Quanto importi alla classe politica italiana di Salvatore Girone e
Massimiliano Latorre lo hanno dimostrato due anni di silenzi, figuracce e
tradimenti ma lo dimostra chiaramente in questi giorni anche la caduta
pilotata del governo Letta e la sua sostituzione a tavolino con il
premierato di Matteo Renzi a poche ore dalla (prevista) decisione della
Corte Suprema indiana circa l’incriminazione dei due fucilieri di Marina
in base alla legge anti-pirateria e anti-terrorismo SUA Act. Se venisse
approvato l’atto d’accusa le reazioni del premier e dei ministri e
funzionari preposti a seguire il caso (Emma Bonino, Mario Mauro e
Staffan De Mistura) risulterebbero ulteriormente indebolite dalla
scadenza del loro incarico. Una vulnerabilità di cui Enrico Letta sembra
essere consapevole come dimostra la nota di Palazzo Chigi di questa
mattina, poco prima delle dimissioni del premier. “Voglio ribadire i
miei sentimenti di vicinanza a Salvatore Girone e Massimiliano Latorre e
alle loro famiglie. Sono certo che l’impegno delle istituzioni italiane
e dell’Italia intera continuerà con determinazione fino alla soluzione
della vicenda” si legge nella nota. Con un minimo di buon senso si
poteva attendere il pronunciamento della Corte Suprema prima di cambiare
governo, il terzo a dover gestire il “caso marò” da quando la vicenda
prese il via il 15 febbraio 2012.
A questo proposito gli elementi di riflessione vanno ben al di là della
vicenda dei marò. Il governo Letta, nato dalle larghe intese raggiunte
dopo le elezioni dell’anno scorso, smobilita per far entrare a Palazzo
Chigi un premier che ha vinto solo le elezioni a sindaco della sua città
e le primarie del suo partito e porta nei diversi ministeri i suoi
fedelissimi. Il tutto deciso in stile sovietico dal “comitato centrale”
del PD senza chiedere il permesso e il parere agli italiani ma con il
via libera (a quanto sembra) di quasi tutti i partiti i cui eletti
sembrano ben lieti di conservare la poltrona invece di rimetterla in
gioco alle urne. Niente male per l’uomo che dovrebbe portare una ventata
di rinnovamento nella politica. Di questo passo basterà venire eletti
presidenti della bocciofila o rappresentanti di condominio per
pretendere incarichi governativi. Fa sorridere (ma di amarezza) che
pochi giorni or sono l’Italia si sia accodata alle dure critiche della
Ue al referendum svizzero sull’immigrazione, a conferma di come questa
Europa e questa Italia improntate con arroganza al dirigismo
verticistico abbiano un concetto di democrazia sempre più vago e
crescenti insofferenza e noncuranza per la volontà popolare.
Tornando alla vicenda dei marò non si può certo dire che il governa
Letta sia stato un fulmine di guerra anche se nelle ultime settimane ci
sono stati tardivi e spesso raffazzonati tentativi di alzare i toni con
Nuova Delhi. Iniziative che, perdonerete il cinismo, sono apparse
determinate non tanto da un rigurgito di dignità nazionale e
patriottismo quanto dal rischio che qualche forza politica potesse
sfruttare la vicenda in vista delle prossime elezioni europee e
comunali. Come interpretare l’iniziativa di inviare una delegazione
parlamentare (dopo due anni?) a Nuova Delhi se non con la necessità dei
principali partiti di non lasciare campo libero al M5S che per primo
aveva annunciato l’invio di propri parlamentari per avere chiarimenti
dal governo indiano? I gruppi parlamentari erano presi più dalla foga di
non concedere un vantaggio ai grillini che dalla volontà ferrea di
esercitare una formidabile pressione sulle istituzioni indiane, come
dimostra il fatto che il drappello italico giunto a Nuova Delhi ha
incontrato Latorre e Girone ma è stato ignorato dai “colleghi” indiani.
Sarebbe bastato pianificare per tempo la missione o almeno guardare il
calendario per scoprire che si sarebbero recati in India durante la
festa nazionale, giorno di vacanza anche per la politica. Inoltre non ci
volevano certo sagaci consiglieri diplomatici per intuire che con le
elezioni imminenti nessun deputato di Delhi avrebbe voluto rischiare di
essere tacciato di collusione con gli italiani (si pensi a quanti
problemi ha Sonia Gandhi per le sue origini) incontrando la delegazione
parlamentare guidata da Pierferdinando Casini. Non si può del resto dare
torto agli indiani forse preoccupati che dopo i numerosi e
rocamboleschi cambi di schieramento in Italia, Casini volesse allearsi
con il Partito del Congresso compromettendone le residue speranze di
vincere le elezioni. Battute a parte sembra incredibile che solo nelle
ultime tre settimane si sia compreso che nella vicenda dei due fucilieri
di Marina sono in gioco non solo gli interessi ma anche quel che resta
della credibilità nazionale e dopo due anni di immotivato e ridicolo
silenzio-stampa Roma ha persino autorizzato i marò a rispondere alle
domande dei giornalisti.
