anni e si concluse con l’assoluzione dei due ufficiali imputati di “tentata strage colposa aggravata”. Arpino, in un colloquio telefonico con il suo amico Generale Wesley Clark, che quelle operazioni aveva diretto da Bruxelles, seppe riderci sopra: “Per lo stesso fatto, ossia il ruolo che tu ed io abbiamo ricoperto nelle operazioni per liberare i Balcani da Milosevic, tu sei candidato alla Presidenza degli Stati Uniti mentre io rischio di finire in prigione”. 

Ma la battuta non può risolvere un problema che continua a incombere sui servitori dello Stato come la proverbiale spada di Damocle.
Ed ancora, nel  marzo 2000, il Ten. Col. Maurizio De Rinaldis, allora comandante delle Frecce Tricolori, a seguito del sorvolo di Napoli per una cerimonia ufficiale, fu incriminato dal procuratore di turno per i reati di “inosservanza delle istruzioni ricevute” asserendo che il  sorvolo della pattuglia a bassa quota aveva creato “pubblico scandalo”. Anche De Rinaldis dovette difendersi solo per aver ottemperato a un ordine di volo; il proscioglimento giunse dopo circa un anno.
 
Certamente frugando nel vissuto di altri comparti dello Stato si può immaginare una casistica voluminosa di incidenti di percorso subiti da servitori dello Stato incolpevoli. È il prezzo da pagare ai nuovi scenari, alle situazioni inedite per un soldato, i cui comportamenti non sono sempre rubricabili a fronte di norme certe, di quadri giuridici consolidati o a prova di magistrati – e questo pare una esclusività italiana – non sempre sereni o equilibrati. Ma è altrettanto certo che molti problemi nascono da un’ambiguità tipicamente italiana, nella quale le leggi che sanciscono i princìpi sono raramente seguite dai regolamenti che ne fissano i meccanismi operativi. 

Nel caso marò, ad esempio, neppure l’arrivo di un militare alla guida della Difesa è bastato a trarre il regolamento sulla tutela delle navi mercantili dalle secche nelle quali si era incagliato sotto il precedente titolare politico del dicastero. Si tratta, come già detto, di un difetto di struttura che non si può sperare di risolvere solo attraverso la presenza di singole persone più o meno zelanti.
 L’ultima considerazione da fare è prettamente politica. C’è chi ha strumentalizzato la vicenda Marò per chiedere il disimpegno italiano da tutte le missioni internazionali.

Nulla di sbagliato, a meno di voler vanificare gli sforzi fatti negli ultimi vent’anni, con risultati operativi che ci vengono universalmente riconosciuti. Né si può trascurare l’importanza del rinnovamento culturale all’interno delle stesse Forze Armate per il passaggio da una mentalità da “Fortezza Bastiani” a quella della continua verifica sul campo di capacità, equipaggiamenti, dottrina e così via. È tuttavia altrettanto che, a fronte della generosità con la quale i governi italiani rispondono sempre a ogni richiesta proveniente dalla comunità internazionale, non si è avuto sinora un adeguato riconoscimento politico nelle sedi internazionali.  

L’insensibilità di singoli Paesi o di organizzazioni multinazionali nei nostri confronti continua immutata.  Basti qui ricordare come nel 2011, in occasione della campagna di Libia, resa possibile in larghissima misura dalla concessione delle basi italiane nonostante gli evidenti impatti interni, l’Unione Europea si disinteressò del problema dei profughi in fuga (o lanciati?) verso l’Europa, addossando all’Italia non solo l’onere umanitario ma anche il rischio che tra le decine di migliaia di poveracci si nascondesse qualche terrorista pronto a farci pagare il conto dell’ospitalità data ai nostri alleati.

Ricordare e far valere – senza ricatti, ma anche senza unilaterale generosità – il contributo che l’Italia ha sempre dato alla sicurezza collettiva, come previsto dall’art. 11 della Costituzione.

Bisogna saper distinguere tra la protezione di interessi diretti, come la protezioni dei nostri mercantili, dalla partecipazione a missioni multinazionali per la difesa o il ristabilimento della pace, con ricadute solo indirette sull’Italia. Il fatto che i nostri militari tengano alta la bandiera d’Italia come pochi altri in questo momento fanno non può nascondere il fatto che gli scarsi ritorni politici sinora ottenuti dalla partecipazione capillare a tutte le missioni devono essere oggetto di riflessione quando i buoi – per così dire – sono ancora nella stalla, senza alterazioni emotive o ideologiche nell’uno o nell’altro senso. Tutto questo ovviamente nulla toglie al dovere perentorio di non recedere di un solo millimetro dall’impegno di sostenere in ogni foro il buon diritto dei nostri soldati. 

Fonte: http://www.geopoliticalcenter.com/

domenica 22 novembre 2015

#Marò in India: I CASTELLI DI CARTA STANNO PER CROLLARE.

