Toni Capuozzo, giornalista che non ha bisogno di presentazione. Segue
la vicenda Maró fin dall’inizio, un po’ perchè come tutti italiani si è
interessato alla questione dei fucilieri di marina, un po’ perchè ha
sempre raccontato che Massimiliano La Torre era il suo capo scorta a
Kabul e fatica a ritenerlo uno sparatore folle.
Con un video andato in onda su TgCom 24 (di cui avevamo già parlato nel nostro
quotidiano) ha
spiegato con lucidità e precisione il perchè i Maró non sarebbero
responsabili della morte dei due pescatori del St. Anthony. Come lui
stesso ha affermato la priorità è quella di far tornare Massimiliano e
Salvatore in Italia. Il prima possibile.
Di seguito l’intervista in esclusiva che ha rilasciato per Qelsi.
Conosce il reverendo Rolden Jacob, segretario particolare del
vescovo cattolico di Kollam? E’ lui che ha tradotto dall’italiano al
malayalamese le dichiarazione dei due Marò, le testimonianze degli altri
4 Marò, del comandante della Lexie, degli altri membri non indiani
dell’equipaggio e le trascrizioni del logbook. Ma soprattutto ha
tradotto le e-mail relative all’incidente scambiate con il centro di
controllo del Corno d’Africa e l’elenco delle armi in dotazione ai Marò.
Sarebbe molto interessante, nel caso, avere conferma diretta che
l’incidente venne notificato 3 ore prima dell’uccisione dei due
pescatori.
No, non conosco il reverendo Jacob. Ma è ormai noto che
l’incidente che coinvolse la Lexie avvenne attorno alle 16.30, ore
indiane, e venne comunicato circa un’ora e mezzo dopo alle
organizzazioni marittime internazionali e alla Guardia Costiera indiana.
Com’è noto che il comandante e proprietario del peschereccio St
Anthony, all’arrivo al porto di Naandakara dichiarò di aver avuto
l’incidente costato la vita a due pescatori attorno alle 21.30. Che
quest’ ultimo abbia ritrattato la dichiarazione, e modificato l’ora
dell’incidente, costituisce a mio avviso una conferma al fatto che,
costruito un teorema di colpevolezza, gli inquirenti indiani abbiano
piegato ogni circostanza a dimostrarlo valido.
La domanda precedente si riallaccia al tema dell’orario in
cui i Marò hanno contrastato un attacco di pirati, alle 16,15 pm con
quello che è emerso dal video prodotto dal giornalista in cui Freddy
Bosco dichiara esplicitamente che la sparatoria è avvenuta alle 21.30 e
che essendo buio non ha potuto leggere il nome della nave assalitrice.
Poi, dopo tre giorni, sposta l’orario di 5 ore indietro e dichiara che
la nave era la Lexie senza ombra di dubbio. Problemi di memoria?
Ci sono molte stranezze, nell’inchiesta indiana. Freddy Bosco ha avuto
in restituzione il peschereccio, che costituiva un abanco di prova
importante per rifare analisi balistiche, dichiarando che gli serviva
per continuare il proprio lavoro. Però l’ha lasciato affondare. A quel
punto è stato recuperato e issato a riva, nuovamente a disposizione
dell’autorità giudiziaria, anche se ormai inservibile per perizie.
Quanto alla retromarcia di Freddy sull’orario, basterebbe- all’accusa
come alla difesa – sentire il suo amico, quello cui comunicò per
telefono l’avvenuto e che avvertì la Guardia Costiera. Naturalmente può
essere stato manipolato pure lui, ma una montatura meno approssimativa
l’avrebbe esibito come conferma alla “retromarcia” di Bosco.
A quanto ci risulta, sinora non sono state rese note le
risultanze della perizia balistica. Secondo lei il sequestro della Lexie
a Kochi per due mesi è una riprova indiretta che le perizie erano
favorevoli ai Marò e che il sequestro è servito a permettere alla
polizia portuale di Kochi di rovistare da cime a fondo la Lexie alla
ricerca, peraltro infruttuosa, di armi che fossero compatibili con le
ogive rinvenute sui corpi delle vittime?
