Il G20 di San Pietroburgo si è
concluso con un vincitore indiscusso e con una partita aperta che
rischia di fare a pezzi l’immagine già compromessa di un presidente che
dopo aver iniziato il suo mandato con la benedizione dei media di tutto il mondo ha collezionato solo errori e gaffes.
Il vincitore indiscusso è il Presidente russo Vladimir Putin
che ha saputo cavalcare le contraddizioni della politica estera
americana in Siria e farsi incoronare guida della coalizione contraria
all’intervento, che oltre ad aver incassato il sostegno di larga parte
dell’opinione pubblica europea e alla benedizione di Papa Francesco
comprende nel G20, abbastanza paradossalmente, Cina, Brasile, India,
Indonesia, Argentina e Sud Africa. La vittoria politica di Putin non
consiste tanto nell’essere riuscito a radunare una serie di nazioni che,
sebbene rappresentino l’80% degli abitanti dei paesi del G20,
politicamente e storicamente sono comunque sempre state poco favorevoli
agli Usa, ma quello di aver visivamente creato uno schieramento
economicamente possente con la Russia a capo e aver nel contempo
duramente incrinato la solidità di quella che sarebbe la, ormai superata
dai tempi, Alleanza Atlantica.
Gli USA non sono riusciti a spiegare all’opinione pubblica europea, e nemmeno a quella americana, il senso di aiutare i ribelli anti-Assad che, nonostante tutto l’impegno dei servili media occidentali, appaiono sempre di più dei semplici tagliagole salafiti e terroristi islamici. Anche la “prova” dell’utilizzo dei gas da parte del governo di Assad appare talmente debole che rischia di scoppiare nelle mani di Obama.
E così il presidente americano, premio nobel per la pace, ha regalato a Putin anche la vittoria morale di opporsi a un conflitto che appare senza senso e la benedizione di Papa Francesco, cosa impensabile fino a poco fa per un presidente russo e cristiano ortodosso.
Obama è riuscito solamente a far firmare ai paesi della Nato, Germania esclusa che non ha voluto schierarsi, obtorto collo, un documento
che non prevede azioni militari ma condanna l’utilizzo dei gas da parte
di Assad. Premessa l’assurdità di un documento che sanziona
politicamente l’utilizzo di gas che gli osservatori dell’ONU non hanno
dimostrato, la firma sembra la famosa limonata che non si nega a chi sta
per morire di sete.
Sostanzialmente i governi europei, a parte il guerrafondaio compagno
Hollande, dicono che stanno con gli Usa ma non appoggeranno una guerra.
Ma il sostegno alle bombe era, al contrario, ciò che cercava Obama.
Ora Obama ha l’ultima e per lui decisiva partita aperta: o riesce a fare
la sua guerra mettendosi contro l’opinione pubblica, oppure, avendo
giocato sulla Siria tutta la sua credibilità, è politicamente morto.
Ma per poter fare la sua guerra Obama ha chiesto il sostegno del Senato e del Congresso americano, dimostrando una volta di più la sua irresolutezza.
Ma per poter fare la sua guerra Obama ha chiesto il sostegno del Senato e del Congresso americano, dimostrando una volta di più la sua irresolutezza.
Al Congresso la maggioranza è in mano al Partito Repubblicano che, se
inizialmente aveva assunto posizioni “responsabili”, ora sotto la
pressione della forte e compatta contrarietà dei suoi elettori e dei
suoi opinionisti sta cambiando. E anche nei democratici, che devono
comunque pensare alle elezioni del 2014, sorgono i dubbi. Secondo il
sondaggio condotto ieri dall’Associated Press, solo 31 deputati su 433
sono certamente favorevoli alla guerra mentre 185 hanno già dichiarato
il loro voto contrario e gli altri si dichiarano indecisi. E su questi
indecisi Obama si gioca la sua partita politica.
Putin, per non facilitargli le cose, a conclusione dei lavori al G20 e
dopo aver ulteriormente rinforzato la sua presenza navale nel
Mediterraneo, ha dichiarato che se gli USA e la Francia interverranno,
la Russia armerà Assad. E una nave carica di rifornimenti
tecnologicamente avanzati è vicina alle coste libanesi.
Fonte: http://www.qelsi.it/
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