Etica News intervista l'Ambasciatore Giulio Terzi
«Le attività di controllo ed intercettazione, svolte anche nelle sedi
diplomatiche, sono una prassi diffusa da quando sono nate la diplomazia
e l’intelligence». A dirlo è l’ambasciatore Giulio Terzi
(già ministro degli Esteri), che in questa intervista a ETicaNews
analizza le ripercussioni legate al Datagate portato alla luce dall’ex
analista della Nsa statunitense, Edward Snowden. Le rivelazioni – tutt’altro che casuali – di Snowden sono arrivate nei giorni in cui il presidente americano Barack Obama cercava di impegnare, nel vertice informale svoltosi in California, il suo omologo cinese Xi Jinping
a una collaborazione sul tema della cybersecurity e sugli attacchi di
hackers originati dalla Cina. Il programma Prism, al centro dello
scandalo intercettazioni, ha permesso di controllare, oltre che milioni
di cittadini, pure le comunicazioni nelle sedi diplomatiche della Ue. Le
violazioni hanno fatto quasi calare il gelo tra le due sponde
dell’Atlantico e, a detta dell’ambasciatore Terzi, occorre superare
rapidamente questo delicato momento, recuperando la fiducia reciproca.
«In caso contrario - afferma l’ex ministro degli Esteri – faremmo il
gioco di Snowden e si rischierebbe di compromettere il negoziato avviato
tra Stati Uniti ed Unione europea sulla grande area economica, la
Transatlantic Trade and Investment Partnership, indispensabile per la
crescita e lo sviluppo».
Il “Datagate” ha fatto emergere l’attività di controllo
da parte delle autorità statunitensi nei confronti di milioni di
cittadini. Fino a che punto ci si può spingere per contrastare il
terrorismo?
L’attività rivelata al grande pubblico da Snowden, con finalità che
resteranno oscure temo a lungo, riguarda l’acquisizione, il controllo e
l’utilizzo di quella massa enorme di dati che circola su internet, sulle
altre reti di comunicazione e nelle banche dati. La ricerca del
corretto punto di equilibrio tra sicurezza dei cittadini e tutela delle
loro libertà fondamentali è centrale per questo dibattito. Con estrema
semplificazione si tratta di stabilire la misura del rischio che le
nostre società sono disposte ad affrontare: se siamo disposti a essere
più “sorvegliati” per essere più sicuri. In sostanza è ciò che avviene
anche quando, per esempio, installiamo telecamere in abitazioni e uffici
o se riteniamo che una sfera di maggiore riservatezza debba prevalere,
pur assumendo qualche ulteriore rischio.
Cosa pensa del confine, a quanto pare sempre più labile,
tra l’esigenza di garantire la sicurezza nazionale e la compressione dei
diritti personali?
Le complicazioni sorgono nella gestione dei “metadati”. Per un verso,
la loro disponibilità ha reso enormemente più efficace il contrasto al
terrorismo e alla criminalità organizzata. Basti pensare che in poco più
di dieci anni la percentuale delle informazioni accumulate in forma
digitale è passata dal 2 al 98 per cento. Il rovescio della medaglia è
però rappresentato dalla grande difficoltà di “mantenere in linea” il
controllo politico e il conseguente impianto normativo con tecnologie
sempre più avanzate e potenti. Siccome è su questo terreno che gli Usa
dispongono di una leadership mondiale, e qui varrebbe la pena di fare
una riflessione seria tra europei, per non essere riusciti a esprimere
un’analoga capacità autonoma, con maggior impegno nella ricerca, è
naturale che la questione sia vista, a Washington, come di natura
interna prima ancora che internazionale.
Non sono mancate però negli ultimi giorni dichiarazioni
delle autorità statunitensi dalle quali emergono alcune incertezze e
contraddizioni…
I componenti democratici e repubblicani della Commissione
Intelligence del Congresso, e diversi opinionisti, hanno sostenuto la
sostanziale legalità delle operazioni svolte dalla Nsa, l’agenzia per la
quale Edward Snowden lavorava. Il Presidente Obama e i principali
responsabili delle Agenzie coinvolte si sono espressi nello stesso
senso. Vi è però chi dubita che si possa interpretare il Patriot Act,
adottato all’indomani dell’11 settembre 2001, sino a ricomprendervi
l’acquisizione e la conservazione, sembra sino a sette anni, di
“metadati”: una realtà che ancora non esisteva. Analoghi dubbi esistono
per il programma “Prism”, per la sorveglianza elettronica e le
autorizzazioni della Foreign Intelligence Surveillance Court a ottenere
dati da Google, Twitter e Facebook.
