I gruppi Facebook nelle ultime settimane si sono concentrati su almeno due linee ben diverse tra loro ma entrambe favorevoli a tenere alta l'attenzione sulla vicenda dei Militari del San Marco illegalmente detenuti in India.
La prima linea, viene perseguita sin dall'inizio della vicenda, è quella della richiesta a gran voce da parte delle nostre autorità competenti, dell'Arbitrato Internazionale e il diritto di godere dell'Immunità Funzionale. La seconda cerca di far luce sui fatti di corruzione interna all'India che continuano a condizionare le evoluzioni del caso.
Si è
scritto molto sulle interpretazioni indiane del Diritto Internazionale, della
Convenzione di Montego Bay e delle garanzie che il Diritto pattizio assicura a
chi opera in ambienti
internazionali od in altri paesi perchè
incaricato di garantire la sovranità e la sicurezza al proprio Paese.
Tutti
hanno condiviso che Delhi nel caso della vicenda dei due Fucilieri della Marina
Militare
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone ha
prevaricato anche le norme più elementari che regolano i rapporti fra Stati,
rinnegando anche atti internazionali concordati sotto l’egida delle Nazioni
Unite e sottoscritti dal Governo indiano.
Una verità
ormai riconosciuta da tutti, ma forse ignorata unicamente da alcuni esponenti
istituzionali italiani assoggettati all’arroganza indiana e che, per taluni aspetti,
la condividono accettando che i nostri Marò siano sottoposti a processo penale
in India nonostante che i fatti a loro addebitati sono avvenuti inequivocabilmente
in acque internazionali, su territorio italiano e quindi assolutamente non di
competenza indiana.
In
questo contesto, chi dovrebbe invece puntare i piedi per garantire il rispetto
della sovranità nazionale e del Diritto consolidato sul piano internazionale
unica garanzia per la sicurezza globale,
accetta l’indecente approccio indiano, a partire dalla recente minaccia
di ritorsioni nei confronti dell’Ambasciatore italiano. Un’azione che potrebbe ripetersi come modello ormai consolidato in considerazione
che l’Italia, a suo tempo, ha
supinamente accettato l’iniziativa indiana.
L'India
è arrivata a marzo a minacciare di
arrestare l'Ambasciatore italiano perché, come annunciato dal dott. De Mistura
l’11 marzo 2013 i Ministri italiani coinvolti nella vicenda avevano deciso, con la condivisione dell’allora
Presidente del Consiglio, di non "riestradare" i due Fucilieri di Marina in India dopo la
scadenza del permesso di quattro settimane per partecipare alle elezioni
politiche in Italia.
Un’azione
arbitraria che potrebbe ripetersi solo se l’Italia tornasse a non condividere o
semplicemente a contrastare il “modus operandi” di Delhi, attuando un ricatto
infinito ed inaccettabile sul piano formale e sostanziale.
Qualsiasi
Ambasciatore non può rappresentare in qualsiasi controversia
internazionale “merce di scambio”. Egli beneficia
di determinati diritti e privilegi la maggior parte dei quali codificati nella
Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche del 1961. L'articolo 29 della
Convenzione recita, infatti : la persona del diplomatico è inviolabile. Egli
non può essere sottoposto ad alcuna
forma di arresto o di detenzione. Lo Stato di residenza lo deve trattare con il
dovuto rispetto e deve adottare tutte le misure necessarie per prevenire ogni
attacco alla sua persona, alla sua libertà o alla sua dignità.
Addirittura
all’articolo 39 della Convenzione si legge: …….l’immunità cessa quando il
titolare della stessa termina le proprie funzioni e lascia il Paese dove è
accreditato …… ma deve sussistere fino a questo momento, anche in caso di
conflitto armato. Inoltre l’immunità continua a sussistere per tutti gli atti
compiuti dal diplomatico nell’esercizio delle proprie funzioni….. .
Perfino
in caso di guerra l’obbligo della garanzia dell’immunità diplomatica deve
essere garantito dalla “Nazione Ospite”. L'articolo 44 della Convenzione,
infatti, in caso di conflitti armati , prevede che lo Stato di residenza deve
garantire strutture idonee per proteggere le incolumità delle persone che
godono di privilegi e immunità e delle loro famiglie……., fornendogli ogni mezzo
per consentire loro di lasciare il più presto possibile l’area di crisi …..
