sabato 21 settembre 2013

Ritorna l’odioso ricatto: niente processo senza gli altri 4 Marò in India


Massimiliano Latorre e Salvatore Girone

Nella sempre più squallida e vergognosa pantomima che riguarda i nostri Marò in attesa di processo, gli inquirenti ed il governo dell’India si sono messi a fare il gioco dell’oca: qualche passo in avanti verso la fatidica casella numero 63, fino a quando qualche trappola sistemata lungo il percorso non fa tornare là da dove si era partiti. 
 
Appena alla fine di agosto, la NIA, National Investigation Agency, la struttura antiterroristica indiana, aveva raggiunto la conclusione che le indagini sulla vicenda dell’uccisione di due pescatori indiani avvenuta il 15 febbraio del 2012 sul peschereccio St Antony, della quale sono accusati i nostri due Marò il maresciallo Max Latorre ed il sergente Salvo Girone, fossero state praticamente completate. In effetti la NIA avrebbe voluto interrogare nuovamente i quattro Marò che al momento dell’incidente erano a bordo della Enrica Lexie con i loro due colleghi indagati. A tale proposito, prima la Farnesina, poi il dr. Staffan de Mistura, l’inviato speciale del governo italiano per il caso Marò, avevano recisamente escluso che i quattro Marò potessero recarsi in India. 
 
Tra le righe, dietro a questo diniego, si leggeva la preoccupazione che ai quattro, una volta arrivati a New Delhi, fosse riservato lo stesso trattamento cui sono stati fatti oggetto Latorre e Girone: convocati a collaborare come testi, cosa spontaneamente accettata, sono stati poi trattenuti come indagati, arrestati, tenuti in detenzione da 18 mesi ed accusati di omicidio in modo del tutto arbitrario, senza uno straccio di elemento che convalidasse questa decisione delle autorità inquirenti e dei magistrati dello stato del Kerala.

Un caso che invece di essere subito risolto ha visto perdere tutto il 2012 dietro le discussioni circa il trattamento da riservare ai due Marò durante la loro custodia cautelare preventiva, nonchè per discutere velleitariamente, da parte indiana, della competenza giurisdizionale ad inquisire i due Marò. L’Italia ha presentato svariati ricorsi alla Corte Suprema indiana di New Delhi, e finalmente lo scorso gennaio la situazione pareva potersi finalmente sbloccare. 

Benchè abbia omesso di rispondere direttamente al quesito sulla giurisdizione, la Corte ha comunque avocato a sè la competenza del caso strappandola alla bramosia di vendetta delle tracotanti autorità keralesi, decidendo altresì, dopo più di un tentennamento, di affidare indagini, istruttoria e processo alla NIA. Contestualmente, si concesse ai Marò di potere attendere il processo stando ai domiciliari presso l’Ambasciata Italiana di New Delhi, dove sono tuttora reclusi.

Inoltre, la Nia il 4 aprile scorso si dichiarò ottimista circa la possibilità di chiudere l’istruttoria entro i 60 giorni imposti dalla Corte Suprema, salvo, una volta ricevute le “carte” passategli dagli inquirenti keralesi, lamentare che i tempi per la conclusione delle indagini si sarebbero dovuti allungare in modo difficilmente quantificabile perchè gli atti processuali rappresentavano una vera Torre di Babele. Deposizioni, documenti, atti erano scritti in 5 lingue diverse: italiano, tamil, malayalam, inglese ed hindi. Un problema che era stato volutamente esagerato dalla NIA per prendere tempo e fare le cose (e le ferie) con tutta calma. Infatti, a metà dell’estate, tutte le carte processuali risultavano tradotte in inglese e hindi così da potere essere comprensibili a tutti. 

Bene, allora pareva che ci fossero tutti gli ingredienti per trarre le dovute conclusioni, attese un po’ da tutti, ed in particolare quella se rinviare a giudizio i due Marò, ed eventualmente con quale capo d’accusa. Invece no, anzi si ritorna alla casella di partenza perchè nei fascicoli dell’istruttoria manca la testimonianza dei quattro colleghi dei due Marò indagati, cioè Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana ed Alessandro Conte.

In effetti le deposizioni dei quattro ci sono, altrochè. All’inizio della storia, la Lexie ed il suo equipaggio, inclusi una decina di marinai indiani, sono rimasti sequestrati per due mesi nel porto di Kochi a completa disposizione ed in balìa della polizia del Kerala e della locale Capitaneria di Porto. Durante quella sosta forzata, la Lexie è stata perquisita quasi ogni giorno alla ricerca di armi che fossero compatibili con i proiettili che hanno ucciso i due pescatori, senza che mai fosse trovato nulla di probatorio contro i Marò indagati. In quelle occasioni, i quattro Marò rimasti a bordo sono stati interrogati innumerevoli volte dalla polizia del Kerala, per cui la richiesta della NIA di volerli reinterrogare appare quanto meno sospetta, se non uno squallido pretesto per prendere tempo in attesa che le acque attorno al caso si quetino e le luci si smorzino per procedere a fari spenti, senza dare nell’occhio. 

