sabato 31 agosto 2013

Sui sentieri della Grande Guerra. Dirupi mozzafiato e ponti sospesi: è il fascino del «Sentiero dei Fiori»


sentiero dei fiori prima guerra mondiale


Da un paio di anni il classico Sentiero dei Fiori al Corno Lagoscuro, l'ardito e panoramico itinerario adamellino ricco di resti della Grande Guerra, che vide opposti italiani e austriaci, presenta un paio di suggestive varianti realizzate dalle guide alpine camune. 

Oggi parliamo ancora una volta di questo sentiero per esperti descrivendo le due varianti. Dal Passo del Tonale con funivia si sale a Passo Paradiso dove, superato il piccolo laghetto, per un impervio sentiero si sale al Passo del Castellaccio. Un ampio panorama sul ghiacciaio del Pisgana e sulle cime che lo circondano si apre ai nostri occhi. Qui inizia il percorso attrezzato che corre con numerosi saliscendi su una cengia. Arrivati ad alcune passerelle in legno si stacca a sinistra la prima variante: una ripida parete rocciosa viene superata con cavi e gradini in ferro che conducono in pochi minuti al cosiddetto Nido d'Aquila, un osservatorio dove i soldati italiani potevano tenere sotto controllo le postazioni austriache.

Tornati sul Sentiero dei Fiori si prosegue su una cengia attrezzata arrivando alla Galleria del Gendarme di Casamadre, dove, a destra, parte la seconda splendida variante. Il percorso tradizionale va in galleria (è consigliabile a chi non se la sente di attraversare i ponti). Noi teniamo la destra e, dopo alcuni tratti rocciosi attrezzati, ci troviamo al cospetto del primo ponte sospeso. Agganciando bene i moschettoni ai cavi di sostegno si inizia la traversata, mentre sotto di noi si apre un vertiginoso vuoto con canaloni che restano ingombri di neve spesso sino a stagione inoltrata. Un breve tratto su rocce ed ecco il secondo aereo-ponte sospeso che ci deposita poco oltre la galleria di Casamadre.

UN SENTIERINO prosegue sin sotto la parte terminale del Corno del Lagoscuro che si risale faticosamente su pietroni e sfasciumi sino alla sommità dove sorge il Bivacco Amici della Montagna. 

Da qui si può tornare per il medesimo percorso di salita oppure, più divertente, con un giro ad anello sul sottostante ghiacciaio. Dal Corno di Lagoscuro si scende un pendio di pietroni che porta ad un bivio: a destra si va al Passo di Lagoscuro ed a Cima Payer. A sinistra ci si porta su una dorsale sopra il ghiacciaio del Presena. Aiutati da catene e fittoni in ferro si cala sul ghiacciaio e (usando ramponi e piccozza) si arriva a Capanna Presena e quindi a Passo Paradiso.

ITINERARIO: Passo Paradiso 2573m; Passo del Castellaccio 2963 (ore 1.15); Passo di Casamadre 2984m (ore 2); Corno Centrale di Lagoscuro 3166m (ore 3); Ghiacciaio del Presena; Capanna Presena 2740m (ore 4); Passo Paradiso (ore 4.20). CARTE TOPOGRAFICHE: IGM in scala 1:25.000 «Temù»; IGM 1:50.000 «Ponte di legno».

NOTIZIE UTILI: dislivello 593 metri complessivi. Difficoltà: escursionisti esperti con attrezzatura da ferrata (EEA). Se si scende dal ghiacciaio spesso sono necessari la piccozza e i ramponi. SEGNAVIA: biancorosso.

Fonti: bresciaoggi.it / http://tapum.it/images/tapum.png

venerdì 30 agosto 2013

Cittadini della Puglia, ma dove siete? di Bruno Serino


 

Ho passato i pochi giorni di ferie nella mia terra, la Puglia, terra solare, calda, amica che ti accoglie a braccia aperte sia che si arrivi tra le dolci colline di Candela, sia provenendo da nord attraversando di fiume Fortore ed ammirando la maestosità del Gargano e il colore dell'oro del Tavoliere, sia che si arrivi dalle bianche spiagge di Ginosa e Castellaneta Marina o tra i canyon di Altamura...terra che ti prende il cuore, gli occhi, la testa e la...panza...terra di spiagge incantevoli, mare cristallino e di gente speciale, di gente di mare, ma...
ahi ahi ahi...ed i marò? che fine hanno fatto?
sono stato a Torre a Mare, frazione a sud di Bari dove abita Salvatore Girone. Mi sarei aspettato che in questa piccola località balneare (dove ho trascorso la mia gioventù estiva), dove le rughe dei vecchi pescatori raccontavano di storie vissute, dove i loro sguardi avevano il sapore del mare, dove ancora potevi scendere in acqua e gustare direttamente ricci e patelle...in questa località ora dedita essenzialmente al turismo, non sono riuscito a vedere un solo nastrino giallo, una sola bandiera italiana o del San Marco, un solo simbolo che ricordasse a tutti che un loro figlio è stato venduto per 31 danari...spero che qualcuno legga e vi ponga rimedio...
nelle grandi città la situazione non è molto diversa: a Bari lo striscione fortemente voluto dal sindaco, che sovrasta l'ingresso del Municipio è tutto attorcigliato e sporco, forse perchè non siamo in fase elettorale? forse perchè non ci sono più le telecamere? forse perchè ora non deve fare più notizia? ahi ahi ahi, signor Emiliano...ahi ahi ahi...
a Taranto invece, base storica della Marina Militare, c'è il ... nulla, neanche una scritta messa lì, per caso, niente di niente. Mi piangeva il cuore nel vedere questa città, dove ho passato i miei 18 mesi al servizio della patria, città legata al mare ed alla marineria da secoli, non riportare neanche un minimo segno dei suoi due figli...due Uomini di mare che stanno sacrificando la loro esistenza per mantenere alto l'Onore di una Patria che amano, di un Popolo in parte di corta memoria, e di politici che, nonostante li stiano bistrattando, rappresentano purtroppo questa grande Nazione che fa invidia al mondo...
ITALIANI, I NOSTRI DUE MARO' SONO ANCORA PRIGIONIERI IN INDIA...NON ABBASSIAMO LA GUARDIA...NON POSSIAMO, DIAMOCI DA FARE COME FOSSE IL PRIMO GIORNO...
NOI NON LASCIAMO INDIETRO NESSUNO, MAI !!!
SAN MARCO !!!

DIRITTO INTERNAZIONALE. di Antonio Adamo

Riassumendo brevemente l'accaduto vediamo di trarre considerazioni di Diritto.
Verso la metà di febbraio del 2012, due fucilieri della marina militare italiana, appartenenti al Battaglione San Marco, dopo varie segnalazioni ottiche e sonore, sparavano colpi di dissuasione in aria e davanti ad  una imbarcazione che si stava avvicinando con presumibili intenzioni di abbordaggio. 
 
Nello stesso giorno un'altra petroliera Greca, la Olimpic Flair denunciava il tentativo di abbordaggio da parte di due imbarcazioni.
Sono state fatte delle dichiarazioni secondo cui i due pescatori indiani non sono stati uccisi dai due Fucilieri, ma dalle forze di sicurezza di un’altra petroliera che si trovava nello stesso luogo. Altra dichiarazione, secondo la quale la presenza italiana rappresenta il prodotto della prassi affaristica illecita ed il tentativo di tenere lontano il made in Italy dall'India per favorire i gruppi politici locali e contrastare l'odiata "Italiana" Sonia Gandi.
 
Ci sono anche questioni attinenti l’esatta locazione dove è avvenuto l’incidente, se si è consumato nella acque internazionali oppure nelle acque interne dell’India. Dopo l’incidente, le autorità indiane non hanno esitato a fermare la petroliera Enrica Lexie, battente bandiera italiana, convincendola ad entrare nel porto di Kochi, dove hanno proceduto al fermo dei due Fucilieri per interrogarli e, dopo aver valutato le responsabilità su chi ha sparato, accusarli del reato di omicidio.
 