Nella vicenda Prism è emerso un duplice aspetto: gli
Stati Uniti hanno spiato milioni di persone e ora informazioni segrete
per la sicurezza nazionale sono state divulgate da Snowden. Qual è la
posizione più scomoda? Quella delle autorità statunitensi o quella di
Snowden?
Trovo interessante, anche perché dimostra forse come Snowden, Assange
e Manning siano mossi non soltanto da platonico idealismo, che le
rivelazioni escano secondo una precisa logica e cadenza. Weakileaks
aveva cercato di mobilitare l’opinione americana, e quindi quella
internazionale, contro prassi e obiettivi del Governo americano. Il
grande rumore aveva prodotto nei rapporti degli Usa con il mondo
conseguenze marginali, come la rimozione di un paio di diplomatici che
avevano scritto cose sgradite a Governi stranieri. Aveva lasciato invece
tracce più gravi per l’apparato di sicurezza americano nel mondo,
rivelando alcune coperture di agenti e operazioni ancora in corso.
Snowden ha esordito proprio nei giorni in cui Obama cercava di
impegnare, nell’incontro in California, Xi Jinping ad una collaborazione
sul tema della Cybersecurity e sugli attacchi di hackers originati
dalla Cina. E cosa c’era di meglio, per l’ex collaboratore della Nsa, e
per chi eventualmente l’ha mosso, di rivelare che l’Agenzia stessa aveva
di mira, oltre ai dati dei cittadini americani, decine di migliaia di
obiettivi cyber proprio in Cina? Quindi, Snowden ha iniziato a
snocciolare altre cose ed ecco le intercettazioni alle sedi diplomatiche
anche dei Paesi europei, Nato, ai Consigli Europei, alla Bce. Non che
ciò sia giunto come una sensazionale sorpresa. Non sarà carino, come è
stato affermato, ma la prassi esiste ed è diffusa, vorrei dire da quando
esistono la diplomazia e l’intelligence. Il problema nasce quando ne
emerge prova documentata. Persino una relazione solida come quella tra
Washington e Gerusalemme ha avuto delle frizioni quando Pollard venne
smascherato come collaboratore del Mossad.
I rapporti tra Stati Uniti ed Unione europea rischiano di incrinarsi pericolosamente?
Ritengo che vi saranno spiegazioni sul passato e rassicurazioni circa
il futuro, in linea con le anticipazioni della Casa Bianca. Sarebbe un
gravissimo errore, e faremmo il gioco di Snowden e di sta con lui,
lasciare che la spiacevole questione influisca negativamente sul
negoziato per una grande area economica Transatlantica: la Transatlantic
Trade and Investment Partnership. Vi sono in questo negoziato, lanciato
anche all’ultimo vertice G8, enormi benefici per l’occupazione e la
crescita. Evitiamo di farci sopraffare dalle emotività, a Washington
come a Bruxelles. Sull’intera problematica dei “metadati”, o del “Big
Data” come pure viene chiamata, non è facile individuare chi si trova
nella posizione più scomoda. È sicuramente scomoda la posizione di
Obama. Anche se credo che la fortissima attenzione che l’America dedica
alla sicurezza dei suoi cittadini consentirà all’amministrazione Obama
una correzione di rotta, ad esempio con migliore “oversight” sulle
procedure, e un’interpretazione più solida delle norme, che salvaguardi
l’utilizzo legittimo dei “metadata”.
L’Europa in questa vicenda come è messa?