La
norma sull'immunità diplomatica si applica a qualsiasi azione penale o civile,
non è un privilegio alla persona ma una garanzia alle funzioni della carica che
essa rappresenta, uno scudo importante
che deve essere gestito da un
sistema internazionale capace di creare e mantenere canali di
comunicazione aperti, per evitare che uno Stato, in un qualsiasi controversia, eserciti
attraverso fantasiose accuse un ricatto politico nei confronti di un altro
Paese.
L’India,
di fatto, da più di sedici mesi sta esercitando questo ricatto e l’Italia
dimostra giorno dopo giorno di non essere in grado di contrastarlo preferendo
ancora una volta la strada del compromesso e dell’accondiscendenza. Un’Italia
che a marzo ha consentito a Delhi di minacciare l’arresto del nostro Ambasciatore pur non avendo motivi legali per farlo e di impedirgli di
fare ritorno nel proprio Paese forzandone ogni diritto.
L’Italia ha accettato tutto questo e sta continuando
a subire una palese prevaricazione della propria sovranità.
Il tutto mentre il dott. De Mistura,
rappresentante del Governo delegato a gestire la vicenda, diventato un
“pendolare con l’India” , non ritiene,
come atto di rispetto nei confronti degli italiani, di informare l’opinione pubblica sui
risultati della “Sua intensa azione di negoziati” a favore di due cittadini
italiani. (http://fernandotermentini.blogspot.it/2013/06/lindia-calpesta-i-diritti-internazionali.html).
Al fine di chiarire ulteriormente i contorni dell'intricata vicenda, si ritiene necessario focalizzare l'attenzione dugli attori individuali indiani che, in base alle nostre unformazioni, appaiono come i maggiori responsabili del sequestro di persona che ha coinbolto i nostri due Marò illegalmente detenuti in India da ormai 19 Mesi
A titolo puramente informativo si segnala che
entrambi i politici fanno parte di un'antica comunità cristiana presente
in Kerala fin dai primordi del cristianesimo, che si ritiene emigrata
dalla Siria, e che oggi, benchè divisa in varie confessioni religiose,
continua a costituire in Kerala un gruppo etnico ben definito e
distinto.
19 Mesi.
Chandy ed Antony hanno costruito la rispettiva carriera
politica fornendosi costante reciproco supporto fin dai tempi in cui
rovesciarono con successo, prendendone il posto, la precedente
leadership del Partito del Congresso in Kerala.
Ora, tornando
alla vicenda che qui interessa, abbiamo già spiegato in diverse
occasioni come l'idea del sequestro dei militari italiani sarebbe nata
nella mente di Chandy il giorno successivo al presunto incidente in mare
tra l'Enrica Lexie ed il St. Anthony. Il 16 Febbraio 2012 infatti il
primo ministro del Kerala si ritrovò con una nave italiana ancorata in
porto, un governo italiano fin dall'inizio in posizione servile ed
incapace di elaborare una risposta adeguata a quanto stava avvenendo ed
una nave greca (presunta responsabile dell'incidente che ha coinvolto il
peschereccio indiano St. Anthony) ormai lontana ed in acque
internazionali.
E' a quel punto che il primo ministro del Kerala si
rende conto che gli 'italiani' potevano rappresentare la vera occasione
d'oro da strumentalizzare al meglio per vincere le imminenti elezioni
locali che altrimenti avrebbe rischiato di perdere. Questa è la ragione
per cui, in altri articoli, abbiamo definito il sequestro di Girone e
Latorre come un sequestro di persona in primo luogo 'politico'.
L'aspetto 'estorsivo' del sequestro sarebbe stato dunque solo
secondario, benchè molto utile nel 'convincere' i pescatori del St.
Anthony, la cui complicità Chandy avrebbe in questo modo comprato non
solo in grazia della sua autorità, ma offrendo loro anche sostanziose
ragioni di 'opportunità' economica.
Poiché la polizia del Kerala
che avrebbe dovuto svolgere le indagini risponde direttamente a Chandy,
il primo ministro ritenne subito che non avrebbe avuto problemi a
manipolare le indagini nella direzione desiderata. Perciò, per prima
cosa, la scelta fu di serrare i ranghi con il capo della polizia dando
disposizioni affinchè si rimediasse immediatamente ad alcuni 'errori'
già commessi nella confusione della notte dell'incidente e che avrebbero
potuto inficiare il progetto criminale.
