sabato 18 gennaio 2014

Fa scalpore in India la ribellione dell’Italia: “Non siamo terroristi, Marò a casa”.


marò

Vasta eco sulla stampa indiana ha suscitato il ricorso presentato alla Corte Suprema dell’India a firma congiunta dell’ambasciatore italiano a New Delhi Daniele Mancini e dei due Marò Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. 

L’autorevole The Times of India di New Delhi spiega la situazione in un articolo dal titolo “Italian marines urge SC to close case against them”, cioè “I marines italiani sollecitano la Corte Suprema a chiudere il caso contro di loro”, nel quale i ricorrenti accusano gli inquirenti di non avere neanche dato inizio al processo, sebbene i vertici della Corte avessero impartito giusto un anno fa (sentenza del 18 gennaio 2013, ndr) chiare istruzioni perché si conducesse un procedimento rapido e snello. 

Inoltre, il quotidiano riporta che i ricorrenti hanno anche richiesto la concessione del via libera per l’immediato ritorno in Italia dei due Marò, i quali hanno garantito la loro presenza in India per il processo, se e quando questo verrà avviato. Secondo il ToI, l’ufficio del procuratore capo P. Sathasivam che ha ricevuto il ricorso ha accordato un’udienza per esaminarlo e discuterlo già per lunedì 20 gennaio, mentre la decisione in merito alla sua ammissibilità dovrebbe avvenire entro il 26 gennaio, cioè quattro giorni prima dell’udienza preliminare del processo per la quale la NIA, l’agenzia antiterrorismo, ha già annunciato di non essere in grado di produrre il documento istruttorio, lasciando intendere di voler chiedere un ulteriore rinvio della fase iniziale del dibattimento.

La principale valenza della pubblicazione di queste notizie sugli organi di stampa è quella di avere il merito di evidenziare tutte le omissioni e l’insieme di atti arroganti ed arbitrari della NIA, che ha disatteso tutte le indicazioni della Corte Suprema in merito al procedimento ad essa affidato, perché si chiudessero le indagini e si producesse una istruttoria conclusiva entro l’inizio della scorsa estate. In particolare, oltre ai termini per arrivare alla conclusione del caso, la NIA ha deliberatamente derogato dalla direttiva della Corte perché eventuali reati dei Marò fossero valutati in un serie di legislazioni accuratamente elencate, cioè quelle che riguardano le Acque Territoriali, la Piattaforma Continentale, la legge del 1976 per la Zona Commerciale Esclusiva e le altre Zone Marittime, il Codice Penale dell’Unione Indiana, il Codice di Procedura Criminale e la normativa internazionale UNCLOS, quella che se applicata avrebbe riconosciuto sul caso Marò la competenza giurisdizionale dell’Italia, non dell’India. Per evitare questo riconoscimento, la NIA ha deciso di sua spontanea iniziativa di applicare la legge antiterrorismo del SUA Act 2002, trattando i Marò alla stregua di infami ed avidi pirati che ammazzano e depredano, meritevoli della pena capitale, come ha puntualmente denunciato l’avvocato Diljeet Titus che ha materialmente depositato il ricorso.

Questo documento, dopo aver lamentato il tentativo di far trasferire la responsabilità della custodia dei Marò dalla Corte Suprema, che ha disposto i domiciliari presso l’ambasciata italiana, al tribunale giudicante, cioè in galera, precisa le motivazioni delle richieste italiane, affermando che “alla luce dei pesanti ritardi, delle inadempienze e degli errori procedurali dell’Unione Indiana nell’attenersi pedissequamente alle precise indicazioni della Corte Suprema, e persino della provata incapacità a produrre accuse o ad avviare un procedimento, i due indagati dovrebbero essere sollevati da ogni accusa a loro carico, od in subordine dovrebbe essere loro concesso di rientrare in Italia sino a quando la loro presenza non sia ritenuta necessaria da una corte indiana, ovvero che sia dato inizio ad un regolare procedimento giudiziario nei loro confronti”.

