Ognuno per sé, nessuno per tutti. Le plateali dimissioni del
ministro degli Esteri Terzi, non concordate con Monti né con Napolitano,
e le altrettanto stentoree non-dimissioni del ministro della Difesa Di
Paola, illustraronono lo stato delle pubbliche istituzioni in Italia. Siamo
in perenne sede vacante, con governi che da alcuni anni hanno cessato di
governare e parlamenti, non eletti dal popolo, che non hanno voce in capitolo.
Quando un giorno gli storici vorranno indagare la parabola della
seconda repubblica, leggeranno nella tragicommedia dei due marò
palleggiati fra Italia e India la biografia di una nazione che solo tre
anni fa celebrava con fervore il secolo e mezzo di unità. “Noi non
capiamo, ma non ci abbandonate”: le parole di Salvatore Girone e
Massimiliano Latorre — le due sole figure dignitose, quali che siano le
loro responsabilità, nella sceneggiata in corso — rivolte al loro
ministro prima di essere rispediti in India, echeggiano quelle, ben più
drammatiche, dei nostri soldati abbandonati senz’ordini dal re e dai
comandanti militari in fuga, l’8 settembre di settant’anni fa.
Ieri come
oggi: chi decide in Italia? Chi si assume la responsabilità delle
scelte? Nessuno. In ogni caso, le colpe sono altrui.
Da quando QUALCUNO ha
improvvidamente ordinato ai due marò sospettati di avere ucciso due
pescatori indiani di consegnarsi alle autorità locali, le strutture
politiche, tecniche e militari deputate a gestire il caso sono riuscite a
sbagliare ogni singola mossa. Prima che il senso delle istituzioni, è
mancato il senso del ridicolo. Siamo riusciti in una triplice impresa:
confermare il mondo nella convinzione che l’Italia sia un paese di
furbi, i quali regolarmente finiscono vittime della propria astuzia;
produrre una gravissima crisi politico- diplomatica con l’India — sulla
quale il grado di conoscenza delle nostre strutture tecniche sembra
rimasto alla prosa di Emilio Salgari; svelarci impotenti a difendere i
diritti e la sicurezza di due nostri cittadini soldati, ciò che di norma
pertiene alla primaria funzione dello Stato.
Terzi, con le sue dimissioni, si è autoproclamato campione dell’“onorabilità del paese, delle
Forze armate e della diplomazia italiana” Di Paola, forse inconsciamente aderendo al clima da “tutti a
casa”, ha voluto paragonarsi all’ammiraglio Bergamini ed evocare la
tragedia della corazzata Roma, gioiello della Regia Marina, affondata il
9 settembre al largo della Sardegna da una bomba tedesca, che spezzò la
vita di quasi 1.400 marinai? Ancora: fa senso che il capo di Stato
maggiore della Difesa, con un pronunciamento d’altri tempi, denunciò la
“farsa” in atto senza allegare contestuale lettera di dimissioni o senza
che il governo gliela imponesse
Monti, lasciò che i
suoi ministri si scannassero in Parlamento, quasi che la responsabilità
ultima dello scaricabarile non fosse sua. Sarebbe inoltre stato legittimo
attendersi dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che pure sostiene che questa vicenda l'ha
seguito molto da vicino, una parola netta e chiarificatrice, a difesa
della dignità nazionale, vista la sua omertà nella scelta di farli rientrare, andando per altro contro la nostra Carta Costituzionale.
Infine, la lezione più profonda e più amara. La crisi dei
marò espone a chiunque non si rifiuti di vederla la deriva della
tecnocrazia nostrana. Chiamata ad assumersi responsabilità politiche, si
è rivelata tecnicamente impreparata a governare l’Italia. Scopriamo
oggi che cosa significhi per un paese a debole legittimazione
istituzionale e modesto spirito civico non disporre di una “nobiltà di
Stato”, di quell’alta amministrazione selezionata per merito che nelle
più antiche nazioni europee ha garantito, anche nell’ora più buia,
continuità e prestigio alle pubbliche istituzioni.
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