Nel presentare la sua collezione primavera-estate di notizie false o
manipolate, già lo scorso mese di gennaio la sinistra forcaiola filo
rossotogati giustizialisti ha schierato in campo una delle sue punte di
diamante, il Fatto Quotidiano, che ha messo in discussione le critiche
alla perizia balistica relativa all’uccisione dei due pescatori indiani
della quale sono accusati i Marò.
Una perizia effettuata in modo a dir
poco approssimativo da presunti esperti indiani e della quale il perito
balistico Luigi Di Stefano ha evidenziato omissioni, manipolazioni ed
incongruenze. In quel caso, ovviamente, non potendo contestare le
conclusioni nel merito, il FQ ha agito come fanno a sinistra quando
mancano loro argomenti di discussione: mettono in modo la macchina del
fango per minare o distruggere la credibilità dell’avversario di turno.
Per cui le controdeduzioni della difesa dei Marò sostenute da Luigi Di
Stefano sono false perché questi non è laureato in ingegneria, non è
iscritto ad alcun albo professionale, ma soprattutto perché, orrore e
sacrilegio, sarebbe un simpatizzante di Casa Pound. Perché essere un
simpatizzante di destra inficia le prestazioni di un normale
professionali, mentre essere un militante della sinistra barricadera
alla Ingroia migliora le qualità professionali persino di un giudice cui
si richiede almeno di essere imparziale.
Ora, volendo andare in fondo, sarebbe facile contraddire il
fogliaccio orchestrato, più che diretto, da Antonio Padellaro. Noi ci
limitiamo a segnalare che Di Stefano viene chiamato ing. solo dagli
ignoranti, giornalisti e non, perché dovrebbe essere risaputo che
chiunque consegua un diploma in materie tecnico-scientifiche in America è
definito engineer, che non si traduce ingegnere, ma esperto tecnico.
Luigi Di Stefano ha conseguito negli USA un diploma presso l’istituto
para-universitario Adam Smith University, per cui laggiù è definito un
engineer, e non è colpa sua se poi qualcuno in Italia lo chiama
ingegnere invece che perito.
Quando Di Stefano, in veste di consulente
del tribunale di Palermo, con la sua perizia ha contribuito a stabilire
che l’aereo Itavia ad Ustica era stato abbattuto da un missile, allora
era bravo, non era fascista ed era attendibile perché accreditava e dava
peso all’ipotesi antimilitarista che la sinistra aveva avanzato, che
coinvolgeva nelle responsabilità per l’abbattimento del velivolo civile
alleati NATO dell’Italia. Per meglio supportare le sue infondate
supposizioni sulla colpevolezza dei Marò, il FQ arriva addirittura a
definire Freddy Bosco, che ha la colpa di essersi contraddetto
clamorosamente portando acqua al mulino della difesa dei Marò, come un
personaggio fantomatico, il “presunto comandante-proprietario” del St
Antony, il peschereccio sul quale sono stati uccisi i due pescatori
indiani. Fantomatico? Presunto?
Freddy Bosco è vivo e vegeto, esiste, ed è il testimone chiave
dell’inchiesta della polizia indiana sui Marò, il personaggio
intervistato dalla televisione indiana Venad News nel Kerala la notte
del 15 febbraio del 2012, alle 23.30 circa, appena messo piede sul molo
del porticciolo di Neendankara prima che il St Antony fosse rimorchiato a
Kochi. In una intervista rilasciata alla giornalista Fiamma Tinelli del
settimanale Oggi, di cui esiste la registrazione, Bosco afferma che è
stata la polizia del Kerala ad informarlo che la nave da cui gli avevano
sparato era la Enrica Lexie. Poi conferma che loro non viaggiavano in
rotta di collisione con la Lexie, ma su rotta parallela e verso opposto
che avrebbero portato il St Antony ad incrociare la petroliera indiana.
Però, lo stesso Bosco racconta che lui non era in coperta al momento
dell’incidente, ma era sotto a dormire con gli altri 9 pescatori. Ma
allora come faceva a sapere tutto quello che stava accadendo, tranne che
il nome della nave aggressore? Troppe contraddizioni, per questo il FQ
lo scarica attaccandosi alle conclusioni infondate della polizia del
Kerala più allineate a sostenere la tesi colpevolista a priori che tanto
gli piace. Va peraltro precisato che Bosco è talmente reale che ha
ottenuto il dissequestro del St Antony, cioè della scena del crimine,
che ha provveduto a far rottamare. Due piccioni con una fava: come parte
civile, lui spera di ottenere un risarcimento più alto per un
peschereccio fatiscente da disarmare che ora nessun assicuratore può
periziare, mentre la polizia keralese toglie di mezzo una prova
imbarazzante della infondatezza della sua ricostruzione precostituita
dei fatti.
