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Documento realizzato il 15 Luglio 2013
di Stefano Tronconi
Sono trascorsi 17 mesi dal giorno del presunto incidente.
Erano all'incirca le 4 del pomeriggio del 15 Febbraio 2012
quando la nave italiana Enrica Lexie, in navigazione in acque
internazionali al largo della costa dello stato indiano del Kerala,
venne attaccata da una barca pirata. I marò italiani imbarcati sul
mercantile a protezione dello stesso, come più volte da loro raccontato,
respinsero l'attacco sparando colpi di avvertimento in acqua ed in aria
finchè la barca pirata rinunciò all'attacco andandosene senza che vi
fossero feriti né dall'una, né dall'altra parte.
In una cittadina non lontana lungo la
costa del Kerala lo stesso giorno alle 11.20 della sera un peschereccio
indiano tornò a riva in tutta fretta con i corpi di due pescatori
uccisi, secondo la versione del proprietario del peschereccio, da colpi
sparati da una nave sconosciuta.
La Guardia Costiera Indiana e la polizia
locale con grande velocità dichiararono che i due incidenti erano
collegati e la storia di due marò italiani, Salvatore Girone e
Massimiliano Latorre, responsabili della morte di due pescatori indiani
erroneamente scambiati per pirati conquistò le prime pagine dei giornali
di tutto il mondo.
Dopo 17 mesi, un lasso di tempo già di
per sé incredibilmente lungo, i due Marò italiani sono ancora trattenuti
in India con l'obbligo di non lasciare il paese, in attesa che le
indagini sul loro caso vengano completate. Ma la notizia veramente
sconvolgente è che sta ora emergendo una nuova ricostruzione,
completamente diversa, di quanto effettivamente successo quel giorno.
Sulla base di nuovi documenti venuti
alla luce nelle scorse settimane, appare evidente come non siano stati i
Marò italiani a colpire i pescatori indiani. Piuttosto, risulterebbe
chiaro come Salvatore Girone e Massimiliano Latorre siano stati
deliberatamente 'incastrati' per ragioni legate a convenienze politiche
ed elettorali in Kerala, mentre il debole governo centrale Indiano e
l'altrettanto debole governo Italiano rimanevano in disparte lasciando
che il caso venisse ignobilmente manipolato.
Le principali nuove prove documentali che hanno ribaltato e reso non credibile la versione indiana dei fatti sono le seguenti:
- l'intervista televisiva rilasciata a caldo dal proprietario del peschereccio indiano che al momento del ritorno a riva dichiara esplicitamente che l'uccisione dei due pescatori è avvenuta non intorno alle 4 del pomeriggio, come riportato nelle indagini della polizia del Kerala ed in corrispondenza dell'attacco pirata denunciato dall'Enrica Lexie, ma intorno alle 9.30 di sera ;
- il documento con cui la Guardia Costiera Indiana (GCI) chiede all'Enrica Lexie di far rotta verso Kochi per fornire spiegazioni sull'incidente denunciato porta l'orario delle 9.36 di sera che risulta in assoluto contrasto con le affermazioni contenute nell'indagine della polizia del Kerala ed in altri documenti della stessa GCI in cui viene dichiarato che l'intera operazione per portare l'Enrica Lexie in un porto indiano inizò intorno alle 7 di sera;
- infine, il rapporto trasmesso alle 10.20 della sera all'Organizzazione Marittima Internazionale da parte della nave greca Olympic Flair che denuncia un altro attacco portato da una barca pirata nelle acque prospicienti le coste del Kerala; in tale rapporto vi sono numerosi elementi che inducono a ritenere che sia stata proprio l'Olympic Flair e non l'Enrica Lexie ad incrociare la propria rotta con quella del peschereccio indiano il 15 Febbraio 2012.
Come è possibile che gli elementi sopra
elencati non siano venuti alla luce per quasi un anno e mezzo? Come è
possibile che l'intera indagine della polizia del Kerala indichi luoghi
ed orari dei presunti incidenti tali da far sembrare che siano stati i
Marò italiani ad aprire il fuoco verso i pescatori indiani? Cos'è
accaduto in Kerala nelle ore successive ai presunti incidenti per
spingere i responsabili delle indagini a costruire un castello di quelle
che ora appaiono false accuse contro i due Marò italiani?
Non bisogna dimenticare che nei giorni
degli incidenti il Primo Ministro del Kerala, Chandy, era impegnato in
elezioni supplettive locali che secondo tutti i sondaggi sarebbero state
decise da una manciata di voti. Il 16 Febbraio 2012 il sig. Chandy si
ritrovò con due pescatori uccisi (e le potenti organizzazioni dei
pescatori locali che richiedevano in piazza un colpevole ad ogni costo),
una nave italiana che, nella certezza di non aver nulla da nascondere,
aveva accettato di entrare nel porto di Kochi, ed una nave greca,
probabile involontaria colpevole dell'uccisione dei due pescatori, che
ormai aveva preso il largo.
