domenica 10 agosto 2014

Il principio di Giustizia Universale e i due Maro'

La totale incapacità da parte dei Governi che si sono succeduti di trovare una soluzione. Eccola....

Il principio di giustizia universale è uno di quei grandi concetti del diritto, sviluppato soprattutto tra la seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga, che manifesta che gli Stati non sono disposti a sopportare le barbarie e la violazione estrema dei diritti degli esseri umani e di altri interessi che coinvolgono ugualmente l'intera comunità internazionale.

Pertanto, i meccanismi di solidarietà internazionale sono stabiliti, e ogni Paese può agire a nome della comunità internazionale per combattere e prevenire l'impunità causata da lacune o mancanza di prosecuzione della violazione dei diritti legali relativi all’ ordine mondiale.

Per ciò, si stabiliscono meccanismi di solidarietà internazionale e qualsiasi Stato può agire in rappresentanza della comunità internazionale per lottare ed evitare l'impunità provocata dai buchi neri legali o la mancata persecuzione della violazione di beni giuridici appartenenti all'ordine mondiale.

Con tale impegno, il Potere Giudiziale ha stabilito un principio di assoluta giustizia universale, candidandosi a perseguire le gravi violazioni dei diritti umani o interessi internazionali a prescindere dal luogo ove è stato commesso l’atto criminale e la nazionalità dell'autore. 

Bene, dopo quanto sopra, perché i nostri due marò non sono ancora in Italia?
Facciamo, una volta per tutte, chiarezza estrema su questo tragico caso di cui discorriamo, ma non debitamente, da parecchio tempo.

La vicenda dell’Enrica Lexie, la nave sulla quale i due militari erano in servizio anti-pirateria, è apparsa insistentemente sulle pagine dei giornali italiani occupando occasionalmente i telegiornali nazionali.
E a seguirlo dall’inizio, il racconto dell’incidente diplomatico tra Italia e India, ci rendiamo conto che è pieno zeppo di eufemismi – dall’una e l’altra parte, piegato a una ricostruzione degli avvenimenti distante non solo dalla realtà ma, a tratti, anche dalla plausibilità più spicciola. 

E’ il 15 febbraio 2012 e la Enrica Lexie viaggia al largo della costa del Kerala, India sud occidentale, diretta in Egitto. Sulla nave ci sono 34 persone, tra cui sei marò del Reggimento San Marco.
Non distante dall’imbarcazione, il peschereccio indiano St. Antony trasporta 11 persone.
Verso le 16:30 locali si compie, irrimediabilmente, la tragedia.... ma i nostri connazionali ne sono provatamente estranei. Ma la nostra stampa e quella indiana sembra abbaimno preso degli accordi....

Ecco i Fatti riportati dall'informazione deviata.
I soldati presenti sull’ Enrica Lexie sono convinti di essere sotto attacco pirata, così che i marò sparano contro la nave da pesca ed uccidono Ajesh Pinky (25 anni) e Selestian Valentine (45 anni), due membri del personale di bordo.
La St. Antony avvertirà dell’incidente la guardia costiera del distretto di Kollam che subito contatterà via radio l’Enrica Lexie, chiedendo se fosse, realmente, stata coinvolta in un attacco pirata.
Da quest’ultima confermeranno, al che viene chiesto alla nave di gettare l'ancora al porto di Kochi.
La notte del 15 febbraio, i due cadaveri vengono sottoposti all’autopsia; il 17 mattina ora locale saranno entrambi sepolti.
Il pomeriggio del 19 febbraio, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, vengono arrestati con l’accusa di omicidio.
Il tribunale di Kollam dispone che i due soldati siano tenuti in custodia presso una guesthouse dellaCISF (Central Industrial Security Force, il corpo di polizia indiano preposto alla protezione delle infrastrutture industriali e potenziali obiettivi terroristici) e non, come erroneamente scritto da tutti i giornaloni italioti, in una regolare galera. 
Fino a ora i fatti che potremmo definire nudi e crudi.

Ma il vero, grande, decisivo intoppo per la liberazione dei due Marò, è la querelle nata immediatamente, sull’esatta posizione della Enrica Lexie.  
La prima tesi, portata avanti in maniera goffa e maldestra dalla diplomazia italiana, rafforzata dagli organi d’informazione tutti, meno che da noi di Totalità che spiegammo a dovere come effettivamente stavano le cose, affermava che la nave con i due marò fosse  in acque internazionali e, perciò, la giurisdizione dovesse essere esclusivamente italiana.