L'analisi degli Annex effettuata dal Perito Giudiziario Luigi Di Stefano, presenti in questo sito www.seeninside.net/piracy sono state inserite anche in diversi Blog con lo scopo unico di dare maggior indicizzazione nella rete.

Ci sono state alcune migliaia di visualizzazioni, da quando sono stati pubblicati. Ottimo risultato direi. Ma per un semplicissimo motivo, il SILENZIO da parte dei numerosi lettori, ha confermato che non vi sono nell'analisi, parti attaccabili o contestabili. Esame N.1 superato quindi.

Ovviamente i soliti noti hanno provato e ricamarci sopra ma solo con supposizioni e congetture, più per partito preso che altro, ma nulla hanno contestato al lavoro del Perito.
Per questi motivi, sono fermamente convinto, che le ragioni dell'Italia, una volta riunitasi la neocostituita Corte Arbitrale, siano davvero forti anche per chiedere il rientro in Patria di Salvatore Girone e per pretendere la non ripartenza di Massimiliano Latorre. 

Anche se questa Corte ha il solo compito di decidere chi ha la Giurisdizione sul Caso Enrica Lexie, tutti gli elementi a disposizione della difesa dei due Fucilieri, non potranno non essere presentati e sono convinto che Sir Daniel Bethlehem, diciamo così, una sbirciata a questo encomiabile lavoro di analisi, l'ha sicuramente data.

Un gruppo di Amici, tra noi sostenitori, si è prodigato a tradurre dall'italiano all'inglese tutto il lavoro di Di Stefano e appena possibile lo andremo a "postare" in tutti i siti indiani. 

domenica 15 novembre 2015

Orrore, rabbia, smarrimento e voglia di capire.



L'orrore è un groppo alla gola, un pugno allo stomaco che toglie il respiro. Arriva lento, ci vogliono alcuni secondi prima di capire che le immagini da Parigi raccontano una tragedia reale. Non sono una fiction, un film, un servizio da talk show. E' vero, sta accadendo ora, un venerdì sera qualunque, mentre - seduto sul divano di casa - col telecomando fai zapping prima di andare a letto, dopo aver visto la partita della nazionale italiana o il documentario sulla Prima guerra mondiale. Adesso la guerra è lì, davanti agli occhi. La primitiva brutalità dell'uomo trasmessa in diretta con la tecnologia più moderna. 

Il sangue, il terrore, lo sgomento, l'incomprensibile comunicato via digitale terrestre. L'inferno di Parigi sbattuto nella quiete di casa tua, ti chiama in causa, ti induce a sospettare che nulla, anche nella tua vita, potrà più essere come prima. Sei incredulo. Ammutolito. Guardi Parigi e pensi all'Italia, ti sfiora il terrore che potrebbe capitare ai tuoi cari, da qualche parte. Il giornalista racconta che nel Bataclan sono in corso esecuzioni sommarie, e provi a dirti che non può essere vero. Che qui, in Europa, nella Parigi fonte di democrazia e civiltà, non può accadere. E' roba normale in Siria, in Iraq, in Afghanistan. Non qui da noi. Invece si. Ma senti - per un momento - che c'è qualcosa di sbagliato nel tuo ragionamento. E' la proporzione del lutto e del dolore: per quei massacri non provi lo stesso orrore di Parigi. Come se quelli fossero morti di serie B. 

La TV annuncia il blitz per liberare gli ostaggi. E' un istante, ma di nuovo ti chiedi se davvero stai vivendo questa cosa, che hai sentito nei film oppure nei resoconti giornalistici, ma non in diretta televisiva. Come se anche tu potessi entrare la dentro. Allo smarrimento subentrano la rabbia, la voglia di reagire impersonificata da quei poliziotti che fanno giustizia. Tifi per loro. Tuttavia, nel contrasto delle emozioni capisci che l'uccisione o l'arresto degli assassini non cambierà la sostanza: è una guerra che dobbiamo affrontare con gli strumenti del mondo libero.

Il blitz è finito. I giornalisti fanno intendere che ci potrebbero essere numerosi morti. Scatta il sentimento della solidarietà. Già prevedi i twitter, i messaggi, gli striscioni, le marce, le manifestazioni dei giorni a venire. Viva la Francia, viva la Repubblica, viva la democrazia. Sai che si tratta di vera partecipazione al lutto, di un rito collettivo per superare lo choc, per ripetersi che siamo più forti di loro. Ma intuisci che non basta per nulla. Che, personalmente, bisogna andare oltre all'emotività.

