17 Gennaio 2014
Non c'è proprio niente da fare! I giornalisti italiani pare proprio che di questa pur complicata vicenda (come d'altra parte avviene per molte altre vicende, soprattutto in campo internazionale) riescano a capirci ben poco. Se poi chiamano in soccorso i cosiddetti esperti di diritto internazionale, come hanno in più occasioni fatto in questi ultimi giorni per esprimere valutazioni sul nuovo ricorso da parte italiana alla Corte Suprema indiana, si cade quasi sempre dalla padella nella brace e di questa storia si finisce con il capirne ancora meno. Come se nelle relazioni internazionali tra Paesi esistesse davvero altro diritto se non quello del più forte e del più scaltro!
Non c'è proprio niente da fare! I giornalisti italiani pare proprio che di questa pur complicata vicenda (come d'altra parte avviene per molte altre vicende, soprattutto in campo internazionale) riescano a capirci ben poco. Se poi chiamano in soccorso i cosiddetti esperti di diritto internazionale, come hanno in più occasioni fatto in questi ultimi giorni per esprimere valutazioni sul nuovo ricorso da parte italiana alla Corte Suprema indiana, si cade quasi sempre dalla padella nella brace e di questa storia si finisce con il capirne ancora meno. Come se nelle relazioni internazionali tra Paesi esistesse davvero altro diritto se non quello del più forte e del più scaltro!
Nella vicenda del sequestro dei nostri Marò per l'Italia tutti quelli degli avvocati e dei cosiddetti esperti di diritto internazionale sono stati fin dall'inizio costi a perdere. Non perché gli avvocati e gli esperti coinvolti fossero tecnicamente impreparati, ma perché tutte le decisioni prese sono state sempre e solo decisioni politiche (per quanto infiocchettate con dotti riferimenti normativi piegati alle circostanze) che hanno visto confrontarsi un Paese forte e scaltro (oltreché arrogante e prepotente) come l'India ed un Paese debole e stupido (nel senso di incapace di capire il contesto) come l'Italia. Ovviamente la stessa cosa accadrà anche in occasione della nuova decisione che nelle prossime settimane la Corte Suprema indiana si accinge a prendere sul caso dei nostri Marò.
E' da quando nel Giugno scorso abbiamo smascherato i falsi compiuti nelle indagini della polizia del Kerala e portato alla luce le numerose prove a sostegno dell'innocenza di Latorre e Girone che ripetiamo che si tratta solo di trovare la soluzione 'tecnica' (ovviamente supportata dalla volontà politica) per uscire da una vicenda che neppure l'India è da allora più in condizione di gestire come aveva immaginato. Purtroppo l'immobilità e la vigliaccheria del governo italiano da un lato, e la litigiosità interna, con la presenza di interessi contrapposti, di quello indiano dall'altro, hanno finora impedito che questa soluzione emergesse. Tuttavia l'ulteriore prolungamento di questa farsa non è ormai più sostenibile neppure per il governo indiano. Prendendo poi atto che anche in questa fase il governo italiano ha comunque scelto di perseguire la soluzione del caso mettendosi al totale servizio di quello indiano malgrado le ripetute umiliazioni subite, vediamo dunque di analizzare di seguito (in verità, in gran parte, ripetere) quali sono le tre principali ipotesi di soluzione del caso che con la nuova chiamata in causa della Corte Suprema abbiamo davanti a noi.
Preliminarmente è comunque doveroso ribadire che il ritorno alla Corte Suprema rappresenta da tempo l'unica soluzione ormai disponibile per provare a ritrovare un bandolo della matassa che nessuno da tempo ha più tra le mani. Lo scorso 21 Settembre scrivevamo: “Essendovi però una sentenza della Corte Suprema che questo processo lo impone, ecco spuntare l'idea al governo indiano di tornare proprio alla Corte Suprema stessa per cercare di uscire assieme dall'imbuto in cui tanto la politica che la magistratura indiana si sono infilate con le proprie mani e trovare una nuova 'soluzione' che risparmi all'India una vergogna internazionale. (omissis) Il ritorno davanti alla Corte Suprema indiana sarebbe in verità un'opportunità anche per l'Italia”.
