sabato 7 settembre 2013

G20, la grande vittoria di Putin.

Il G20 di San Pietroburgo si è concluso con un vincitore indiscusso e con una partita aperta che rischia di fare a pezzi l’immagine già compromessa di un presidente che dopo aver iniziato il suo mandato con la benedizione dei media di tutto il mondo ha collezionato solo errori e gaffes.
 
Il vincitore indiscusso è il Presidente russo Vladimir Putin che ha saputo cavalcare le contraddizioni della politica estera americana in Siria e farsi incoronare guida della coalizione contraria all’intervento, che oltre ad aver incassato il sostegno di larga parte dell’opinione pubblica europea e alla benedizione di Papa Francesco comprende nel G20, abbastanza paradossalmente, Cina, Brasile, India, Indonesia, Argentina e Sud Africa. La vittoria politica di Putin non consiste tanto nell’essere riuscito a radunare una serie di nazioni che, sebbene rappresentino l’80% degli abitanti dei paesi del G20, politicamente e storicamente sono comunque sempre state poco favorevoli agli Usa, ma quello di aver visivamente creato uno schieramento economicamente possente con la Russia a capo e aver nel contempo duramente incrinato la solidità di quella che sarebbe la, ormai superata dai tempi, Alleanza Atlantica.

Gli USA non sono riusciti a spiegare all’opinione pubblica europea, e nemmeno a quella americana, il senso di aiutare i ribelli anti-Assad che, nonostante tutto l’impegno dei servili media occidentali, appaiono sempre di più dei semplici tagliagole salafiti e terroristi islamici. Anche la “prova” dell’utilizzo dei gas da parte del governo di Assad appare talmente debole che rischia di scoppiare nelle mani di Obama.

E così il presidente americano, premio nobel per la pace, ha regalato a Putin anche la vittoria morale di opporsi a un conflitto che appare senza senso e la benedizione di Papa Francesco, cosa impensabile fino a poco fa per un presidente russo e cristiano ortodosso.
 
Obama è riuscito solamente a far firmare ai paesi della Nato, Germania esclusa che non ha voluto schierarsi, obtorto collo, un documento che non prevede azioni militari ma condanna l’utilizzo dei gas da parte di Assad. Premessa l’assurdità di un documento che sanziona politicamente l’utilizzo di gas che gli osservatori dell’ONU non hanno dimostrato, la firma sembra la famosa limonata che non si nega a chi sta per morire di sete.
 
Sostanzialmente i governi europei, a parte il guerrafondaio compagno Hollande, dicono che stanno con gli Usa ma non appoggeranno una guerra. Ma il sostegno alle bombe era, al contrario, ciò che cercava Obama.
 
Ora Obama ha l’ultima e per lui decisiva partita aperta: o riesce a fare la sua guerra mettendosi contro l’opinione pubblica, oppure, avendo giocato sulla Siria tutta la sua credibilità, è politicamente morto.
Ma per poter fare la sua guerra Obama ha chiesto il sostegno del Senato e del Congresso americano, dimostrando una volta di più la sua irresolutezza.
 
Al Congresso la maggioranza è in mano al Partito Repubblicano che, se inizialmente aveva assunto posizioni “responsabili”, ora sotto la pressione della forte e compatta contrarietà dei suoi elettori e dei suoi opinionisti sta cambiando. E anche nei democratici, che devono comunque pensare alle elezioni del 2014, sorgono i dubbi. Secondo il sondaggio condotto ieri dall’Associated Press, solo 31 deputati su 433 sono certamente favorevoli alla guerra mentre 185 hanno già dichiarato il loro voto contrario e gli altri si dichiarano indecisi. E su questi indecisi Obama si gioca la sua partita politica.
 
Putin, per non facilitargli le cose, a conclusione dei lavori al G20 e dopo aver ulteriormente rinforzato la sua presenza navale nel Mediterraneo, ha dichiarato che se gli USA e la Francia interverranno, la Russia armerà Assad. E una nave carica di rifornimenti tecnologicamente avanzati è vicina alle coste libanesi. 

Fonte:  http://www.qelsi.it/

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