Mentre scorrono le immagini delle ambulanze, dei feriti, dei lenzuoli che coprono i morti, ti prende lo smarrimento. Pensi che bisogna soprattutto capire, che non ci sono risposte semplici a problemi complessi. Che occorre leggere, informarsi, ragionare a mente fredda. Che il problema non dev'essere delegato solo ai Governi e ai politici, che bisogna fare qualcosa nella nostra vita quotidiana. Da oggi, qui. Perché a sconfiggerci, non sarà il terrore, ma l'impotenza.

di Enrico Mirani
Giornale di Brescia

venerdì 13 novembre 2015

Marò e il castello di carte indiano - Annex 8 Scena del crimine: il sopraluogo.

Scene examination report No. B1-873/FSL/2012, 19 April 2012
In questo documento gli inquirenti indiani esaminano la scena del crimine:
  1. Salme
  2. Petroliera Enrica Lexie
  3. Peschereccio St. Antony
Ci interessa per le conclusioni a cui giunge:

ANNEX 8 Le conclusioni
ANNEX 8: Conclusioni finali
  1. I proiettili sono sparati da fucili cal. 5.56;
  2. La direzione della traiettoria è verso il basso.
Quindi ci troviamo di fronte a conclusioni precise, ma di cui dobbiamo trovare riscontri nel testo del documento.

Il documento

Si tratta di un documento in 5 pagine (cinque!) in cui si esaminano:
- Due salme di persone uccise con armi da fuoco
- Una petroliera da 50.000 tonnellate
- Il peschereccio
Al peschereccio sono dedicate 2 (due!) pagine in cui si rilevano gli impatti di tre proiettili che hanno colpito l'imbarcazione, che è fatta interamente in legno.
Il sopralluogo è fatto il 17 febbraio 2012, quindi 2 giorni dopo i fatti.
Queste le misure dei fori rilevati:
  1. Proiettile n. 1
  2. - ovale di 80,1x 13,5 mm
  3. - ovale 22,1x 9,7 mm
  4. - ovale 51,2x 16,7 mm
  5. - ovale 7x 5,6 mm
  6. Proiettile n. 2
  7. - ovale 5,5 x 2,2 mm
  8. - ovale 4,2x 3,6 mm
  9. - ovale 3 x 2,2 mm
  10. Proiettile n. 3
  11. - ovale  5,1 x 5,5 mm
  12. - ovale  5,3 x 5,7 mm
  13. - ovale  7,7 x 26,9 mm
  14. Regolatore
  15. - 6,1 x 6,5 mm
  16. - 6,4 x 4,8 mm
  17. - 5,5 x 7,1 mm
  18. - 4,8 x 4,7 mm

Discussione

proiettili sparati da fucili cal. 5.56

Si può affermare che sulla base dei dati rilevati le conclusioni a cui giunge il documento (proiettili cal. 5.56 mmsono assai stravaganti.

Anti Piracy AK Rifle
ANNEX 8: Fucili AK Impiegati nei servizi di Marine Security

Per chiarire il concetto possiamo citare l'esistenza documenta nell'area di fucili mitragliatori della serie "AK" di fabbricazione ex sovietica, cinese e di altri paesi, che possono essere in calibro 7.62x39mm (AK47) e dal 1974 in calibro 5.45x39mm (AK74).

Anti Piracy AK74 Rifle
ANNEX 8: Esercitazione anti-pirateria. Tutti gli operatori utilizzano AK74

Il calibro 5.45 mm è appena 11 centesimi di mm (11/100) più piccolo del 5.56mm e qui si vorrebbe che il funzionario indiano abbia potuto distinguere a occhio nudo una differenza di 11/100 di millimetro (0.004 inch) e quindi concludere che si tratta di fori di proiettili cal. 5.56mm;

5.56vs5.45
ANNEX 8: Comparazione calibri: 5.56 vs 5.45
Il tutto su fori fatti sul legno, senza considerare che in mare il legno si inumidisce, si gonfia etc... (è notorio che le parti in legno delle imbarcazioni se danneggiate o scheggiate vanno immediatamente protette con apposite vernici, altrimenti si infradicia tutto)
Anche in un video del 7 marzo 2012 relativo a un sopralluogo sul St. Antony che non risulta in atti giudiziari appare che queste analisi tecniche furono eseguite senza particolari dotazioni tecniche.
Video VENAD News del 7 marzo 2012

Traiettorie "downwards" (verso il basso)


Nel documento mancano del tutto fotografie, disegni,ricostruzioni in 3D che ormai sono alla portata di tutti ed essenziali per ricostruire la "scena del crimine".
Non sono state ricercate le tracce ematiche per stabilire dove sono cadute le vittime.
Non sono stati fatti prelievi per stabilire la presenza e la natura di residui di polvere da sparo (rilevabili a livello di molecole con lo spettrometro di massa).
E così via.

