L’inviato speciale del governo italiano
presso quello indiano per il caso dei Marò, Staffan De Mistura, l’ex
vice del ministro degli esteri Terzi nel fallimentare e funesto governo
Monti, il 13 agosto è partito per l’India per fare il punto della situazione nel
procedimento giudiziario a carico di Latorre e Girone aperto un anno e
mezzo fa.
La situazione dei nostri fucilieri si è talmente complicata e
deteriorata da far apparire quello di De Mistura una sorta di “viaggio
della speranza”, come quelli che i malati gravi oggetto di prognosi
nefaste o di menomazioni apparentemente irreversibili fanno in
pellegrinaggio a Lourdes con i treni bianchi per essere miracolati.
Da
questo punto di vista la scelta di basso profilo di mandare in India a
battere i pugni sul tavolo per pretendere, una volta per tutte, il
rilascio immediato dei Marò da politici, magistrati ed inquirenti
indiani, inviare un “oscuro funzionario” che da sottosegretario di Monti
è stato degradato a semplice inviato dall’attuale governo Letta, ci
sembra scelta infelice ed autolesionostica. Per di più, il povero
Staffan è figlio di madre svedese e padre dalmata, cioè ufficialmente
croato, naturalizzato italiano nel 1999, il che non ci sembra il massimo
che l’Italia potesse esprimere per tutelare l’onore e la dignità di due
suoi valorosi militari in una questione che coinvolge non negoziabili
valori di patriottismo e di italico orgoglio. Per la piega che hanno
preso gli eventi, come minimo ci saremmo aspettati che andasse giù la
Emma Bonino, meglio ancora se ad intervenire fossero stati Gianni Letta o
magari, perché no, lo stesso presidente Napolitano.
A tale proposito si possono citare vari precedenti, uno in particolare. Molti ricorderanno come lo scorso marzo un reparto di parà francesi abbia ucciso per errore due civili indiani nella Repubblica Centroafricana. Un autobus con le insegne dell’esercito del Ciad alleato dei francesi trasportava una trentina di lavoratori indiani lungo un percorso
che era sotto pieno controllo dell’esercito francese in un paese
dilaniato da una delle tante sanguinose guerre dimenticate, scatenate
tra varie fazioni di diversi paesi per acquisire il controllo di ingenti
risorse naturali come uranio, oro e diamanti. Non si sa perché, ma ad
un tratto i parà hanno scatenato una tempesta di fuoco amico sui
malcapitati indiani scambiati per terroristi camuffati, nonostante essi
fossero scortati da alcuni soldati alleati del Ciad, uccidendone due e
ferendone e molti altri. Appena dopo l’accaduto, il presidente francese
Francoise Hollande ha fatto pervenire al primo ministro indiano Manmohan Singh
una lettera di scuse scritta di proprio pugno nella quale, oltre ad
ovvie condoglianze, forniva ampie rassicurazioni al premier indiano
circa l’immediato avvio di una inchiesta interna sulle risultanze della
quale gli indiani “sarebbero stati tenuti informati”. Fine, con
l’incidente che s’è chiuso lì. Si dirà: ma i parà francesi stavano nel
Gabon, come avrebbero potuto prenderli gli indiani?
Vero, ma pure i Marò
non stavano in India, ma in Italia visto che la Lexie quando naviga in
acque internazionali è, per condivisa norma internazionale,
un’estensione del territorio italiano. Allora perché i nostri soldati li
hanno potuti sequestrare? Girare la domanda a Monti, prego.
Riflettendoci bene sopra, noi siamo arrivati alla conclusione che
la situazione dei Marò illegalmente trattenuti da 18 mesi si sia
incancrenita per una concomitanza di fattori negativi e di circostanze
perverse, ma soprattutto per colpa della meschinità del prof Monti ed il
timore reverenziale che l’ex ministro degli esteri Terzi aveva nei suoi
confronti. Tra i fattori imponderabili va sottolineato che all’epoca
del presunto incidente della Lexie il Kerala era nel pieno di una
virulenta campagna elettorale. All’opposizione di sinistra, al locale
partito comunista in particolare, non è parso vero di poter
strumentalizzare l’accaduto, inventando l’aggressione di biechi
capitalisti e colonialisti nei confronti di poveri pescatori indiani, in
un stato,
il Kerala, dove la corporazione dei pescatori conta tre milioni di
iscritti che, con parenti ed amici, costituiscono un coccolatissimo
serbatoio di almeno 10 milioni di voti su poco più di venti milioni di
aventi diritto al voto. Poi, come abbiamo più volte raccontato, c’è
stata l’assoluta incapacità, ma più spesso la malafede, della polizia e
della magistratura keralesi.