La perizia balistica effettuata in Kerala è stata un monumento di
sciatteria e imprecisione, errata persino nell’uso delle misure per
indicare i calibri. Un anatomopatologo che aveva dichiarato dati
contrastanti con il teorema di colpevolezza è stato esonerato
dall’incarico, la difesa non ha potuto assistere a esami importanti. Da
un certo punto di vista, va detto che alla fine questo dilettantismo si è
rivelato prezioso, perchè la ricostruzione degli inquirenti del Kerala
fa acqua da tutte le parti, e faciliterebbe il compito di una difesa
pronta a rispondere colpo su colpo sui fatti, oltre che a rivendicare le
questioni importantissime della giurisdizione e dell’immunità
funzionale. Vogliamo dirlo con franchezza brutale ? L’Italia si è sempre
comportata come se i due fucilieri di marina fossero colpevoli, come se
le loro dichiarazioni (“abbiamo sparato in acqua, contro
un’imbarcazione che aveva a bordo uomini armati e puntava contro di
noi”) fossero state false. Poteva un peschereccio dalla velocità massima
di 8-10 nodi puntare pericolosamente una nave che va a 12 nodi ?
Niente, abbiamo scelto la via, sconfitta, della questione del diritto di
mare – acque internazionali – e sui fatti ci siamo accomodati a
trattare una scappatoia, un patteggiamento. L’esempio più nobile di
questo autolesionismo ? I compensi alle famiglie dei pescatori,
inevitabilmente letti come un’ammissione di colpa. Ma è stato l’unico
gesto nobile.
Non trova che la decisione di rientrare in porto sia stata un po’ ingenua da parte dell’equipaggio dell’Enrica Lexie?
Forse il tempo ci dirà di chi è stata davvero la decisione. Ma per ora
io resto al vecchio detto: male non fare, paura non avere. E mi sembra,
al di là di polemiche legittime, un comportamento che contribuisce a
dimostrare l’innocenza dei marò.
Lei dice che non è compito suo trovare i colpevoli dopo aver
scagionato i Marò, ma in base alla sua ricostruzione sembra che la morte
dei due pescatori indiani sia stata causata da uno scontro a fuoco tra
una nave greca e dei pirati. Perché nessuno, in Italia, si è preso la
briga di fare ciò che ha fatto lei, ossia tentare una ricostruzione
plausibile?
Io ho usato un documento che mi era stato fornito, insieme con una
minaccia di querela, dagli avvocati dell’armatore italiano. Unendolo a
documenti trovati da privati cittadini, come Luigi Di Stefano e Stefano
Tronconi, ho ricostruito un’ipotesi di svolgimento dei fatti che porta
altrove gli indizi di colpevolezza. Sulla pigrizia, sulla distrazione,
sulla inerzia della diplomazia italiana, della politica italiana,
dell’informazione italiana, credo che i fatti parlino da soli. Posso
solo aggiungere che hanno pesato tre atteggiamenti culturali: l’idea che
fosse possibile cavarsela con una mediazione estenuata con l’India, per
quanto riguarda la diplomazia. La sostanziale inutilità della vicenda
dei marò, non spendibile per crisi di governo, richieste di dimissioni,
scontri precongressuali, per la politica (non era il caso kazaco, per
dirla breve). Un certo pregiudizio antimilitarista, e una ormai
tradizionale acquiescenza nei confronti delle procure, perfino indiane,
nei media italiani.
Ha dichiarato che in ogni caso non può essere sicuro che le
cose siano andate come da sua ricostruzione, e di essere penalizzato dal
fatto di non poter prendere in esame alcuni documenti segreti. Proprio
per questo si è detto disponibile a esaminare eventuali critiche o
confutazioni alla sua teoria. Ne ha ricevute? Qualcuno è stato in grado
di mettere in discussione la sua versione?