Cosa farebbe in una simile situazione un
politico senza scrupoli a cui poco interessa la giustizia, ma molto il
potere? Le ripetute dichiarazioni a cadenza pressochè giornaliera fatte
dal sig. Chandy nei giorni immediatamente successivi agli incidenti,
prima cioè che una qualsiasi seria indagine avesse potuto avere luogo,
in cui dichiara l'esistenza di prove inconfutabili contro i Marò
italiani e che nessuna clemenza sarebbe stata usata nei loro confronti,
suonano decisamente molto sospette. Tali affermazioni sembrano essere in
primo luogo indicazioni, neppure troppo velate, date ai responsabili
delle indagini sulla via da seguire, ma soprattutto erano precisamente
ciò che molti elettori volevano sentirsi dire e che da lì a poco
avrebbero portato Chandy a vincere le elezioni locali con un margine di
voti molto pù ampio di quanto previsto.
Nel frattempo il governo centrale
Indiano, notorio per la sua incapacità di muoversi con decisione e
velocità su qualsiasi materia, come da consuetudine, non riusciva a
formulare una linea unitaria da seguire in un caso indubbiamente senza
precedenti. Alcuni ministri ed esperti di diritto erano pienamente
consapevoli che l'India stava violando leggi e norme internazionali alla
base delle relazioni tra Stati sovrani in caso di incidenti simili.
Tuttavia, nella situazione di generale confusione è stato sufficiente
per il sig. Chandy garantirsi la copertura politica dell'allora ministro
degli esteri Krishna (lo stesso ministro che in occasione di un
discorso alle Nazioni Unite non era stato in grado di distinguere il
proprio discorso da quello di un rappresentante portoghese ed iniziò a
leggere il discorso sbagliato tra l'imbarazzo e l'ilarità generale) per
poter condurre in porto il proprio piano.
Ma come è stato possibile che il governo
italiano per ben 17 mesi abbia abbandonato al loro destino due propri
soldati, non abbia presentato alcuna formale protesta a nessuna delle
numerose organizzazioni internazionali e/o multilaterali di cui fa parte
ed abbia di fatto accettato ogni sorta di violazione della propria
sovranità nazionale?
Purtroppo lo Stato italiano, che fino a
questo momento è riuscito a non dichiarare ancora la bancarotta
finanziaria, è ormai da circa vent'anni in una situazione di bancarotta
morale ed etica di fatto. L'alternativa tra governi di centro-destra, di
centro-sinistra e di grandi coalizioni, nonché di governi guidati da
cosiddetti 'tecnici' non ha in realtà prodotto alcuna differenza e la
reputazione dell'Italia a livello internazionale ha continuato ad
inabissarsi. Tanto il governo dei 'tecnici', in carica al momento e per
gran parte della durata di questa vicenda, quanto quello in carica da
pochi mesi hanno sempre avuto un unico, vergognoso messaggio per le
autorità indiane nei trascorsi 17 mesi: 'La vicenda dei due Marò non
dovrà avere alcun impatto sulle relazioni commerciali tra i due paesi'.
In altre parole, gli affari vengono prima della giustizia. La medesima
vergognosa filosofia che ha portato alcuni giorni fa ad un'altra
'debacle' internazionale con l'espulsione dall'Italia verso il
Kazakhstan della moglie e della figlia di un leader dell'opposizione
kazakha. Di fronte ad una tale debolezza italiana perfino un governo
indiano considerato debolissimo in patria non ha sentito la necessità di
far prevalere la giustizia o trovare una soluzione all'imbarazzante
caso ed all'imbarazzante comportamento delle autorità in Kerala.
Bene, fino a pochi giorni fa i governi
indiano ed italiano stavano ancora pensando di poter continuare il loro
gioco intorno a questa vicenda in modo da trovare una qualche soluzione
alle spalle dei due Marò per salvare la propria faccia. A questo punto,
dopo che la nuova documentazione è venuta finalmente alla luce, noi
pensiamo invece che la soluzione da trovare sia solo quella di chiedere
immediatamente l'assoluzione e permettere il pronto rientro a casa dei
due Marò verosimilmente innocenti. Diciassette mesi lontani dalle loro
famiglie a causa di torbide ragioni di Stato mentre i loro figli
adolescenti crescono senza un padre al fianco sono un periodo di tempo
decisamente troppo lungo da accettare anche per due leali soldati di
qualsiasi nazione.
Ciò
che invece dovrebbe avviarsi subito sia in India che in Italia è una
seria indagine per far luce su tutti gli errori, i comportamenti
illeciti e quelli criminali che hanno caratterizzato questa vicenda fin
dal suo inizio. E' un atto che entrambi i paesi devono ai propri
cittadini. I cittadini italiani non dovrebbere vivere con l'idea che il
governo del proprio paese sia pronto a sacrificarli in qualsiasi momento
a favore di un qualche contratto commerciale. I cittadini indiani non
dovrebbero vivere con l'idea che chiunque venga a trovarsi per sfortuna
sulla strada del potente di turno (se un fatto simile a capitato a due
soldati italiani, significa che può accadere a milioni di indiani) sia a
rischio di perdere dignità e libertà. Se gli Stati nazionali non sono
in grado di garantire i diritti fondamentali dei propri cittadini non
hanno alcuna ragione di esistere o meritare rispetto a livello
internazionale. E questo vale tanto per l'India che per l'Italia.
Stefano Tronconi
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