Vasta eco sulla stampa indiana ha suscitato il ricorso presentato
alla Corte Suprema dell’India a firma congiunta dell’ambasciatore
italiano a New Delhi Daniele Mancini e dei due Marò Massimiliano Latorre
e Salvatore Girone.
L’autorevole The Times of India di New Delhi spiega
la situazione in un articolo dal titolo “Italian marines urge SC to
close case against them”, cioè “I marines italiani sollecitano la Corte
Suprema a chiudere il caso contro di loro”, nel quale i ricorrenti
accusano gli inquirenti di non avere neanche dato inizio al processo,
sebbene i vertici della Corte avessero impartito giusto un anno fa
(sentenza del 18 gennaio 2013, ndr) chiare istruzioni perché si
conducesse un procedimento rapido e snello.
Inoltre, il quotidiano
riporta che i ricorrenti hanno anche richiesto la concessione del via
libera per l’immediato ritorno in Italia dei due Marò, i quali hanno
garantito la loro presenza in India per il processo, se e quando questo
verrà avviato. Secondo il ToI, l’ufficio del procuratore capo P.
Sathasivam che ha ricevuto il ricorso ha accordato un’udienza per
esaminarlo e discuterlo già per lunedì 20 gennaio, mentre la decisione
in merito alla sua ammissibilità dovrebbe avvenire entro il 26 gennaio,
cioè quattro giorni prima dell’udienza preliminare del processo per la
quale la NIA, l’agenzia antiterrorismo, ha già annunciato di non essere
in grado di produrre il documento istruttorio, lasciando intendere di
voler chiedere un ulteriore rinvio della fase iniziale del dibattimento.
La principale valenza della pubblicazione di queste notizie sugli
organi di stampa è quella di avere il merito di evidenziare tutte le
omissioni e l’insieme di atti arroganti ed arbitrari della NIA, che ha
disatteso tutte le indicazioni della Corte Suprema in merito al
procedimento ad essa affidato, perché si chiudessero le indagini e si
producesse una istruttoria conclusiva entro l’inizio della scorsa
estate. In particolare, oltre ai termini per arrivare alla conclusione
del caso, la NIA ha deliberatamente derogato dalla direttiva della Corte
perché eventuali reati dei Marò fossero valutati in un serie di
legislazioni accuratamente elencate, cioè quelle che riguardano le Acque
Territoriali, la Piattaforma Continentale, la legge del 1976 per la
Zona Commerciale Esclusiva e le altre Zone Marittime, il Codice Penale
dell’Unione Indiana, il Codice di Procedura Criminale e la normativa
internazionale UNCLOS, quella che se applicata avrebbe riconosciuto sul
caso Marò la competenza giurisdizionale dell’Italia, non dell’India. Per
evitare questo riconoscimento, la NIA ha deciso di sua spontanea
iniziativa di applicare la legge antiterrorismo del SUA Act 2002,
trattando i Marò alla stregua di infami ed avidi pirati che ammazzano e
depredano, meritevoli della pena capitale, come ha puntualmente
denunciato l’avvocato Diljeet Titus che ha materialmente depositato il
ricorso.
Questo documento, dopo aver lamentato il tentativo di far
trasferire la responsabilità della custodia dei Marò dalla Corte
Suprema, che ha disposto i domiciliari presso l’ambasciata italiana, al
tribunale giudicante, cioè in galera, precisa le motivazioni delle
richieste italiane, affermando che “alla luce dei pesanti ritardi, delle
inadempienze e degli errori procedurali dell’Unione Indiana
nell’attenersi pedissequamente alle precise indicazioni della Corte
Suprema, e persino della provata incapacità a produrre accuse o ad
avviare un procedimento, i due indagati dovrebbero essere sollevati da
ogni accusa a loro carico, od in subordine dovrebbe essere loro concesso
di rientrare in Italia sino a quando la loro presenza non sia ritenuta
necessaria da una corte indiana, ovvero che sia dato inizio ad un
regolare procedimento giudiziario nei loro confronti”.