Classici elementi di un sopralluogo

Il sottoscritto analizzando la traiettoria sull'unico foro di proiettile di cui è possibile rilevare da immagini pubbliche sia il foro di entrata che quello di uscita è arrivato a conclusioni opposte riguardo alla direzione "alto verso basso".
Vedere il documento al link: seeninside.net/piracy/esposto2.pdf
La traiettoria esaminata è praticamente orizzontale, del tutto incompatibile con spari dall'altro dell'ala di plancia di destra (24 metri sul mare) della Enrica Lexie. Quindi il sottoscritto giudica che anche le traiettorie "downwards" siano come il calibro 5.56mm: campate in aria.

Aspetti di procedura penale

Il giorno 17/2/2012 i due militari italiani non erano ancora stati arrestati, ma successivamente, e purché questo sopralluogo non abbia eseguito atti non ripetibili, l'analisi tecnica del peschereccio andava rifatta alla presenza degli esperti nominati dalla difesa, secondo la normale metodologia e con strumenti tecnici adeguati.
Questo non è avvenuto, e ad aprile 2012 il St. Antony è stato riconsegnato al proprietario che lo ha affondato, pregiudicando qualsiasi ulteriore analisi.
Successivamente è stato tirato in secca e abbandonato alle intemperie, aperto a chiunque (ci sono video di troupe televisive salite a bordo per girare filmati)
Per cui ormai il relitto è inutilizzabile ai fini giudiziari.

Il St.Antony in abbandono a Neendakara


Conclusioni

Questo "sopralluogo" sulla scena è inconsistente nella metodologia e fuorviante nelle conclusioni.
Serve unicamente a creare un'altro documento dove si proclama la "colpevolezza italiana" senza la base di una evidenza non dico probatoria, ma nemmeno indiziaria.
Qui non si vuole sostenere che il funzionario di polizia (NISHA NG, che ritroveremo come firmatario della "Perizia Balistica") sia uno sprovveduto che misura i fori col metro a nastro e conclude coi centesimi di millimetro. Al contrario, trattandosi di persona con adeguate competenze professionali, sapeva benissimo cosa stava facendo.
 
Di Luigi Di Stefano 
Fonte: seeninside
 

Marò e il castello di carte indiano - Annex 7 Perizia Balistica

In questo documento si esamina lo "ANNEX 7" ai documenti indiani depositati al Tribunale di Amburgo.

Ballistic Expert Report n. B1-1001/FSL/2012, 4 April 2012
www.seeninside.net/piracy/itlos-annex-07.pdf

Una Doverosa Premessa

Questo documento non dovrebbe neanche essere discusso. Per decisione del Tribunale di Kollam del 29/2/2012 i Consulenti Tecnici della difesa (di seguito C.T.), due ufficiali dei Carabinieri esperti di balistica, non furono ammessi alla Perizia Balistica.
E quindi questo documento prodotto senza i tecnici della difesa giudiziariamente è "NULLO", in Tribunale sarebbe ricusato dall'avvocato difensore e la Perizia Balistica rifatta daccapo rispettando i diritti della difesa.
E' ovvio che a tre anni e mezzo dai fatti questo non è più possibile: il St.Antony è stato prima affondato e poi ricoverato su un prato aperto a tutti, le armi sono rimaste nella esclusiva disponibilità degli inquirenti indiani che ne possono aver fatto quello che vogliono. Il processo penale ha le sue regole e chiedendone il rispetto la difesa esercita un diritto e adempie un dovere.
I timbri dei "Carabinieri - Reparto Investigazioni Scientifiche" che trovate nel documento non dimostrano, come si vorrebbe far credere, che essi hanno partecipato a questa Perizia Balistica. I timbri sono relativi agli atti di sequestro delle armi e dei materiali (26/02/2012) e forse alle "prove di sparo" (ndr: link a video esplicativo) dove si spara con le armi in acqua o nel blocco di gelatina balistica per recuperare i proiettili che poi vannoconfrontati con quelli repertati (ndr: link a video esplicativo) sulle vittime o sulla scena del crimine (il peschereccio).
Ma a questa ultima fase, che poi è la perizia balistica vera e propria i Carabinieri sono stati esclusi. Quindi questo documento ha valore giuridico "zero".

Iter Ballistic Report
L'iter seguito per la formazione del "report"

L'altro punto è che questo documento non è una perizia balistica, manca tutto quello che dovrebbe essere in una perizia balistica:fotografie, pesi, dimensioni, microscopio comparatore, gas cromatografico, spettrometro di massa etc.
Infatti è titolato "report", è un rapporto.
.
In assenza di veri e propri standard internazionali i laboratori scientifici delle principali Polizie redigono i loro "atti peritali" secondo le raccomandazioni emanate dallo SWG (SWGGun - Linee Guida per la documentazione degli esami di munizioni e loro componenti) e dalla IAI.Che prevedono una documentazione ben più esaustiva di quella giunta a noi dal Kerala.


