domenica 18 agosto 2013

RIFORMA ELETTORALE Ultima tappa della conquista coloniale USA dell’Italia


Da un decennio l'Italia è in una fase di cambiamenti politici drammatici: cade il partito che aveva governato il Paese per 50 anni, da una settimana all'altra si susseguono nuove aggregazioni partiti che in Parlamento, cui vengono dati nomi sempre più strani, ad ogni tornata elettorale compaiono simboli sconosciuti che spariscono subito dopo, si parla costantemente di "riforme" istituzionali ed elettorali la cui necessità ed urgenza non era mai stata avvertita prima; per quanto riguarda le relazioni estere, da pacifico che sembrava il Paese comincia a mandare truppe nei quattro angoli del pianeta, partecipa con accanimento, si direbbe con sadico piacere, alla rovina di un vecchio, onorato e leale amico slavo, e sembra volere fare altrettanto con l'Austria, da secoli un modello di civiltà.

Gli italiani non riconoscono più il loro stesso Paese; non capiscono il senso di tutto ciò e assistono ammutoliti, rassegnati a quella che ormai gli pare una propria irrimediabile inadeguatezza. Invece la vera inadeguatezza è quella dell'establishment intellettuale del Paese: non capisce la situazione e non offre le spiegazioni giuste.

Tutto dipende dal peccato originale che da più di mezzo secolo lo inquina, quello del mito della "Liberazione". Da allora è come se l’establishment intellettuale italiano avesse inforcato un paio di lenti difettose, che gli fanno travisare tutto.

Per spiegare gli ultimi dieci anni agli italiani bisogna rimuovere tali occhiali e riprendere il discorso dal fatidico 1943. Nel 1943 non ci fu nessuna liberazione: ci fu l'occupazione del Paese da parte di un nemico che lo aveva vinto in guerra, gli Stati Uniti. Se non si capisce questo non si capisce più niente della storia italiana successiva. Per gli Stati Uniti, l'Italia era una semplice conquista, da mantenere per sempre sottomessa secondo il loro tipico sistema neo coloniale. 
Il sistema neo coloniale americano consiste nel controllare i "propri" Paesi solo di fatto e mai nominalmente, cioè attraverso governi locali e apparentemente indipendenti. Vedasi per questo l'America Latina, che da decenni non è altro che una proprietà privata statunitense, da tutti così riconosciuta, ma che ha dappertutto bandiere nazionali e governi autoctoni. Lo scopo è di permettere uno sfruttamento illecito da parte delle multinazionali statunitensi, che sono le titolari della Ditta America; l'obiettivo è guadagnarci, e quello è il sistema migliore perché, mentre da una parte si rinuncia ad uno sfruttamento capillare quale potrebbe realizzarsi attraverso una colonia dichiarata, dall'altro si evitano le spese per l'amministrazione, il mantenimento di truppe d'occupazione e così via, spese che sarebbero d'importo molto maggiore. Inoltre non bisogna trascurare il fatto che in tal modo si evita l'etichetta di nazione colonialista. In Italia aiutò l'eccezionale collaborazione offerta dall'opposizione politica interna al regime fascista, che appunto inventò il mito della Liberazione. 

