Nella doccia scozzese cui gli indiani hanno deciso di sottoporre i
Marò e gran parte dell’Italia, quella che li sostiene, questa è la volta
dell’immersione nell’acqua calda. L’ultima doccia era stata gelata,
agghiacciante, e l’abbiamo fatta all’inizio di dicembre quando un
autorevole quotidiano di Mumbai, The Hindustan Times, attingendo a fonti
della NIA e del MHA (Ministero degli Interni indiano) solitamente
attendibili e molto bene informate, fece trapelare alcune delle
principali conclusioni cui erano giunti gli inquirenti della NIA a
chiusura dell’istruttoria condotta a carico dei nostri fucilieri.
Quelle
indiscrezioni finirono poi in un articoletto pubblicato lo scorso 4
dicembre sul quotidiano di quella sterminata città con 20 milioni di
abitanti che prima si chiamava Bombay, con un titolo inequivocabile :
“NIA will ask death for the Italian marines”, cioè la Nia chiederà la
pena di morte per i Marò italiani. In quell’articoletto che abbiamo
letto terrorizati più e più volte si riportavano le esternazioni di un
anonimo funzionario della NIA dalle quali si apprendeva che
l’istruttoria era chiusa e che sulla base di una cinquantina di
testimonianze, delle indagini di polizia e delle perizie, si poteva
concludere che i Marò avevano sparato deliberatamente e con
premeditazione, che le prove a loro carico erano schiaccianti, per cui
la NIA avrebbe chiesto al tribunale di rinviarli a giudizio con
l’imputazione di omicidio volontario con applicazione della pena di
morte.
Ma qui arriva la notizia clamorosa che non è una notizia, ma un
fatto nuovo, scoperto per caso :da un paio di giorni quell’articoletto
sul sito dell’Hindustan Times è scomparso, cancellato. Al suo posto,
sotto lo stesso titolo, adesso c’è un laconico comunicato che dice
testualmente : “La NIA, che indaga sul conto dei due marines italiani
per l’uccisione di due pescatori del Kerala, ha raccomandato che essi
siano imputati nell’ambito di una legge che preveda la pena capitale”.
Con questo scarno comunicato sono stati di molto ammorbiditi i toni
furenti con cui erano state tranciate delle accuse pesantissime ed
infamanti, trasformando le richieste in raccomandazioni, cioè in pareri
non vincolanti, e facendo in particolare scomparire il riferimento
diretto al SUA Act 2002 che prevede esclusivamente la pena capitale,
nonchè ogni dettaglio in merito alle convinzioni degli investigatori
espresse nell’atto istruttorio. Cosa può essere successo?
Scomparso il più truce degli articoli, ne sono rimasti in
circolazione molti altri per niente teneri con i nostri Marò, pubblicati
sulla stampa indiana tra il 27 ed il 28 di novembre, dal contenuto
assai simile, in linea con il contenuto dell’articolo cancellato, ma con
toni più soft e meno aggressivi di quello. Tutti però confermavano le
intenzioni della NIA con titoli monocordi nella loro esplicitazione,
tipo : “NIA seeks death penalty for Italian marines who killed two
Indian fishermen” (La NIA vuole la pena di morte per i marines italiani
che uccisero due pescatori indiani), notizia che poi è esplosa il 29
novembre su tutti i più importanti quotidiani indiani, come il Times of
India ed il Deccan Chronicle. Però già allora apparve una voce fuori dal
coro, il quotidiano The Hindu edito nel Tamil Nadu, che segnalava per
la prima volta contrasti tra il NIA, che insisteva per chiedere la pena
di morte, ed il Ministero degli Interni che aveva avuto lunghe
discussioni con quello degli Esteri, che alla fine parrebbe averlo
convinto, il condizionale è d’obbligo, sull’inopportunità di proporre la
pena capitale per i Marò. Ma perchè è inopportuno? In giustizia gli
unici aggettivi usati dovrebbero essere innocente o colpevole per un
imputato, giusta od ingiusta, equa od iniqua per una sentenza. E chi
decide alla fine il capo di imputazione, il gip o il Ministero degli
Interni? Come è possibile un dilemma del genere?