Stessi contenuti sul popolarissimo The Hindustan Times, ma con
toni più polemici ed un titolo sarcastico con un gioco di
parole:”Italian marines want murder case killed”, cioè “I Marò italiani
vogliono per morto un caso di omicidio”, col quale mancano di
sottolineare la sete di giustizia che ha spinto i Marò a ricorrere,
sottintendendo perfidamente e subdolamente che invece i Marò si augurano
un colpo di spugna che cancelli la loro vicenda per sottrarsi alle
proprie responsabilità. Nel suo articolo, il quotidiano di Calcutta
riconosce però che giudicare per pirateria i due fucilieri del San
Marco, oltre a contravvenire esplicitamente a tutte le direttive
impartite dalla Corte Suprema, equivarrebbe a definire l’Italia uno
stato terrorista meritevole di essere incluso nella lista degli Stati
Canaglia, il che francamente sembra troppo persino al disincantato e
vagamente sciovinista giornale bengalese.
Spietato ed inquietante l’interrogativo posto sul sito
dell’agenzia d’informazione Zeenews of India che prende spunto dalle
proteste contro le inefficienze della giustizia indiana denunciate nel
ricorso dei Marò ed in altri casi giudiziari indiani: “Is Supreme Court
losing its moral authority? Lawyers wonder “, cioè “La Corte Suprema sta
perdendo la sua autorità morale? si interrogano i giuristi”, ovvero :
“Ma la Corte conta ancora?”. Questo è anche quanto si chiede il collegio
di difesa di Latorre e Girone di fronte alle inaudite e spontanee
iniziative della NIA prese contro ed in dispregio dell’autorità della
Corte Suprema. Zeenews attribuisce al governo italiano la decisione per
questa iniziativa “contro la decisione della NIA di invocare la legge
antiterrorismo per giudicare i Marò italiani, con ciò definendo l’Italia
un paese di terroristi ed agendo di propria iniziativa ed in modo
esattamente opposto a quello specificatamente ed inequivocabilmente
indicato dal massimo organo giudiziario dell’India”. Più chiari di così!
Un comportamento definito “indesiderabile” quello di inquirenti e
magistrati della NIA, così come quello di altri magistrati indiani in
molti altri procedimenti e duramente censurato da ex giudici della Corte
che denunciano questa “moda fuori legge” che sta prendendo piede in
India, con la costruzione di castelli accusatori basati su accuse delle
quali neanche si verifica veridicità e fondatezza. Dopo aver richiamato
la stampa ad osservare maggiore cautela nel riferire circa casi
giudiziari (i nostri Marò sono continuamente indicati come i killers dei
pescatori, non gli indagati o gli accusati per il duplice omicidio,
ndr), un giurista ha affermato :”Sono veramente contrariato dal danno
irreparabile che queste accuse (tipo quelle oggetto del ricorso dei
Marò, ndr) producono all’immagine delle istituzioni.
Se continuiamo ad
occuparci di casi giudiziari al di fuori delle regole giudiziarie ed i
media continuano ad essere incuranti del rispetto dei più fondamentali
principi costituzionali del diritto alla riservatezza e della
presunzione di innocenza (con l’applicazione della SUA i Marò sarebbero
ritenuti colpevoli, non innocenti, sino a prova contraria, ndr), allora
la Corte Suprema non sarà più in grado di mantenere quella dirittura
morale e quella autorità che sono essenziali in una democrazia”. A
questo richiamo l’associazione degli avvocati penalisti aggiunge una
raccomandazione buona anche per il caso dei Marò :”La stampa deve essere
più circospetta e concedere ai procedimenti giudiziari almeno il tempo
perché comincino a meglio delinearsi ed a definirsi prima di poter
tranciare dei giudizi di parte od avventate conclusioni……E’ nella natura
del ruolo del giudice esprimersi a favore di una parte o dell’altra, ma
è certo che ogni giudice (che agisce contravvenendo le regole, ndr) è
facilmente contrastabile e vulnerabile ad attacchi ben motivati”. Come
nel caso dei Marò. Staremo a vedere.
Fonte: http://www.qelsi.it/
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