Tra questi i due 'errori'
principali, a cui si cerca subito di porre rimedio facendo sparire dalla
circolazione la documentazione originale (sfortunatamente per Chandy ai
tempi di internet niente sparisce davvero completamente e da pochi mesi
tutto quanto si era provato a nascondere è finalmente stato riportato
alla luce) sostituendola con prove artefatte, sono:
- il video con
l'intervista rilasciata al momento dell'arrivo a terra dal proprietario
del peschereccio St. Anthony, Freddy Bosco, in cui lo stesso dichiara,
anche in presenza di un poliziotto, che l'incidente che vede coinvolto
il peschereccio è avvenuto alle 21.30, riaffermando con decisione
l'orario anche a seguito dell'osservazione di un cronista che gli
chiedeva conferma se non fosse avvenuto piuttosto alle 5 del pomeriggio
(orario dell'incontro con i pirati denunciato dalla Enrica Lexie – vedi
la parte finale del video http://www.youtube.com/watch?v=Ya48kLyjyB4);
-
l'autopsia condotta da un certo dott. Sasikala che aveva certificato
che il proiettile che aveva ucciso uno dei pescatori aveva un calibro
assolutamente incompatibile con le armi in dotazione ai soldati
italiani. Il dott. Sasikala, immediatamente dopo aver reso noto i
risultati di quell'autopsia, fu raggiunto da un'ingiunzione, da lui
ovviamente rispettata, a non parlare più in alcun modo del caso.
L'intervento
di Chandy e le azioni della polizia del Kerala tese a far apparire i
due marò colpevoli non sarebbero però stati sufficienti a dirottare le
indagini nella direzione voluta, senza la fondamentale complicità della
Guardia Costiera Indiana.
La Guardia Costiera Indiana, sospettando
l'esistenza di un possibile collegamento tra l'incidente riportato
dall'Enrica Lexie e quello riportato molto più tardi dal St. Anthony, la
sera del 15 Febbraio aveva infatti giocato d'astuzia richiamando nel
porto di Kochi l'Enrica Lexie, che navigava in acque internazionali e
nulla sapeva di quanto avvenuto ad un peschereccio indiano nelle
vicinanze, con la scusa di fornire cooperazione nelle indagini
anti-pirateria.
Chandy aveva bisogno che le relazioni della Guardia
Costiera Indiana su quanto avvenuto fossero in linea con la narrazione
artefatta della storia che la polizia del Kerala sotto la sua guida
stava 'riscrivendo' ed aveva quindi necessità del pieno e complice
sostegno da parte del livello politico più alto a cui fa capo la Guardia
Costiera Indiana, cioè il ministro della Difesa.
Caso ha voluto che
il ministro della Difesa in carica fosse in quel momento proprio
l'amico, l'alleato, il mentore politico di lunga data di Chandy, A.K.
Antony, che fin dal 16 Febbraio 2012 ed in più occasioni
successivamente, e per tutta la durata del sequestro ancora in corso,
avrebbe quindi giocato senza esitazioni da dietro le quinte il ruolo
della 'longa manus' di Chandy a Delhi.
La falsa ricostruzione
degli avvenimenti da parte della Guardia Costiera Indiana appare, se
possibile, ancora più clamorosa delle false dichiarazioni rese in un
secondo momento da Freddy Bosco e dai pescatori indiani e delle prove
balistiche artefatte (ampiamente fatte filtrare attraverso la stampa, ma
mai pubblicate ufficialmente) in quanto il falso proverrebbe
direttamente da una istituzione come le Forze Armate Indiane (o almeno
una sua branchia).
Ricordiamo
di nuovo per inciso a chi ci legge che,
poiché vi erano ben oltre 5 ore di differenza tra il tentativo di
abbordaggio da parte di una barca pirata subito dall'Enrica Lexie e
l'incidente che aveva coinvolto il peschereccio indiano, tanto la
polizia del Kerala che la Guardia Costiera Indiana avevano a quel punto
bisogno di: chiudere in un cassetto e tenere nascosto al pubblico
(arrivando fino a negare che un tale incidente fosse mai avvenuto) il
rapporto inviato dalla nave greca Olympic Flair all'Organizzazione
Marittima Internazionale alle 22.20 della sera del 15 Febbraio 2012, e
relativo all'incidente occorsole al largo delle coste del Kerala, che
descrive un incidente assai più compatibile per orari e modalità con
quello inizialmente denunciato dallo stesso Freddy Bosco ; 'anticipare'
gli eventi della giornata che vedono coinvolta la Guardia Costiera
Indiana.
