Crimea come Kosovo? Euroscettici e xenofobi? Il vecchio continente visto da Belgrado
Belgrado è stata l’ultima capitale europea a subire un’aggressione
militare, venendo bombardata da una forza sovranazionale, la NATO, a cui
vi aderiscono i principali Stati dell’Unione Europea. Uno scontro
fratricida che rappresenta una ferita ancora aperta in seno alla società
serba, una società che storicamente rappresenta, per lo meno da un
punto di vista geografico, il primo segno di alterità all’idea
occidentale di Europa.
Giorgio Fruscione, redattore di East Journal e di
Most, abitante della capitale serba e profondo conoscitore della realtà
balcanica, analizza la percezione dell’UE da questo
particolare punto d’osservazione. Analisi che con Fruscione si allunga
anche sulla nuova tragedia che sta insanguinando l’Europa, cioè
l’Ucraina, provando a tracciare analogie e differenze con quanto
successe quindici anni fa.
Giorgio, pensi che a distanza di 15 anni Belgrado e la Serbia abbiano metabolizzato la ferita dei bombardamenti?
"Le bombe su Belgrado di 15 anni fa, che rappresentarono “la prima
volta” di un attacco NATO diretto a un Paese che non minacciava la
sicurezza di alcun Paese membro dell’organizzazione, hanno lasciato una
ferita aperta, non tanto nell’architettura della città (che conserva
solo alcuni dei palazzi bombardati), ma nella testa delle persone. Uno
dei monumenti dedicati al ricordo della vittime è quello per i 16
impiegati della tv di Stato che morirono nel bombardamento del 23 aprile
’99 e che riporta l’incisione “perché?”. Io credo che questo
interrogativo continuerà a fare parte della popolazione belgradese e
serba in generale, non tanto come avversione alla NATO e appoggio
incondizionato verso la propria nazione e patria (così come vorrebbero
speculare molti politici ”nazionalisti”), ma piuttosto come richiesta di
verità e giustizia: perché a pagare, col sangue e la distruzione di
infrastrutture civili, fu il popolo serbo? Perché si decise di
rispondere a una guerra, quella della “lontana” provincia del Kosovo,
con un’altra guerra, bombardando città come Belgrado e Novi Sad, da
sempre culla di una mentalità multiculturale tipica di città quali
Berlino o Parigi? Personalmente credo che sia difficile capire il dolore
di cittadini che si sono sentiti attaccati in modo unilaterale e senza
possibilità di reagire. Allo stesso modo credo che Belgrado e la Serbia
non vivano nel rancore. Conserveranno per sempre il vuoto di quegli
anni, fatti di guerra e terrore, gli anni 90, allo stesso modo in cui la
domanda “perché?” continuerà a non aver risposta".
Fonte: http://firstlinepress.org/
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