sabato 24 maggio 2014

Marò in India, Napolitano e tecnici ancora in Italia (A.d’Ecclesia)

Il non riconoscimento del diritto internazionale e il non riconoscimento della sovranità nazionale non riguarda l’India ma riguarda l’Italia solo ed esclusivamente l’Italia. Il primo a non riconoscere l’Italia come una nazione che ha le sue leggi e che regola i rapporti con gli altri Stati con trattati internazionali è il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che in un comunicato del Quirinale dice: ”Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano – si legge nella nota – ha avuto una conversazione telefonica con il fuciliere di Marina Massimiliano Latorre nel corso della quale ha espresso a lui e al suo collega Salvatore Girone l’apprezzamento per il senso di responsabilità con cui hanno accolto la decisione del Governo e ha assicurato loro la massima vicinanza nel percorso che li attende con l’augurio di un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni”.

Dalle parole del Presidente Napolitano sparisce tutto ,il diritto internazionale è sparito,la sovranità nazionale violata è sparita,tutto il resto è sparito e cosa rimane? Rimane l’augurio di “un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni”. Ma abbiamo capito quello che ha detto ? Un sollecito, corretto riconoscimento delle loro ragioni. Questa è la nota ufficiale del garante della Costituzione e dei cittadini italiani e oltre a essere il Presidente della Repubblica e anche il Capo delle forze armate.

Il sobrio Presidente del consiglio Mario Monti invece affida a una nota la decisione presa ed è subito un giallo per l’assenza del Ministro degli Esteri, è presente nella nota ma assente di fatto dalla riunione del Governo e raggiunto via fb dalla notizia risponde a questa maniera:

Subito dopo ricevuta comunicazione, abbraccia nuovamente l’idea prendendosi anche i meriti, pare che la mossa sia stata intelligente per far accogliere all’India le sue ragioni e in un intervista a Repubblica dichiara “Senza lo strappo non avremmo potuto contrattare con il governo indiano le condizioni attuali, che prevedono per loro condizioni di vivibilità quotidiana nel paese e la garanzia che non verrà applicata la pena massima prevista per il reato di cui sono accusati. Su questo adesso non abbiamo più preoccupazioni.Deve essere chiaro che il nostro sforzo non finisce qui. Con l’India abbiamo aperto adesso un canale di comunicazione diplomatica e giuridica che riparte da presupposti diversi, e che si basa sul principio del mutuo rispetto tra i due Paesi, così come ha chiesto l’Onu più volte“. Sulle sue dimissioni aggiunge: “Non ne vedo il motivo. In questi mesi abbiamo lavorato con impegno, cercando sponde diplomatiche e giuridiche per risolvere la situazione. Dimettermi? Io faccio parte di un governo dimissionario“.

Un’altra Ministra esperta di diritto internazionale e nazionale e mi riferisco al Ministro tecnico Paola Severino, Ministro della Giustizia, ci fa sapere dall’alto della sua esperienza che “dal mio punto di vista, contano i risultati e gli esiti della vicenda e soprattutto conta il fatto che ai nostri due militari sia assicurata la garanzia di un giusto processo”. “Da ministro della Giustizia – precisa il Guardasigilli - il mio solo compito era ed è quello che ai nostri due militari venga riconosciuto un livello di garanzia tale da assicurare loro un giusto processo. Quindi, che possano essere giudicati da un tribunale che si ispira ai principi della normativa internazionale e che si abbia la garanzia che, neppure dal punto di vista ipotetico, possano essere assoggettati alla pena di morte. Queste sono le due condizioni che sono sempre rimaste fisse”.

Per quanto riguarda la giurisdizione, italiana o indiana, il Ministro aggiunge ”deve essere comunque risolto secondo la normativa internazionale. Questo è il quadro in cui, dal punto di vista del ministro della Giustizia e del diritto, si è sempre rivolta ed evoluta la vicenda. Il modo, poi, con il quale ottenere questi risultati non è certamente nelle funzioni del ministro della Giustizia”.

In un articolo dello scorso 24 febbraio 2012, pubblicato su Agenzia Radicale e riportato anche sulla rassegna stampa della difesa si dice: “Inoltre la materia è regolata dall’articolo 698 del codice di procedura penale, che vieta l’estradizione quando la persona verrà sottoposta ad un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali, nello specifico quello della difesa con un processo basato su prove, quali quelli derivanti da esame autoptico e prova balistica. Inoltre la Corte Costituzionale con Sentenza n. 223 del 27 giugno 1996 ha ritenuto che la semplice garanzia formale che non verrà applicata la pena di morte è insufficiente alla concessione dell’estradizione. Più nello specifico la Suprema Corte si è espressa attraverso la Sezione VI, Sentenza n. 45253 del 22/11/2005 Cc. – dep. 13/12/2005, Rv. 232633; da ultimo, sez. VI, 10 ottobre 2008, n. 40283 dep.28 ottobre 2008, affermando che “ai fini della pronunzia favorevole all’estradizione, è richiesta la documentata sussistenza e la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza a carico dell’estradando (…) che essa espressamente condizioni l’estradizione alla sussistenza dei gravi indizi: in regime convenzionale, invero, la sussistenza dei gravi indizi di reità va incontrovertibilmente presunta dai documenti che la Convenzione indica”.