Per quello che stiamo vedendo in queste ultimissime ore c’è da
pensare che il vento per i nostri valorosi ed orgogliosi militari stia
cambiando e che sia partita la corsa a prendere le distanze dalla NIA,
la loro più spietata accusatrice. Sinora, l’agenzia di investigazione
federale aveva giocato con le parole, aveva detto e non detto, aveva
fatto intendere chissà quali retroscena e l’arrivo di imminenti,
clamorosi sviluppi, lasciando intendere di essere in possesso di
elementi probatori inoppugnabili ed inequivocabili che davano loro la
piena certezza della colpevolezza dei Marò.
Sinora si era trattato di
chiacchiere e di illazioni raccontate con una tale sicurezza da fare
concedere alla NIA credibilità, stima e considerazione da parte del
governo, delle istituzioni e la neutralità dei più autorevoli organi di
stampa, che in India non è poco. Se c’era stata qualche divergenza con
gli Esteri e la Giustizia, il MHA aveva sempre difeso a spada tratta la
propria agenzia antiterrorismo. Del resto in quale Paese un ministro
degli interni non ritiene di dover concedere piena fiducia alle proprie
forze dell’ordine, alla propria polizia, ai propri inquirenti? Però ora
la NIA non ha potuto continuare a nascondersi dietro le parole, ha
dovuto dimostrare fatti e di avere argomenti concreti ora che ha
finalmente concluso le sue indagini ed ha prodotto il Rapporto finale
che costituisce l’input per la formulazione del capo d’accusa e la
costruzione dell’impianto accusatorio nel processo. Rapporto che ha già
preso a circolare e che è arrivato a tutti i dicasteri, sui tavoli del
governo e, come sembra ovvio, pure all’attenzione della Corte Suprema
dell’India.
Reazioni ufficiali ancora non ce ne sono, ma si sa che la lettura
di quel Rapporto sta creando sconcerto e delusione negli indiani, il
cui atteggiamento è quello di chi si chiede : “Ma è tutto qui?”. Si ha
netta l’impressione che la ricostruzione dei fatti appaia, anche al meno
attento dei lettori, lacunosa, contradditoria, illogica ed
inconsistente. Da chi per mesi ha lanciato accuse infamanti e di
inaudita gravità ci si aspettava che avesse argomenti più solidi e
consistenti di quelli portati a sostegno di tesi che fanno invece acqua
da tutte le parti. Uno dei punti che aveva suscitato le maggiori
aspettative era quello di conoscere le motivazioni che hanno convinto la
NIA, unica voce fuori dal coro, a ritenere di potere accusare i Marò di
omicidio volontario. Per mesi tutti in India, persino la polizia del
Kerala e la Corte Suprema avevano definito l’uccisione dei due pescatori
accidentale, solo un tragico errore, perchè derivante dalla convinzione
di essere alle prese con pericolosi e spietati pirati. Nel fascicolo
che la Corte di New Delhi ha consegnato alla NIA c’era scritto chiaro di
condurre indagini su “due marines italiani responsabili di avere ucciso
due pescatori scambiati per pirati”. Le motivazioni della NIA a tale
proposito sono risibili. Premettono di considerare i Marò alla stregua
di terroristi, di qui la richiesta di pena capitale, perchè hanno ucciso
in mare creando una situazione di enorme pericolosità per la
navigazione. Peccato, facciamo notare noi, che siano stati proprio i
Marò ad avvertire il SAR di Mumbai, come testimonia lo scambio di fax
con la Lexie, del pericolo costituito da barchini di pirati in libera
uscita nello specchio di mare antistante la costa del Kerala, cosa della
quale in quel lontano 15 febbraio del 2012 nessuno era a conoscenza. Ma
andiamo avanti.