Ben più in alto del FQ mira l’ammiraglia della disinformazione
della sinistra, l’Espresso, il settimanale che per la sinistra è la
Bibbia, essendo il ruolo di Vangelo affidato alla Repubblica. Forse per
rifarsi dall’infortunio patito con lo scoop rivelatosi una bufala del
riciclaggio di capitali in Costa Rica da parte di Grillo, allora da
punire perché reo di non aver voluto “aiutare” Bersani a distruggere il
Paese, in un articolo di qualche settimana fa a firma di Matteo Miavaldi
dal titolo: “Marò in India, tutte le balle di Canale 5“,
rivolge uno spietato atto di accusa al giornalista Toni Capuozzo, un
altro che era bravo sino a poco tempo fa, prima che prendesse a cuore la
vicenda dei Marò che anche a suo modo di vedere sono oggetto di una
miserabile messinscena da parte di politici (di sinistra), inquirenti e
stampa indiana. Nel suo affondo, l’Espresso attacca furibondamente Toni
Capuozzo del quale contesta come false e volutamente inventate le
argomentazioni con le quali il vicedirettore di Canale 5 ha smontato la
testimonianza di Freddy Bosco e la ricostruzione di quanto accaduto e
che ha portato all’uccisione dei due pescatori indiani. Il perno di
questo j’accuse contro Capuozzo sono gli orari degli spari dalla Lexie e
quello in cui sono morti i pescatori.
Come abbiamo più volte sottolineato, nell’intervista televisiva
rilasciata a caldo al suo arrivo a Neendankara alle 23.30 circa del 12
febbraio 2012, Freddy Bosco ha fatto tre dichiarazioni importanti. La
prima, che l’incidente era avvenuto alle ore 21.30 circa, quando ha
sentito degli spari ed il tonfo di uno dei pescatori caduto sul ponte
colpito a morte. Ragione per cui lui uscito allo scoperto, essendo buio,
non era riuscito a leggere il nome della nave che li sovrastava. Poi
che lui era sottocoperta, per cui non ci sono testimoni oculari sul St
Antony.
Poi ha detto che gli spari si sono protratti per circa un minuto
e mezzo. Poichè il dispaccio che informavano dell’incrocio di un
natante di presunti pirati è partito dalla Lexie alle 19.15 circa, le
dichiarazioni del comandante del peschereccio, immortalate nel video
originale del network Venad News cui si è rifatto Capuozzo,
rappresentano una clamorosa sconfessione del teorema costruito dagli
inquirenti indiani. Infatti, i Marò come avrebbero potuto uccidere due
pescatori alle 21.30 sparando 5 ore prima che ciò accadesse? Una vera
pietra tombale sulla validità dell’inchiesta, che fa completamente
scagionare i Marò non come innocenti, ma come assolutamente estranei ai
fatti.
Come fare allora a continuare ad accusare Latorre e Girone?
Impossibile per chiunque a questo punto, tranne che per loro della
sinistra. Le dichiarazioni di Bosco non collimano, ma anzi distruggono
il castello accusatorio? Facile per la sinistra trovare la via d’uscita
ad una situazione apparentemente senza sbocco: basta aggiungere un
corollario al teorema accusatorio. Sentite cosa racconta Miavaldi: “Nel
video utilizzato da Capuozzo……(omissis) pare proprio che Freddi indichi
le 21.30. La traduzione è stata confermata da amici fluenti in malayalam
(si noti come l’Espresso conti in India amici, ma solo tra gli
accusatori dei Marò. Evidente la persecuzione tentata nei loro
confronti, ndr). Ma la stampa indiana non ha mai riportato questa
versione (per forza, hanno famiglia pure i giornalisti indiani, ndr)
così ci è venuto il dubbio che si trattasse di un abbaglio, di una tara
messa alle dichiarazioni di una persona in completo stato di shock :
Freddy arriva in porto alle 23, balbetta, mischia malayalam e tamil,
ripete più volte le stesse frasi”.
