Torneranno in Italia per Natale i fucilieri di Marina Salvatore
Girone e Massimiliano Latorre. Più che una certezza si tratta di un
auspicio rinnovato nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri, Emma
Bonino. “Ci stiamo lavorando, sono molto fiduciosa. Ho potuto
riscontrare da parte delle autorità politiche indiane grande desiderio
di chiudere in modo rapido ed equo per tutti questa vicenda”. Lo stesso
auspicio di riavere a casa entro Natale i due militari era stato
espresso nell’autunno scorso dall’allora capo di stato maggiore della
Marina, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, oggi ai vertici della Difesa.
Poi ci fu la licenza natalizia, in seguito quella elettorale e il
pasticcio del rientro dei due marò a Delhi, prima negato e poi concesso
dal governo Monti tra le polemiche. Da marzo il nuovo governo italiano
applica alla vicenda due precise note di linguaggio (ripetute in più
occasioni non solo dalla Bonino ma anche dal Ministro della Difesa,
Mario Mauro e dall’inviato speciale in India Staffan de Mistura) che
sottolineano il rapporto di fiducia instauratosi con l’India e
l’aspettativa di un processo “rapido ed equo”.
La strategia di Roma, confermata ormai da indiscrezioni che circolano
negli ambienti politici e militari, è quella di accettare che a
processare i due militari sia il tribunale speciale istituito in India
sperando in una condanna lieve e nell’estradizione per poter scontare
la pena in Italia. Un obiettivo perseguibile solo accettando la
giurisdizione indiana sul caso e rinunciando a pretendere l’immunità
funzionale che in tutto il mondo
attribuisce agli Stati la responsabilità delle azioni compiute dai loro
militari in servizio.
L’Italia ha di fatto messo da parte anche
l’ipotesi di ricorrere a un arbitrato internazionale con l’obiettivo
prioritario di stringere per quanto possibile i tempi di una vicenda che
si protrae dal 15 febbraio 2012. Una “resa” dell’Italia riconosciuta
ben accolta da Nuova Delhi. ”Sono contento che da parte italiana ci sia
una migliore comprensione e spero che tutti questi nostri sforzi portino
a una decisione veloce” ha detto il 18 luglio il ministro degli Esteri
indiano Salman Khurshid confermando ”la determinazione di arrivare a una
soluzione nel rispetto del diritto indiano” ma rifiutandosi di indicare
un termine di tempo.
Nonostante Roma abbia accettato tutte le imposizioni indiane non
mancano residui contrasti in particolare circa l’interrogatorio degli
altri quattro fucilieri che con Latorre e Girone si trovavano a bordo
della “Enrica Lexie”. Si tratta di Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio
Fontana e Alessandro Conte che gli investigatori indiani della Nia,
l’Agenzia di investigazione nazionale, vorrebbero ascoltare a Nuova
Delhi mentre l’Italia rifiuta di sottoporre direttamente altri quattro
suoi militari alla giustizia
indiana e propone di farli testimoniare via videoconferenza. Ipotesi
respinta dalla Nia con il rischio che i quattro non possano così
testimoniare, soluzione che penalizzerebbe la difesa di Latorre e
Girone.
Circa il ruolo degli altri quattro membri del team non mancano i
misteri. Secondo il rapporto interno alla Marina stilato l’anno scorso
dall’ammiraglio Alessandro Piroli i proiettili che la perizia indiana
sostiene abbiano ucciso i due pescatori appartengono ai fucili Beretta
AR 70/90 di Andronico e Voglino, non di Latorre e Girone. Quando la
notizia venne resa nota fonti militari riferirono che nell’emergenza i
marò potrebbero aver preso le armi dei commilitoni ma la giustificazione
non regge poiché ogni soldato utilizza esclusivamente la propria arma
individuale che viene regolata in base alle caratteristiche personali.
Anche l’impianto accusatorio indiano appare debole e basato su
perizie e testimonianze poco affidabili. Basti pensare che Freddie
Bosco, il proprietario del peschereccio Saint Anthony raccontò tre
diverse versioni dell’incidente e nella prima dichiarazione resa alla
televisioni e alla polizia appena arrivato a terra disse di aver subito
l’attacco intorno alle 21,30, orario che correggerà in successive
dichiarazioni quando già era noto che l’incidente occorso alla “Lexie”
era accaduto intorno alle 16.
Così come non convince il fatto che, dopo i
primi rilievi balistici della polizia del Kerala, il peschereccio sia
stato affondato e poi portato in secca attesa di demolizione in modo da
rendere impossibili ulteriori esami e accertamenti.
Anche le notizie riportate dalle autorità del Kerala e dalla Guardia
Costiera indiana circa l’inseguimento della petroliera italiana in fuga
dopo l’uccisione di due pescatori si sono rivelate infondate dopo che
sono emersi i dispacci con i quali il comandante della Enrica Lexie
comunica di dirigere verso il porto di Kochi appena 11 minuti dopo aver
ricevuto la richiesta indiana.
L’aspetto paradossale è che la gran parte
delle informazioni che evidenziano punti oscuri o rendono improbabili
le accuse indiane sono emerse grazie a inchieste giornalistiche o ad
analisi effettuate da esperti con l’utilizzo di fonti aperte ma non sono
mai state diffuse da Roma che mantiene sulla vicenda un’ormai
consolidata ambiguità (mentre a Difesa e Marina è stato imposto il
silenzio fin dall’inizio) tesa prioritariamente a non creare contrasti
con l’India e a smorzare le polemiche in Italia.
Per la loro permanenza preso l’ambasciata in India, Latorre e Girone
hanno ottenuto incarichi di assistente all’addetto militare retribuiti
con 6.400 euro mensili netti e vivono in due piccoli appartamenti nei
quali possono ospitare le famiglie che vengono regolarmente a trovarli.
Venerdì la sorella di Latorre, Carolina, ha annunciato la chiusura del
seguitissimo gruppo Facebook delle famiglie dei due militari.
“Devo
comunicarvi che per motivi personali non posso più seguire il gruppo e
quindi tristemente sono costretta a chiuderlo” scrive Carolina senza
fornire ulteriori spiegazioni. L’ipotesi di pressioni dall’alto resta
molto probabile specie considerando che mercoledì scorso la stessa
Carolina Latorre aveva invitato per l’ennesima volta gli internauti a
moderare il linguaggio nei loro post e commenti, perché a volte
offensivo nei confronti delle istituzioni impegnate nel caso.
Il ritorno in Italia entro il prossimo Natale è un’ipotesi
“ragionevole” ha detto De Mistura valutando che l’inchiesta dovrebbe
concludersi “alla fine di agosto” permettendo così l’inizio del processo
la cui durata è stimata in due o tre mesi. Un ottimismo forse esagerato
considerate le lungaggini e i ritardi dell’apparato giudiziario
indiano. In giugno fonti vicine agli ambienti giudiziari informarono la
stampa indiana di non poter prevedere la data d’avvio del processo
aggiungendo che solo la traduzione dalla lingua malayalam all’inglese e
all’italiano di tutti gli atti avrebbe richiesto non meno di altri due o
tre mesi.
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