Poiché purtroppo il governo italiano questa soluzione più volte fatta
balenare dagli elementi più costruttivi presenti all'interno del governo
indiano sembrava proprio non essere in grado di intravederla, ci
immaginiamo che durante la recente ultima visita di De Mistura in India
sia stato lo stesso ministro degli esteri indiano (o chi per lui),
esasperato dall'insussistenza della controparte italiana, che abbia alla
fine scelto di afferrare l'imperturbabile De Mistura per il colletto
della camicia e gli abbia imposto sotto dettatura i contenuti di questo
benedetto nuovo ricorso ora presentato alla Corte Suprema.
Immaginiamo anche che ciò sia avvenuto il giorno in cui il comico involontario De Mistura, ancora sconvolto per l'epifania appena sperimentata nell'incontro con Kurshid (o chi per lui) e per la 'sottigliezza' e l''audacia' di un'iniziativa che a distanza di due anni l'Italia si accingeva per la prima volta ad intraprendere, nel successivo incontro con i giornalisti italiani abbia poi profferito le sue famose parole che 'in questa vicenda bisogna essere un po' come Macchiavelli'.
Scherzi a parte, le possibili vie d'uscita al pasticcio che la Corte Suprema indiana potrebbe considerare sono molteplici, ma qui ci concentreremo sulle tre che a noi appaiono maggiormente plausibili.
La prima strada che, va ricordato, è stata lasciata aperta dalla sentenza emessa nel Gennaio 2013 dal panel di giudici guidato dall'allora presidente della Corte Suprema Kabir (ora in pensione), è quella della giurisdizione del processo in quanto tale sentenza non aveva in realtà sciolto in modo definitivo la questione, affermando invece che una tale decisione avrebbe dovuto essere presa dalla nuova Corte Speciale costituita ad hoc e presso cui il governo italiano sarebbe stato libero di far valere le proprie ragioni. Una sentenza non solo scellerata, ma soprattutto pilatesca e tutta politica quella emessa sotto la guida di Kabir che in sostanza decideva di non decidere e che aveva come scopo principale quello di allontanare da sé il dover prendere una decisione impopolare. Ma che comunque lascia oggi ancora aperto questo importante spiraglio che la Corte Suprema indiana potrebbe tornare ad utilizzare.
Una seconda strada l'aveva sempre suggerita quasi sotto voce il solito ministro degli esteri indiano Kurshid (che se anziché essere impiegato da Team India si fosse trovato a lavorare per Team Italia avrebbe riportato Latorre e Girone in Italia già due anni fa nel giro di pochi giorni come è riuscito a fare di recente con l'assistente d'ambasciata indiana Khobragade finita sotto processo negli Stati Uniti).
Anche questa strada noi l'avevamo chiaramente indicata nel nostro articolo del 28 Ottobre scorso quando scrivevamo: “Cosa ha detto recentemente di importante Kurshid? La traduzione delle sue parole, che riportiamo nel modo più letterale possibile, è la seguente: ““Questa (la vicenda dei marò) è materia penale ed in materia penale accordi extra-giudiziari tra le parti non sono possibili. In materia penale solo una corte di tribunale può ordinare, sulla base delle accuse e di altre considerazioni, la ricerca di un accordo extra-giudiziario”. Ricordiamo per inciso che quello di prendere l'iniziativa per ritornare con coraggio e schiena dritta alla Corte Suprema indiana è un auspicio che abbiamo formulato da tempo, ma che purtroppo è rimasto del tutto inascoltato. “ Questa seconda possibile via d'uscita è rappresentata così chiaramente dalle parole di Kurshid che ogni altra spiegazione ci sembra superflua.
La terza strada è che la Corte Suprema opti per ritornare a quello che sarebbe stato il modus operandi che l'India aveva scelto di percorrere per disinnescare la vicenda dopo la sentenza dello scorso Gennaio.
