Poche ore dopo le rassicuranti indicazioni fornite a Massimiliano
Latorre e Salvatore Girone dal Ministro della Difesa Pinotti sull’azione
già svolta dal Governo per «internazionalizzare» il caso della loro
illegittima detenzione in India, avviando così il più volte annunciato
Arbitrato Obbligatorio, un’incredibile, ennesima doccia fredda. Il
Sottosegretario Della Vedova ha chiarito come nessuna procedura
internazionale di arbitrato sia ancora stata avviata, essendovi
«soltanto dei colloqui». La notizia è stata prontamente stigmatizzata
dall’on. Edmondo Cirielli (Fdi-An).
Dal 22 marzo dello scorso anno,
quando la vergognosa decisione di rinviare i Marò in India ribaltava una
linea di Governo basata su solidissime premesse diplomatiche e legali,
confermata sino a tre giorni prima da tutti i comunicati ufficiali del
Governo, la via dell’internazionalizzazione è sempre apparsa come
l’unica realmente praticabile. Sono passati cinquecento giorni dal
rinvio in India di Massimiliano e Salvatore. Chi li aveva convinti a
ripartire sereni, aveva fatto leva sul loro straordinario senso del
dovere. Chi li aveva convinti a ripartire sereni li avrebbe anche
rassicurati che il gesto di amicizia compiuto nei confronti dell’India -
un’amicizia per la verità a senso unico - avrebbe consentito una
positiva conclusione della vicenda con il loro ritorno in Patria «con
onore», entro poche settimane, al massimo pochissimi mesi. Sono
trascorse 64 settimane. La prossima tappa processuale, prevedibilmente
interlocutoria, sarà tra altri due mesi. Le «garanzie indiane» erano
scritte nella sabbia. Da Delhi giungono notizie confuse sulla posizione
che lo stesso Ministero dell’Interno del Governo Modi avrebbe circa
l’applicabilità della legge antiterrorismo (Sua) che era stata invece
esclusa, dopo un lungo calvario, dal Governo Singh.
Vi sono molte cose incomprensibili a moltissimi interlocutori stranieri
con i quali sono in contatto. La prima riguarda la sottovalutazione che
l’Italia sta dimostrando della cattiva reputazione internazionale che
deriva al nostro Paese dal lasciare due nostri uomini con le stellette,
impegnati in operazioni antipirateria, alla mercé di un processo in
India: illegittimo perché la giurisdizione secondo la Convenzione sul
Diritto del Mare non può che essere italiana. Il secondo aspetto
incomprensibile è la paralisi decisionale del precedente e attuale
governo nell’avviare procedure internazionali.
Sulle quali si sono, sin dall’inizio della vicenda, espressi i più
autorevoli giuristi italiani e stranieri (eccezion fatta ovviamente per
gli indiani). Ricordo, tra i moltissimi contributi in questo senso lo
studio approfondito in sostegno dell’internazionalizzazione e
dell’Arbitrato Obbligatorio pubblicato recentemente dalla Professoressa
Angela Del Vecchio sulla Rivista giuridica della Luiss, e il contributo
del Prof. Natalino Ronzitti sull’Informatore Iai. Il terzo motivo di
sconcerto e preoccupazione riguarda il valore di precedente che può
avere nell’evoluzione della prassi e delle norme internazionali la
sensazione di supina accondiscendenza che sta planando sulla mancata,
decisa tutela dei nostri fondamentali interessi di sovranità. Questa
preoccupazione è concreta. Non contestare la pretesa indiana a giudicare
i nostri soldati espone a rischi da non prendere. Un ultimo punto
riguarda l’opportunità di nominare un giurista straniero alla guida del
team di esperti che dovrebbe trovare una via d'uscita. La tradizione
italiana di diritto internazionale, soprattutto nella specifica materia
del Diritto del mare, non teme paragoni di sorta. Tutto c’era da
aspettarci, dicono in molti, ma non un'ammissione - inaccettabile - di
inadeguatezza dei nostri internazionalisti.
Fonte: http://www.iltempo.it/
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