In strada si protesta. I sindacati chiedono lo sciopero. I dipendenti
agognano 14 euro lordi in più in busta paga. Però ciò che agita i
dipendenti della Camera è come farsi pagare 1000 euro in più per 4
giorni di ex festività.
“Tenetevi forte. Questa storia ha veramente dell’incredibile”. Inizia
proprio così un bollettino sindacale che sta girando a Montecitorio (di
cui l’Espresso è venuto in possesso), che spiattella una bega tutta
interna, ma per niente secondaria, su come e quando i dipendenti della
Camera possono usare le moltissime ferie a disposizione.
Da quelle parti poco importano le chiacchiere sui sacrifici chiesti
agli italiani, o che Cgil, Cisl e Uil abbiano deciso la trincea dello
sciopero generale contro gli sprechi che frenano la crescita, o che a
giorni si dovrà decidere come spalmare l’inebriante aumento di 12-14
euro a busta paga; né, per certo, deve arrivare l’eco di richieste degli
“acampados” di Porta Pia.
Il problemaccio sul quale s’accapigliano dipendenti e politici dei
piani nobili è, in sostanza, il seguente: quando ci pagate i mille euro
per le quattro giornate di ex-festività, che non abbiamo consumato gli
anni passati?
Fuor di bizantinismi, in pratica, secondo un bislacco meccanismo di
anzianità, nel giro di poco tempo consiglieri e commessi si ritrovano
con un pacchetto annuo di 30-40 giorni di ferie (la media di un
lavoratore è di 24 giorni), ai quali si aggiungono altri quattro giorni
di festività soppresse (per i cultori: San Giuseppe, Ascensione, Corpus
domini, SS. Pietro e Paolo) che, se non utilizzate entro l’anno, vengono
liquidate con cifre di tutto rispetto che si aggirano, appunto, sui
mille euro. Cifra che se moltiplicata per i 1500 dipendenti costerebbe
ai contribuenti 1 milione e 500 mila euro l’anno.
Un tesoretto annuale che, parametrato ai 14 euro di detassazione
previsti dalla stabilità di Letta, un singolo lavoratore ci metterebbe
71 mesi a racimolare. Ma non finisce qui. I dipendenti del Palazzo
possono contare anche su un monte ore, determinato dagli straordinari
(non retribuiti per contratto), che può essere sfruttato anche per
giornate intere di relax a casa.
Un bonus neanche difficile da racimolare, perché, se si lavora di
sabato, un’ora viene contata come un’ora e venti (cioè, il 30% di tempo
in più). Se poi si ha la fortuna di lavorare di domenica (anche per
poche ore), ecco che il jackpot schizza: ore in più e in omaggio una
giornata di ferie.
A conti fatti, c’è chi si ritrova con 50 giorni di ferie e 100 ore da recuperare (cioè, altri 12 giorni a casa), con in più nel portafogli mille euro di festività soppresse.
E se proprio non ci si riesce a godere tutto questo meritato riposo,
il Pacchetto Palazzo prevede che si possa andare in pensione prima,
calcolando i giorni di ferie non goduti (non di rado 6-8 mesi in
anticipo).
Appena hanno provato a metter una toppa a questa incredibile
situazione, sono riusciti ad allargare il buco, visto che l’Ufficio di
Presidenza (l’organo politico presieduto dal Presidente della Camera) ha
avuto l’idea curiosa di obbligare i dipendenti a consumare per prime le
festività soppresse (per non pagarle) e poi i congedi ordinari. Zelo
fallimentare, poiché comunque se ne accumulano talmente tanti dall’anno
precedente che, giocoforza, ci si ritrova punto da capo con commessi e
segretari che battono cassa di ciò che gli è dovuto.
E il Sindacato interno si lancia in una proposta che, per citare le
loro stesse parole, “se non fosse vera, sembrerebbe davvero
incredibile”: “ma se le ore in eccesso creano questi gravissimi problemi
all’Amministrazione, perché non si eliminano gli inutili turni del
sabato mattina?”. E, con l’invito a lavorar di meno, il buco peggiore
della toppa diventa una voragine.
Nel migliore degli stili da Prima Repubblica, a quanto pare di
capire, adesso l’Amministrazione sta cercando di approvare un’ulteriore
proroga per ritardare il pagamento delle festività, ricorrendo a cavilli
interpretativi. Si parla, addirittura, di marzo 2014; fino ad allora
non si saprà la sorte delle “povere” festività soppresse maturate nel
2011. Con le barricate degli agguerriti sindacati pronti a contrastare
l’affronto, nella ridicola guerra di casta in corso.
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