La Corte Suprema indiana infatti era ben consapevole di aver emesso una sentenza 'porcata' nei confronti di Latorre e Girone. Visto che però l'Italia aveva già accettato ogni tipo di umiliazione ed aveva accettato che l'India facesse il bello ed il cattivo tempo con due propri soldati senza mai accennare alla benché minima ritorsione, mai si sarebbe aspettata che tutto d'un tratto l'Italia si lanciasse in un'operazione così discutibile, confusa e suicida come quella di annunciare di trattenere i Marò in Italia, salvo poi fare la più umiliante delle marce indietro che ha lasciato esterefatto il mondo intero. Quello che l'India pensava di fare, in altre parole, nel Gennaio-Febbraio 2013 era di far fare qualche viaggetto avanti ed indietro tra India ed Italia a Latorre e Girone lasciando che le nuove indagini si perdessero negli infiniti meandri della giustizia indiana, mentre l'opinione pubblica indiana poco alla volta perdeva cognizione di dove si trovassero effettivamente i due fucilieri di marina. Una soluzione poco trasparente, lontano dai riflettori, pensata sulla base del fatto che negli undici mesi trascorsi era ormai risultato evidente che l'India poteva permettersi di fare ciò che voleva e di trovare quindi la soluzione a lei più congeniale, mentre un'Italia inginocchiata avrebbe accettato qualsiasi cosa. Non si spiega altrimenti infatti l'attribuzione di una licenza di ben quattro settimane concessa a Latorre e Girone nel Febbraio 2013, mentre le nuove indagini sul caso ordinate dalla Corte Suprema non venivano neppure fatte partire.
A quel punto però accadde l'inimmaginabile. Va infatti qui ricordato incidentalmente che il nuovo 8 Settembre italiano di cui si sono resi protagonisti il presidente Napolitano, l'attuale senatore (della vergogna) a vita Monti e quasi tutti i ministri del governo tecnico allora in carica (in quanto la spinta per tutelare i più svariati interessi economici con l'India a scapito dei poveri Latorre e Girone sembra aver coinvolto oltre ai tristemente famosi Terzi, Di Paola e De Mistura numerosi ministri e vice-ministri, nonché altri esponenti politici dell'estrazione più varia), cambiò radicalmente l'atteggiamento indiano che, al rientro dei nostri Marò al termine delle famose quattro settimane di licenza, decise di fare pagare duro il tentato 'sgarbo' italiano e far pagare tutta l'incapacità e la vigliaccheria della classe politica italiana alle vittime sacrificali nelle loro mani Latorre e Girone.
Immaginiamo anche che ciò sia avvenuto il giorno in cui il comico involontario De Mistura, ancora sconvolto per l'epifania appena sperimentata nell'incontro con Kurshid (o chi per lui) e per la 'sottigliezza' e l''audacia' di un'iniziativa che a distanza di due anni l'Italia si accingeva per la prima volta ad intraprendere, nel successivo incontro con i giornalisti italiani abbia poi profferito le sue famose parole che 'in questa vicenda bisogna essere un po' come Macchiavelli'.
Scherzi a parte, le possibili vie d'uscita al pasticcio che la Corte Suprema indiana potrebbe considerare sono molteplici, ma qui ci concentreremo sulle tre che a noi appaiono maggiormente plausibili.
La prima strada che, va ricordato, è stata lasciata aperta dalla sentenza emessa nel Gennaio 2013 dal panel di giudici guidato dall'allora presidente della Corte Suprema Kabir (ora in pensione), è quella della giurisdizione del processo in quanto tale sentenza non aveva in realtà sciolto in modo definitivo la questione, affermando invece che una tale decisione avrebbe dovuto essere presa dalla nuova Corte Speciale costituita ad hoc e presso cui il governo italiano sarebbe stato libero di far valere le proprie ragioni. Una sentenza non solo scellerata, ma soprattutto pilatesca e tutta politica quella emessa sotto la guida di Kabir che in sostanza decideva di non decidere e che aveva come scopo principale quello di allontanare da sé il dover prendere una decisione impopolare. Ma che comunque lascia oggi ancora aperto questo importante spiraglio che la Corte Suprema indiana potrebbe tornare ad utilizzare.