No, mi sono scontrato solo con un muro di silenzio.
La credibilità internazionale dell’Italia quanto ha risentito di questa vicenda?
Noi ci lamentiamo di non aver avuto l’appoggio dell’Unione europea, o
della Nato, o degli Stati Uniti, o delle Nazioni Unite. Ma come possiamo
pretenderlo quando non siamo stati capaci noi per primi di alzare la
voce, protestare. Volete un altro vecchio detto? Aiutati, che Dio ti
aiuta.
De Mistura e il ministro Bonino hanno parlato di processo
lampo dei nostri Maró in India, due mesi. Quindi prima di Natale
potrebbero tornare in Italia, ma torneranno da innocenti o con una
condanna da scontare?
Credo che l’intesa, sottobanco, sia per una condanna simbolica, e poi la
pena da scontare in Italia. E tutti contenti. Ovviamente l’India
dimostrerebbe di essere un grande paese, non solo emergente sul piano
economico e politico, se avesse il coraggio di riconoscere gli errori
compiuti in Kerala e assolvesse i marò. Ma in India la prossima
primavera ci sono le elezioni, e il coraggio uno non se lo può dare.
Battersi per il riconoscimento dell’innocenza dei due marò scompagina
l’intesa sottobanco, ma ricorda che per un militare la libertà non è
tutto. La dignità conta, e il riconoscimento di aver svolto in modo
professionale il proprio lavoro, anche. Tornare a casa è un sollievo, ma
il marchio di essere militari che hanno sparato su pescatori inermi
resta.
Come giudica l’operato del governo Monti prima e di quello
Letta poi nella vicenda dei nostri fucilieri di marina. Non ha la
sensazione che la Bonino cercherà di farsi attribuire meriti non propri
nella vicenda?
Io credo che non ci saranno meriti da distribuire, purtroppo. Il massimo che i politici potranno fare sarà scansare le colpe.
Il Paese è spaccato in due. Da una parte ci sono quelli che
considerano i Maró degli eroi, dall’altra quelli che li considerano
assassini. Come sempre capita non crede che la verità stia nel mezzo?
Vedete, io non ho mai usato la parola eroi neppure per militari caduti,
in Somalia o in Iraq o in Afghanistan. Alcuni di loro li ho conosciuti,
da vivi. Non volevano essere eroi, ma militari che fanno il loro dovere
al meglio, fieri di aiutare chi soffre, di ben figurare accanto ad altri
contingenti internazionali, di assolvere coni propri colleghi e nel
proprio reparto i compiti assegnati. Il sogno era quello di tornare a
casa. Sono stati delle vittime. Da onorare senza la retorica spesso
ipocrita che accompagna i funerali di Stato. Esempi di un paese che
lavora in silenzio, e bene. L’eroismo è un’altra cosa, e va a persone
gesti speciali, a offerte coscienti della propria vita. Dunque, e lo
dico con grande affetto, Latorre e Girone non sono degli eroi. Ma il
comportamento loro, delle loro famiglie, e il comportamento di migliaia
di connazionali in divisa ai quattro angoli del mondo (pensate a
qualcuno di guardia in una valle afghana, in questo momento, che vede
una persona sospetta avvicinarsi e deve pensare che che può costare la
scelta di sparare, e mette in forse la sua vita, e quella dei suoi
compagni, gente che non ha mai avuto il grilletto facile, ma adesso
prova la cosa peggiore per un operatore della sicurezza, e cioè
l’insicurezza…), la loro sofferta normalità è qualcosa che uno può
definire eroico, davanti al Paese della politica, degli affari, degli
scandali. Ma è l’eroismo di tante persone normali, infermieri o maestri,
carabinieri o netturbini, di ognuno che continua a fare quel che deve,
anche chiedendosi, nei momenti peggiori, che cosa glielo faccia fare.
Fonte: di
Silvia Cirocchi
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