SWGGun Guidelines

SWGGun Guidelines (stralcio)
Ma questo Ballistic Report va comunque esaminato in quanto è stato depositato come allegato a un documento scritto indiano depositato il 4 agosto 2015 allo ITLOS di Amburgo in cui si ribadisce perentoriamente con il supporto di 56 allegati, fra cui questo, la colpevolezza dei due militari italiani in ordine alla responsabilità per la morte dei due pescatori sul peschereccio St.Antony.
E quindi entra di fatto nell'impianto accusatorio indiano contro i due militari italiani.

Analisi del Ballistic Expert Report

Il documento di 36 pagine comprende:
  1. reperti provenienti dalle salme, quali proiettili, magliette, garze, pelle, unghie.
  2. armi, munizioni, giubbotti antiproiettile e canne di ricambio sequestrate sulla Enrica Lexie
  3. frammenti di proiettile repertati sul peschereccio St.Antony.

Quante armi hanno sparato

Il primo punto da chiarire per evitare equivoci e deduzioni da letture superficiali è: quante armi hanno sparato.
Nel testo si legge che: "presence of the compound nitrite detected on the barrel washing collected from item n. 6, 11, 13, 14 e 15.1" (presenza di composti nitriti rilevato sul lavaggio delle canne alla voce n. 6, 11, 13, 14 e 15.1)
Quindi su quattro fucili (di seie una canna di ricambio sono stati rilevati residui di polvere da sparo. Il che è del tutto ovvio trattandosi di armi o parti di armi, che possono aver sparato per esercitazione o servizio operativo anche in tempi molto antecedenti alla verifica.
I due fucili che non avrebbero sparato magari (ipotesi) potevano avere le canne nuove di fabbrica. La verifica è stata fatta sulle canne (barrel washing), se la facevano ad esempio sugli otturatori forse risultava che avevano sparato tutti e sei.

Spectografo di Massa

Durante l'incidente erano di turno di guardia i fucilieri Latorre e Girone, e sono loro ad aver sparato per ammissione e univoche testimonianze dei presenti.


Elementi inutili alla presente trattazione

Una serie di elementi inutili per questa analisi sono esclusi dalla stessa: garze, pelle, magliette, munizioni, giubbotti, caricatori etc.
L'unico elemento di interesse sono le tracce di "copper" (rame) su alcuni reperti che verranno trattate in seguito.
Ora si vuole entrare direttamente al centro dell'eventuale disaccordo interpretativo: stabilire se i proiettili repertati sulle salme appartengano o meno a quelli in dotazione al team militare italiano.

Verifiche di Corrispondenza Proiettili

Valentine Jelestine

Come si vede secondo questo Ballistic Report il fucile alla vocen.11 (Beretta SC 70/90 B18584H) ha sparato il proiettile repertato durante l'autopsia nella salma di V. Jelestine.
Si deve rilevare una macroscopica contraddizione in quanto le misure del proiettile repertato nell'autopsia di V. Jelestine sono completamente diverse da quelle del proiettile calibro 5.56mm in dotazione ai militari italiani (vedi Analisi ANNEX 4), come si può agevolmente verificare dall'immagine sottostante.

bullet#1
ANNEX 7: Bullet #1

Le misure descrivono un proiettile molto più grande di quelle dei proiettili in dotazione ai militari italiani e corrispondono con minime differenze a quello del proiettile della cartuccia 7.62x54R;

comparazioni calibri

Inoltre il proiettile viene indicato come "disfigurato" mentre in autopsia non vi è cenno che il proiettile repertato su V. Jelestine fosse "disfigurato".
Poiché l'evidenza è macroscopica e non si può sostenere che un proiettile calibro 7.62mm passi attraverso una canna di fucile calibro 5.56mm l'unica ipotesi possibile è che il proiettile esaminato non sia quello repertato nell'autopsia.

Conclusioni per Valentine Jalestine

Il proiettile repertato nell'autopsia non è quello indicato come tale nel Ballistic Report.
L'evidenza è macroscopica.

Jaees Pinku

Come si vede secondo il Ballistic Report il fucile alla voce n.14(Beretta SC 70/90 B18896H) ha sparato il proiettile repertato durante l'autopsia nella salma di J. Pinku.
Rivediamo le misure del proiettile repertato durante l'autopsia nella salma di J. Pinku. (vedi Analisi ANNEX 4)
"A metallic bullet of length 2,4cm and maximum circunference 1,9cm with a point tapering was found in the spleen covered by blood clot. - The bullet was found compressed at the base and the base measured 0,7x0,4cm"
Un proiettile metallico di lunghezza 2,4cm (ndr: 24mm) e massima circonferenza 1,9cm (ndr: diametro 6,05mm) con una rastrematura a punta è stato trovato nella milza coperto da coagulo di sangue. - Il proiettile è stato trovato compresso alla base e la base misura 0,7x0,4cm

bullet#2

ANNEX 7: Bullet #2
Ci troviamo quindi di fronte a un proiettile compresso e deformato dall'urto evidentemente contro ossa molto resistenti, come conferma il passo seguente:
"The coastal cartilage was found fractured an fragmented and the following organs transfixed in that order..."