Una seconda strada l'aveva sempre suggerita quasi sotto voce il solito ministro degli esteri indiano Kurshid (che se anziché essere impiegato da Team India si fosse trovato a lavorare per Team Italia avrebbe riportato Latorre e Girone in Italia già due anni fa nel giro di pochi giorni come è riuscito a fare di recente con l'assistente d'ambasciata indiana Khobragade finita sotto processo negli Stati Uniti).
Anche questa strada noi l'avevamo chiaramente indicata nel nostro articolo del 28 Ottobre scorso quando scrivevamo: “Cosa ha detto recentemente di importante Kurshid? La traduzione delle sue parole, che riportiamo nel modo più letterale possibile, è la seguente: ““Questa (la vicenda dei marò) è materia penale ed in materia penale accordi extra-giudiziari tra le parti non sono possibili. In materia penale solo una corte di tribunale può ordinare, sulla base delle accuse e di altre considerazioni, la ricerca di un accordo extra-giudiziario”. Ricordiamo per inciso che quello di prendere l'iniziativa per ritornare con coraggio e schiena dritta alla Corte Suprema indiana è un auspicio che abbiamo formulato da tempo, ma che purtroppo è rimasto del tutto inascoltato. “ Questa seconda possibile via d'uscita è rappresentata così chiaramente dalle parole di Kurshid che ogni altra spiegazione ci sembra superflua.
La terza strada è che la Corte Suprema opti per ritornare a quello che sarebbe stato il modus operandi che l'India aveva scelto di percorrere per disinnescare la vicenda dopo la sentenza dello scorso Gennaio.
La Corte Suprema indiana infatti era ben consapevole di aver emesso una sentenza 'porcata' nei confronti di Latorre e Girone. Visto che però l'Italia aveva già accettato ogni tipo di umiliazione ed aveva accettato che l'India facesse il bello ed il cattivo tempo con due propri soldati senza mai accennare alla benché minima ritorsione, mai si sarebbe aspettata che tutto d'un tratto l'Italia si lanciasse in un'operazione così discutibile, confusa e suicida come quella di annunciare di trattenere i Marò in Italia, salvo poi fare la più umiliante delle marce indietro che ha lasciato esterefatto il mondo intero. Quello che l'India pensava di fare, in altre parole, nel Gennaio-Febbraio 2013 era di far fare qualche viaggetto avanti ed indietro tra India ed Italia a Latorre e Girone lasciando che le nuove indagini si perdessero negli infiniti meandri della giustizia indiana, mentre l'opinione pubblica indiana poco alla volta perdeva cognizione di dove si trovassero effettivamente i due fucilieri di marina. Una soluzione poco trasparente, lontano dai riflettori, pensata sulla base del fatto che negli undici mesi trascorsi era ormai risultato evidente che l'India poteva permettersi di fare ciò che voleva e di trovare quindi la soluzione a lei più congeniale, mentre un'Italia inginocchiata avrebbe accettato qualsiasi cosa. Non si spiega altrimenti infatti l'attribuzione di una licenza di ben quattro settimane concessa a Latorre e Girone nel Febbraio 2013, mentre le nuove indagini sul caso ordinate dalla Corte Suprema non venivano neppure fatte partire.
A quel punto però accadde l'inimmaginabile. Va infatti qui ricordato incidentalmente che il nuovo 8 Settembre italiano di cui si sono resi protagonisti il presidente Napolitano, l'attuale senatore (della vergogna) a vita Monti e quasi tutti i ministri del governo tecnico allora in carica (in quanto la spinta per tutelare i più svariati interessi economici con l'India a scapito dei poveri Latorre e Girone sembra aver coinvolto oltre ai tristemente famosi Terzi, Di Paola e De Mistura numerosi ministri e vice-ministri, nonché altri esponenti politici dell'estrazione più varia), cambiò radicalmente l'atteggiamento indiano che, al rientro dei nostri Marò al termine delle famose quattro settimane di licenza, decise di fare pagare duro il tentato 'sgarbo' italiano e far pagare tutta l'incapacità e la vigliaccheria della classe politica italiana alle vittime sacrificali nelle loro mani Latorre e Girone.
