domenica 1 settembre 2013

Obama "frena" cercando legittimità e consenso interno


 

Barak Obama, ieri sera, parlando nel Giardino delle Rose della Casa Bianca ha detto, in sostanza due cose: primo che l'attacco alla Siria ci sarà; secondo, che per far partire i missili chiederà il consenso alla Camera e al Senato. 

Dietro a questa scelta ci sono una ragione politica e una motivazione giuridica. La ragione politica attiene al consenso. Un anno fa il presidente americano aveva affermato che se Bashar Al Assad avesse usato armi chimiche contro i ribelli o contro il suo popolo, l'America l'avrebbe punito. Il 21 agosto scorso le foto di decine di bambini siriani uccisi dal Sarin sganciato, presumibilmente, dai generali del rais, hanno fatto il giro del mondo, mettendo il presidente Usa con le spalle al muro. L'intervento diventava inevitabile se non voleva perdere la faccia; se voleva, un domani, essere credibile nel dare l'altolà alle atomiche iraniane e nodcoreane o alle minacce di un qualunque gruppo terroristico.
Ma il problema è che nel ginepraio siriano attaccare e indebolire Assad significa rafforzare i suoi nemici, tra i quali, in posizione di rilievo, figurano i miliziani quaedisti e i ribelli salafiti, avversari del presidente siriano, ma anche nemici giurati dell'Occidente e dell'America. Di fronte a queste difficoltà e davanti all'incertezza sui responsabili del lancio dei gas nervini, Obama si è trovato solo nel cavalcare l'ipotesi di un attacco punitivo di missili. Il Regno Unito si è sfilato dopo che il Parlamento di Londra ha votato no all'attacco. Con gli Usa sono rimasti solo la Francia e la Turchia. Un po' poco.

A questo punto Obama ha bisogno di trovare il consenso interno. Per far questo gli serve tempo. Oggi gli americani favorevoli allo "strike" sono il 39%. Occorre aumentare le adesioni. Come? Puntando sul fatto che l'America tradirebbe la sua missione storica se restasse insensibile alla violazione del diritto umanitario internazionale qual'è l'uso di srmi di distruzione di massa.

C'è poi una motivazione giuridica che concerne la legittimità dell'intervento armato. Obama, come comandante in capo, può ordinare l'attacco. Ma se qualcosa andasse storto qualcuno potrebbe accusarlo di eccesso di potere nell'uso della forza. Tanto più che c'è un precedentwe: Bush figlio, prima di colpire l'Iraq nel 2003, chiese l'autorizzazione al Congresso (e Obama allora fu uno dei pochi a dire no...). Ora, fino a dieci giorni fa, senatori e deputati in maggioranza erano favorevoli allo "stike". Oggi farà una certa fatica ad acquisire una maggioranza a suo favore nei due rami del Parlamento. Infine il presidente non voleva presentarsi al G20 che si terrà il 5 e il 6 settembre a San Pietroburgo nelle vesti del "belligerante".

Ultima considerazione. Il Congresso si riunirà solo il 9 settembre. Le discussioni sull'attacco dureranno giorni. E' probabile che prima di metà settembre i missili non partano. In questo modo Assad avrà tutto il tempo di mettere al sicuro armamenti e logistica. E' quello che il Pentagono vuole: così l'attacco salverà la faccia a Obama e non darà un vantaggio indesiderato ai ribelli anti-occidentali.

Fonte: Claudio Gandolfo/Giornale di Brescia

Nessun commento:

Posta un commento