Si trova in una posizione scomoda per tre motivi. Il primo ha natura
tecnologica, perché è difficile ottenere in via esclusivamente
regolamentare una completa responsabilità di verifica e di gestione su
sistemi così complessi. In secondo luogo, il dialogo Usa-Ue sul
trasferimento di dati (Swift per le transazioni finanziarie e PNI per il
traffico aereo) è stato difficoltoso proprio a causa della diversa
enfasi tra sicurezza e privacy tra le due sponde dell’Atlantico. Infine,
sensibilità e interessi diversi esistono anche tra i 28 Paesi membri,
essendo innegabile che i rapporti tra i diversi organismi di
intelligence europei e Usa non sono tutti uguali, e le stesse “capacità
dei Servizi europei” sono ben diverse tra loro.
Gli Stati Uniti vogliono processare Snowden e gli scenari
sembrano sempre più intricati. Si aprono tensioni diplomatiche tra gli
Usa e lo Stato che potrebbe ospitare Snowden. La Russia non è
disponibile a consegnare l’ex analista della Nsa. C’è il rischio di una
nuova guerra fredda?
Gli Stati Uniti faranno di tutto per processare Snowden, senza sconti
come stanno dimostrando nel caso Manning. Si avvia una lunga vertenza
diplomatico-legale, nella quale abbiamo visto i primi indizi di
attenzione alle forti pressioni americane. Il Presidente ecuadoregno
Correa si è trincerato dietro al principio che per avanzare richiesta di
asilo è necessario trovarsi nel Paese o in una sua Ambasciata. A
nessuno sfugge che le importanti preferenze commerciali concesse dagli
Usa assicurano all’Ecuador circa mezzo miliardo di dollari all’anno per i
soli prodotti agricoli. La decisione di rinnovarle spetta al Congresso
entro fine luglio. Segni di qualche ripensamento giungono nel frattempo
anche da Mosca, almeno per quanto riguarda la “visibilità” che Putin
intende lasciare a Snowden.
Le contrapposizioni tra diplomazie riguardanti la
consegna di Snowden ed il rifiuto alla consegna si accentuano sempre di
più. Cosa prevede il diritto internazionale in questi casi?
La peculiarità del caso Snowden è che si tratta di un cittadino
americano, per di più vincolato dalle norme, molto severe, che tutelano
in America il segreto e la sicurezza dello Stato. Assange è australiano
ed è imputato negli Stati Uniti per spionaggio. È in corso una partita
giuridico-diplomatica estremamente complessa. È prevedibile che
Washington darà una priorità molto elevata, nelle relazioni con i Paesi
interessati, affinché l’estradizione sia rapidamente concessa.
Si potrebbe replicare la stessa situazione concernente
Julian Assange: una gola profonda che beneficia dell’asilo di uno Stato
compiacente…
Abbiamo visto che l’Ecuador ha sinora evitato di replicare il caso Assange. Ma nulla si può escludere.
A proposito di Assange, la sua presenza nell’ambasciata
ecuadoregna a Londra pone problemi sulla tenuta delle relazioni tra
Ecuador e Gran Bretagna. Si aprono nuovi scenari sull’ospitalità
concessa da alcune sedi diplomatiche e le perplessità – per non dire
ostilità – degli Stati in cui tali sedi si trovano?
È vero, desta irritazione il possibile abuso di una prerogativa
sacrosanta per l’ordinamento internazionale, quale è l’immunità e
l’extraterritorialità delle sedi diplomatiche. Dico possibile abuso,
perché vi sono molti dubbi sul fatto che due persone ricercate per reati
contro la sicurezza di uno Stato rientrino nella definizione di
“rifugiato politico”. Credo sia importantissimo lottare contro gli
abusi, affinché non venga mai messo in discussione il principio della
inviolabilità delle Sedi diplomatiche e la conseguente facoltà di dare
rifugio e soccorso ai veri “rifugiati politici”, a persone che rischiano
la vita perché perseguitate da regimi oppressivi e violenti e che si
affidano alla nostra solidarietà. Sono storie che la nostra diplomazia
conosce bene, dal Cile di Pinochet, all’Argentina di Videla, all’Albania
di Hoxha, all’Etiopia di Menghistu, a diversi Paesi del blocco
Sovietico. Storie di cui siamo orgogliosi per le vite e i valori che
abbiamo difeso con successo.
Gennaro Grimolizzi
Fonte: http://www.eticanews.it/
Nessun commento:
Posta un commento