Come scrivevamo il 3 Settembre scorso con riferimento alla
decisione assunta nell'Aprile 2013 di equiparare i soldati italiani a
dei potenziali terroristi: “Shinde ha in un colpo solo di fatto ottenuto
di allungare nuovamente i tempi della vicenda ed ha perpetrato
l'ennesimo sgarbo all'Italia, perché chiunque capisce che la polizia
anti-terrorismo nulla ed in nessun caso avrebbe dovuto avere logicamente
a che fare con la vicenda dei marò.” Ma in quel momento l'India
avrebbe letteralmente potuto fare quello che voleva dei due marò con
l'intero mondo rimasto a bocca aperta di fronte all'inimmaginabile nuova
Caporetto diplomatica italiana. E fu così che dei soldati italiani in
missione internazionale finirono con il venire accostati a dei
terroristi senza che nessuno al mondo se la sentisse di schierarsi dalla
parte della solita Italia da operetta. Tutto questo avveniva, va
ricordato, con il nuovo governo già insediato, con Letta, Bonino e Mauro
che, indifferenti all'attribuzione alla polizia anti-terrorismo delle
indagini sui nostri Marò, andavano raccontando la favo-letta che in
India si stava preparando nei confronti dei Marò un processo 'giusto' e
'veloce' e con il comico involontario De Mistura che ribadiva a più
riprese che l'India aveva grandemente apprezzato che l'Italia avesse
rispettato la parola data di far rientrare in India i Marò.
La parentesi NIA = Soldati Italiani equiparati a terroristi quindi è servita unicamente a far trascorrere nove mesi di detenzione aggiuntiva in India a Latorre e Girone come espiazione per l'incompetenza assoluta mostrata da chi governa l'Italia. Ora però la parentesi NIA è destinata ad essere verosimilmente chiusa dalla Corte Suprema perché, come scrivevamo il 2 Dicembre scorso “1) la 'richiesta di condanna a morte' che vorrebbe presentare la NIA non è compatibile con le assicurazioni date dal governo indiano a quello italiano;
2) lo statuto della NIA non è compatibile con lo svolgimento di un processo in un tribunale speciale così come stabilito dalla sentenza della Corte Suprema Indiana;
3) le fonti del diritto indiano individuate dalla stessa Corte Suprema per la celebrazione del processo (codice penale, codice di procedura penale, legge del mare ed Unclos) con l'esclusione però della SUA (soppressione degli atti di pirateria) minerebbero la legittimità stessa della NIA quale titolare delle indagini.”.
Dopo questo lungo inciso, che però ci è sembrato utile per far meglio capire perché ad un anno di distanza dalla prima sentenza della Corte Suprema ci si ritrovi ancora esattamente allo stesso punto, tornando alla terza strada che potrebbe imboccare la Corte Suprema per indirizzare il caso verso una sua conclusione, si può oggi ipotizzare che la Corte da un lato rivolga un rimprovero di facciata al governo indiano per il fatto che ad oltre un anno di distanza non si sia ancora arrivati a presentare dei capi d'imputazione contro i Marò, lo inviti a muoversi nel rispetto delle linee della precedente sentenza dell'Alta Corte (il che comporterebbe o l'avvio di nuovi indagini attraverso una diversa agenzia investigativa od una modifica dello statuto della NIA che permettesse a questa di operare senza dover fare riferimento alle norme anti-terrorismo), ma nel frattempo autorizzerebbe il rientro in Italia di Latorre e Girone in quanto nella sua precedente sentenza la Corte Suprema aveva stabilito che il processo avrebbe dovuto svolgersi con la massima speditezza sulla base di udienze giornalieri ed essere concluso entro un anno. In questo caso la via d'uscita sarebbe, come abbiamo già detto sopra, quella poco trasparente e lontano dalla luce dei riflettori di lasciare poi perdere l'inchiesta negli infiniti meandri della giustizia indiana con Latorre e Girone però finalmente autorizzati a rientrare in Italia.
A questo punto ci fermiamo perché visto il livello di complessità raggiunto dalla vicenda Marò, ogni nostro articolo finisce con il divenire assai più lungo di quanto inizialmente inteso a prescindere da quale sia l'angolatura che si utilizzi.
