Oggi è il 22esimo anniversario della strage di Via D’Amelio (19 Luglio 1992) in cui persero la vita il giudice antimafia Paolo Borsellino
e la sua scorta composta da: Agostino Catalano, caposcorta; Emanuela
Loi, prima donna a far parte di una scorta e prima agente a cadere in
servizio; Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Ci fu
un unico sopravissuto all’esplosione, l’agente Antonino Vullo.
Via Mariano D’Amelio era l’indirizzo dove viveva la madre di
Borsellino, il quale era solito farle visita ogni domenica. Quella
domenica fu diversa. Una bomba radiocomandata installata su una Fiat
126, saltò in aria a pochi metri da Borsellino e la sua scorta. La bomba
conteneva circa 100 kg di tritolo, l’esplosione fu fortissima. La
Squadra Mobile giunta sul posto appena dopo l’attentato parlò di “decine
di auto distrutte dalle fiamme, altre che continuano a bruciare,
proiettili che a causa del calore esplodono da soli, gente che urla
chiedendo aiuto, nonché alcuni corpi orrendamente dilaniati”.
La pericolosità di quella strada stretta era nota, tanto che era
stato richiesto di vietare di parcheggiare le auto davanti alla casa
della donna, ma rimase una richiesta non ascoltata.
Il processo si divise in tre fasi chiamate: Borsellino primo, Borsellino Bis e Borsellino ter.
Borsellino primo iniziò nel 1994. Le indagini erano state svolte dal
gruppo investigativo guidato da Arnaldo La Barbera, ex capo della
squadra mobile di Palermo.
Il 27 gennaio 1996 il primo processo si concluse con la condanna di Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e Salvatore Profeta all’ergastolo di cui un anno e mezzo di isolamento diurno e a tredici milioni di multa ciascuno, che si occuparono del piano per l’organizzazione dell’attentato. Vincenzo Scarantino venne condannato a diciotto anni e a 4,5 milioni di multa per avere rubato la Fiat 126 e averla caricata di tritolo. Scaratino collaborò.
Il 27 gennaio 1996 il primo processo si concluse con la condanna di Giuseppe Orofino, Pietro Scotto e Salvatore Profeta all’ergastolo di cui un anno e mezzo di isolamento diurno e a tredici milioni di multa ciascuno, che si occuparono del piano per l’organizzazione dell’attentato. Vincenzo Scarantino venne condannato a diciotto anni e a 4,5 milioni di multa per avere rubato la Fiat 126 e averla caricata di tritolo. Scaratino collaborò.
Nel secondo processo, 21 ottobre 1996, sotto accusa ci furono i
mandanti della strage D’Amelio: Salvatore Riina, Carlo Greco, Salvatore
Biondino, Pietro Aglieri,Giuseppe Graviano,Gaetano Scotto e Francesco
Tagliavia. Esecutori: Giuseppe Calascibetta, Natale Gambino, Giuseppe La
Mattina, Cosimo Vernengo, Lorenzo Tinnirello, Giuseppe Urso, Salvatore
Vitale, Gaetano Murana e Antonino Gambino, Salvatore Tomaselli e
Giuseppe Romano.
Agli atti del processo Borsellino bis, oltre alle dichiarazioni rese da Scarantino, furono acquisite anche quelle dei collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Giovanbattista Ferrante, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anselmo.
Agli atti del processo Borsellino bis, oltre alle dichiarazioni rese da Scarantino, furono acquisite anche quelle dei collaboratori di giustizia Salvatore Cancemi, Giovanbattista Ferrante, Calogero Ganci e Francesco Paolo Anselmo.
Nel terzo processo iniziato il 28 gennaio 1998, altri imputati
colpevoli di aver fatto parte del piano e finiscono a processo anche i
collaboratori di giustizia nel processo Borsellino bis.
Nel luglio del 2007 si parlò per la prima volta della trattativa
Stato-Mafia. La procura di Caltanissetta infatti aprì un fascicolo per
scoprire se alcune persone appartenenti alla SISDE, attuale AISI,
fossero coinvolte nell’attentato.