Ecco fatto. Per FQ Freddy manco esisteva, era fantomatico. Per
l’Espresso, dopo che gli amici indiani fluenti in malayalam gli hanno
confermato l’esistenza di Freddy, questo è solo un povero psicopatico
frastornato, del quale vanno considerate solo le affermazioni
palesemente contraddittorie che incastrano i Marò, mentre quelle
rilasciate spontaneamente che li scagionano vanno prese con le pinze,
perchè rilasciate da una persona sotto stress che non ragionava.
All’Espresso serve dimostrare che ai pescatori i Marò hanno sparato alle
16,30 per cui il fatto che Freddy dichiari invece che gli hanno sparato
addosso alle 21.30 è solo conseguenza del suo sconvolgimento.
Sconvolto
alle 23.30, quando è arrivato, a sette ore dai fatti secondo la
ricostruzione indiana sposata da FQ? E se veramente gli hanno sparato
alle 16.30 come dopo ha dichiarato imbeccato ed istruito dalla polizia
del Kerala, perchè ha avvertito la guardia costiera solo alle 21.30
passate e perchè ha impiegato ben sette ore a percorrere meno di 20
miglia? Questo FQ non se lo chiede, non gli conviene chiederselo salvo
poi dover ammettere che Freddy mente e che le accuse rivolte ai Marò
sono interessate, infondate, false e campate in aria.
Ma il meglio deve ancora venire. Per dare una parvenza di
credibilità alle sue affermazioni Miavaldi ritiene di aver trovato una
falla nel “castello di fandonie” inventato da Capuozzo, questa. Qui lui
si riferisce ad un messaggio che la capitaneria di Kochi avrebbe inviato
alla Lexie alle ore 16.06 utc. L’UTC è il tempo universale coordinato,
che molto più correntemente viene indicato come GMT, ovvero Greenwich
Mean Time che fa riferimento all’ora del meridiano di Londra. Poichè per
una strana scelta il fuso orario dell’India anticipa di 5 ore e 30 min
l’ora di Londra, le 16.06 utc corrispondono alle ore 21.36 local time.
In questo messaggio delle 21.36 si fa esplicito riferimento ad una
conversazione con la Lexie avvenuta alle 13.30 utc, cioè, aggiungendo 5
ore e 30 min, alle 19.00 locali. Siccome i Marò possono provare e
sostenere di avere inviato l’informativa dell’incidente solo alle ore
19.16 locali alle preposte autorità, l’MSCHOA (Maritime Security Center
Horn of Africa) ed UKMTO (Centro Operativo per la Marina Commerciale
situato in Inghilterra), l’Espresso ne deduce che la Lexie ed i Marò non
erano affatto in buona fede e che la e-mail inviata alle 19.16 era solo
uno stolto tentativo per precostituirsi un alibi. E Miavaldi si chiede
quindi tendeziosamente: come faceva la guardia costiera indiana a sapere
alle ore 19.00 di un incidente denunciato alla 19,16? Ovvio,
concludono, che fossero già informati e che la Lexie reagì solo dopo
aver preso coscienza di questo fatto.
Questo corollario dell’Espresso al teorema accusatorio indiano è
infantile e patetico, oltre a dimostrarsi un obbrobrioso miscuglio di
falsità ed imprecisioni. Intanto la e-mail in oggetto, quella delle ore
21,36, che ben conosciamo per averne preso visione, è indirizzata sì
alla enricalexie@fratellidamato.com, ma non dalla capitaneria di Kochi,
bensì dall’MRCC (Maritime Rescue and Coordination Center, ovvero il
Centro per il Coordinamento ed il Soccorso Marittimo) dell’area indiana,
che sorge a Mumbay ed al quale le navi in navigazione nell’area sotto
suo diretto controllo sono tenute a comunicare ogni notizia rilevante
per la sicurezza della navigazione.
Per i Marò, la presenza di una barca
con presunti pirati costituiva un pericolo per i naviganti, specie per
quelli sprovvisti di protezione armata, quindi hanno fatto esattamente
quello che era loro dovere fare, ed hanno avvertito l’MRCC di Mumbay.
Inoltre, se Miavaldi avesse letto con attenzione il testo della e-mail
si sarebbe accorto che mentre l’ora di trasmissione, le ore 4.06 pm utc,
ovvero le 21.36 locali, è stata stampata direttamente per default dal
sistema di trasmissione, nel testo si riferisce un orario indicativo,
valutato grosso modo, presumibilmente da un sottoposto cui un graduato
aveva girato l’incarico di inviare la e-mail alla Lexie. Infatti si
legge letteralmente: “dear master, refer to telecon todate at AROUND
13.30….”, cioè, “gentile comandante, con riferimento alla conferenza
telefonica di oggi ATTORNO alle ore 13.30….” Quindi non si afferma nel
messaggio che fossero le 13.30 precise, ma all’incirca. Messaggio che
viene concluso con la richiesta alla Lexie di mettersi in contatto con
la capitaneria di porto di Kochi per riferire l’accaduto (You are
requested to head for Kochi, and establish communication with Indian
Coast Guard on channel VHF 16 telephone 91 494 2217164 and 2289169 for
further deposition/clearification.