Le autorità italiane, a loro volta, hanno posto in risalto il fatto che l’India non aveva alcuna giurisdizione in merito all'accaduto e non hanno contestato subito la completa estraneita dei Militari di scorta ribadendo, quindi, che solo l’Italia aveva la esclusiva giurisdizione sui propri organi ufficiali che operavano per la sicurezza dell’Enrica Lexie e questo in base ad un principio generale storicamente e comunemente riconosciuto dall'ordinamento internazionale – e, da ultimo, sancito nell'articolo 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 – secondo cui nelle acque internazionali lo Stato della bandiera è il solo soggetto normalmente legittimato ad esercitare poteri coercitivi nei confronti delle navi iscritte nei propri registri.
 
Qui si inserisce anche la responsabilità di chi ha ordinato lo sbarco dei due Fucilieri consegnandoli di fatto a chi non aveva titolo per procedere al fermo di due Militari in missione.
Le autorità indiane facevano presente alle autorità italiane che spettava a loro l’esercizio della giurisdizione, in base al loro ordinamento interno. Il luogo dove è avvenuto l’incidente costituisce il punto cruciale per comprendere la natura della controversia tra i due soggetti di diritto internazionale. A parere delle autorità italiane, visto che la petroliera Enrica Lexie si trovava in alto mare al momento dell’accaduto, le Corti indiane non erano competenti nel giudicare i due marò, secondo il diritto internazionale.
 
Questa disputa tra i due Stati opera alcuni differenti punti: il primo, se l’esercizio di giurisdizione da parte dell’India viene inibito dalle rilevanti norme di diritto internazionale generale; il secondo, se l’inseguimento e il fermo della Enrica Lexie in acque internazionali era ammissibile; e, il terzo, se questo priva i tribunali interni indiani ad applicare la loro giurisdizione.
 
Il primo punto può essere risolto dando uno sguardo alle fonti standard del diritto internazionale generale come, a titolo di esempio, i trattati e la consuetudine. Classicamente lo jus cogens o, meglio, il diritto internazionale consuetudinario disciplina l’esercizio della giurisdizione secondo cui ciascuno Stato potrebbe esercitarla in ogni momento, tranne dove si presenta una norma che la vieta. Su questo punto si espresse già la Corte Permanente di Giustizia Internazionale, prima della nuova Corte Internazionale di Giustizia, la quale affrontò un simile caso nel 1927, sottolineando che lo Stato nazionale della nave, dove ci furono anche dei morti, aveva tutto il diritto di esercitare la giurisdizione perché il reato si consumò sul territorio di quello Stato, visto che la nave era, in un certo senso, considerato lembo territoriale.
 
Questo principio trova la sua recente espressione nello jus cogens noto come il principio del fine territoriale. Gli altri principi del territorio sono quello soggettivo, quello della nazionalità attiva, della personalità passiva, dell’universalità, della protezione e, possibilmente, quelli degli effetti dottrinali. Gli Stati, pertanto, sono liberi di limitare l’esercizio della propria giurisdizione mercé, inter alia, accordi internazionali siglati.
 
Gran parte degli Stati, che costituiscono la vita della società internazionale, dopo la decisione della Corte Permanente di Giustizia Internazionale inerente l’affare Lotus tra Francia e Turchia del 1927, si sono riuniti a Montego Bay nel 1982 per dar vita alla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, firmandola ed invertendo la decisione dell’affare Lotus. 
Si menzioni il fatto che sia il governo italiano che quello indiano hanno ratificato e firmato questo trattato del 1982, per cui sono a tutti gli effetti vincolati ad esso. 
 
L’articolo 97 paragrafo 1 della Convenzione di Montego Bay sul Diritto del Mare enuncia che in caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave ovvero di qualunque altro membro dell'equipaggio, non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la cittadinanza. Questo articolo va applicato esclusivamente ai casi di collisione ed incidenti di navigazione nelle acque internazionali, ad esclusione di altri eventuali casi. La Convenzione di Montego Bay sul Diritto del Mare inibisce l’esercizio di giurisdizione su atti che cagionano una collisione che avviene su una altra nave battente bandiera di un altro Stato, fondandosi, pertanto, sul principio oggettivo territoriale.
 
La norma generale inerente la giurisdizione in acque internazionali è sancita nell’articolo 92, secondo cui le navi battono la bandiera di un solo Stato e, salvo casi eccezionali specificamente previsti da trattati internazionali o dalla presente Convenzione, nell'alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione esclusiva. Purtroppo, questa norma non specifica in modo netto la giurisdizione penale su atti che avvengono su una nave e si concludono su di un’altra nave. Essa fa riferimento soltanto alla giurisdizione sulle navi e si riferisce, in larga misura, all’autorità di fermare la nave nelle acque internazionali e di condurre l’attività di polizia giudiziaria a bordo. Sempre l’articolo 92 può essere letto per comprendere l’esclusione della applicazione all’approccio dell’obiettivo territoriale della giurisdizione, facendo riferimento ai casi eccezionali. Il problema di quest’approccio sta nel fatto che, secondo la teoria oggettiva, lo Stato nazionale della nave, dove è stato commesso il crimine, non esercita la giurisdizione sulla nave in cui il crimine ha avuto il suo inizio. L’India ha sempre ritenuto di dover esercitare il proprio diritto di considerare crimini quelle attività che si manifestano o si sono manifestati, se pur parzialmente, sul suo territorio. Il contenuto della norma, presente nell’articolo 92, indica come prevenire gli Stati dall’esercizio della giurisdizione su eventi che accadono a bordo di una nave in acque internazionali e che batte la bandiera di un altro Stato. In aggiunta, va sottolineato che la norma, di cui all’articolo 97, inerente la collisione, sarebbe superflua, se l’articolo 92 fosse intesa come esclusione della competenza giurisdizionale in tutti i casi, dove il reato viene commesso a bordo di un’altra nave.
 
Gli estensori della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare non tennero in considerazione o, meglio, esclusero la giurisdizione solamente nei casi di collisione ed incidenti di navigazione, asserendo, in conclusione, che in altri casi la giurisdizione è consentita.
Estendere la giurisdizione indiana su reati che vengono commessi su navi che battono bandiera indiana è conforme con l’attuale prassi giurisdizionale riguardanti i reati che hanno il loro inizio nel territorio di uno Stato e sono commessi o parzialmente compiuti nel territorio di un altro Stato. Le Corti indiane andrebbero intese come aventi la giurisdizione sui due Fucilieri basata sulla mancanza di ogni esplicita inibizione della Convenzione di Montego Bay del 1982 sull’esercizio del principio dell’obiettivo territoriale ed il fatto che la prassi giurisdizionale attuale di solito sostiene l’esistenza di alcune giurisdizioni in determinati casi.
 
Competente a prescrivere comportamenti è, ovviamente, una questione separata dal se perseguire o meno la petroliera Enrica Lexie in acque internazionali, ed era consentito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare. Questo secondo problema concerne l’autorità di uno Stato di trattenere una nave in acque internazionali. L’articolo 111 paragrafo 1 della Convenzione di Montego Bay del 1982 enuncia che è consentito l’inseguimento di una nave straniera quando le competenti autorità dello Stato costiero abbiano fondati motivi di ritenere che essa abbia violato le leggi e i regolamenti dello Stato stesso. L’inseguimento deve iniziare quando la nave straniera o una delle sue lance si trova nelle acque interne, nelle acque arcipelagiche, nel mare territoriale, oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto l’inseguimento, e può continuare oltre il mare territoriale o la zona contigua solo se non e` interrotto
 
L'analisi effettuata dal Perito Giudiziario Luigi di Stefano, oltre che confutare tutte le prove iniziali addotte dalle autorità del Kerala,  spiega dettagliatamente e pone in evidenza tutti questi aspetti.
 