La cartilagine della costola è stata trovata fratturata e frammentata e i seguenti organi trafitti in questo ordine...

Anche le dimensioni della lacerazione dovuta all'ingresso del proiettile sono incompatibili col foro di ingresso lasciato da un proiettile calibro 5.56mm.
"Lacerated penetrating wound of entrance 2,7x1,6 cm"

Ferita lacerata penetrante di entrata 2,7x1,6 cm (ndr: 27x16mm)


Discussione

E' evidente che se il proiettile è descritto come disfigurato e compresso nell'autopsia è di lunghezza 24mm, in origine la lunghezza era maggiore di 24mm.
Il proiettile della cartuccia 5.56x45mm in dotazione ai militari italiani è lungo 23mm, e se fosse "compresso" da un urto avrebbe una lunghezza minore di quella nominale, non maggiore.

Conclusione per Jaees Pinku

Il proiettile repertato nell'autopsia non è quello indicato come tale nel Ballistic Report.

Elementi di corrispondenza fra il proiettile cal. 5.56mm e quelli indicati come provenienti dalle due salme, descritti dal Ballistic Report (pag. 33 di 36)


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ANNEX 7: page 33 of 36

Due proiettili di munizioni ordinarie e traccianti, contenuti alle voci 22.1 e 22.2 (ndr: cartucce calibro 5.56x45furono disfigurate il laboratorio. I parametri fisici (ndr: le misuredel proiettile della munizione ordinaria contenuta alla voce n. 22.1 e della munizione tracciante contenuta alla voce 22.2 furono trovati approssimativamente simili ai proiettili contenuti alla voce 1.4(ndr: Pinku) e 2.3 (ndr: Jalestine).

In sostanza: erano comunque proiettili! Comparando una utilitaria e una Ferrari il Forensic Science Laboratory potrebbe dirci che sono entrambe automobili!




Terzi: Sui risultati della Perizia Balistica (LA7, 6 Aprile2013)
E' evidente che con il "approssimativamente simili" non si arresta e non si condanna nessuno, e il C.T. della difesa fatica molto a non lasciarsi andare a commenti irriguardosi.
Nelle conclusioni di questo Ballistic Report si dichiara perentoriamente che i proiettili sparati dai due fucili sottoposti a test "sono" quelli repertati nelle salme delle due vittime, mentre in realtà sono solo "approssimativamente simili", a dire che "non sono". E' utile ricordare che il Tribunale vive di certezze, le "approssimative similitudini" non sono probatorie e in questo caso non sarebbero nemmeno indiziarie.
Sarebbe di proscioglimento dei due accusati.

Analisi Relativa ai Frammenti di Proiettile Repertati sul Peschereccio St.Antony

Durante il sopralluogo eseguito dal Dr. NISHA (lo stesso firmatario del Ballistic Report) il 17/2/2012 sul peschereccio St.Antony esaminando i fori sulle parti in legno e i frammenti di proiettile recuperati si giunse alla conclusione che i proiettili stessi erano calibro 5.56mm, e quindi due giorni dopo si giunse all'arresto dei due militari italiani.
Esaminando il rapporto "Scene examination report No. B1-873/FSL/2012, 19 April 2012" (vedi Analisi ANNEX 8) messo a disposizione dallo ITLOS il 27/8/2015 è apparso chiaro che l'esperto non poteva apprezzare a occhio i centesimi di millimetro con l'ausilio del metro a nastro, e quindi la conclusione sul calibro dei proiettili era "campata in aria". Ma questa conclusione rese possibile l'arresto dei due militari italiani.
Verifichiamo ora esaminando le risultanze del Ballistic Expert Report (ANNEX 7) se dai frammenti di proiettile repertati in quella occasione esistessero elementi tali da giustificare le conclusioni che i proiettili giunti sul peschereccio St.Antony fossero calibro 5.56mm;

Voce 31.1 - Frammento di proiettile repertato sul tetto del peschereccio (lato posteriore)


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ANNEX 7: page 35 of 36

Il mantello frammentato del proiettile, contenuto nella voce31.1è similare al mantello del proiettile ordinario contenuto alla voce 22.1; Non è possibile stabilire se i pezzi frammentati del mantello sono scaricati attraverso ognuna delle armi o delle canne di ricambio coinvolte in questo caso o no.

Stiamo parlando del mantello esterno del proiettile spesso qualche decimo di millimetro, o meglio di "frammenti del mantello esterno"

frammenti
ANNEX 7: Frammenti di proiettile

Vediamo ora di che frammenti si tratta.