Il governo italiano, presieduto in quel periodo dal disastroso Mario Monti, ha più volte argomentato  che l’Enrica Lexie si trovasse a 33 miglia nautiche dalla costa del Kerala, quindi in acque internazionali, il che avrebbe dato la possibilità ai due soldati italiani ad un processo presso un tribunale dello stivale.
Spiegazioni tecnico-scientifiche? No, una tesi sviluppatasi solo sulle dichiarazioni dei marò e su alcune non specificate rilevazioni satellitari, mai dettagliatamente appurate.
Invece, per il PM indiano l’incidente si sarebbe verificato entro il limite delle acque nazionali con il risultato che Latorre e Girone dovevano essere processati presso la Corte Indiana.
Sebbene l’enorme caos causato dal campanilismo della stampa indiana ed italiana, la posizione della Enrica Lexie, dopo poco, non sarà più un mistero e ufficialmente verrà ritenuta valida la perizia indiana che con la sua equipe d’investigazione speciale si è occupata del caso depositando sui banchi del tribunale di Kollam l’elenco degli elementi a sostegno dell’accusa, citando i risultati dell’esame balistico e la posizione della petroliera italiana durante la sparatoria.
Secondo i dati ripresi dal GPS della nave italiana e le immagini satellitari raccolte dal Maritime Rescue Center di Mumbai, l’Enrica Lexie si trovava a 20,5 miglia nautiche dalla costa del Kerala, nella cosiddetta zona contigua .

Secondo il Pubblico Ministero indiano, il diritto marittimo internazionale considera «zona contigua» la linea di mare che si estende fino alle 24 miglia nautiche dalla costa, entro le quali è diritto di uno Stato far valere la propria giurisdizione.
Da qui è iniziata un’accesa disputa tra la versione ufficiale delle autorità indiane e le varie controperizie dei tecnici italiani, con a capo l’Ing. Luigi Di Stefano, già incaricato di parte civile per la tragedia di Ustica.

Di Stefano presenterà una serie di dati ed analisi tecniche a supporto dell’innocenza dei due marò, basati essenzialmente su elementi estrapolati da TV e giornali italiani e stranieri, tutti diffusi a qualche settimana dall’incidente.

Nella perizia, infatti, saranno riconosciuti stralci di interviste tratti dal settimanale Oggi, filmati ripresi da Youtube, documenti mandati in onda da Tg1 e Tg2 e altre fotografie ricavate da un video della Bbc, congiuntamente a una serie di cervellotici calcoli balistici e riproduzioni in 3d.
Non si menzionerà mai, in tutta la relazione, la fonte ufficiale dei tecnici indiani che, invece, se fosse stato fatto forse, i nostri Marò, oggi sarebbero a casa.

Come riportato nell’articolo, è confermato da parte delle autorità indiane che la nave si trovasse a 20.5 miglia marine e ciò la farebbe rientrare nella zona contigua.
A questo punto è stato anche dichiarato che dato fatto la farebbe ricadere automaticamente nella giurisdizione indiana, senza possibilità d’appello alcuna.

Ed è qui che le bizzarre menti, di chi ha governato fino ad ora in Italia, dovevano puntare il dito, poiché stando a quanto riportato dall’art. 33 della convenzione di Montego Bay , di cui abbiamo già ampiamente parlato in queste pagine, e al diritto internazionale, l’estensione della giurisdizione nella zona contigua è limitata a certe fattispecie esclusive.

Quindi, sarebbe bastato un minimo di logica e porsi la domanda: avrebbe senso di sussistere la divisione tra la zona contigua e le acque territoriali se nelle medesime lo Stato esercitasse l’identica giurisdizione, godendo degli stessi diritti?
Ovviamente no, perché altrimenti basterebbe parlare di acque territoriali estese fino a 24 miglia e tanti saluti alla scissione di 12+12.

Anche Harin Ravel, un additional solicitor general indiano, dirà:

I have the coordinates of the ship. The vessel carried an Italian flag and was found to be at 20.5 nautical miles from the coast. Our territorial waters end at 12 nautical miles. Beyond it the international law would apply”.
Amen!

Fonte: http://www.totalita.it/index.asp

 

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