L’esatta locazione della petroliera italiana Enrica Lexie, al momento dell’inseguimento iniziato – se al di là del mare territoriale –, può essere considerato come un violare i diritti nella zona dell’alto mare, in cui la nave italiana si trovava in quel momento. Nonostante tutto, alcune cose possono essere evidenziate con certezza. Le autorità indiane non avevano alcun diritto di inseguire la nave Enrica Lexie, visto che i presunti atti di omicidio sono avvenuti oltre il loro mare territoriale e, quindi, in aree non soggette alla sovranità dello Stato indiano. Contrariamente, a parere di chi scrive, essi avevano pienamente il diritto e l’autorità di fermare la nave battente bandiera italiana, solamente se l’incidente fosse accaduto nelle loro acque territoriali. A maggior ragione, visto che la nave italiana era stata trattenuta in modo inappropriata nel porto di Kochi per alcuni mesi – il suo rilascio è avvenuto agli inizi del mese di maggio –, le autorità indiane sono in dovere nel risarcirla per ogni perdita giornaliera. Ciò è sancito proprio nel paragrafo 8 dell’articolo 111, sempre della Convenzione di Montego Bay del 1982, secondo cui una nave che abbia ricevuto l’ordine di fermarsi o sia stata sottoposta al fermo fuori dal mare territoriale in circostanze che non giustificano l’esercizio del diritto di inseguimento verrà indennizzata di ogni eventuale perdita o danno conseguente a tali misure. Ma questo non ha ancora risolto il problema della giurisdizione indiana circa la detenzione dei due fucilieri della marina militare, che sono tuttora, anche se in parte liberi, in attesa della decisione dell’alta Corte indiana per il loro via dal territorio indiano.
 
L’ultima problematica concerne la questione inerente i tribunali indiani se sono autorizzati ovvero abbiano titolo a processare i due  fucilieri della marina militare italiana  per l’accusa di omicidio, in cui si suppone pure che l’India abbia violato una serie di norme di diritto internazionale proprio attraverso il fermo della petroliera battente bandiera italiana e l’arresto dei due organi ufficiali. La risposta dell’India non può che sembrare positiva come questione di diritto. Sebbene non viene dibattuto, generalmente, il procedimento giudiziario di un individuo sarà legale anche nel momento in cui quella persona sia stata data in custodia alla Corte indiana con strumenti illeciti. La Camera straordinaria del Tribunale cambogiano, ad esempio, ha esplicitamente riconosciuto tale dottrina, mentre il Tribunale internazionale per i crimini di guerra in Ruanda ne ha già dibattuto. 
 
Non pare esserci, di conseguenza, una parte del diritto internazionale che possa regolare il modus con cui poter esercitare la giurisdizione a causa di questo presunto arresto illegale. La presenza di questi nuclei militari a bordo si attiene anche alla risoluzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, la quale invita tutti gli Stati a contribuire al contrasto della pirateria al largo delle coste somale e nell’Oceano indiano. Le autorità italiane hanno insistito sul problema che, sulla base dei principi del diritto internazionale, la giurisdizione sul caso appartiene unicamente all’ordinamento giudiziario italiano, perché i fatti sono avvenuti in un’azione antipirateria, come pure quest’azione è stata compiuta in alto mare su una nave battente bandiera italiana e anche per il fatto che ne sono stati protagonisti militari italiani, organi ufficiali dello Stato italiano.
 
L’incidente avvenuto in acque internazionali tra la petroliera battente bandiera italiana ed il peschereccio indiano viene dipinto come una specie di giallo internazionale.
 
Alla luce di queste considerazioni si può ragionevolmente pensare che nessun giudice Indiano, forte degli insegnamenti del diritto anglosassone , non può non valutare tutte le norme indicate e quindi pronunciare una sentenza assolutoria per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, mentre la responsabilità delle decisioni, da qualsiasi livello siano pervenute, sono esclusivamente dei vertici di comando sia politico che Militare (indipendentemente da chi li ha comunicati) in primis di chi è al vertice della catena.

L’ex ministro Giulio Terzi “Regime siriano da bloccare anche con azione militare”

giulio terzi
“L’Italia sa con chi deve stare”. L’ex ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata segue con attenzione l’evolversi della situazione in Siria. Londra ha votato contro l’azione militare, mentre il presidente francesce Francois Hollande, in un’intervista a Le Monde, ha ribadito l’impegno transalpino all’operazione contro il regime. Gli Stati Uniti attendono la relazione degli ispettori Onu inviati a Damasco anche se un attacco sembra imminente. L’ex ministro sposa la linea della fermezza. 

“E’ un momento estremamente difficile – spiega -. Si dovrebbe far di tutto per una risposta concreta da parte dei paesi occidentali contro questo inaudito impiego di armi di distruzione di massa di un regime criminale contro la propria popolazione. C’è un’esigenza di legittimità delle misure che gli Stati prendono, soprattutto quelle di carattere militare. Ma legittimità non vuol dire solo farsi bloccare da un consiglio di sicurezza paralizzato sistematicamente dal veto dei membri permanenti. Legittimità significa riferirsi a quello che è il progresso della comunità internazionale sui temi comunitari e il diritto di proteggere le popolazioni”.

Anche con la forza? “L’intervento umanitario è da sostenere con un’azione politica e, quando necessario, anche militare”.

Come giudica le mosse del ministro Emma Bonino? “E’ una personalità di grande esperienza internazionale. Sono sicuro che il dato fondamentale sia il fatto di essere solidali con una coalizione di paesi che vogliono bloccare l’uso delle armi di distruzione di massa. Se questa coalizione si creerà, l’Italia sa dove stare. Dal Kosovo in poi il nostro paese dovrebbe continuare a muoversi in questa ottica”.

La sua esperienza politica si è conclusa in modo piuttosto burrascoso, con le dimissioni dopo il caso marò. Le piacerebbe avere una seconda chanche? “L’impegno c’è sempre, anche dopo l’uscita da questa esperienza nel complesso positiva. Io continuo a prestare grande attenzione alla politica estera, soprattutto alla grande missione di proiezione dell’Italia nel mondo attraverso i nostro connazionali, che hanno un grandissimo attaccamento al nostro paese e continuano ad affermarsi in molti campi”.

Non disdegna però anche uno sguardo a Bergamo. Molti stanno aspettando una risposta dal suo amico Franco Tentorio che deve sciogliere la riserva sulla sua ricandidatura. “Mi auguro che accetti perché è stato un quinquennio di grande importanza per la città. Tentorio ha fatto molto bene, con la garanzia di un equilibrio di bilancio e l’intraprendenza in ambiti fondamentali come la cultura. Anche il lancio di Bergamo capitale europea della cultura, comunque andrà, va a perseguire l’obbiettivo di visione di crescita e internazionalizzazione della città. L’amministrazione di Tentorio è positiva e merita di continuare”.

Fonte: http://www.bergamonews.it/

giovedì 29 agosto 2013

Fisco, il 19 agosto 2013 ha debuttato il redditometro Partono i controlli anti-evasione sulle dichiarazioni del 2010. Ma per la Cgia di Mestre si recupera solo lo 0,7% del totale.

Software e banche dati sono pronti. I funzionari delle Entrate istruiti. E i dubbi legali fugati, visto che una sentenza del Tribunale di Napoli ha stabilito che non c'è violazione la privacy.
 

CACCIA AGLI EVASORI. Così lunedì 19 agosto, dopo una fase di rodaggio, entra ufficialmente in vigore il nuovo redditometro 2013, pronto a identificare potenziali evasori fiscali.
Inizialmente, precisa il Corriere della Sera, saranno scandagliati i redditi del 2009, dichiarati nel 2010. Il sistema è in grado di ricostruire per ciascun contribuente le spese effettuate di cui l’amministrazione fiscale ha certezza (quasi tutte sono presenti nelle banche dati collegate all’Agenzia) e di metterle a confronto con il reddito dichiarato in quell’anno.
 
SCARTO DEL 20%. In questo modo, verranno evidenziati tutti i casi in cui la differenza è superiore al 20%, la soglia che fa scattare l’accertamento.
All’inizio gli ispettori fiscali si concentreranno sui casi in cui la differenza tra il dichiarato e la spesa accertata è più elevata. Poi i controlli saranno estesi, tanto che ne sono previsti a regime 35 mila all’anno.
Il nuovo strumento prevede un doppio contraddittorio tra il Fisco e i contribuenti ancor prima dell’apertura formale dell’accertamento e alcune garanzie specifiche, che con il vecchio sistema non c’erano.
 