Tale mito agli USA andò più che bene, mentre la maggioranza della popolazione pensò che forse così con quella macroscopica forma di appeasement si evitavano ulteriori punizioni: si andava verso un'altra dominazione straniera, dopo le innumerevoli del passato, e non rimaneva che cercare di renderla la meno nociva possibile; se ai nuovi padroni piaceva farsi chiamare "1iberatori" sembrava non costasse molto accontentarli. Così lo status neo coloniale italiano risultò ulteriormente mascherato e cioè, dal punto di vista americano, ancora più perfetto. 
Sino al 1989 questa neo colonizzazione fu molto all'acqua di rose. Perché c'era 'l'URSS. Gli USA non potevano spingere troppo nello sfruttamento economico e quindi nel controllo dei governi locali: l'opinione pubblica avrebbe toccato con mano la vera situazione ed avrebbe spinto il Paese a cercare e trovare protezione in quella grande, potente e vicina organizzazione antiamericana. Così l'autonomia concessa alla vita politica italiana e ai governi da questa espressi fu piuttosto rilevante; il controllo era allentato, a redini lunghe, con interventi diretti solo in casi di reale pericolo, anche se potevano essere molto drastici (vedi il caso Moro). 
Lo sfruttamento economico che ne risultò fu quello compatibile con tale situazione. L'industria militare pesante italiana, di terra, navale e aeronautica, fu completamente smantellata; il motivo ufficiale era che non ce n'era bisogno essendo "alleati" degli USA, ma in realtà lo smantellamento era finalizzato all'acquisto dei materiali dagli americani. Settori come il nucleare, lo spaziale, l'elettronico e l'informatico - che si sarebbero certamente sviluppati in Italia visto il livello tecnologico del Paese - non furono neanche fatti nascere, sempre perché occorreva acquistare dagli USA. L'interscambio commerciale Italia-USA fu artificiosamente sbilanciato a favore delle multinazionali americane: l'Italia non poteva vendere i suoi film nel mercato americano mentre Hollywood aveva campo libero in Italia; libri americani erano tradotti e venduti in Italia ma senza reciprocità; solo una minima parte dei formidabili prodotti alimentari italiani poteva entrare negli USA, dove in più era confinata in nicchie marginali; e così via. 
Anche nei mercati internazionali l'Italia doveva mantenere le distanze: se in un certo Paese voleva vendere una multinazionale americana l'omologa entità italiana faceva un passo indietro. Ogni tanto veniva permesso qualche affaruccio per gettare un po' di polvere negli occhi, come vendere una corvetta al Perù. Prodotti italiani che minacciavano un boom internazionale venivano soffocati direttamente in patria, nella culla; l'esempio di riferimento è il filone neo realista del cinema italiano fatto interrompere dopo i primi inquietanti successi (Ladri di biciclette, Paisà, Roma città aperta eccetera). 
Tutto ciò era sfruttamento e si traduceva in disoccupazione e in una necessità di aumentare sempre di più la produttività delle maestranze per bilanciare l'import-export, ma si trattava appunto di uno sfruttamento blando, ben lontano da quanto avrebbero voluto effettuare gli americani. Le cose cambiarono con la caduta del Muro di Berlino. L'URSS non c'era più. L'America quindi poteva cominciare a mostrare il vero volto. 
La relativa libertà concessa alla politica italiana doveva finire; i governi dovevano diventare veri governi collaborazionisti, pronti a lasciare sfruttare il Paese a volontà esattamente come quelli dell'America Latina. Ciò non poteva essere fatto in un giorno ma in anni, con quella gradualità che era imposta dalle circostanze ma che era anche utile per rendere il cambiamento poco avvertibile all'opinione pubblica locale. L'ostacolo maggiore era costituito dai partiti della Democrazia Cristiana e del Partito Socialista Italiano, che avevano governato il Paese nel periodo precedente, che si erano abituati a ragionare in quei termini di autonomia, e che non avrebbero accettato di prestarsi al ruolo di pure e semplici quinte colonne statunitensi. 
Questi partiti, pure nelle loro manchevolezze e corruzioni, erano, in effetti, dei partiti realmente "italiani", che credevano davvero di governare il Paese, di tenerne in mano i destini. Non avevano mai accettato il principio della irrimediabilità della sottomissione dell'Italia al vincitore del 1943; forse credevano veramente che gli USA fossero un alleato giusto molto ingombrante (Aldo Moro pensò seriamente al "compromesso storico" coi comunisti - quando i comunisti facevano i comunisti - mentre Bettino Craxi mandò addirittura i Carabinieri a fronteggiare un reparto della Delta Force a Sigonella nel 1985). 
Appare ovvio allora in questa ottica il ruolo di Tangentopoli, il cui esito finale, in effetti, non fu altro che quello di distruggere DC e PSI, e solo DC e PSI. Tangentopoli s'inserisce dunque in un quadro di manovre politiche molto vasto che riguarda l'Italia sin dalla caduta del Muro di Berlino e che è ancora in attuazione. Si è detto il senso finale di tali manovre: far passare l'Italia da uno stato di dominazione americana soft a uno di dominazione americana hard. 
La demolizione di DC e PSI era solo un passo. Occorreva creare un quadro politico nuovo che fosse adatto a tale grado di dominazione. Il sistema neo coloniale hard americano (per intenderci quello dell'America Centrale) si basa sempre sullo stesso concetto cardine: spartirsi le risorse e/o le opportunità economiche locali con una minoranza del posto, lasciando il resto della popolazione nella miseria o nella precarietà economica. Ciò è possibile perché in ogni Paese si trova sempre una cerchia di persone che pur di avere qualcosa per sé lascia volentieri il resto a degli stranieri. Sono i collaborazionisti, sempre esistiti nel mondo.
La cerchia adatta in Italia è quella dei grandi capitalisti. A questa gli americani hanno detto: ci spartiamo il Paese, un po' a te e un po' alle mie multinazionali. La risposta è stata: OK, mi conviene, perché così avrò quello che altrimenti mai avrei potuto avere. Questa cerchia deve dunque poter governare, e in un sistema parlamentare con elezioni. Fra l'influenza dei media, tutti da lei controllati, i sinergismi economici ed i suoi dipendenti (dirigenti, quadri, impiegati e anche operai di grandi aziende) essa può contare grosso modo sul 30%, non di più, degli aventi diritto al voto: come farli vincere? Semplice: escludendo dalle urne la maggioranza della popolazione, in particolare quel settore più colpito dalla nuova sistemazione neo coloniale hard: disoccupati, precari, e in generale i meno agiati. 