Anche perchè, proprio per evitare ulteriori complicazioni, da parte italiana si era andati incontro alle presunte “esigenze” della NIA proponendo tre valide alternative al viaggio dei 4 Marò in India per testimoniare: l’interrogatorio in videoconferenza, per rogatoria o diretto, ma con gli inquirenti indiani a spostarsi in Italia, magari a nostre spese, mogli e concubine al seguito, viaggio in business class ed albergo a cinque stelle. Ma la NIA si è dimostrata irriducibile ed irragionevole ed ha sdegnosamente rifiutato ogni possibile alternativa a quella che, stando ai precedenti, sarebbe una vera e propria estradizione in India dei quattro Marò.

A tale proposito, va ricordato che pende sulla vicenda l’inquietante referto della perizia balistica fatta dagli “esperti” indiani, i quali hanno fornito all’ammiraglio Alessandro Piroli, cui fu affidata l’inchiesta interna della Marina Militare, indicazioni che portano alla conclusione che a sparare non furono Latorre e Girone, ma altri due dei sei Marò che erano a bordo della Lexie al momento dell’incidente. Sono conclusioni tutte da dimostrare visto che gli indiani, in particolare l’anatomopatologo prof. Sisikala che effettuò la prima necroscopia, avevano in un primo momento indicato come calibro dei proiettili il 7.65, forse pensando che fosse compatibile con le armi NATO, salvo poi cancellare tutto ed indicare quello di 5.56, questo sì compatibile con le armi dei Marò. Va anche detto che i fucili dei Marò a bordo della Lexie sono stati sequestrati ed utilizzati per i test balistici da parte degli indiani senza alcuna garanzia, trasparenza o coinvolgimento della difesa degli indagati e senza rispettare alcuno degli standard internazionali previsti in questi casi, come testimoniato da due funzionari del RIS dei Carabinieri, ammessi solo alle primissime perizie e solo come silenti osservatori. 

Nonostante tutto questo, nel numero del 6 aprile di quest’anno, La Repubblica prese al solito per buona acriticamente ed a scatola chiusa la “verità” fornita dagli indiani, arrivando a titolare in un vergognoso articolo a firma di Maura Gualco e Vincenzo Nigro : “Marò, la verità degli italiani su quei 33 minuti. Il giallo: i fucili erano quelli di altri soldati”. Un titolo volutamente fuorviante, perchè fa credere che sia stato il relatore amm. Alessandro Piroli ad arrivare a quella conclusione, ma in effetti sono stati gli indiani a dire a lui, nel referto che gli hanno inviato, che i proiettili erano compatibili con le armi di altri due Marò, e Piroli s’è limitato a prendere atto ed a riportare le conclusioni degli indiani. Che si tratti di una volgare montatura, cui La Repubblica si è subito associata con entusiasmo, si dimostra facilmente: se gli inquirenti indiani fossero convinti che a sparare siano stati altri e non Latorre e Girone, perchè continuano ad accusare questi due anzichè rilasciarli e chiedere, eventualmente, l’estradizione di quelli che secondo loro sarebbero i “veri” responsabili della sparatoria? Questo La Repubblica non se lo chiede, noi invece sì.

Ed arriviamo così a fine agosto, quando sembrò che il braccio di ferro Italia-India sui 4 Marò testimoni potesse avere finalmente termine. Su molti quotidiani indiani, noi ne prendiamo uno a riferimento, The Times of India che è quello più diffuso in lingua inglese, il 22 agosto 2013 funzionari della NIA, il cui sport preferito pare essere quello di conservare l’anonimato, così si espressero: “Possiamo chiudere il caso anche subito senza le deposizioni degli altri 4 “Italian marines” che assistettero all’omicidio dei due pescatori indiani. (Prego notare: i Marò sono testi oculari per gli inquirenti, il che significa che che si dà per scontato che Latorre e Girone sono colpevoli a priori ed a prescindere. Un atteggiamento questo condiviso e fatto proprio dalla sinistra italiana colpevolista viscerale, e dalla stampa che la rappresenta, con L’Espresso e La Repubblica in primissima fila, per non dire del Manifesto, FQ, l’Unità e via cantando, ndr)”. Aggiunsero poi le anonime fonti della NIA: “Il fascicolo dell’istruttoria non è condizionato alle dichiarazioni dei quattro marines, per cui se persisteranno nel loro atteggiamento di non volere venire in India, noi manderemo avanti il procedimento anche senza le loro testimonianze. Anche perchè, all’occorrenza, potremmo sempre intervenire ad integrare il chargesheet (la requisitoria) in un secondo momento”. 