PRIMA LA VERIFICA. Se il redditometro evidenzia uno scarto tra il reddito e le spese superiore al 20%, che non quadra neanche considerato il reddito familiare complessivo, il contribuente viene invitato a presentarsi negli uffici dell’Agenzia e già in questa prima fase potrà dare le spiegazioni necessarie.
E dimostrare che la casa o l’automobile è stata acquistata con i risparmi degli anni passati, o con soldi già tassati, perché magari sono rendite finanziarie, o che è stata una donazione dei genitori. Se le prove sono convincenti (atti, o i bonifici o le fatture) il caso si chiude, senza conseguenze.
 
POI IL CONTRADDITTORIO. Se il Fisco dovesse invece avere ancora dei sospetti si apre una seconda fase del contraddittorio, più approfondita, in cui si chiede ragione ai contribuenti anche delle spese “stimate”, cioè di quelle più piccole e appunto calcolate in base agli indici Istat (come il vitto, le spese per i vestiti, i trasporti, il tempo libero).
In questo caso potranno essere opposte anche argomentazioni logiche (e non necessariamente prove documentali) per contestare le spese presunte (per esempio l’uso dell’auto di un parente o della mensa aziendale).
 
INFINE L'ACCERTAMENTO FORMALE. Se anche al termine di questa fase il Fisco mantenesse le sue pretese, ovvero di far pagare le tasse sul reddito effettivo calcolato con il redditometro, e non su quello dichiarato, si aprirebbe l’accertamento formale.
L’amministrazione dovrà quantificare il maggior reddito accertabile e la maggiore imposta da pagare, e chiedere al contribuente di aderire al pagamento delle somme richieste. Arrivati a quel punto non restano che due strade: pagare entro 15 giorni per avere le sanzioni ridotte, oppure avviare un contenzioso alla giustizia tributaria.

Fonte:  http://www.lettera43.it/

Matteo Renzi...... forse non tutti sanno che....

Matteo Renzi
Matteo Renzi è figlio di Tiziano Renzi, ex membro della DC e gran signore della Margherita e della Massoneria in Toscana. Il feudo incontrastato della famiglia Renzi è il Valdarno, dal quale si stanno allargando a macchia d'olio. Il padre di Matteo controlla dalla metà degli anni '90 la distribuzione di giornali e di pubblicità in Toscana. Questo, unito agli affari con la Baldassini-Tognozzi, la società un po' edile e un po' finanziaria che controlla tutti gli appalti della Regione, spiega l'ascesa di Matteo Renzi.
 
Le prime 10 cose che non vanno di Matteo Renzi:

1) Da presidente della Provincia, tra il 2004 e il 2009, ha acquisito il controllo di tutta la stampa locale, radio e tv, in Toscana. L'ultimo giornale che un po' gli era ostile era "La Nazione". Per questo, in occasione dei 150 anni di questo giornale, ha fatto ospitare dai locali della Provincia, in via Martelli, una mostra che, naturalmente, è stata pagata coi soldi di noi contribuenti. In questo modo, La Nazione è divenuta renziana.

2) Renzi per controllare ancora meglio l'informazione locale, ha trovato un secondo lavoro a moltissimi giornalisti: gli uffici stampa degli eventi organizzati dalla Provincia, come il Genio fiorentino, il suo stesso portavoce, tutta una serie di riviste inutili e costossime per la collettività (Chianti News, InToscana, ecc.) servono a lui e a Martini, il presidente della Regione, a tenersi buoni i cronisti locali. Inoltre, trasmissioni come "12 minuti col Presidente", che va in onda su RTV 38 e Rete 37, gli sono servite a dare delle tangenti legalizzate alle redazioni di queste emittenti che ormai, in lui, riconoscono il vero datore di lavoro.

3) Tra le cose di cui più si vanta Renzi, vi è il recupero di Sant'Orsola. Il grande complesso situato in San Lorenzo, chiuso e abbandonato da molti decenni, sarebbe stato recuperato dalla Provincia -così dice Renzi- con un investimento iniziale di 20 milioni di euro. E questo non è vero. Infatti, a bilancio, a fine anno, la Provincia per Sant'Orsola ha stanziato la miseria di un milione di euro. E' un esempio del suo continuo modo di mentire.

4) Renzi in questi 5 anni ha utilizzato la Provincia allo scopo di promuovere la propria immagine personale coi soldi nostri. A questo servono manifestazioni inutili e costose come "Il Genio fiorentino" e "Riciclabilandia". Attraverso l'utilizzo delle consulenze, degli uffici
stampa, della commissione di sondaggi, pubblicazioni e pubblicità ha creato una vasta rete clientelare di giornalsti che non ne contraddicono mai le posizioni.
 
5) L'inchiesta di Castello: Matteo Renzi, come presidente della Provincia, è molto più coinvolto del sindaco Domenici. Infatti, le opere oggetto dell'inchiesta sono quasi tutte commissionate dalla Provincia: tre scuole, una caserma nonché naturalmente il nuovo (e che bisogno c'è?) palazzo
della Provincia. Eppure sui giornali ci è finito Domenici.

6) Il braccio destro di Ligresti, patron della Fondiaria, Rapisarda, lo si vede bene nelle intercettazioni telefoniche, pretende che per le commissioni di Castello la Provincia faccia una gara d'appalto. "sennò ci accusano di fare noi il prezzo", spiega Rapisarda al telefono all'assessore Biagi. Pochi giorni dopo quella telefonata, compare questo titolo su Repubblica: "Renzi contro la Fondiaria: per Castello si farà la gara d'appalto". Ovvero: Renzi è colui che meglio esegue le volontà della Fondiaria e poi appare addirittura come quello contro i poteri forti!


7) Nel 2004 come prima cosa taglia i fondi della Provincia per la raccolta differenziata. Risultato, i Verdi si arrabbiano (giustamente) e lui li espelle dalla Giunta.  

8) Dal 2004 Renzi ha creato un'infinità di società alle quali la Provincia commissiona eventi culturali, indagini di mercato e così via. Il caso più clamoroso è quello di "Noilink" che, durante le primarie del PD, diventa il suo vero e proprio comitato elettorale!

9) Tutti i giornaletti del cappero che arrivano nelle case dei fiorentinim a partire da "Prima, Firenze!" sono stampati coi soldi della Provincia.

10) Nessun giornalista osa fare una domanda su quanto abbiamo riportato nei primi nove punti a Matteo Renzi. fate girare,la gente deve sapere chi sn i delinquenti!!


Fonte: Giulio Tenebra                  

martedì 27 agosto 2013

La crisi egiziana sta trasformando una "primavera araba" *alle porte di casa nostra* in qualcosa che non riusciamo ancora a valutare compiutamente ma che influirà sugli equilibri *in tutto il Mediterraneo*, area naturalmente vitale per l'Italia. Di Giulio Terzi e il commento di Nicola Evoli