Request ETA Kochi. Regards MRCC
Mumbay, cioè : vi preghiamo di far rotta su Kochi e di stabilire un
contatto con il guardacoste indiano sul canale 16 VHF. Chiedere di ETA
Kochi, telefono numero….per ulteriori deposizioni e chiarimenti. Saluti,
MRCC). Questo messaggio dimostra esattamente il contrario di quanto
l’Espresso vorrebbe sostenere. Infatti, esso evidenzia che i Marò
informarono, direttamente o tramite qualcuno della Lexie, dell’incidente
avvenuto non la guardia costiera a Kochi, bensì l’MRCC a Mumbay. E’
stato l’MRCC poi a chiedere ai Marò di informare Kochi e ciò è potuto
avvenire solo dopo aver ricevuto il messaggio in oggetto che, ribadiamo,
porta impressa come ora di trasmissione le 21.36. Sino a quell’ora a
Kochi nulla sapevano dell’incidente perchè sempre il testo del messaggio
evidenzia che è stato Mumbay a richiedere ai Marò la cortesia di
avvertire la capitaneria del porto di Kochi.
In conclusione, l’affermazione dell’Espresso che a Kochi erano
informati dell’accaduto prima ancora di esserne informati dai Marò è
FALSA e destituita di qualsiasi fondamento. Pertanto, si conferma che la
Lexie ed i Marò ritornarono spontaneamente a Kochi, convinti come erano
di collaborare con le autorità indiane al riconoscimento di una barca
di pirati. Se fosse andata come sostiene Miavaldi, vi pare che i Marò
sarebbero stati così stupidi da consegnarsi agli indiani?
Già che ci siamo ci preme di sgombrare il campo da un’altra
fandonia propalata dalla sinistra e dalla sua stampa faziosa e
complottista. Nello stesso articolo di Miavaldi sull’Espresso si
richiama un rapporto ad uso interno della Marina Militare italiana
redatto dall’ammiraglio Alessandro Piroli, l’ufficiale più alto in grado
inviato in India subito dopo l’incidente, pubblicato in esclusiva su
Repubblica. Sulla base delle deduzioni del Piroli, il giornale raggiunge
la conclusione attribuita all’ammiraglio che ad uccidere i pescatori
indiani siano stati i Marò, ma non il maresciallo Latorre ed il sergente
Girone, bensì altri due componenti del nucleo di protezione militare
imbarcato sulla Lexie.
Premesso che alle perizie non furono ammessi
esperti balistici italiani, tranne che consentire una presenza di due
funzionari dei RIS, inutile, solo da silenti osservatori, si deve
evidenziare come esistano clamorose discrasie, discrepanze e
contraddizioni nelle conclusioni delle perizie stesse. Senza dire delle
omissioni di dettagli e del ricorso a procedure non standard che non le
farebbero riconoscere come legalmente valide da nessun tribunale del
mondo. L’anatomopatologo prof Sisikala, un esperto, un vero luminare in
materia visto le decine di cadaveri di pescatori indiani uccisi dalla
guardia costiera dello Sri Lanka che gli sono passati tra le mani,
redasse il suo rapporto in modo strano ed inusuale, fornendo comunque
indicazioni sufficienti a far stabilire che il calibro dei proiettili
era un 7,62 da 31 millimetri, non compatibile con quelli in dotazione
alla Nato.
Per fare ritornare i conti, le perizie sono state più volte
manipolate e ritoccate a mano e con macchine da scrivere tra loro
incompatibili, sino a far passare cartucce originalmente identificate
per 7,62x54R compatibili con le mitragliette PK, in dotazione alla
marina dello Sri Lanka, con quelle 5.56×45 compatibili con i fucili
Beretta AR 70/90 in dotazione dei Marò.