La motivazione per sostenere la volontarietà risiede nel fatto
che i Marò non avvertirono i pescatori prima di sparare loro addosso. La
prova di questo fatto, secondo la NIA, l’avrebbero fornita gli stessi
Marò, ammettendo di avere azionato le segnalazioni radio e quelle
luminose, ma NON quelle sonore. Questa spiegazione non è sbagliata, ma
stupida. E’ vero che i Marò hanno ammesso di non aver azionato le
sirene, ma solo perchè all’incombenza aveva provveduto il comandante
della nave Umberto Vitelli, che si era spaventato per la piega che
stavano prendendo gli eventi, con il barchino con uomini armati che si
avvicinava, e aveva dato sfogo a tutte le sirene di cui disponeva la
nave sperando di dissuadere i pirati dall’attuare quello che anche lui
riteneva un attacco imminente.
La prova della premeditazione, secondo la
NIA sarebbe costituita dal fatto che furono solo due Marò su sei a
sparare, segno evidente che non si trattava di una operazione militare,
ma di una specie di ignobile e disumano tiro al bersaglio. Sarebbe
facile replicare che questa versione dei fatti è smentita da tutti,
persino dai marinai indiani imbarcati sulla Lexie, che escludono che
comunque i Marò abbiano sparato addosso a qualcuno, ma solo pochi colpi
di avvertimento in acqua. Del resto, non ci vuole una grande
intelligenza per comprendere che il fatto di avere sparato in due è la
prova evidente della veridicità di quanto affermato dai nostri
fucilieri: per sparare una ventina di colpi d’avvertimento in acqua non
occorre che siano in sei ad imbracciare i fucili mitragliatori. Due Marò
bastano ed avanzano. E persino se si fosse trattato di una gara di tiro
a bersaglio avrebbero sparato tutti, non solo in due. Quindi, non era
neanche un tiro a bersaglio, quello.
Per quanto ci risulta, sono molti i punti che suscitano grandi
perplessità nel governo e nelle autorità indiane nel Rapporto della NIA.
Uno dei più critici è questo di cui abbiamo appena parlato, cioè quello
della volontarietà dell’omicidio, una accusa peraltro ancora tutta da
dimostrare quella che ad uccidere furono i nostri Marò e non altri, e
che non convince nessuno fuori della NIA, tanto che persino il MHA
adesso comincia a definire esagerata la richiesta della pena di morte.
Poi c’è un elemento che può risultare decisivo per scagionare i Marò.
Nel rapporto inviato alla Marina Militare italiana sulle perizie
balistiche delle armi sequestrate ai Marò sulla Lexie sotto sequestro
nel porto di Kochi, la polizia del Kerala segnala che a sparare non
furono le armi di Latorre e Girone, ma quelle di altri due Marò. Allora
anche in India qualcuno comincia a chiedersi come mai si accusino, si
trattengano in arresto e si intenda processare Latorre e Girone nel
momento in cui gli stessi inquirenti ammettono che non furono loro a
sparare. E’ quello che vorremmo sapere tutti, i Marò per primi, ma anche
noi, che aspettiamo da troppo tempo questa risposta. Poi va segnalato
che le ricostruzioni obbiettive dei fatti, basate sui documenti
ufficiali e riscontri oggettivi, attività nelle quali Qelsi si impegna
da 22 mesi, ma che hanno visto l’impegno di molti importanti personaggi
come il perito balistico di fama internazionale Luigi Di Stefano ed il
vicedirettore di TGcom 24 Tony Capuozzo, hanno cominciato a circolare
anche in India, e gli effetti si cominciano a vedere.
Le dimostrate incongruenze sull’orario dell’uccisione dei
pescatori che differisce di 5 ore da quello dello sparo di colpi dal
bordo della Lexie, la assoluta inattendibilità delle perizie balistiche
sulle armi e la loro conseguente inutilizzabilità, le accuse rivolte a
Latorre e Girone nonostante il dichiarato convincimento che a sparare
siano stati altri, non loro, l’impossibilità di effetture perizie e
sopralluoghi sulla scena del delitto, cioè il peschereccio St Antony che
è stato rottamato senza poter effettuare rilievi sui colpi cui fu fatto
oggetto, tanto per citare alcune evidenti debolezze del castello
accusatorio, stanno creando enorme imbarazzo nel governo indiano, che si
era esposto arrivando a sequestrare due militari in missione,
dell’esercito di un Paese amico ed alleato nella battaglia contro la
pirateria sollecitata dall’ONU, militari di un Paese che è uno dei suoi
principali partners intrnazionali, convinto dalla polizia del Kerala
prima e dalla NIA poi di poter dimostrare la fondatezza delle accuse,
per arrivare a condannare per poi magari dar vita ad un atto di
clemenza.