Ma nonostante tutto questo la situazione non sarebbe precipitata
se non ci fosse stato l’intervento maldestro ed irresponsabile del
nostro ex premier Monti, del quale si è finalmente svelato il vero volto
di incapace millantatore. Messo a capo di un governo avente l’unico
obbiettivo di reperire risorse, costasse quel che costasse, per salvare
le banche nazionali ed europee fregandosene delle sorti del paese, che
infatti è retrocesso ai livelli socio-economici dell’immediato
dopoguerra, il prof varesino ha pensato di poter risolvere per via
amministrativa, sostituendo alla detenzione una sanzione pecuniaria,
anche la questione giuridico-penale delle false accuse ai Marò. Per cui,
una volta accertato che gli indiani violavano tutte le regole del
diritto internazionale, invece di infuriarsi col governo indiano e
spedire Terzi a fare fuoco e fiamme sui tavoli che contano dall’Onu alla
Nato ed a tutti i tribunali ed i competenti consessi internazionali,
s’è limitato a fare una “donazione” amichevole di 300mila euro ai
familiari delle due vittime. A quel punto tutti quelli coinvolti in
qualche modo nella vicenda hanno sparato a zero contro i Marò, si sono
avventati contro “gli italiani” come un branco di piranha su un
prosciutto, indicandoli come gli “assassini” dei pescatori, non perché
fosse vero, ma perché speravano di spuntare risarcimenti per i danni
materiali e biologici subiti commisurati alla gravità ed alla fermezza
delle accuse.
Come non bastasse, anche l’inefficiente e moralmente depravata,in
troppi suoi esponenti, magistratura italiana ha contribuito a montare
il caso. Nonostante la vicenda dei Marò “killers” dei pescatori indiani
sia apparsa con enorme rilievo sulla stampa di tutto il mondo, hanno
aperto sul conto di Max e Salvo un fascicolo pro forma, di fatto
disinteressandosi di appurare la realtà, qualsiasi essa fosse, o per
scagionare i Marò se innocenti, oppure condannarli se colpevoli. Invece
se ne sono fregati altamente dell’immagine dell’Italia e della
reputazione rovinata ed infangata dei Marò.
Quando a febbraio scorso
erano tornati per le elezioni, essendo accusati di omicidio, sarebbe
bastato che un qualsiasi pm avesse spiccato un ordine di cattura per
trattenere i fucilieri del San Marco in Patria. Invece hanno lasciato
che il pavido Monti li restituisse ai loro aguzzini. Del resto la
magistratura che “conta” è schierata a sinistra. I Marò sono militari ed
i militari sono dei “fascisti” guerrafondai, ben gli sta se li
condannano. Non per nulla sui muri di Taranto campeggiano ben visibili
scritte che neanche nel Kerala imbrattano i muri: “Marò, tornate presto;
avvolti nella bandiera”.
Ritornando al tema, allora è successo che la capitaneria di porto
di Kochi ha ritenuto di poter coinvolgere la Lexie in una sparatoria
alla quale era estranea, che si è svolta 5 ore più tardi di quella
denunciata dalla Lexie stessa contro un barchino di pirati, in un altro
specchio di mare e che ha visto come protagonista il cargo greco Olympic
Flair. Verità queste dimostrate dai messaggi scambiati, e tutti
ufficialmente registrati, tra la Lexie ed il centro di controllo del
Corno d’Africa e tra la Olympic Flair ed il centro SAR (Search and
Rescue) dell’Oceano Indiano. E’ successo che il comandante del
peschereccio “aggredito”, il St Antony, che appena sceso a terra alle
ore 23.00 circa nella sua prima intervista ha indicato nelle 21.30 l’ora
della sparatoria e che, essendo notte, non aveva potuto leggere il nome
della nave che li aveva aggrediti, alcuni giorni dopo, improvvisamente,
cambia versione, sposta l’ora della sparatoria alle 16.30 ed afferma di
essere sicuro che la nave fosse l’Enrica Lexie per averne letto il nome
a poppa. Poi non contento, s’è messo d’accordo con la polizia del
Kerala per acchiappare due piccioni con una fava; la fava è la
distruzione del St. Antony, cioè della scena del delitto, senza che la
difesa dei Marò avesse potuto prenderne visione per controdedurre in
merito alla dinamica della sparatoria ed alle risultanze delle perizie
necroscopica e balistica, che inizialmente erano favorevoli ai Marò,
prima che fossero taroccate come ha mirabilmente dimostrato l’ing De
Stefani, il perito balistico che ha risolto il mistero dell’esplosione
dell’aero Itavia nel cielo di Ustica.
A questa conclusione l’ing Di
Stefano è giunto dopo aver minuziosamente esaminato copie del rapporto
della necroscopia riprese in filmati della Rai e della Bbc, in cui sono
evidenti cancellature e contraffazioni che hanno trasformato da non
compatibili in compatibili con i proiettili rinvenuti sulle armi dei
Marò. E poi con una dettagliatissima perizia balistica delle armi in
dotazione ai Marò che è pubblicamente disponibile.