Da
un lato allora Freddie Bosco e gli altri pescatori non si fanno
problemi (benchè ricchi risarcimenti provenienti dall'Italia tanto per
le famiglie delle vittime del St. Anthony che per i pescatori fossero
già in discussione sia per l'inveterata abitudine italiana a pagare
riscatti in base a considerazione cosiddette umanitarie sia per
l'assoluta inettitudine mostrata nel gestire il caso) a cambiare la loro
versione originale dei fatti modificandola secondo le indicazioni della
polizia del Kerala.
Quindi: l'orario dell'incidente da intorno alle
21.30 viene ricollocato all'orario in cui l'Enrica Lexie aveva respinto
l'attacco dei pirati; la località dove l'incidente sarebbe avvenuto
da 'ben all'interno delle acque territoriali indiane', cioè meno di 12
miglia della costa, viene ricollocato nello stesso luogo in cui l'Enrica
Lexie aveva registrato il suo incontro con i pirati, cioè oltre 20
miglia al largo; la dinamica dell' incidente stesso viene stravolta,
poiché che tutti i pescatori dormissero come da prima versione era assai
probabile con l'orario dell'incidente posto alle 21.30 quando al largo
del Kerala era già notte fonda, ma assai meno probabile con l'orario
dell'incidente posto alle 17.00.
D'altro lato, sotto quella che a
questo punto riteniamo la guida di Antony, la Guardia Costiera Indiana
si inventa invece di sana pianta una ricostruzione assolutamente
fantasiosa delle azioni intraprese in quel fatidico 15 Febbraio 2012. In
tale ricostruzione, pubblicata anche sul bollettino ufficiale della
Guardia Costiera del Giugno 2012, con un linguaggio propagandistico
degno più che di una democrazia di un regime militare assoluto e teso
fino al limite del ridicolo a glorificare la forza e l'efficienza delle
forze armate indiane, si dichiara che le navi militari indiane fossero
già in azione alle 19.00 per intercettare l'Enrica Lexie.
Peccato si sia
ora scoperto, sulla base dei documenti a nostra disposizione, che il
primo messaggio inviato dalla Guardia Costiera Indiana all'Enrica Lexie
con la richiesta di rientrare a Kochi porti l'orario delle 21.36 (cioè
un orario di pochi minuti successivi a quello in cui il St.Anthony aveva
avvisato a terra via radiotelefono dell'incidente appena occorso) e
quindi la ricostruzione fatta dalla Guardia Costiera Indiana risulti
inventata di sana pianta per fini ora assai più chiari.
Ma la
presunta azione di copertura operata da Anthony a favore di Chandy non
si limita certo alla sola manipolazione delle prove.
Se infatti in
Kerala, anche per la pressione esercitata dalle potenti organizzazioni
dei pescatori, sono quasi inesistenti le voci che si levano a sollevare
dubbi sull'operato di Chandy, che tra l'altro si muove senza scrupolo
alcuno tanto quando si tratta di elargire ricompense a chi si fosse
messo al suo servizio (per esempio, il capo della polizia che ha
costruito il falso caso contro i marò viene immediatamente promosso a
ben più importante incarico al termine delle indagine), che quando si
tratta di lanciare una campagna mediatica senza precedenti contro 'i
marò italiani assassini', pur in assenza di qualsiasi prova o processo,
qualche ostacolo naturalmente sorge a New Delhi.
E qui il presunto
ruolo giocato dietro le quinte da Antony per coprire le spalle all'amico
Chandy diviene assolutamente fondamentale.
E' così dunque che
l'avvocato dello Stato inizialmente incaricato a Delhi di seguire la
vicenda, avvocato che davanti alla Corte Suprema indiana aveva affermato
senza mezzi termini che quanto stava avvenendo in Kerala con il
sequestro della nave e dei militari italiani fosse del tutto illegale,
viene da un giorno con l'altro sostituito con un altro avvocato pronto
docilmente a seguire le direttive politiche del clan del Kerala.
