In pochi secondi, sparando con armi automatiche, i brigatisti rossi uccisero i due carabinieri a bordo dell'auto di Moro (Oreste Leonardi e Domenico Ricci), i tre poliziotti che viaggiavano sull'auto di scorta (Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi) e sequestrarono il presidente della Democrazia Cristiana.
Dopo una prigionia di 55 giorni, durante la quale Moro fu sottoposto a un processo politico da parte del cosiddetto "Tribunale del Popolo" istituito dalle Brigate Rosse e dopo aver chiesto invano uno scambio di prigionieri con lo Stato italiano, Moro fu ucciso.
Il suo cadavere fu ritrovato a Roma il 9 maggio, nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in via Caetani, una traversa di via delle Botteghe Oscure, a poca distanza dalla sede nazionale del Partito Comunista Italiano e da Piazza del Gesù, sede nazionale della Democrazia Cristiana». (fonte Wikipedia)
A distanza di 35 anni da quella infame pagina nella storia dei movimenti comunisti in Italia, ci si aspetterebbe che i mandanti e gli esecutori materiali del crimine stessero scontando la pena dell'ergastolo in qualche sperduto carcere di massima sicurezza.
Invece no, nel Paese di Bengodi dei delinquenti, dei criminali e della rivoltante discendenza di Caino con tanto di associazioni e parti politiche a loro difesa, alcuni degli assassini stanno godendosi la vita a nostre spese, e non dietro le sbarre ma in strutture prestigiose con aria condizionata, come la RAI Radio Televisione Italiana.
Maurizio Iannelli, in organico a Raitre, ad esempio, è uno di quelli: colonna romana delle Brigate Rosse con due condanne a vita, oggi è autore e regista per Viale Mazzini.
Ma anche altri benemeriti del terrorismo di sinistra hanno incassato denaro pubblico: ad esempio l'ex parlamentare Sergio D'Elia (che fu dirigente di Prima Linea) e la "scrittrice" Barbara Balzerani, la "compagna Luna" del commando che rapì Moro, ma anche il criminologo delle BR Giovanni Senzani, a cui la Toscana offrì un posto nell'ufficio di documentazione regionale dal nome grottesco di "Centro di cultura della legalità democratica".
Un Paese come l'Italia, con milioni di onesti disoccupati disposti a sacrifici immani pur di sfamare le proprie famiglie, un Paese costretto a cedere il passo a clandestini, nomadi e rifugiati di tutto il mondo, ma anche ad avanzi di galera, criminali mai pentiti, banditi armati più di ideologia comunista che di P38 e kalašnikov, può ancora credere nella giustizia?
I nostri fratelli italiani possono ancora fidarsi di chi, protetto dalla casta egoista e parassita ed irresponsabilmente cieco e sordo al grido di dolore che si alza ogni giorno più alto, non prova disgusto per queste vergognose ingiustizie?
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