Voleva assumere atteggiamenti da grande potenza, che non
guarda in faccia nessuno dall’alto della sua forza e della sua
autorevolezza, ma che rischia di fare una figuraccia da repubblichetta
delle banane, ora che e lo scenario reale si sta dimostrando ben diverso
da quello inizialmente prefigurato. Un tormento si sta impadronendo di
molti personaggi della politica indiana, che questi elementi portati in
un Tribunale della Libertà bastino ed avanzino a far scagionare i nostri
Marò mandando a gambe all’aria il processo-farsa che la polizia del
Kerala e la NIA hanno cercato di imbastire. E allora qualcuno ha già
ritenuto conveniente defilarsi o correre ai ripari, mentre qualcun altro
ha fatto molto di più.
E’ infatti appena stato rivelato da fonte insospettabile, celata
all’interno proprio di quel Ministero degli Esteri che sinora era stato
l’egida sotto la quale trovava riparo la NIA, che l’agenzia ha fatto una
gravissima omissione nel rapporto, un vero falso in atto pubblico ed un
abuso di potere, omettendo di menzionare una precisa disposizione della
Corte Suprema a favore dei Marò, cioè la verifica da parte del
Tribunale della Libertà della sussistenza di chiari elementi probatori a
loro carico e che tutte le garanzie di legge nei loro confronti fossero
state rispettate. Con questa uscita delatoria si è voluto smascherare
l’infame imbroglio diabolicamente messo in piedi dalla NIA, che si è
ritrovata spiazzata e senza armi di difesa del proprio operato, che può
essere definito negligente, nella migliore delle ipotesi.
Ora noi ancora
non sappiamo se questa rivelazione-bomba del tentativo della NIA di
indirizzare il processo su binari precostituiti sia frutto di faide e di
regolamenti di conti all’interno della compagine governativa nella
quale le fazioni stanno già affilando le armi in vista delle elezioni,
piuttosto che di un intervento garantista a tutela del rispetto della
giustizia e dei Marò, facendo trionfare la verità. Certo che le parole
usate dall’anonimo informatore sono sassi lanciati con violenza contro
l’agenzia : “Tutto nell’istruttoria della NIA è funzionale alla
conduzione del processo penale. L’indicazione relativa al ricorso al
Tribunale della Libertà è stato volutamente ignorata dalla NIA che non
vi fa alcun accenno. Adesso che si vedono scoperti loro si difendono
affermando che lo hanno fatto per accelerare l’iter del procedimento
giudiziario. Però nel caso dei Marò italiani, le disposizioni della
Corte Suprema erano chiare ed investivano sia il tribunale giudiziario
che quello della libertà”.
Più chiari così. Investita da spifferi di
vento che minacciano di tramutarsi in bufera, anche se ancora tenuta
all’interno dei palazzi del potere, la NIA ha tentato di discolparsi un
po’ infantilmente come un bambino sorpreso alle prese con la marmellata,
cercando di trovare qualche connivente sostegno. In particolare, ma
solo adesso che si sono visti scoperti, assicurano che si atterranno a
tutte le disposioni della Corte Suprema, anche se paventano che così
facendo “la difesa degli italiani potrà trarne dei vantaggi in fase
dibattimentale”. Quali vantaggi lo diciamo noi: che nel Tribunale della
Libertà si dia finalmente attenzione a tutte le prove della innocenza
dei Marò che la NIA ha volutamente ignorato, esame obbiettivo che
potrebbe condurre alla decisione del loro rilascio in conseguenza del
proscioglimento per essere assolutamente estranei ai fatti loro
contestati, facendo finire la NIA, non i Marò, sul banco degli imputati.
Staremo a vedere come gira il vento.
Fonte: http://www.qelsi.it/
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