giovedì 4 luglio 2013

La mattina del 16 marzo 1978, giovedì, giorno in cui il nuovo governo guidato da Giulio Andreotti stava per essere presentato in Parlamento per ottenere la fiducia, l'auto che trasportava Aldo Moro dalla sua abitazione alla Camera dei Deputati fu intercettata e bloccata in via Mario Fani a Roma da un nucleo armato delle Brigate Rosse.

di Enrico Scarpellini




In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti rossi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci), i tre poliziotti che viaggiavano sull'auto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto "Tribunale del Popolo" istituito dalle Brigate Rosse e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu ucciso.
Il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana». (fonte Wikipedia)
A distanza di 35 anni da quella infame pagina nella storia dei movimenti comunisti in Italia, ci si aspetterebbe che i mandanti e gli esecutori materiali del crimine stessero scontando la pena dell'ergastolo in qualche sperduto carcere di massima sicurezza.
Invece no, nel Paese di Bengodi dei delinquenti, dei criminali e della rivoltante discendenza di Caino con tanto di associazioni e parti politiche a loro difesa, alcuni degli assassini stanno godendosi la vita a nostre spese, e non dietro le sbarre ma in strutture prestigiose con aria condizionata, come la RAI Radio Televisione Italiana.
Maurizio Iannelli, in organico a Raitre, ad esempio, è uno di quelli: colonna romana delle Brigate Rosse con due condanne a vita, oggi è autore e regista per Viale Mazzini.
Ma anche altri benemeriti del terrorismo di sinistra hanno incassato denaro pubblico: ad esempio l'ex parlamentare Sergio D'Elia (che fu dirigente di Prima Linea) e la "scrittrice" Barbara Balzerani, la "compagna Luna" del commando che rapì Moro, ma anche il criminologo delle BR Giovanni Senzani, a cui la Toscana offrì un posto nell'ufficio di documentazione regionale dal nome grottesco di "Centro di cultura della legalità democratica".
Un Paese come l'Italia, con milioni di onesti disoccupati disposti a sacrifici immani pur di sfamare le proprie famiglie, un Paese costretto a cedere il passo a clandestini, nomadi e rifugiati di tutto il mondo, ma anche ad avanzi di galera, criminali mai pentiti, banditi armati più di ideologia comunista che di P38 e kalašnikov, può ancora credere nella giustizia?
I nostri fratelli italiani possono ancora fidarsi di chi, protetto dalla casta egoista e parassita ed irresponsabilmente cieco e sordo al grido di dolore che si alza ogni giorno più alto, non prova disgusto per queste vergognose ingiustizie?

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