Per
meglio comprendere l'importanza del ruolo di Antony va ricordato che
egli non è solo il ministro della difesa nel presente governo di
coalizione indiano, ma è a tutti gli effetti il numero due del governo
in termini di autorità dopo il primo ministro Manmohan Singh. Il primo
ministro Singh fin dall'inizio di questa legislatura è impegnato a
tenere insieme un governo di coalizione che litiga su tutto, è
invischiato in uno scandalo dopo l'altro, è disprezzato da gran parte
dell'opinione pubblica ed è considerato debolissimo in politica estera.
Insomma, una situazione in cui è assai facile per Antony dirottare la
politica estera indiana per quello che ritiene un tornaconto personale e
del proprio clan politico. L'abilità politica di Antony d'altra parte è
ben conosciuta in India.
Nel 2012 l'Indian Express l'ha collocato tra i
10 più potenti indiani dell'anno. Inoltre, come ha scritto un lettore
del Times of India del Kerala che dichiara di averlo conosciuto bene fin
dalla gioventù, Antony è 'ben felice dell'aurea di incorruttibilità che
lo circonda, ma in realtà la cosa che lo rende veramente felice è
l'essere circondato da una classe politica corrottissima ed inetta che
riesce così a manovrare facilmente e permette a lui di brillare e
muoversi da statista pur con ben pochi meriti reali'. Insomma, Antony è
descritto come un esperto manipolatore politico.
A riprova di
quanto appena detto, nella difficile partita politica e diplomatica che
si svolge a Delhi fin dall'inizio sul caso dei marò, non è tanto Antony
che si espone in prima persona a copertura degli atti criminosi di
Chandy, ma è lui che si ritiene svolga il ruolo da regista utilizzando
di volta in volta assai meno brillanti e più controversi colleghi.
Dall'inizio
della vicenda, e per i primi mesi seguenti, Antony 'invia in prima
linea' a protezione dell'operato di Chandy il poco brillante
ottuagenario ministro degli Esteri S.M. Krishna, lo stesso ministro che
ha fatto ridere il mondo intero quando davanti all'assemblea dell'ONU si
è messo a leggere il discorso del ministro portoghese anziché il
proprio, continuando a lungo a leggere senza accorgersi del clamoroso
errore che stava commettendo.
Una volta sostituito nel governo
indiano l'inadeguato ministro Krishna con il più accorto e capace
ministro degli Esteri Salman Kurshid (che in un paese come l'India
soffre comunque di una sua personale 'debolezza' politica intrinseca
derivante dall'appartenere alla minoranza musulmana), è presumibilmente
sempre Antony che, al fine di mettere i bastoni tra le ruote all'azione
diplomatica di Kurshid tesa a trovare una soluzione ad un caso che
danneggia la reputazione dell'India non solo nei confronti dell'Italia,
ma anche dell'Europa e di altri paesi alleati, non esita ad utilizzare: una
prima volta l'ex ministro della giustizia Ashwani Kumar che solleva un
incredibile polverone su una questione in gran parte teorica con la
critica al ministro Kurshid per la sua 'garanzia' offerta all'Italia,
con richiamo a pareri legali e ad una giurisprudenza consolidata, sul
fatto che i marò italiani in India non avrebbero rischiato la pena di
morte in caso di condanna (Kumar è stato da qualche mese rimosso da
ministro della Giustizia a causa di uno dei tanti scandali che hanno
colpito il governo); una seconda volta il criticatissimo ministro
degli interni Sushilkumar Shinde (anche lui ministro assai controverso
per varie gaffe, affermazioni imbarazzanti e coinvolgimento in scandali)
che è riuscito a provocare e ridicolizzare una volta di più la
controparte italiana.
L'Italia aveva infatti (vergognosamente, per le
modalità in cui la cosa è avvenuta, ma poiché gli 'attori' italiani non
sono il focus del presente articolo, non approfondiremo, ma ci
limiteremo solo ad un breve accenno a loro nel prossimo paragrafo)
deciso di far rientrare i marò in India anche dietro promessa da parte
di Kurshid di una 'rapida ed equa' conclusione positiva di tutta la
vicenda. Invece con la decisione, presa in contrasto con il ministro
degli Esteri, di coinvolgere l'agenzia anti-terrorismo - la NIA - nelle
indagini, anziché la polizia ordinaria – CBI -, Shinde ha in un colpo
solo di fatto ottenuto di allungare nuovamente i tempi della vicenda, ha
messo in imbarazzo il collega Kurshid ed ha perpetrato l'ennesimo
sgarbo all'Italia, perchè chiunque capisce che la polizia
anti-terrorismo nulla ed in nessun caso avrebbe dovuto avere logicamente
a che fare con la vicenda dei marò.
