Dalla relazione della Dott.ssa Federica Di Pietro
Lo
scorso 4 novembre, in occasione della Giornata dell’Unità nazionale e delle
Forze armate il Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, ha deposto una
corona all’Altare della Patria ed in presenza di numerose autorità italiane,
durante la cerimonia di consegna delle decorazioni dell’Ordine militare
d’Italia, ha colto l’occasione per complimentarsi con il governo ed i ministri
degli Esteri e della Difesa per gli «sforzi che stanno conducendo sul piano
internazionale e su quello dell’organizzazione interna delle forze armate». Nel
corso della cerimonia, il Presidente Napolitano relativamente ai due marò
italiani detenuti in India, ha affermato che si continuerà «a compiere ogni
tenace sforzo per riportarli a casa», riportando alla mente una vicenda che da
quasi un anno è sulle prime pagine di tutti i giornali.
Il caso dei marò
italiani detenuti in India ha scatenato vivaci dibattiti nell’opinione pubblica
indiana e italiana arrivando, in alcuni casi, ad assumere toni accesi. Sebbene
le notizie giunte sino a noi possano dare adito a più di un dubbio
relativamente a quanto accaduto al largo delle coste indiane, la vicenda può
essere esaminata alla luce della Convenzione internazionale sul diritto del
mare.
Anche se si può essere
portati a pensare che si tratti di una questione di politica internazionale che
concerne le relazioni fra India ed Italia, nel presente articolo si esaminerà
la vicenda dal punto di vista del diritto internazionale cercando di rimanere
il più possibile oggettivi relativamente ai fatti narrati. La vicenda dei due
marò, oltre a suscitare grande interesse nell’opinione pubblica di India e
Italia, ha fornito l’occasione per approfondire alcuni aspetti relativi al
diritto internazionale marittimo che sono emersi nel corso degli ultimi anni e
che hanno portato all’adozione di nuove misure per combattere la pirateria
marittima, quali ad esempio, le normative che disciplinano la presenza a bordo
delle navi di personale armato Nonostante il notevole dispiegamento di forze
navali impiegate al fine di contrastare il fenomeno, sempre costante ed in
continua crescita, si è reso necessario concedere agli armatori la possibilità
di imbarcare team armati sulle navi che percorrono le rotte di mare più colpite
dai pirati. L’International Maritime Organization (da ora innanzi IMO) è
stata chiara nel raccomandare l’utilizzo di misure non violente al fine di
combattere gli atti di pirateria, tuttavia, i rimedi proposti fino ad ora, si
sono mostrati inefficaci ed in seguito alle pressioni esercitate da alcuni
armatori aderenti all’International Parcel Tanker Association, l’agenzia delle
NU ha adottato per la prima volta due circolari nelle quali si prevede
l’utilizzo di scorte armate a bordo delle navi.
Sebbene l’IMO auspichi
che la lotta alla pirateria sia condotta nell’ambito di operazioni coordinate
dalla NATO, dall’Unione Europea o dai singoli Stati (come avviene
ormai da anni), il suo consenso all’utilizzo di agenti armati imbarcati sulle
navi impegnate nella lotta alla pirateria, ha fornito l’occasione agli Stati
che non si erano ancora muniti di una legislazione in tal senso, di valutare la
possibilità di introdurre norme apposite volte a regolarne la presenza. Un
esempio è dato dalla legge italiana n. 130 del 2 agosto 2011, che per la
prima volta nel nostro Paese, ha autorizzato gli armatori a imbarcare sulle
navi che navigano nelle zone di mare ad “alto rischio di pirateria” team di
militari e contractors. Grazie a tale legge, è stato possibile imbarcare a
bordo della Enrica Lexie i fucilieri della marina militare italiana, i quali,
secondo il diritto internazionale consuetudinario, godrebbero della cd. immunità
funzionale. Facendo riferimento a tale regime, le discussioni tra Italia ed
India relative alla zona di mare in cui sono avvenuti i fatti, appaiono
irrilevanti. Il regime dell’immunità funzionale infatti, consiste nel divieto
per gli Stati di esercitare la propria giurisdizione penale nei confronti degli
organi di uno Stato straniero che hanno agito iure imperii. In sostanza, la
giurisdizione sugli organi statali appartiene allo Stato di nazionalità di
quest’ultimi e non allo Stato del foro in cui è avvenuto l’illecito. Nel caso
dei marò, anche volendo supportare la tesi che sostiene che l’illecito sia
avvenuto nelle acque territoriali indiane, la giurisdizione spetterebbe
comunque all’Italia e non all’India.