La parentesi NIA = Soldati Italiani equiparati a terroristi quindi è servita unicamente a far trascorrere nove mesi di detenzione aggiuntiva in India a Latorre e Girone come espiazione per l'incompetenza assoluta mostrata da chi governa l'Italia. Ora però la parentesi NIA è destinata ad essere verosimilmente chiusa dalla Corte Suprema perché, come scrivevamo il 2 Dicembre scorso “1) la 'richiesta di condanna a morte' che vorrebbe presentare la NIA non è compatibile con le assicurazioni date dal governo indiano a quello italiano;
2) lo statuto della NIA non è compatibile con lo svolgimento di un processo in un tribunale speciale così come stabilito dalla sentenza della Corte Suprema Indiana;
3) le fonti del diritto indiano individuate dalla stessa Corte Suprema per la celebrazione del processo (codice penale, codice di procedura penale, legge del mare ed Unclos) con l'esclusione però della SUA (soppressione degli atti di pirateria) minerebbero la legittimità stessa della NIA quale titolare delle indagini.”.
Dopo questo lungo inciso, che però ci è sembrato utile per far meglio capire perché ad un anno di distanza dalla prima sentenza della Corte Suprema ci si ritrovi ancora esattamente allo stesso punto, tornando alla terza strada che potrebbe imboccare la Corte Suprema per indirizzare il caso verso una sua conclusione, si può oggi ipotizzare che la Corte da un lato rivolga un rimprovero di facciata al governo indiano per il fatto che ad oltre un anno di distanza non si sia ancora arrivati a presentare dei capi d'imputazione contro i Marò, lo inviti a muoversi nel rispetto delle linee della precedente sentenza dell'Alta Corte (il che comporterebbe o l'avvio di nuovi indagini attraverso una diversa agenzia investigativa od una modifica dello statuto della NIA che permettesse a questa di operare senza dover fare riferimento alle norme anti-terrorismo), ma nel frattempo autorizzerebbe il rientro in Italia di Latorre e Girone in quanto nella sua precedente sentenza la Corte Suprema aveva stabilito che il processo avrebbe dovuto svolgersi con la massima speditezza sulla base di udienze giornalieri ed essere concluso entro un anno. In questo caso la via d'uscita sarebbe, come abbiamo già detto sopra, quella poco trasparente e lontano dalla luce dei riflettori di lasciare poi perdere l'inchiesta negli infiniti meandri della giustizia indiana con Latorre e Girone però finalmente autorizzati a rientrare in Italia.
A questo punto ci fermiamo perché visto il livello di complessità raggiunto dalla vicenda Marò, ogni nostro articolo finisce con il divenire assai più lungo di quanto inizialmente inteso a prescindere da quale sia l'angolatura che si utilizzi.
Vogliamo noi sostenere con questo articolo che una
soluzione a breve della vicenda che consenta il ritorno in Italia di
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è ormai assicurata? Questo non
ce la sentiamo ovviamente di affermarlo perché con la magistratura
indiana (come avviene in Italia) le sorprese sono sempre dietro l'angolo
come ben sa chiunque abbia avuto esperienze dirette con l'India, perché
interessi diversi all'interno del governo indiano continuano a
persistere e soprattutto perché il governo italiano continua comunque
vergognosamente a subordinare il destino di Latorre e Girone alla
salvaguardia degli interessi economici esistenti.
Ciò che ci rende
però ottimisti, rimanendo assodata l'irrilevanza dell'Italia, è il
fatto che sia oggi in primo luogo interesse dell'India trovare una via
d'uscita al caso che, una volta da noi portata alla luce l'innocenza di
Latorre e Girone, non può più passare attraverso il processo staliniano
condotto sulla base di prove false costruite a tavolino come era
intenzione fare nel periodo Marzo-Giugno 2013. Per quanto riguarda i
tempi prevedibili, visto che alle elezioni politiche indiane mancano
ormai meno di quattro mesi e che la Corte Suprema avrà bisogno di più
udienze per sentire le parti ed arrivare a nuove determinazioni …... il
conto è presto fatto.
Fonte: https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?hc_location=timeline
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