L'esito del brutale confronto in corso, con la repressione militare della Fratellanza Islamica e con le atrocità commesse da estremisti di entrambe le parti, potrebbe modificare profondamente il rapporto dell'Egitto con l'UE, gli USA e anche i Paesi della Lega Araba. A quasi due mesi dalla estromissione di Morsi e dall'insediamento di un governo di transizione, le vere intenzioni del Generale Al Sisi e dei vertici militari rimangono in parte indecifrabili anche ai più attenti analisti.
L'indicazione iniziale di una road-map mirata a immediate elezioni e a una nuova costituzione appare superata dall'emergenza sicurezza. E' vero che la Fratellanza ha mostrato un'anima fondamentalista e una capacità di rispondere con le armi che pochi forse anche in Egitto si attendevano. Vi sono però segni di un'evoluzione nell'atteggiamento dei militari che non si spiegano soltanto con l'arroccamento della Fratellanza e con le gravi violenze di cui anche i suoi aderenti sono responsabili, o con il "rischio terrorismo islamico". Il giro di vite dato con gli arresti di Badie e di molti altri dirigenti islamisti, la risposta sinora negativa alle pressioni occidentali, la defezione di una personalità di spicco come El Baradei per protesta contro la repressione (incredibilmente ora il Premio Nobel viene accusato di tradimento per il solo fatto di essersi dimesso!), la scarcerazione di Mubarak, l'uso spregiudicato della forza, la nomina di 27 Governatori che per due terzi sono Generali dell'Esercito e della Polizia... sembrano tutte *tessere di un unico mosaico*: le Forze Armate potrebbero aver deciso di consolidare il loro ruolo per regolare i conti con il fondamentalismo islamico.
In effetti, tutti si aspettano che l'eventuale messa al bando della Fratellanza con l'esclusione di quell'organizzazione dallo scenario democratico darà fiato alle sue ali estremiste e accrescerà esponenzialmente l'ondata di violenza, e se ne hanno già manifestazioni evidenti sul Sinai: gli autori della strage di 58 turisti a Luxor nel '97 erano alleati della Fratellanza, molti di loro sono ancora attivi, ed era stata la nomina del Governatore di Luxor proveniente proprio da tali ambienti ad essere una delle *pietre dello scandalo* tra le ultime nomine fatte da Morsi. Nei circoli liberali e centristi del Cairo si teme che tra i vertici delle Forze Armate stia prendendo corpo una strategia di duro "sradicamento" dei fondamentalisti: in inquietante analogia con l'Algeria del 1992, quando vennero annullate le elezioni vinte dal FIS e partì una campagna sanguinosa contro il Gruppo d'Azione Islamica... la campagna antiterrorista degli anni 90 costò all'Algeria 150.000 morti, ma è difficile estrapolarne suggerimenti per la situazione egiziana, se non per il fatto che la dirigenza algerina ancora oggi - e me lo sono sentito ripetere spesso nelle mie missioni! - lamenta la grave indifferenza dell'Europa e dell'Occidente in quella terribile stagione di lotta al terrorismo fondamentalista. "Ci avete lasciati completamente soli" si sentono ancora oggi dire ad Algeri i visitatori europei.
Con un Egitto, come scrive Tom Friedman, "vicino al precipizio", le sofferte conclusioni raggiunte mercoledì scorso dai Ministri degli Esteri europei appaiono ispirate a consapevolezza e prudenza: l'Egitto è un partner di enorme importanza per l'UE per il suo ruolo nella stabilità regionale, ma anche - non siamo ipocriti - per le sue potenzialità economiche: un PIL attorno ai 280 miliardi di dollari, interscambio sui 32 miliardi di dollari in buona tenuta anche con l'Italia, diverse centinaia di nostre imprese che vi operano, e che non hanno mai diminuito la loro attività neppure in questo difficile periodo... Detto questo, è diffuso il convincimento che si debba insistere *per un'apertura del governo transitorio verso alcune componenti dell'Islam moderato*, nella speranza che ciò permetta di riassorbire il dissenso e sia utile per far cessare immediatamente l'impiego sproporzionato della forza. Anche perché l'eventualità di blocco dei finanziamenti (che era la seconda opzione) difficilmente otterrebbe risultati, dal momento che l'Egitto ha ben altri e variegati canali di finanziamento dall'estero (p. es. Arabia Saudita e Golfo). "La repressione sanguinosa da parte dei militari egiziani contro i sostenitori della fratellanza islamica" - ha scritto recentemente Charles Kupchan - è un altro segno del lato oscuro del "Risveglio Arabo": "i barlumi di democrazia sono offuscati dalle turbolenze politiche e dalla violenza".
Allora la Diplomazia (quella efficace, incisiva e concreta, non quella della mediazione a tutti costi e delle soluzioni annacquate "giusto per portare a casa qualcosa") ancora una volta ha il boccino in mano: serve un'opera di forte convincimento affinché l'attuale leadership aderisca a chiari e responsabili standard di governo ponendo fine alle violenze e alla repressione politica e ristabilendo le funzioni essenziali dello Stato, rilanciando l'economia (non dimentichiamolo: è il motivo principale alla base delle rivolte di piazza!) e contrastando gli estremisti... Ma per poter essere incisivi, ancora una volta occorre una strategia UE/USA coesa e univoca. (Giulio Terzi)
Foto: EGITTO: PREMIO NOBEL EL BARADEI ACCUSATO DI TRADIMENTO PER LE SUE DIMISSIONI, MUBARAK ESCE DAL CARCERE, PROPOSTA LA BOZZA DI NUOVA COSTITUZIONE CON MESSA AL BANDO DEI PARTITI RELIGIOSI... IL PAESE E' NEL CAOS...ALLE PORTE DI CASA NOSTRA? La crisi egiziana sta trasformando una "primavera araba" *alle porte di casa nostra* in qualcosa che non riusciamo ancora a valutare compiutamente ma che influirà sugli equilibri *in tutto il Mediterraneo*, area naturalmente vitale per l'Italia. L'esito del brutale confronto in corso, con la repressione militare della Fratellanza Islamica e con le atrocità commesse da estremisti di entrambe le parti, potrebbe modificare profondamente il rapporto dell'Egitto con l'UE, gli USA e anche i Paesi della Lega Araba. A quasi due mesi dalla estromissione di Morsi e dall'insediamento di un governo di transizione, le vere intenzioni del Generale Al Sisi e dei vertici militari rimangono in parte indecifrabili anche ai più attenti analisti. L'indicazione iniziale di una road-map mirata a immediate elezioni e a una nuova costituzione appare superata dall'emergenza sicurezza. E' vero che la Fratellanza ha mostrato un'anima fondamentalista e una capacità di rispondere con le armi che pochi forse anche in Egitto si attendevano. Vi sono però segni di un'evoluzione nell'atteggiamento dei militari che non si spiegano soltanto con l'arroccamento della Fratellanza e con le gravi violenze di cui anche i suoi aderenti sono responsabili, o con il "rischio terrorismo islamico". Il giro di vite dato con gli arresti di Badie e di molti altri dirigenti islamisti, la risposta sinora negativa alle pressioni occidentali, la defezione di una personalità di spicco come El Baradei per protesta contro la repressione (incredibilmente ora il Premio Nobel viene accusato di tradimento per il solo fatto di essersi dimesso!), la scarcerazione di Mubarak, l'uso spregiudicato della forza, la nomina di 27 Governatori che per due terzi sono Generali dell'Esercito e della Polizia... sembrano tutte *tessere di un unico mosaico*: le Forze Armate potrebbero aver deciso di consolidare il loro ruolo per regolare i conti con il fondamentalismo islamico. In effetti, tutti si aspettano che l'eventuale messa al bando della Fratellanza con l'esclusione di quell'organizzazione dallo scenario democratico darà fiato alle sue ali estremiste e accrescerà esponenzialmente l'ondata di violenza, e se ne hanno già manifestazioni evidenti sul Sinai: gli autori della strage di 58 turisti a Luxor nel '97 erano  alleati della Fratellanza, molti di loro sono ancora attivi, ed era stata la nomina del Governatore di Luxor proveniente proprio da tali ambienti ad essere una delle *pietre dello scandalo* tra le ultime nomine fatte da Morsi. Nei circoli liberali e centristi del Cairo si teme che tra i vertici delle Forze Armate stia prendendo corpo una strategia di duro "sradicamento" dei fondamentalisti: in inquietante analogia con l'Algeria del 1992, quando vennero annullate le elezioni vinte dal FIS e partì una campagna sanguinosa contro il Gruppo d'Azione Islamica... la campagna antiterrorista degli anni 90 costò all'Algeria 150.000 morti, ma è difficile estrapolarne suggerimenti per la situazione egiziana, se non per il fatto che la dirigenza algerina ancora oggi - e me lo sono sentito ripetere spesso nelle mie missioni! - lamenta la grave indifferenza dell'Europa e dell'Occidente in quella terribile stagione di lotta al terrorismo fondamentalista. "Ci avete lasciati completamente soli" si sentono ancora oggi dire ad Algeri i visitatori europei. Con un Egitto, come scrive Tom Friedman, "vicino al precipizio", le sofferte conclusioni raggiunte mercoledì scorso dai Ministri degli Esteri europei appaiono ispirate a consapevolezza e prudenza: l'Egitto è un partner di enorme importanza per l'UE per il suo ruolo nella stabilità regionale, ma anche - non siamo ipocriti - per le sue potenzialità economiche: un PIL attorno ai 280 miliardi di dollari, interscambio sui 32 miliardi di dollari in buona tenuta anche con l'Italia, diverse centinaia di nostre imprese che vi operano, e che non hanno mai diminuito la loro attività neppure in questo difficile periodo... Detto questo, è diffuso il convincimento che si debba insistere *per un'apertura del governo transitorio verso alcune componenti dell'Islam moderato*, nella speranza che ciò permetta di riassorbire il dissenso e sia utile per far cessare immediatamente l'impiego sproporzionato della forza. Anche perché l'eventualità di blocco dei finanziamenti (che era la seconda opzione) difficilmente otterrebbe risultati, dal momento che l'Egitto ha ben altri e variegati canali di finanziamento dall'estero (p. es. Arabia Saudita e Golfo). "La repressione sanguinosa da parte dei militari egiziani contro i sostenitori della fratellanza islamica - ha scritto recentemente Charles Kupchan - è un altro segno del lato oscuro del "Risveglio Arabo": "i barlumi di democrazia sono offuscati dalle turbolenze politiche e dalla violenza". Allora la Diplomazia (quella efficace, incisiva e concreta, non quella della mediazione a tutti costi e delle soluzioni annacquate "giusto per portare a casa qualcosa") ancora una volta ha il boccino in mano: serve un'opera di forte convincimento affinché l'attuale leadership aderisca a chiari e responsabili standard di governo ponendo fine alle violenze e alla repressione politica e ristabilendo le funzioni essenziali dello Stato, rilanciando l'economia (non dimentichiamolo: è il motivo principale alla base delle rivolte di piazza!) e contrastando gli estremisti... Ma per poter essere incisivi, ancora una volta occorre una strategia UE/USA coesa e univoca... VOI COSA NE PENSATE?
Se parlando di Egitto facciamo riferimento ad un paese Arabo, si commette un madornale errore ignorandone la storia. Fu Nasser che introdusse l'ideale di nazione panaraba (United Arab Republic) e sappiamo come ando' a finire. L'Egitto e' un paese Nordafricano con similitudini economiche con Tunisia, Libia, Algeria ed in parte Marocco. Ha una storia Islamica che deve ricondursi all'impero Ottomano e comunque un'eredita' delle proprie istituzioni democratiche che deriva dalla colonizzazione britannica.
I Fratelli Musulmani nacquero come movimento idelogicamente ispirato al radicalismo Islamico ma in funzione anti britannica. La CIA molti anni dopo utilizzera' lo stesso movimento in funzione anti comunista e anti sovietica nel quadrante medio orientale, finoa quando si rompe il meccanismo con la caduta del muro di Berlino e alcune frange diventano schegge impazzite (Al Qaeda come la Real IRA in Irlanda). Gli USA hanno tentato fino in fondo di addomesticare il mostro da loro creato ma alla fine lo uccideranno, anzi e' gia' stato deciso cosi' ed in tutto il MO e' in atto un'offensiva 'militare' atta a fare piazza pulita dei movimenti 'incontrollabili' o odiosi alla popolazione con un grado culturale medio alto o 'ostili' -come Hezbollah e Hamas-.
Le FFAA Egiziane conducono autonomamente un'iniziativa che e' in sincronia con quella del IDF nel Sud del Libano, nel Sinai e in Siria. Gli USA continuano a martellare in Yemen e l'Arabia Saudita con gli UAE stanno processando e mandando in galera tutti coloro che fanno della religione una bandiera per sovvertire il potere (con il placet USA e della Russia). Nei paesi Nord Africani si tornera' a sistemi fortemente secolari, molto laici, non certamente liberali ma di 'transizione', cioe' con storie simili ai regimi sudamericani, almeno fino a quando non ci saranno le condizioni di un maggiore benessere diffuso che e' la chiave di volta della democrazia.
Ma come si poteva credere che un ignorante e bugiardo come Morsi avrebbe potuto fare delle grandi cose? La UE ci ha creduto? Sicuramente non gli inglesi e nemmeno gli USA. Non possono esistere strategie coese ed uniche (purtroppo) ma possono essere avviate iniziative complementari e coerenti. Nostro malgrado devono farne parte la Russia e la Cina. Ricordo che nella road map USA ora c'e' il Venezuela, il paese piu' importante al mondo per riserve petrolifere e che da Washington dista solo qualche ora di aereo...al Medio Oriente ci pensano i petrodollari dei paesi GCC.(Nicola Evoli)