Se analizziamo la
vicenda dal punto di vista dell’India, la quale non considera il regime
dell’immunità funzionale e se ci soffermiamo sugli eventi, possiamo far
rientrare il caso dei marò negli “incidenti” accaduti in mare. In questo caso,
è essenziale accertare se la vicenda si sia verificata nelle acque territoriali
indiane o nelle zone d’alto mare. Secondo il diritto internazionale se gli
eventi sono avvenuti in alto mare, la giurisdizione appartiene allo Stato di
bandiera della nave e la vicenda dei marò non è quindi, rientrante nella
giurisdizione indiana. La nave italiana Erica Lexie è stata bloccata, condotta
presso il porto di Kochi e organi di polizia indiani vi sono saliti a
bordo. Secondo il diritto internazionale, ciò non sarebbe potuto accadere, non
avendo l’India giurisdizione in materia.
Tuttavia, se
consideriamo la tesi del governo indiano, il quale sostiene che i marò si
trovavano nelle acque territoriali di sua competenza, il fatto che la nave
italiana sia approdata nel porto di Kochi, espressione del principio bene
captus male detentus (secondo il quale le ex colonie britanniche applicano il
principio delle corti di common law), rappresenta per l’India una condizione
idonea e sufficiente a legittimare la propria giurisdizione. Ciò nonostante, è
bene notare, le disposizioni del diritto internazionale disciplinino il
contrario.
In seguito all’analisi
delle varie ipotesi presentate dai governi di India e Italia e alla luce di
quanto disciplinato dal diritto internazionale, possiamo affermare che il
regime dell’immunità degli Stati, conformemente alle norme di diritto
internazionale marittimo, sia senz’altro quello da prediligere. Oltre ad essere
applicabile nel caso specifico, i protagonisti della vicenda sono infatti, due
fucilieri di marina e in quanto tali, due organi dello Stato italiano, tale
regime farebbe venire meno anche il problema relativo alla contesa esistente
tra India ed Italia relativamente alla zona di mare in cui è avvenuta la
vicenda.
In conclusione, si può
affermare che il caso dell’Enrica Lexie ha permesso di rilevare alcuni punti di
criticità della normativa internazionale del diritto del mare. L’articolo 97
della Convenzione di Montego Bay parla di “qualunque altro incidente di
navigazione nell’alto mare”, ma l’applicazione della norma sembra non essere
chiara a livello internazionale. Alla luce di quanto accaduto, sarebbe
opportuno fare chiarezza sulla sua interpretazione ed estendere tale
disposizione anche ai casi di incidenti nei quali l’uso della forza è stato
espressamente previsto nell’esercizio di misure antipirateria di portata
internazionale. Al fine di risolvere il contenzioso diplomatico che vede
coinvolte da quasi un anno Italia ed India, sarebbe auspicabile una presa di
posizione da parte delle Nazioni Unite, magari attraverso un intervento
decisivo del Consiglio di sicurezza che già in passato ha emanato diverse
risoluzioni in materia di pirateria marittima. Il CdS potrebbe fare
definitivamente chiarezza sul caso dell’Enrica Lexie e su eventuali situazioni
simili che potrebbero facilmente verificarsi nell’ambito delle delicate azioni
di contrasto alla pirateria marittima. Un intervento in tal senso potrebbe
favorire il dialogo all’interno della comunità internazionale nei riguardi
dell’irrisolto tema della pirateria, oltre a contribuire efficacemente a
garantire il ritorno dei due marò in Italia.
Per i nomi…. è ancora presto ma ho evidenziato in neretto
tutti gli organi istituzionali complici di questa tragedia consumatasi contro
la nostra Bandiera. Mancano evidenziati e menzionati nella relazione, altri
complici: Il MAE e la sua…… DIPLOMAZIA!!!!
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