Fu pubblicata in quel periodo una lettera scritta dal fratello di
Borsellino, Salvatore, indirizzata all’ex Ministro dell’interno Nicola
Mancino, in cui si ipotizzava che fosse a conoscenza del piano per
l’omicidio di Paolo.
“Chiedo al senatore Nicola Mancino, del quale ricordo negli anni immediatamente successivi al 1992 una lacrima spremuta a forza durante una commemorazione di Paolo a Palermo, di sforzare la memoria per raccontarci di che cosa si parlò nell’incontro con Paolo nei giorni immediatamente precedenti alla sua morte. O spiegarci perché, dopo avere telefonato a mio fratello per incontrarlo mentre stava interrogando Gaspare Mutolo(pentito mafioso ndr.), a sole 48 ore dalla strage, gli fece invece incontrare il capo della Polizia Parisi e il dottor Contrada, incontro dal quale Paolo uscì sconvolto tanto, come raccontò lo stesso Mutolo, da tenere in mano due sigarette accese contemporaneamente… In quel colloquio si trova sicuramente la chiave della sua morte e della strage di Via D’Amelio.”
Poco dopo, Bruno Contrada, ex del SISDE, fu condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.
Altri particolari scritti nella lettera di Salvatore fecero capire
che l’operato di Mancino non era stato del tutto limpido. Ad esempio il
fatto che Arcagnoli, allora capitano dell’Arma dei Carabinieri, fu
visto allontanarsi con la borsa di Borsellino, che conteneva
probabilmente la sua “agenda rossa” contenente tutte le annotazioni del
giudice sulle indagine da lui condotte, la quale non fu per l’appunto
mai ritrovata.
Quando Mancino replicò di non aver visto il giudice Borsellino così
come sosteneva nella lettera Salvatore, quest’ultimo rispose:
“In merito alla persistenza delle lacune di memoria del Sen. Mancino sull’incontro con Paolo Borsellino del 1º luglio 1992, evidenti dalla sua risposta alle mie dichiarazioni e preoccupanti per chi è stato chiamato alla vicepresidenza del CSM, ritengo mio dovere fargli notare quanto segue. Se è vero che le dichiarazioni di un pentito come Gaspare Mutolo non possano assumere da solo valore probatorio se non suffragate da solidi riscontri è anche vero che di riscontro ne esiste almeno uno, e incontrovertibile, dato che è siglato dallo stesso Paolo Borsellino. Nella sua seconda agenda, quella grigia in possesso dei suoi familiari, che, essendo stata lasciata a casa da Paolo il 19 luglio non ha potuto essere sottratta come quella rossa, Paolo ha annotato: 1º luglio ore 19:30: Mancino. In quanto alla credibilità dello stesso Mutolo, il quale riferisce la frase di Paolo durante l’interrogatorio: ‘devo smettere perché mi ha chiamato il ministro, manco mezz’ora e torno…’, devo ricordare al Sen. Mancino che è proprio grazie alle dichiarazioni di Gaspare Mutolo che il dott. Contrada, funzionario del SISDE, ha potuto essere condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Inoltre lo stesso Vittorio Aliquò ha dichiarato di aver accompagnato Paolo fino alla soglia dell’ufficio di Mancino, ed è impossibile credere che lo stesso non possa ricordare di avere incontrato non un qualsiasi magistrato tra i tanti che quel giorno venivano a complimentarsi per la sua nomina, ma un giudice ad estremo rischio di vita che in quei giorni era al centro dell’attenzione di tutti gli italiani.”
Nel luglio 2009, in occasione dell’anniversario, Massimo Ciancimino,
imprenditore italiano, attualmente indagato per calunnia, annunciò che
avrebbe consegnato ai magistrati il “papello”, una sola pagina firmata
da Totò Riina che conterrebbe le condizioni poste dalla mafia allo
Stato. Nella stessa occasione, Totò Riina ha riferito al suo avvocato
di non essere coinvolto nella strage di via D’Amelio dichiarando:
“L’hanno ammazzato loro. Lo può dire tranquillamente a tutti, anche ai giornalisti. Io sono stanco di fare il parafulmine d’Italia.”
Fonte: https://www.facebook.com/iniurevir
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