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ANNEX 7: page 34 of 36

I materiali contenuti alla voce 31.1 includono (ndr: compreso minuscoli pezzi di legno) il mantello rotto di un proiettile sparato, con sei righe di pieni e cave. Il peso era di 0,89 grammi ed aveva le dimensioni di 13,7x6,7mm. I componenti metallici di un proiettile ordinario smontato e quello contenuto alla voce 31.1 sono similari.


Discussione

Appare evidente che da un pezzo di mantello così minuscolo non si potesse stabilire durante il sopralluogo sul peschereccio St.Antony che i proiettili fossero calibro 5.56mm.
Anche l'esame fatto in questo Ballistic Report non può stabilire se questo frammento sia stato sparato da una delle armi sequestrate, limitandosi a una condizione di "similarità" con il mantello dei proiettili cal 5.56 sequestrati.
E' bene chiarire che "similare" non significa nulla, moltissimi proiettili militari hanno incamiciature (mantello) praticamente identico, fatto di leghe metalliche simili o identiche.
Basta guardare l'immagine a seguire per rendersi conto che un giudizio di similarità nella comparazione non dimostra nulla.

proiettili blindati
ANNEX 7: Proiettili blindati (FMJ) di calibri diversi

Ma in Italia nell'aprile 2012 fece scalpore la notizia di fonte indiana che indicava la "compatibilità delle rigature" fra i proiettili repertati e le armi sequestrate, e che venne da molti interpretata come "la prova della colpevolezza" dei due accusati.


MARO', PER LA PERIZIA ARMI COMPATIBILI. QUEI FUCILI HANNO UCCISO I PESCATORI

(LA STAMPA DEL 10.04.2012)
(...) Parlando telefonicamente all’ANSA, la responsabile del dipartimento di balistica N.G. Nisha ha confermato i risultati delle prove condotte su otto armi (oltre ai sei fucili Beretta, due mitragliette FN Minimi di fabbricazione belga) e precisato che il rapporto sui test di tiro, la balistica e le impronte digitali è stato consegnato al magistrato. "Dopo aver esaminato i proiettili recuperati dai cadaveri delle vittime abbiamo stabilito che sono compatibili con le rigature delle canne di due fucili", ha detto.

Poiché l'unico riferimento alle rigature contenuto nel Ballistic Report è questo del frammento 31.1 è utile verificare se queste "compatibilità delle rigature" fossero realistiche o non si sia trattato piuttosto di un abbaglio, o altro.
Rivediamo la descrizione del frammento:

I materiali contenuti alla voce 31.1 includono (compreso minuscoli pezzi di legno, nda) il mantello rotto di un proiettile sparato, con sei righe di pieni e cave. Il peso era di 0,89 grammi ed aveva le dimensioni di 13,7x6,7mm. I componenti metallici di un proiettile ordinario smontato e quello contenuto alla voce 31.1 sono similari.

Poiché il fucile Beretta SC 70/90 in calibro 5.56mm ha la canna con 6 rigature destrorse e passo 178mm, ad un valutazione superficiale la notizia sembra avere fondamento: 6 rigature sono sul pezzo 31.1 e 6 rigature sono nella canna del fucile italiano!

rigature
ANNEX 7: Le rigature della canna impresse sul proiettile al momento dello sparo

In realtà se sviluppiamo la circonferenza del proiettile cal. 5.56 otteniamo una dimensione di sviluppo pari a 17.5mm.
Il frammento 31.1 con le 6 rigature è di dimensione 13.7mm, quindi minore (vedi le differenze dimensionali nell'immagine sotto)

rigature1
ANNEX 7: Sviluppo in piano del mantello di un proiettile 5.56 (blu) comparata al referto 31.1 (rosso)

Sopra: a sinistra in blu lo sviluppo in piano del mantello esterno di un proiettile calibro 5.56mm; a destra in rosso il pezzo 31.1. Ovviamente entrambe i pezzi hanno le 6 rigature.
E' evidente anche a un esame superficiale che il frammento di cui alla voce 31.1 così come è stato descritto:
- non può avere le rigature compatibili con quelle del Beretta SC 70/90;
non può essere parte di un proiettile cal. 5.56.

rigature2
ANNEX 7: Mantello di un proiettile 5.56 (blu) comparata al referto 31.1 (rosso) #1

