Cancro, chi è povero muore
Per la prima volta in Italia due farmaci oncologici sono in vendita
solo a pagamento: chi vuole curarsi deve pagare più di mille euro a
settimana. Si viola la Costituzione, ma il governo fa finta di niente
Non se ne è accorto nessuno. Ma presto se ne accorgeranno i malati di
cancro. Perché, in barba alla Costituzione, per la prima volta nel
nostro Paese, le autorità sanitarie hanno deciso che ci sono malati di
tumore ricchi che avranno accesso a due farmaci oncologici, e quelli
poveri che dovranno fare senza.
È accaduto infatti che il
pertuzumab (Roche) e l'afibercept (Sanofi-Aventis) siano stati
autorizzati dall'Aifa (Agenzia italiana per il farmaco) il 27 maggio
scorso e quindi ammessi in farmacia, ma a totale carico del malato.
Che, se vuole curarsi, dovrà quindi pagare per il farmaco Roche 6.000
euro per le prime due somministrazioni e poi tremila euro ogni 21
giorni; e per quello Sanofi Aventis 4.000 euro ogni tre settimane.
Perché le medicine sono sì registrate e ammesse alla vendita, ma non
rimborsate dal Servizio sanitario nazionale. Non era mai successo per
gli anticancro, salvavita. Perché se è vero che molti farmaci innovativi
sono oggi disponibili in farmacia a pagamento (è la cosiddetta Fascia
C), è anche vero che si è sempre trattato di prodotti non salvavita, per
i quali, il più delle volte, esiste un'alternativa, ancorché meno
potente o meno avanzata.
Il cancro, poi, è di una tale
drammaticità che nessuno aveva mai osato nemmeno immaginare che si
potessero registrare delle medicine e non metterle a disposizione di
tutti i malati.
Non c'è dubbio che l'Aifa ha agito secondo le
norme. Anzi, la norma. Sciagurata e passata finora sotto silenzio:
quella con la quale l'ex ministro Renato Balduzzi, oggi deputato
montiano, ha deciso, nel novembre del 2012, che i farmaci non ancora
ammessi al rimborso del Ssn ma verificati come efficaci dalle autorità
sanitarie potessero essere venduti in farmacia a chi ha i soldi per
comprarseli. “Nelle more”, si dice in gergo.
Ma queste more
sono lunghissime: come “l'espresso” ha denunciato più volte, i farmaci
innovativi arrivano nel nostro paese con grande ritardo: fino a due anni
dall'approvazione europea. Diversi mesi trascorrono mentre l'Aifa
rivede i dossier già esaminati e approvati dalle autorità europee e
autorizza il farmaco anche nel nostro paese, ma altri mesi passano a
definire prezzo e modalità di accesso al mercato. I tempi di questi iter
si fanno sempre più lunghi anche perché si allungano i negoziati, con
l'Aifa che offre prezzi che le aziende ritengono bassi.
Ed è
chiaro a tutti che non ci sono soldi per la sanità, e che, quindi, i
negoziati non sono destinati ad accorciarsi. Anzi. Nelle “more”: chi ha i
soldi si comprerà il farmaco con gli evidenti benefici terapeutici, chi
non li ha lascerà questa vita. E non serve raccontare come, negli Usa e
nei paesi senza servizio sanitario universale, le persone si
indebitino, vendano la casa, chiedano prestiti per potersi pagare anche
solo qualche mese di vita.
E a guadagnarci sono le aziende che
inizieranno a vendere il farmaco mesi e mesi prima del suo accesso agli
ospedali pubblici. Ma resta l'interrogativo: Balduzzi si è reso conto
della drammaticità di quella firma? E non ci vengano dire che è solo
“nelle more”, perché una volta infranto il muro della decenza, non si
torna più indietro.
Fonte: http://espresso.repubblica.it/
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