Fonte: https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi?hc_location=timeline

La perizia che scagionerebbe i marò


L’ingegner Luigi De Stefano, perito di parte civile nel processo per il DC 9 abbattuto nel cielo di Ustica, basandosi sui fori dei proiettili indicati da Freddy Bosco, capitano e proprietario del natante indiano, nelle immagini trasmesse da autorevoli testate TV internazionali ha calcolato con l’aiuto di proiezioni tridimensionali la direzione di provenienza dei proiettili che hanno colpito il peschereccio.
I fori dei proiettili, indicati da Freddy Bosco nelle immagini prese dai filmati trasmessi da BBC e di Bloomberg, possono essere stati prodotti solo da un’arma che tirava in orizzontale e non da una posta a oltre 23 metri di altezza sul mare, l’altezza del ponte della Enrica Lexie dove si trovavano i marò che proteggevano la nave.
Questa ricostruzione nega, come sempre sostenuto dai due marò, che essi abbiano sparato contro il peschereccio su cui si trovavano i due sfortunati pescatori indiani. Latorre e Girone avevano dichiatato fin dall’inizio di avere spararato in acqua quando un piccolo scafo, non il Saint Antony, si era avvicinato pericolosamente alla nave. Occorre anche segnalare che, per stessa ammissione della Guardia Costiera indiana, quel giorno altre navi incrociavano quelle acque, navi che non sono state oggetto di controlli da parte delle autorità indiane.
Secondo i calcoli di Di Stefano l’angolo di tiro dei proiettili che hanno causato i fori sul Saint Antony era di 0,76 gradi, mentre l’angolo di tiro dal ponte della petroliera a 500 metri di distanza sarebbe stato di 4,76 gradi e a 100 metri di 24,91 gradi. Secondo il primo telex inviato sull’accaduto da Massimiliano Latorre, le raffiche di avvertimento furono sparate rispettivamente da una distanza di circa 500 e 100 metri dall'imbarcazione.
Fonte: Wikipedia

Gli infiniti misteri sulla vicenda dei due marò, del Gen. Fernando Termentini

Molti i dubbi che in questi 550 giorni sono emersi sulla vicenda dei due marò. Hanno sparato, non hanno sparato. Il S Antony era il peschereccio che aveva minacciato la Lexie e su cui Massimiliano e Salvatore hanno fatto fuoco di dissuasione. I fatti sono accaduti in acque nternazionali. Che ruolo ha avuto la petroliera greca Olimpich Flair. Perché l'Armatore ha dato l'ordine di rientrare in acque territoriali indiane ed attraccare sul porto di Koci. Con chi si é consultato. Chi ha avvertito l'Addetto Militare che da Delhi ha raggiunto Koci in tempo utile per essere in banchina al momento dell'attacco della Lexie. Perchè l'Italia non ha attivato l'arbitrato internazionale per ottenere un giudizio super partes sull'accaduto.

Tante domande, poche le risposte molte delle quali incomplete specialmente se riferite ad aspetti del ruolo istituzionale dell'Italia. Nel frattempo i due "Leoni del S.Marco" sono ancora in ostaggio dell'India ed il loro futuro é poco comprensibile.