A questo punto, manca solo che si dica se e quando ci sarà un processo, ma nel gioco dell’oca l’imprevisto incombe ed ancora una volta si torna indietro.

Ieri, 17 settembre, sulla stampa indiana sono apparse due notizie che riguardano il caso Marò. La prima è che addirittura il governo indiano starebbe per presentare al più presto una denuncia presso la Corte Suprema di New Delhi contro i quattro Marò italiani, il cui rifiuto a recarsi in India a testimoniare di fronte ai magistrati antiterrorismo (sic!!!) della NIA sta ritardando l’avvio del processo per omicidio di due loro colleghi e compatrioti. Si pensi che secondo la fonte che dà questa notizia, il passo del governo sarebbe suggerito dal timore che il vertice della Corte Suprema scagli i suoi strali contro un esecutivo il quale, quando lo scorso marzo gli fu imposto di accelerare i tempi del processo, da celebrarsi con udienze giornaliere presso una corte speciale appositamente costituita (che poi fu indicata nella NIA, ndr), rispose di essere convinto di poter risolvere tutto in “un paio di mesi”. A marzo. 

Sei mesi dopo non solo il processo non è cominciato, ma stiamo proprio in alto mare. Sì, perchè la NIA adesso ci ha ripensato e contrariamente a quello che ha detto meno di un mese fa, adesso siamo tornati alla casella che dice che senza i quattro Marò che stanno in Italia, questo processo non si può proprio fare. Per cui, il solito funzionario della NIA avvolto nel più misterioso anonimato, ha ieri dichiarato ad ET, che in India è la pagina economica del Times, che loro “vogliono che i colleghi dei due marines accusati dell’uccisione di Ajesh Binki e Jelestine il 15 febbraio del 2012 al largo del Kerala si presentino in India, condizione che se non rispettata fa della possibilità di un processo immediato e veloce la voce di un’eco che si allontana, che si allontana sempre di più…”

Riferendosi poi alla possibile iniziativa del governo indiano di denunciare i quattro mancati testimoni con la quale vuole mettere le mani avanti e ribaltare sull’Italia l’accusa di ritardare il procedimento, un funzionario del ministero della giustizia dell’Unione Indiana, che ha anche lui chiesto di non essere identificato, ha indicato che l’obbiettivo è quello di informare il vertice della Corte Suprema della situazione di stallo, al fine di avere indicazioni sul da farsi. Ecco fatto, qui siamo incorsi in una grave penalizzazione del gioco dell’oca e siamo addirittura tornati alla casella di partenza, la numero zero, quella in cui ci trovavamo a gennaio 2013. 

Quindi, sino a che la Corte Suprema non si degnerà di esprimersi nel merito, per la vicenda si annuncia calma piatta e più nulla da segnalare. Però, mentre il tempo scorre inutilmente per i Marò detenuti in India, possiamo sin d’ora anticipare alla Farnesina che presto riceverà una nota ufficiale da parte del ministero degli Affari Esteri dell’Unione Indiana “per sottolineare all’Italia l’importanza rivestita dalla testimonianza dei quattro Marò per l’istruttoria della NIA e di raggiungere una piena armonia tra Italia ed India per cooperare nel caso”.

In conclusione, sembra di capire che gli indiani comincino ad essere stanchi del caso Marò e che vogliano pertanto cambiare gioco. Essendo per loro da escludere a priori che i nostri Marò possano essere innocenti, come si consiglierebbe invece di considerare visto che nulla, dagli orari alle risultanze probatorie, combacia tra i fatti dimostrati ed il teorema accusatorio, ora dal gioco dell’oca vorrebbero passare ad anghingò, cosa che finalmente permetterebbe loro, se disponessero di tutti e sei i Marò che erano sulla Lexie, di affidare alla sorte la decisione di quali siano tra i sei, i due che secondo loro avrebbero sparato, uccidendoli, ai loro pescatori :ambarabà ciccì coccò, tre civette sul comò… Per colpa di tutti gli inetti ed incapaci annidati nei governi che hanno gestito il caso dei Marò, oltre al danno pure la beffa dobbiamo sopportare. 

Fonte:  http://www.qelsi.it/

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