Nell'immagine sopra sono rappresentate in scala (tranne la profondità delle rigature, per chiarezza di esposizione) le sezioni di:
- a sinistra (blu) sezione di proiettile cal. 5.56mm passato attraverso la canna.
- a destra (rosso) sezione del proiettile originario del mantello alla voce 31.1
Le misure di diametro sono quelle del calibro nominale (quelle reali si discostano di alcuni centesimi di millimetro (4/100) per chiarezza espositiva.
- BLU: si apprezza il diametro esterno del proiettile, l'angolo dei pieni e dei vuoti di 30° (360°/12)
- ROSSO: si apprezza l'arco di cerchio di 13.7mm corrispondente alla dimensione del lato più lungo del frammento 31.1; che copre un arco di 282,35° (360° - 77,65°)
Si apprezza che l'arco di cerchio lungo 13.7mm con impresse 6 rigature (6 vuoti + 6 pieni) come descritto nel Ballistic Reportmostra una misura dell'angolo di 23,53°, completamente diverso dai 30° delle rigature del fucile Beretta SC 70/90.

rigature3
ANNEX 7: (3D) Mantello di un proiettile 5.56 (blu) comparata al referto 31.1 (rosso) #2

La visione 3D aiuta a comprendere quanto prima descritto.

Conclusioni analisi frammento 31.1


- Il frammento 31.1 descritto in Ballistic Report dimostra che non può provenire da un proiettile cal. 5,56mm: gli angoli di rigatura sono completamente diversi.
Non c'è nessuna "corrispondenza delle rigature" con il fucile Beretta AR 70/90
Il frammento 31.1 descritto in Ballistic Report dimostra che i colpi giunti sul St.Antony non sono stati sparati dai militari italiani.

Voce 31.2 - Frammenti di proiettile repertati nella zona del cilindro del gas del St.Antony


brano4
ANNEX 7: page 34 of 36

Il pezzo metallico contenuto alla voce 32.1 e uno "steel core" di un proiettile
Lo "steel core" è un nucleo di acciaio posto all'interno del proiettile per esaltarne le capacità di penetrazione nei "bersagli duri" (acciaio degli elmetti, giubbotti antiproiettile, etc)
Praticamente ogni proiettile militare ha varie versioni (ordinario, tracciante, a salve, blindato... etc). Nell'immagine sotto le varie versioni del proiettile 5.56x45mm.

steelcore
ANNEX 7: I diversi tipi di 5,56x45 e alcuni tipi di steel core
Infatti nello stesso Ballistic Report si indica che non si può indicare una corrispondenza fra questo steel core recuperato e quelli ricavati da disfigurazione dei proiettili sequestrati.

brano5
ANNEX 7: page 35 of 36

Le tracce di "Copper" (rame)


Su alcuni reperti colpiti da proiettili sono state rivete tracce di Copper (rame) probabilmente a seguito dell'impatto del proiettile stesso.
La gran parte dei proiettili di armi da fuoco sono incamiciati con leghe metalliche contenenti rame, quindi l'evidenza "rame" è ininfluente ai fini delle indagini.

ANNEX 7: Conclusioni

Il Ballistic Report che pur fece grande scalpore in Italia quando ad aprile 2012 ne uscirono anticipazioni sui media è un documento contraddittorio, che contiene delle "conclusioni" e l'esatta negazione delle stesse.
L'esame tecnico è inesistente: una volta eliminato l'orpello si limita alla affermazione perentoria che i due proiettili repertati nelle due vittime sono stati sparati da due dei fucili sequestrati ai militari italiani, per poi smentirsi con una identificazione di "approssimativamente simili" (approximately similar). Sempre proiettili sono!
Il pezzo di mantello alla voce 31.1 recuperato su peschereccio, in cui si vogliono mettere su una dimensione di 13.7mm le 6 righe che nella canna del Beretta stanno su 17.5mm può suscitare ilarità. Sempre rigature sono!
Quindi il Ballistic Report è ininfluente dal punto di vista giudiziario per:
  1. Nullità giuridica perché prodotto contro i diritti della difesa;
  2. Palesi contraddizioni fra le conclusioni e quanto esposto nel testo del documento.
Ora, a parere del sottoscritto, la NIA potrà portare anche cinquecentomila testimoni disposti a giurare di aver riconosciuto dalle coste del Kerala Latorre e Girone che dalla Enrica Lexie sparavano sul peschereccio St. Antony.
Ma le dimensioni dei proiettili repertati nell'autopsia sempre quelle rimangono.
I media italo-indiani potranno anche scrivere che una "nuova perizia" (il Ballistic Report appunto) smentisce la "vecchia perizia" (l'autopsia!) dimostrando la "colpevolezza italiana", ma questo non cambia lo "approximately similar" che indirettamente conferma quanto indicato in autopsia.
Rimane il fatto che il Ballistic Report (ANNEX 7) e il sopralluogo sul peschereccio St.Antony (ANNEX 8hanno voluto dare l'aurea della scientificità a un pregiudizio di colpevolezza consentendo le accuse e l'arresto dei due militari italiani, che invece dovevano essere prosciolti lo stesso giorno delle autopsie, appena letti i referti e controllato il calibro delle loro armi.
Roma li 04/10/2015
Di Luigi Di Stefano 
Fonte: seeninside