Di conseguenza l’accordo di riconsegna all’India di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone era nullo, in quanto in aperto contrasto con il Dettato costituzionale, consolidato dalla prassi. Chi se ne assunto la responsabilità potrebbe essere incorso reati di Attentato alla Costituzione e/o Alto tradimento”.

Un altro grande protagonista è De Mistura in un intervista rilasciata Simone Spetia dichiara “Ciò che è cambiato è che avevamo chiesto agli Indiani alcune garanzie, queste garanzie ci sono state fornite per iscritto ieri, sulla base di questa previsione e di questa situazione ci sono state riunioni a livello di Governo”. Con le garanzie è prevalso un bene fondamentale per l’Italia che è quello della parola data; nel caso non ci fosse stata una garanzia sull’aspetto della pena capitale, che non è marginale, quello sarebbe bastato per non mantenere una parola che comunque è importante mantenere. Una volta ricevute queste garanzie ha prevalso la parola data dalla Nazione, dall’ambasciatore a nome del Governo e da due Marò. E questo è stato il punto di svolta sul quale si è deciso, con difficoltà per me che li ho dovuti accompagnare in India, per le famiglie, per i marò. Ma la parola di un italiano conta e vogliamo che conti.

C’è stata una discussione dura nel Governo? Non faccio commenti su questo argomento. Il ministro ha avuto un comportamento altamente professionale, ha difeso questa posizione, si è adoperato in questi giorni e nell’ultimo mese perché si trovassero delle forme diplomatiche. L’importante è la decisione finale e collegiale del Governo, alla quale ci siamo tutti adeguati e sulla quale lavoriamo. Ha prevalso l’interesse per i principi, uno di questi è che la parola italiana vale.

C’è chi dice: il Governo ha fatto una figuraccia. In India hanno avuto gli stessi problemi: erano stati accusati di aver fatto degli accordi segreti, che tutto era in qualche maniera ondivago. La realtà è che la diplomazia e i rapporti tra Stati su questioni inaudite come questa richiedono decisioni e aggiustamenti sulla base di elementi che vengono o non vengono forniti. In questo caso la posizione non è stata facile, non c’è stata la possibilità di aggiustare il tiro nello spiegare cosa avveniva perché queste discussioni avvengono discretamente e il risultato è quello che abbiamo. I due marò sono convinti anche loro che questa è una decisione condivisa, la loro parola è importante quanto quella dell’ambasciatore, sanno che l’Italia non li lascerà mai. La mia presenza qui e nei prossimi giorni a Delhi per garantire che certe condizioni che certe condizioni che sono state concordate vengano applicate e il fatto che noi manteniamo a bocce ferme, senza un dramma creato che poteva confondere tutte le acque, noi manteniamo la nostra posizione: arbitrato internazionale, riteniamo che i militari italiani, così come quelli indiani, debbano essere giudicati a casa propria. I nostri militari mantengono un atteggiamento profondamente dignitoso rispetto a questa questione. Ultimo punto: loro tornano in ambasciata, sono funzionari a questo punto dell’ambasciata, sostengono il nostro consigliere militare e hanno libertà di movimento. Le prossime mosse dipenderanno dalla diplomazia e dall’aspettativa che abbiamo noi che anche da parte indiana, come siamo stati capaci anche noi di prendere atto di alcune decisioni indiane, si prenda atto di quanto importante sia una soluzione diplomatica, giusta, internazionalmente riconosciuta di un fatto mai avvenuto prima.

E’ mancato il supporto dell’Unione Europea? L’unione Europea mi pare che abbia preso una posizione molto chiara rispetto ad una questione: quando l’India ha fatto capire che di fatto non avrebbero applicato l’immunità diplomatica all’ambasciatore. Su questo punto abbiamo visto un’Unione Europea forte.

Come stanno i due marò? Io li conosco molto bene. Sono l’orgoglio del migliore comportamento che un militare può avere: dignità, chiarezza del loro ruolo e del loro comportamento, adeguarsi all’interesse e all’immagine dell’Italia e del loro corpo, quello dei Marò. Le loro famiglie sono state straordinarie perché hanno dovuto accettare per l’ennesima volta una delusione. Ma sono militari e anche in volo mi hanno ricordato: “Siamo militari, noi andiamo avanti e andremo avanti”.


Un po’ addolorati lo saranno.
Lo siamo tutti, siamo tutti esseri umani. Lo sono anche io. Credo che lo siano anche coloro che hanno dovuto prendere questa decisione. Ma siamo anche convinti della forza che vedrete nei nostri militari: noi abbiamo la nostra posizione e siamo pronti a difenderla perché non abbiamo timore di difenderla”.

Leggendo e rileggendo queste dichiarazioni e tutto quello accaduto è difficile trovare delle parole che non sfociano in insulti rabbiosi nei confronti di questi falsi rappresentanti istituzionali italiani,si confermano le voci di chi ha lavorato per creare un entità geografica chiamata Italia, gestita da un comitato d’affari, e a questo punto sarebbe utile sapere i nomi di questi affaristi, e chi hanno finanziato durante la campagna elettorale. L’unica risposta da dare a questi signori,oltre a quello che prevede la legge, sarebbe quello di togliere la cittadinanza italiana, e mandarli a vivere dove risiedono i loro mandanti.

(A cura di Alfredo d’Ecclesia)

Fonte:  http://www.statoquotidiano.it/

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