Stessi contenuti sul popolarissimo The Hindustan Times, ma con toni più polemici ed un titolo sarcastico con un gioco di parole:”Italian marines want murder case killed”, cioè “I Marò italiani vogliono per morto un caso di omicidio”, col quale mancano di sottolineare la sete di giustizia che ha spinto i Marò a ricorrere, sottintendendo perfidamente e subdolamente che invece i Marò si augurano un colpo di spugna che cancelli la loro vicenda per sottrarsi alle proprie responsabilità. Nel suo articolo, il quotidiano di Calcutta riconosce però che giudicare per pirateria i due fucilieri del San Marco, oltre a contravvenire esplicitamente a tutte le direttive impartite dalla Corte Suprema, equivarrebbe a definire l’Italia uno stato terrorista meritevole di essere incluso nella lista degli Stati Canaglia, il che francamente sembra troppo persino al disincantato e vagamente sciovinista giornale bengalese.

Spietato ed inquietante l’interrogativo posto sul sito dell’agenzia d’informazione Zeenews of India che prende spunto dalle proteste contro le inefficienze della giustizia indiana denunciate nel ricorso dei Marò ed in altri casi giudiziari indiani: “Is Supreme Court losing its moral authority? Lawyers wonder “, cioè “La Corte Suprema sta perdendo la sua autorità morale? si interrogano i giuristi”, ovvero : “Ma la Corte conta ancora?”. Questo è anche quanto si chiede il collegio di difesa di Latorre e Girone di fronte alle inaudite e spontanee iniziative della NIA prese contro ed in dispregio dell’autorità della Corte Suprema. Zeenews attribuisce al governo italiano la decisione per questa iniziativa “contro la decisione della NIA di invocare la legge antiterrorismo per giudicare i Marò italiani, con ciò definendo l’Italia un paese di terroristi ed agendo di propria iniziativa ed in modo esattamente opposto a quello specificatamente ed inequivocabilmente indicato dal massimo organo giudiziario dell’India”. Più chiari di così!

Un comportamento definito “indesiderabile” quello di inquirenti e magistrati della NIA, così come quello di altri magistrati indiani in molti altri procedimenti e duramente censurato da ex giudici della Corte che denunciano questa “moda fuori legge” che sta prendendo piede in India, con la costruzione di castelli accusatori basati su accuse delle quali neanche si verifica veridicità e fondatezza. Dopo aver richiamato la stampa ad osservare maggiore cautela nel riferire circa casi giudiziari (i nostri Marò sono continuamente indicati come i killers dei pescatori, non gli indagati o gli accusati per il duplice omicidio, ndr), un giurista ha affermato :”Sono veramente contrariato dal danno irreparabile che queste accuse (tipo quelle oggetto del ricorso dei Marò, ndr) producono all’immagine delle istituzioni. 

Se continuiamo ad occuparci di casi giudiziari al di fuori delle regole giudiziarie ed i media continuano ad essere incuranti del rispetto dei più fondamentali principi costituzionali del diritto alla riservatezza e della presunzione di innocenza (con l’applicazione della SUA i Marò sarebbero ritenuti colpevoli, non innocenti, sino a prova contraria, ndr), allora la Corte Suprema non sarà più in grado di mantenere quella dirittura morale e quella autorità che sono essenziali in una democrazia”. A questo richiamo l’associazione degli avvocati penalisti aggiunge una raccomandazione buona anche per il caso dei Marò :”La stampa deve essere più circospetta e concedere ai procedimenti giudiziari almeno il tempo perché comincino a meglio delinearsi ed a definirsi prima di poter tranciare dei giudizi di parte od avventate conclusioni……E’ nella natura del ruolo del giudice esprimersi a favore di una parte o dell’altra, ma è certo che ogni giudice (che agisce contravvenendo le regole, ndr) è facilmente contrastabile e vulnerabile ad attacchi ben motivati”. Come nel caso dei Marò. Staremo a vedere. 

Fonte:  http://www.qelsi.it/

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