Ecco la Riforma Elettorale di cui si parla tanto: nessuno naturalmente lo dice ma l'obiettivo è proprio quello di escludere surrettiziamente la maggioranza della popolazione dal voto, di tenerla lontana dalle urne, magari escogitando meccanismi elettorali astrusi e turni disagevoli. Ottenuto ciò un nucleo duro del 30% può dominare. 
Non è una novità: è lo stesso sistema che da sempre vige negli stessi Stati Uniti, perché è l'unico sistema in cui il grande capitale e il suo indotto elettorale può dominare in un sistema apparentemente democratico. In realtà, infatti, l'unico sistema elettorale che possa realmente essere definito democratico (cioè che fa governare la maggioranza della popolazione) è quello proporzionate pieno, accompagnato per giunta dall'obbligo di andare a votare. 
Il sistema che vigeva in Italia prima della caduta del Muro di Berlino ci si avvicinava molto; troppo. Quindi attenzione agli uomini che ora e in Italia dicono che è necessaria una riforma elettorale: sono i collaborazionisti, oppure è gente che non ha capito niente. Non ci si lasci ingannare dal fatto che questi uomini sono la quasi totalità degli esponenti del governo, del parlamento, dei partiti e dei media, e che contano un bel numero di nomi e volti culturalmente illustri: sono il risultato di una selezione cinquantennale, e l'Italia è storicamente sempre stata una terra di collaborazionisti, una espressione geografica, come la chiamava Metternich. 
Ottenuto lo scopo, a dominare la scena politica rimane la suddetta cerchia, cui presta man forte la quota della popolazione che si lascia abbindolare dalla sua propaganda. Potrebbe essere raccolta in un partito unico, ma le parvenze di dibattito, di democrazia, sparirebbero. Va divisa in due partiti, approfittando anche - molto scaltramente - di una leggera differenziazione che sempre si trova in un elettorato pro capitalismo: quella fra il capitalismo dinamico e il capitalismo statico. 
Il primo è formato dagli elementi insoddisfatti del loro stato economico, il secondo da quelli quasi soddisfatti; nel primo si trovano grandi ricchi e manager di grandi aziende, entrambi costantemente alla ricerca di aumentare le già enormi entrate, e i titolari di bassi salari, scontenti per definizione; nel secondo c'è sostanzialmente la "classe media. 
Nel difettoso, approssimativo e ingannevole linguaggio politico occidentale, frutto di secoli di inquinamento concettuale, i primi vengono anche chiamati Progressisti e i secondi Conservatori (si capisce subito perché: i primi vogliono movimento e cambiamento, i secondi vogliono stasi e mantenimento, entrambi naturalmente nell'ambito del sistema capitalista), oppure vengono chiamati Sinistra e Destra. 
Quindi il sistema elettorale - oltre che allontanare dalle urne la maggioranza degli elettori nominali - deve anche andare verso un sistema bipartitico. Ecco il Sistema Maggioritario, che viene invocato da dieci anni a questa parte: il suo effetto è proprio quello di lasciare due soli partiti. Qualunque siano i nomi che verranno scelti definitivamente - Ulivo e Polo, Asinello e Elefante, Capra e Cavoli - essi non saranno altro che i corrispondenti dei due partiti americani, il Partito Democratico e il Partito Repubblicano. Il sistema finale, infatti, deve essere esattamente quello che gli USA vogliono anche per l'Italia allo scopo che la cerchia capitalisticacollaborazionista locale possa dominare così come fa la propria -solo capitalista - in patria. Dopo dieci anni di convulsioni, l'operazione è a buon punto ma non completata (siamo in Europa e l'operazione non è così facile come in America Latina). 
C'è un governo smaccatamente collaborazionista, che dietro la parola d'ordine della "privatizzazione" lascia passare una grande azienda dopo l'altra in mani americane, processo che si chiama sfruttamento perché gli utili emigrano, ma la riforma elettorale è ancora a mezza strada, e così il bipartitismo. 
L'esito sulla società italiana è quello che si constata amaramente ogni giorno: disoccupazione di fatto sempre maggiore, dovuta alle occupazioni sempre più precarie, impoverimento, criminalità rampante, ritmi di lavoro frenetici, da schiavi; in breve una vita di inferno. La piega iniqua e feroce presa in politica estera, che tanto costerna gli italiani e li fa vergognare della loro stessa Patria, dipende appunto da questo governo collaborazionista: l'America ordina delle cose - che per definizione sono nefande perché così è l'America - e l'Italia esegue senza più né remore né freni né pudore. Questo governo è anche rappresentato da un volto in carne olivastra e baffi che si adatta: un volto da centroamericano, alla Anastasio Somoza, o da turco, alla Bulent Ecevit, o da ceceno, alla Aslan Maskhadov. Pensateci: l'Italia, pur essendo sempre stato un Paese quacquaracquà, tranne un breve periodo, non era mai caduta così in basso sino a confondersi con tali fecce mondiali. 
C'è la spiegazione a quella che sembrerebbe una giravolta epica: il grosso dell'elettorato del vecchio PCI non era formato da comunisti; era formato da progressisti, nel senso prima spiegato, naturalmente dello strato a basso salario. Si dirà, come si raccorda tutto ciò con la nuova realtà dell'Unione Europea, di cui l'Italia fa parte? Si raccorda considerando che anche l'UE si sta avviando a grandi passi a diventare una aggregazione neo coloniale americana. Con essa è stato usato lo stesso meccanismo che abbiamo visto per l'Italia: dopo la caduta del Muro di Berlino, Paese per Paese è stata favorita la presa del potere da parte delle rispettive cerchie capitaliste, che si sono impadronite a loro volta dei vertici di Bruxelles e che, ad un certo momento, sono state convinte dagli Stati Uniti a mettersi dalla loro parte per il loro vantaggio e per la disgrazia dei loro popoli. Non era esageratamente difficile. 
Il problema era solo la Francia, detentrice di armi nucleari strategiche. La Gran Bretagna - unico altro detentore di tali armi - era un alleato in compartecipazione al 49%; Germania, Belgio, Olanda, Norvegia e Danimarca erano nella stessa condizione dell'Italia, prede di guerra della Seconda Guerra Mondiale; Spagna e Portogallo avrebbero potuto resistere ma avevano da tempo ceduto all'influenza politica seguita alla propaganda che gli USA riversavano liberamente a partire dal 1945; rimanevano dei Paesi-dettaglio che si sarebbero allineati a qualunque cosa pur di non perdere il "treno dell'Europa", il treno della morte. 
La Francia resistette sulla scia tracciata dal mai abbastanza rimpianto Charles De Gaulle sino al 17 maggio 1995, quando divenne Presidente lo stordito Jacques Chirac, un uomo che io definii in un articolo su La Padania dell'8 aprile 1999 il "pollo di Francia", valutazione ribadita da Haider il Sincero nel gennaio del 2000, quando diede anche del "pedofilo" al governo belga (caso Dutroux). Il pollo di Francia dunque cedette e, invece che ricercare l'alleanza con la Russia che avrebbe garantito all'UE il dominio del mondo, la consegnò agli americani, consegnò i loro popoli alle multinazionali USA. 
Nel portare un'UE dominata dal grande capitale nell'orbita USA hanno probabilmente giocato un ruolo non secondario gli ebrei europei. Sono ben rappresentati nel medesimo grande capitale, specie proprio in Francia, e da molto operano ogni dove come quinte colonne per gli USA, perché pensano - giustamente dal loro punto di vista - di fare nello stesso tempo l'interesse loro e di Israele. Un Romano Prodi presidente della Commissione Europea che si presenta a certe cerimonie con lo zuccotto da ebreo in testa non è senza il suo bravo, inquietante, significato. 