Pur contestando più volte la pretesa indiana di applicare le proprie
leggi l’Italia ha di fatto accettato da un pezzo la giurisdizione di
Delhi partecipando alle udienze con i suoi avvocati e presentando
ricorsi alla Corte Suprema. Eppure tutti i maggiori esperti di diritto
internazionale hanno sottolineato in più occasioni che i militari non
possono venire processati in Paesi stranieri per quanto compiuto durante
il servizio. Dell’operato di Latorre e Girone può essere chiesto conto
solo allo Stato italiano mentre i due marò, se hanno compiuto atti
illeciti, ne renderanno conto alle autorità giudiziarie italiane. Lo
sanno bene anche gli indiani che nel 2008 rimpatriarono dal Congo 12
ufficiali e 36 soldati del contingente di caschi blu, accusati di stupri
e rapimenti di donne e bambine congolesi costrette poi a prostituirsi
dentro le basi militari. Militari che in India hanno subito solo
sanzioni risibili ma che Nuova Delhi non ha certo lasciato alla mercé
del tribunale di Kinshasa. Roma ha però accettato l’abuso indiano di non
riconoscere l’immunità funzionale dei due marò, non ha voluto ricorrere
all’arbitrato internazionale (il ministro Mario Mauro ha proposto solo
oggi questa soluzione, nell’ultimo Consiglio dei ministri del governo
Letta) e nel marzo scorso ha persino riconsegnato all’India i due
sottufficiali in cambio di supposte e vaghe garanzie che non verrà loro
applicata la pena di morte. Perché una condanna a 10 o più anni di
reclusione verrebbe forse considerata accettabile o magari un
“successo”?
A parte le perizie balistiche corrette e sbianchettate, le testimonianze
contraddittorie e più volte rettificate dell’equipaggio del
peschereccio Saint Antony e tutti gli elementi del caso (inclusa
l’accoglienza affettuosa riservata loro l’anno scorso dal Presidente
della Repubblica) che inducono a ritenere Latorre e Girone innocenti
come ha sostenuto in più occasioni il ministro Mauro, resta inaudito
che Roma abbia accettato la metodologia processuale imposta da Delhi. Un
processo presso un “tribunale speciale” istituito dalla Corte Suprema e
dal governo indiano la cui valenza politica è dimostrata dai litigi tra
tre ministri (Esteri, Giustizia e Interni) circa la legge da applicare e
le imputazioni a da attribuire a carico di Latorre e Girone. Ma in
quale Paese dove sia vigente lo Stato di diritto sono i ministri, i
membri del governo, a stabilire le imputazioni nei tribunali?
Il 18 febbraio la Corte dovrebbe esprimersi circa la richiesta
dell’accusa di processare i nostri militari in base alla SUA Act,
ipotesi che ha fatto infuriare l’Italia che ritiene giustamente
inaccettabile l’equiparazione di suoi militari a pirati e terroristi.
Meglio non farsi illusioni circa le decisioni indiane anche se Delhi
sembra essersi imbrigliata nella sua stessa rete. Se processa due
militari in servizio anti-pirateria in base alla SUA Act si espone a
possibili ripercussioni internazionali perché oltre a non riconoscere
l’immunità funzionale di Latorre e Girone finirebbe per accusare
l’Italia di essere uno “stato canaglia” dedito a terrorismo e pirateria.
Il fatto che la pena di morte non venga richiesta imputando ai due
militari solo atti di violenza che prevedono una pena fino a dieci anni e
non l’omicidio non risolve certo la questione ma la rende ancor più
ridicola. Se si ritengono colpevoli perché non accusarli di omicidio per
i due pescatori uccisi? Se non lo sono che senso ha l’accusa di
violenze?
Il problema vero è che l’India non dispone di strumenti giuridici
diversi dalla SUA Acti per perseguire Latorre e Girone per un atto
accaduti fuori dalle acque territoriali. Per questo la Corte Suprema di
Delhi negò all’Alta Corte del Kerala la possibilità di giudicare i due
italiani imputabili solo attraverso la legge federale contro pirateria e
terrorismo con cui l’India si arrogò nel 2002 il diritto di perseguire
questi reati in tutta la Zona economica esclusiva che si estende fino a
200 miglia dalla costa. Se rinunciano all’imputazione in base alla SUA
Act gli indiani devono rilasciare Latorre e Girone ma applicando quella
legge si espongono alle critiche internazionali e alla possibilità che
Roma si rivolga a un tribunale internazionale. Nonostante in due anni
non sia riuscito a incriminarli, il governo indiano non può permettersi
però di prosciogliere Latorre e Girone perché rimedierebbe una
figuraccia che sul piano interno che avrebbe pesanti ripercussioni sulle
imminenti elezioni di maggio. Anche il rilascio di Latorre e Girone con
l’escamotage di un ritorno in Italia in attesa del processo, soluzione
chiesta a gran voce dall’Italia, verrebbe giudicato dall’opinione
pubblica un atto di debolezza da parte del Partito del Congresso o un
favore di Sonia Gandhi al suo Paese d’origine.
Per queste ragioni la vicenda rischia di protrarsi ancora a lungo ed è
meglio non contare troppo sul supporto internazionale. Il segretario
generale dell’Onu, Ban ki-mon non sembra entusiasta di farsi carico
della crisi e l’Italia non pare proprio avere gli attributi per dare
segnali forti ritirando immediatamente tutti i caschi blu presenti nelle
missioni dell’ONU. Al di là delle frasi di circostanza anche sui
nostri partner europei è meglio non fare troppo affidamento tenendo
conto che molti sono ben lieti di poter fare buoni affari con l’India
speculando sulla crisi tra Roma e Nuova Delhi che ha già determinato dal
2012 un crollo dell’interscambio commerciale dopo molti anni di
crescita. Per Latorre e Girone il rischio concreto e immediato è che il
tribunale pretenda la loro presenza in aula per poi farli arrestare e
tenerli in custodia per il periodo del processo. Un’ipotesi che va
scongiurata tenendo i due militari confinati nell’ambasciata di Delhi
oppure mobilitando gli opportuni apparati nazionali per cercare di farli
uscire clandestinamente dal Paese, con la conseguente rottura dei
rapporti con Nuova Delhi. Ammesso che qualcuno a Roma abbia gli ttributi
per firmare un ordine del genere.
Fonte: http://www.analisidifesa.it/
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