Sulla base di queste informazioni imprecise e frammentarie
riferite dagi indiani e tutte da verificare, l’ammiraglio Piroli ha
concluso che a sparare certamente non furono Latorre e Girone, ma senza
poter escludere che a farlo possano essere stati altri tra i sei Marò a
bordo. Bisogna però ricordare che i quattro Marò colleghi di Latorre e
Girone furono trattenuti per due mesi nel porto di Kochi, con la polizia
che ha perquisito minuziosamente e per settimane la nave e passato in
rassegna tutte le armi disponibili a bordo.
Perchè tutto questo tempo?
Chiaro che cercavano qualcosa che non riuscivano a trovare perchè non
c’era, tanto che ancora oggi non di dispone di un rapporto ufficiale
delle risultanze delle perizie balistiche. Vi pare che se la polizia
indiana avesse rinvenuto subito ed in modo trasparente i fucili che
hanno ucciso i due pescatori sulla Lexie non avrebbero annunciato
l’evento con tono trionfante per aver finalmente incastrato i
responsabili? Invece tutto tace su quel fronte, segno evidente che gli
indiani nulla di concreto hanno in mano. Per cui la conclusione
dell’Espresso e La Repubblica che ad uccidere i pescatori indiani furono
comunque due dei Marò a bordo della Lexie è infondata e palesemente
tutta da dimostrare, ammesso che sia ancora possibile farlo.
Sposando acriticamente la tesi colpevolista degli indiani
l’Espresso avalla e condivide anche il fatto che la polizia del Kerala
abbia assimilato quell’omicidio, per il quale la stessa Corte Suprema
riconosce che nel caso si è trattato di un errore per essere stati i
pescatori scambiati per pirati, ad un atto di terrorismo, tanto che
istruttoria e processo dei Marò sono stati affidati alla NIA, la
struttura antiterroristica indiana.
La motivazione per questo gravissimo
atto d’accusa che comporta d’ufficio la pena capitale per impiccagione,
scaturisce dal fatto che i Marò avrebbero aperto il fuoco senza
preavvertire i pescatori. In particolare, anche concesso (dalla polizia
indiana) che i Marò abbiano tentato contatti radio e fatto segnalazioni
visive, viene contestato ai Marò di non avere attuato le segnalazioni
sonore che sarebbero state quelle più efficaci in quelle circostanze.
Questa tesi è condivisa pari pari dalla nostra stampa di sinistra e
rappresenterebbe, a loro dire, un segnale forte della malafede dei Marò
ed una prova evidente della loro colpevolezza. Tutto FALSO, perchè è una
conclusione sbagliata che nasce da una interpretazione distorta e
malintesa di una dichiarazione del capitano della Lexie Umberto Vitelli.
A precisa domanda se avesse inteso i Marò attuare le segnalazioni
sonore, lui rispose di no. Ma non perchè non ci furono segnalazioni, ma
perchè a farle fu lui, non i Marò. Era così spaventato e convinto lui
stesso di essere sotto attacco di pirati perchè quel battello che
arrivava da 2,8 miglia di distanza si era avvicinato a meno di mezzo
miglio nonostante tutte le segnalazioni visive e radio, che fu lui
stesso a mettere in azioni tutte le sirene della nave solitamente
utilizzate in caso di fitta nebbia.
Ma la stampa nostrana prende per
buone le dichiarazioni degli indiani, che della risposta di Vitelli
hanno solo riportato il “no”, ma hanno omesso che i pescatori furono
avvisati con le sirene da lui stesso. A proposito, Freddy Bosco tra
tante altre cose non ha mai parlato di sirene, eppure le avrebbe dovute
sentire a 50 metri di distanza. Ci dica la verità : ma dove stava con il
St Antony lui alle 16.15 del 15 febbraio del 2012 visto che per lui era
buio alle 16.15 per cui non ha visto il nome della nave, che avrebbe
aspettato sei ore ad avvertire Kochi della morte dei due pescatori, che
ne ha impiegate sette per percorrere 20,5 miglia (ma stava col pattino?
ndr) e che ha distrutto il suo battello prima che potesse essere
visionato e periziato.
Senza dire della bufala che i Marò avrebbero
sparato per circa un minuto e mezzo. In quel lasso di tempo l’avrebbero
annaffiato con quasi 6mila proiettili micidiali. Se fosse stato vero, il
St Antony sarebbe andato in mille pezzi e lui ed i nove superstiti non
avrebbero mai potuto raccontare la loro disavventura. Una panzana, anzi
una favoletta cui possono dar credito solo i beceri figuri di una
sinistra avvelenata dall’odio antagonista. Non perchè ci credano, ma
perchè gli fa comodo fingere di crederci.
Fonte: http://www.qelsi.it/
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