Quindi, un'Italia sempre più neo colonia statunitense bene si accorda con l'Unione Europea. Che fare? Capita che sia in atto lo scontro definitivo per il possesso del pianeta: gli USA, con la loro NATO, hanno dichiarato di fatto guerra alla Russia, e chi vince si prende tutto per il prossimo millennio e oltre. Tutto dipende da chi crediamo sarà il vincitore. Se pensiamo gli USA non dobbiamo fare niente, perché niente potremo fare: saremo schiavi per sempre. Se pensiamo la Russia qualcosa si può fare, perché questa non schiavizza. lo penso che vincerà la Russia; vedo gli americani come i soliti ricchi, favoriti e immancabilmente perdenti, proprio come Cartagine. Faranno la stessa fine. Bisogna dunque togliere il Paese dall'elenco delle vittime designate e prepararlo per il rapporto col vincitore: chiudere le basi USA in Italia, uscire dalla NATO, forse anche dall'UE, e dichiararsi neutrali. Un sogno? Forse sì, perché sarebbe la prima cosa intelligente che fa l'Italia nella sua storia. E allora si compia il suo destino: venga un'altra disgrazia nazionale. John Kleeves.

Fonte: Articolo apparso nel n.186 della rivista “Orion” con il titolo Il muro di Berlino, Tangentopoli e il maggioritario.

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