I piccioni sono che il comandante Freddy Bosco adesso spera di
poter rivendicare, oltre al risarcimento del danno biologico, anche
quello dell’intero peschereccio “andato perduto” dopo che lui lo ha
rottamato, mentre per la polizia la scomparsa del St Antony è un modo
per cancellare ogni traccia delle sue manipolazioni e dei depistaggi per
sviare le indagini in modo da incastrare i Marò. E’ in questa ottica
che va anche vista l’assoluta indifferenza con la quale i Marò sono
stati accusati, nonostante avessero registrato l’incidente sul libro di
bordo della Lexie in tempi non sospetti, cioè prima che scoppiasse il
caso, descrivendo un peschereccio blu mentre il St Antony è bianco e
nero, come da sempre confermato da un teste oculare, il vice comandante
della Lexie Carlo Noviello. Invece di cercare di far luce
sull’incongruenza tra il battello descritto dai Marò e da altri
testimoni ed il St Antony, la polizia si è limitata ad ignorare la
questione nonostante avesse sequestrato e fatto tradurre il logbook
della Lexie. In conclusione, tutto questo non sarebbe accaduto se Monti
si fosse comportato da statista, invece che da sensale da mercato delle
vacche, e gli avvenimenti non avrebbero preso questa bruttissima piega
ed ora non saremmo a questo punto.
Il compito che adesso attende l’inviato croato-italo-svedese che
rappresenta l’Italia non è per niente facile. Ma neanche impossibile. Le
motivazioni di cui dispone a favore dei Marò sono tante, coerenti e
granitiche. Gli inquirenti indiani non dispongono di uno straccio di
indizio per sostenere che il St Antony sia entrato in contatto con la
Lexie piuttosto che essere stato colpito da poche pallottole vaganti nel
corso di una sparatoria tra un’altra nave, presumibilmente la Olympic
Flair, ed un barchino di pirati, in piena notte. Gli inquirenti devono
spiegare, loro a noi, perché abbiano autorizzato il dissequestro del
peschereccio e la sua restituzione a Freddy Bosco perché fosse libero di
affondarlo senza consentire alla difesa dei Marò una sua ricognizione.
Gli inquirenti indiani devono spiegare, loro a noi, perché dopo 18 mesi
non siano state rese note le risultanze delle perizie sul St Antony e
perché il rapporto finale consegnato alla magistratura keralese sia solo
una copia contraffatta dell’originale che scagionava i Marò. Gli
inquirenti indiani devono spiegare, loro a noi, come fanno a trattenere i
Marò ed a non emettere il non luogo a procedere nei loro confronti
essendo ormai chiarito da numerose prove documentate ed inequivocabili
che a chiunque abbiano sparato, i Marò lo hanno fatto 5 ore prima che
fossero uccisi i pescatori. Loro cosa c’entrano con questo fatto? Gli
inquirenti indiani devono spiegare, loro a noi, perché non abbiano
accusato ed indagato per falsa testimonianza il comandante del St Antony
che dopo aver spiegato alla stampa mondiale che il fatto era accaduto
di notte, ragione per cui non aveva potuto leggere il nome della nave
dalla quale avevano sparato, poi dopo qualche giorno ha spostato l’ora
della sparatoria alle 4.30 del pomeriggio dichiarandosi certo che la
nave fosse la Lexie.
Infine una questione tecnico-legale. Gli indiani accusano i Marò
di aver ucciso due pescatori indiani che avevano scambiato per pirati.
In pratica, l’accusa ammette che, dato ma non concesso che siano
riconosciuti colpevoli, i Marò possono essere processati per omicidio
colposo od eccesso di legittima difesa. In nessun paese del mondo per
reati del genere si tengono in custodia cautelare gli indagati, e
comunque non per un periodo di tempo che supera la pena comminabile. I
Marò sono trattenuti da 18 mesi, se li condannassero al massimo
potrebbero comminare loro una pena inferiore a 2 anni, commutabile in
sanzione pecuniaria, visto che le vittime tra l’altro sono state
abbondantemente risarcite. Su quale base di quale principio di diritto
continuano a trattenerli?
Quindi, in conclusione, De Mistura
neanche deve parlare troppo, ma deve mettere con le spalle al muro i
suoi interlocutori trasformandoli da persecutori nei veri accusati nella
vicenda dei Marò. E deve fare intendere loro che l’Italia non se ne
starà con le mani in mano, ma che discrediterà l’immagine dell’India
portando il caso dei Marò all’attenzione generale in tutte le dovute
sedi internazionali politiche e giuridiche. Vedrà che se farà questo,
partirà da solo, ma è probabile che ritornerà in tre.
Fonte: http://www.qelsi.it/
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