Terminata questa carrellata
che ha provate a mettere a fuoco alcune importanti dinamiche di politica
interna indiana, per inciso, ci preme osservare che davvero non ci si
capacita di come un immenso esercito di persone che in Italia hanno
seguito la vicenda, esercito formato da innumerevoli politici italiani,
inviati più o meno speciali, diplomatici esperti e meno, gerarchie
militari, burocrati dei ministeri di esteri e difesa, giornalisti,
stuoli di avvocati (italiani ed indiani), tutti tanto profumatamente
quanto eccessivamente pagati, siano riusciti a non capire nulla delle
dinamiche qui descitte che appaiono aver condizionato e continuano a
condizionare il caso farsesco e tragico dei due marò. Su di loro e sui
loro vergognosi errori e fallimenti che proseguono da oltre 18 mesi
potremmo scrivere un nuovo trattato sul significato e le conseguenze
dell'incompetenza in politica e nelle pubbliche istituzioni.
Poiché ciò
va però oltre gli obiettivi di questo articolo, vorremmo qui solo
esprimere il desiderio che, una volta rientrati in Italia i due marò, la
magistratura italiana seriamente si occupasse del caso e prendesse in
seria considerazione le varie denunce che ci risultano già presentate da
parte di alcuni cittadini, tra l'altro anche per gravissime violazione
dei diritti costituzionali di Salvatore Girone e Massimiliano Latorre,
nei confronti di politici quali Giorgio Napolitano, Mario Monti e altri.
Naturalmente
ci piacerebbe anche che siano una buona volta i cittadini elettori
italiani a pretendere che tutti coloro che hanno contribuito a questa
figuraccia internazionale, qualora colpevoli non tanto di crimini, ma
solo di assoluta incompetenza, lascino i rispettivi incarichi pubblici
per cui non sono evidentemente qualificati e si dedichino ad altro
mestiere così da poter finalmente offrire un qualche contributo positivo
alla società italiana.
Perchè se per il popolo indiano non dovrebbe
essere accettabile che un clan politico con alla testa due soli uomini,
per quanto potenti, possa riuscire a manipolare con successo l'esito di
una tornata elettorale e di conseguenza l'intero processo democratico di
uno Stato importante quale il Kerala e possa impadronirsi e gestire
come cosa privata una vicenda di politica estera che avrà durature e
negative conseguenze sull'immagine dell'India nel mondo, così per il
popolo italiano non dovrebbe certamente essere ammissibile che una
intera classe politica, una classe militare e le istituzioni tutte si
dimostrino così inadeguate ed incapaci da non riuscire neppure a
comprendere quanto succede loro intorno e si facciano umiliare in questo
modo dall'azione criminale del medesimo clan politico.
In
conclusione, ora che speriamo di avere una volta di più messo a fuoco il
ruolo che ha presumibilmente giocato un gruppo ristretto di politici
indiani senza scrupoli, disonesti e manipolatori nell'odissea di
Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, riteniamo che, dopo mesi di
inspiegabile letargo, una urgente ripresa di iniziativa politica da
parte italiana già nei prossimi giorni sia assolutamente necessaria.
Anche
perchè lo stesso sistema giudiziario indiano sul caso di Salvatore
Girone e Massimiliano Latorre ha già bruciato buona parte della sua
reputazione (magari un giorno pubblicheremo una più approfondita analisi
sull'inconcludente e 'non equo' procedimento giudiziario che ha
accompagnato in India in parallelo il dipanarsi del caso tutto politico
dei due marò) e non è quindi certamente più nella condizione di
garantire oggi quella 'equità' spesso a vanvera sbandierata da politici
di entrambi i paesi e risultata assente per oltre 18 mesi.
Questa
urgente ripresa di iniziativa politica dovrà finalmente contemplare, in
assenza di un veloce rientro dei due marò in Italia, anche la
possibilità di intraprendere un'azione di forte denuncia e condanna in
sede internazionale delle numerose azioni illegali e degli abusi
commessi dall'India in tutta questa vicenda (https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?hc_location=timeline).