Fra le tante incertezze solo un aspetto è stato formalmente chiarito dall'allora Ministro della Difesa, quando il 15 ottobre 2012 ha sottoscritto una risposta scritta ad un'interrogazione parlamentare, informando che l'Armatore della nave aveva chiesto il "nulla contro" alla struttura militare di Comando e Controllo del personale militare impegnato in operazioni Fuori Area, perchè la petroliera Lexie rientrasse in acque territoriali indiane ed attraccasse a Koci. Autorizzazione concessa dal Centro Operativo Interforze che secondo procedura si dovrebbe essere consultato con il Comando della Squadra Navale della Marina Militare (CINCINAV), organo di Comando, Coordinamento e Controllo delle unitá e del personale della Marina Militare che opera oltre i confini nazionali.

Una notizia passata in sottordine, sicuramente non amplificata dagli Organi di Stampa nazionale quasi fosse un dettaglio di poco conto mentre, invece, la decisione rappresentava forse il nucleo principale, l'elemento fondamentale intorno al quale l'intera vicenda ruota da più di 500 giorni. Se la Lexie, infatti, non fosse rientrata in acque internazionali l'Italia avrebbe potuto pretendere in qualsiasi contesto internazionale l'applicazione nei confronti di Latorre e Girone il diritto di immunitá funzionale, chiudendo definitivamente l'intera faccenda.

Qualcosa di poco chiaro e mai chiarito é invece avvenuto e si aggiunge al mistero di chi abbia avvertito dei fatti l'Addetto per la Difesa a Delhi, anche esso un Ufficiale di Marina e di chi abbia dato lui disposizioni su come muoversi su quello che stava diventando un terreno minato. Gli Esteri piuttosto che la Difesa ? La Presidenza del Consglio attraverso i rappresentanti dell'Intelligence italiana in India? Piuttosto l'Ambasciatore italiano del momento, in vero molto assente nell'immediatezza dei fatti.

Non un dettaglio di poco conto, ma un altro elemento essenziale dal quale si potrebbe comprendere la "disinvoltura" con la quale l'Ufficiale ha accettato le richieste indiane di far consegnare Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, decisione sicuramente non autonoma né improvvisata, conoscendo l'inerzia che caratterizza determinate funzioni all'estero.

Vicende iniziali ma fondamentali che peraltro hanno visto un totale distacco dei vertici delle Forze Armate quasi che i due Marò fossero operatori di sicurezza civili. Un distacco forse anche determinato dalla convinzione che qualcosa di immediato si sarebbe ottenuto essendo Ministro della Difesa, per la prima volta in Italia, un collega, un Ammiraglio in quiescenza.

Un silenzio assordante rotto solo dallo sdegno manifestato da centinaia di migliaia di cittadini italiani, in uniforme, ex militari, civili, donne ed uomini a cui stava a cuore la sorte di due italiani e quella dell'immagine internazionale delle proprio Paese. Gente inascoltata, addirittura bistrattata e giudicata invece dalle Istituzioni ai massimi livelli come elemento disturbatore.

L'11 marzo un momento di riscossa nazionale, il Sottosegretario agli Esteri dott. Staffan de Mistura annuncia al mondo che i due marò non rientrano in India al termine del loro permesso elettorale e l'Italia ricorrerá ad un arbitrato internazionale. Un'illusoria speranza come tante altre, destinata ad annullarsi dopo una decina di giorni.

Quello che é accaduto successivamente é noto a tutti. Vergogna sulla vergogna con un ex Comandante che dopo aver accettato che i propri uomini fossero riconsegnati al nemico non abbandona una nave ormai alla deriva e nello stesso tempo non sente il dovere di chiarire i tanti misteri ancora oscuri. Una scelta sicuramente non fatta per coprire chicchessia, non lo voglio pensare, forse solo per non urtare la suscettibilitá e gli ordini di lobby intoccabili.

Improvvisamente, però il 24 marzo 2013, dopo che i due Marò sono stati fatti rientrare improvvisamente in India una voce si alza. L'ex diplomatico indiano Labil Sibal esclama "si tratta di una triste testimonianza dell'inettitudine della diplomazia italiana" in quel momento gestita dal Senatore Monti dopo le dimissioni del Ministro Terzi. Anche il Capo delle Forze Armate, l'Ammiraglio Binelli, finalmente mortificato dal battibecco fra Roma e Delhi grida, "basta con questa farsa, Latorre e Girone devono essere riconsegnati alla giurisdizione italiana ......". Un altro tassello che si aggiunge al mosaico dei misteri in quanto solo dopo più di un anno da quel fatidico 15 febbraio del 2012, si sente una voce di Comandante che avrebbe dunito urlare prima, almeno nelle orecchie del suo ex collega Di Paola.

A seguire, il Capo di Stato Maggiore della Marina Militare, Ammiraglio Giuseppe De Giorgi, ricorda " Latorre e Girone hanno avuto il coraggio dell'obbedienza, nel momento più difficile, guardando all'interesse dell'Italia, coerentemente con i loro valori di lealtá, onore ed amore di Patria che devono sempre inspirare le nostre azioni e le nostre scelte. Noi marinai continueremo a fare il nostro dovere con orgoglio e disciplina sul l'esempio di Latorre e Girone, fiduciosi della vittoria delle nostre ragioni. Sosteniamo incondizionatamente i fucilieri e le loro famiglie".

Nessuno, però, chiarisce chi abbia accettato Sulla linea di Comando militare la proposta dell'Armatore di fare rientrare la nave su Koci. Fra le tante parole finora dette, un'ammissione di responsabilitá In tal senso renderebbe onore e merito all'amore di Patria che ha inspirato le scelte di Latorre é Girone.

Roma 28 agosto 2013

domenica 25 agosto 2013

Caso Marò: il retroscena dello strappo fra Italia e India.


 

La scelta di far rimanere in Italia i due marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre è stata meditata per mesi, e già a Natale il ministro degli Esteri Giulio Terzi di Sant’Agata e il ministro della Difesa Giampaolo Di Paola avevano pensato di non rispettare gli accordi con l’India. Vincenzo Nigro su Repubblica racconta cosa è successo dietro le quinte in una vicenda che potrebbe portare a una crisi diplomatica tra Italia e India. Cosa è cambiato da fine dicembre? Lo spiega a Nigro una fonte anonima:


«Ma allora non avevamo ancora capito fino in fondo la lentezza, il disinteresse con cui l’India affrontava una questione di dignità totale per il governo della Repubblica italiana», dice un alto funzionario che ha seguito nei mesi tutti i passaggi dello scontro sul caso dei due pescatori del Kerala uccisi nel febbraio del 2012. Per questo la settimana scorsa sono stati Giulio Terzi e Giampaolo Di Paola i due ministri che hanno chiesto e spinto più degli altri perché l’Italia non rispedisse in India i due marò. Superando quindi le obiezioni del premier Mario Monti, preoccupato delle conseguenze per i rapporti politici ed economici con l’India. Alla fine della scorsa settimana, in una riunione col premier e col ministro della Giustizia Paola Severino, i responsabili di Esteri e Difesa hanno tirato le somme: tutti insieme, con l’avallo di Napolitano, hanno deciso di violare i patti con Delhi. «In verità non è proprio così», sostiene in maniera ardita una fonte della Farnesina, «sono le condizioni che sono mutate, e noi ci siamo tenuti le mani libere per modificare la nostra adesione allo scenario creato dall’Unione indiana». Come dire sono i fatti che sono cambiati, anche se — viste le furibonde proteste indiane delle ultime ore — il governo di Delhi non deve avere proprio la stessa lettura che propongono Terzi e Di Paola.
Tanti sono i fattori che hanno portato l’Italia alla rottura del patto con l’India, spiega Nigro:
Innanzitutto la sentenza del 18 gennaio della Corte suprema di Delhi. In quella sentenza i supremi magistrati dell’Unione stabilivano l’incompetenza dello stato del Kerala, ma sostenevano anche che i militari italiani non godevano delle “garanzie funzionali” che avrebbero garantito loro immunità. Quindi la giurisdizione rimaneva indiana, anche se Delhi doveva organizzare un tribunale speciale per affrontare il caso. La sentenza del 18 gennaio era stata una doccia fredda per Esteri e Difesa: in base a non si capisce quali informazioni confidenziali, sussurrate ai dirigenti italiani da alcuni mediatori e trafficanti indiani, sembrava che la Corte suprema avrebbe dovuto decidere la rinuncia della giurisdizione indiana sul caso. La decisione contraria a questo punto lasciava pensare a un processo in India dai tempi prevedibilmente lunghi, visto che non esisteva neppure il “tribunale speciale” difronte al quale far comparire Salvatore Girone e Massimiliano La Torre.
A quel punto l’Italia prova a giocare l’ultima carta, che però era già un modo per prepara il “colpo gobbo” annunciato poi l’11 marzo: con una nota verbale il 6 marzo la Farnesina propone al governo indiano una soluzione politica e diplomatica. Un ricorso all’arbitrato internazionale previsto dalla convenzione Onu sul diritto marittimo (Unclos). Gli indiani non rispondono in pochi giorni, offrendo così agli italiani il pretesto per dire nella nota verbale consegnata l’11 marzo che ormai la contesa è fra i due Stati, e che per questo l’Italia è costituzionalmente impedita dal restituire i due marò all’India.
La scelta dello strappo dell’11 marzo avviene su impulso del ministro Di Paola e con il placet di Pdl e di Pd:
Uno dei dirigenti coinvolti nel processo decisionale elenca alcuni punti che sono stati valutati dal governo: «Innanzitutto il pressing fortissimo di Di Paola, che da ammiraglio, da ex capo della Difesa, sentiva come un dovere assoluto riportare i sottufficiali in Italia. Per questo dovevamo decidere prima del 22 marzo, ovvero prima della data di rientro. Poi abbiamo voluto decidere prima del 15 marzo, la data di insediamento delle nuove Camere, per evitare ogni ingorgo istituzionale. Poi ancora volevamo evitare di passare una patata bollente al prossimo governo, un governo che avrebbe impiegato mesi e mesi solo per studiare il caso». La decisione fra l’altro in qualche modo è stata condivisa non solo dai partiti di centrodestra, ma accettata anche dalla sinistra, dal Pd. Di Paola aveva avvertito il Pdl, seguendo il filo che non ha mai interrotto con Gianni Letta, sottosegretario con la delega alle questioni della sicurezza nei governi Berlusconi. Lo stesso Terzi, vicino al Pdl, ha premuto per raggiungere un risultato gradito a quella parte politica. Ma nel Pd un deputato come Sandro Gozi, presidente dell’associazione parlamentare Italia-India (e molto vicino a Romano Prodi) spiega che «per l’Italia non era più tollerabile andare avanti senza che le istituzioni indiane comprendessero che la cosa non poteva rimanere ostaggio di un gioco dilatorio, un gioco ormai scorretto».

Fonte:https://www.facebook.com/Blitzquotidiano  

TA-PUM. DALLO STELVIO AL MARE: un cammino della memoria, cento anni dopo, lungo i fronti della Grande Guerra


 Ta Pum

In occasione del Centenario dell’entrata in guerra dell’Italia, l’Associazione Ta Pum promuove un “Cammino della memoria” nei luoghi, dallo Stelvio al Carso, che furono lo scenario della Grande Guerra. Un viaggio per conoscere e capire la Storia ‘in maiuscolo’, che ha sconvolto e cambiato il mondo, ma anche le tante storie ‘minuscole’, scritte con l’inchiostro e con il sangue di quanti in quei luoghi hanno combattuto e sofferto.
Il 24 maggio 2015, in occasione del Centenario dell’ingresso dell’Italia in guerra, prenderà il via una spedizione storico-alpinistica che percorrerà un itinerario di oltre 1500 km, suddiviso in più di 60 tappe che collegano i luoghi la cui storia è legata ai momenti più significativi della prima Guerra Mondiale.
Ideato dal Comitato Tapum con la collaborazione di storici ed esperti, il percorso segue la linea dei cinque fronti di guerra dallo Stelvio al mare – Stelvio, Adamello, Giudicarie, linea degli Altipiani, Cadore, Carnia, Fronte Giulia - e include luoghi la cui storia è legata ad alcuni dei momenti più significativi del conflitto, da Asiago a Bassano, da Vittorio Veneto a Redipuglia. Quattro le regioni attraversate – Lombardia, Trentino-Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia –, e decine le Province e i Comuni coinvolti in questo percorso dallo straordinario valore storico, culturale e paesaggistico.
I membri della spedizione, esperti alpinisti, saranno accompagnati e supportati per tutta la durata del trekking da professionisti della comunicazione che garantiranno all’evento la copertura mediatica necessaria per dare visibilità a un’iniziativa unica, che vuole far riscoprire al grande pubblico la nostra Storia attraverso la conoscenza diretta dei luoghi e delle comunità che ne sono stati protagonisti, garantendo visibilità anche a tutti i soggetti che vi prenderanno parte in qualità di partner, sponsor o sostenitori.
Molteplici le iniziative che Ta Pum coorganizzerà e promuoverà a livello nazionale e locale: spettacoli, convegni, attività divulgative e didattiche che contribuiranno a ricordare e celebrare un momento fondante della storia italiana ed europea.

Marò forse a casa per Natale. Dopo la condanna in India


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Torneranno in Italia per Natale i fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Più che una certezza si tratta di un auspicio rinnovato nei giorni scorsi dal ministro degli Esteri, Emma Bonino. “Ci stiamo lavorando, sono molto fiduciosa. Ho potuto riscontrare da parte delle autorità politiche indiane grande desiderio di chiudere in modo rapido ed equo per tutti questa vicenda”. Lo stesso auspicio di riavere a casa entro Natale i due militari era stato espresso nell’autunno scorso dall’allora capo di stato maggiore della Marina, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, oggi ai vertici della Difesa. 
Poi ci fu la licenza natalizia, in seguito quella elettorale e il pasticcio del rientro dei due marò a Delhi, prima negato e poi concesso dal governo Monti tra le polemiche. Da marzo il nuovo governo italiano applica alla vicenda due precise note di linguaggio (ripetute in più occasioni non solo dalla Bonino ma anche dal Ministro della Difesa, Mario Mauro e dall’inviato speciale in India Staffan de Mistura) che sottolineano il rapporto di fiducia instauratosi con l’India e l’aspettativa di un processo “rapido ed equo”.
La strategia di Roma, confermata ormai da indiscrezioni che circolano negli ambienti politici e militari, è quella di accettare che a processare i due militari sia il tribunale speciale istituito in India sperando in una condanna lieve e nell’estradizione per poter scontare la pena in Italia. Un obiettivo perseguibile solo accettando la giurisdizione indiana sul caso e rinunciando a pretendere l’immunità funzionale che in tutto il mondo attribuisce agli Stati la responsabilità delle azioni compiute dai loro militari in servizio. 
L’Italia ha di fatto messo da parte anche l’ipotesi di ricorrere a un arbitrato internazionale con l’obiettivo prioritario di stringere per quanto possibile i tempi di una vicenda che si protrae dal 15 febbraio 2012. Una “resa” dell’Italia riconosciuta ben accolta da Nuova Delhi. ”Sono contento che da parte italiana ci sia una migliore comprensione e spero che tutti questi nostri sforzi portino a una decisione veloce” ha detto il 18 luglio il ministro degli Esteri indiano Salman Khurshid confermando ”la determinazione di arrivare a una soluzione nel rispetto del diritto indiano” ma rifiutandosi di indicare un termine di tempo.
Nonostante Roma abbia accettato tutte le imposizioni indiane non mancano residui contrasti in particolare circa l’interrogatorio degli altri quattro fucilieri che con Latorre e Girone si trovavano a bordo della “Enrica Lexie”. Si tratta di Renato Voglino, Massimo Andronico, Antonio Fontana e Alessandro Conte che gli investigatori indiani della Nia, l’Agenzia di investigazione nazionale, vorrebbero ascoltare a Nuova Delhi mentre l’Italia rifiuta di sottoporre direttamente altri quattro suoi militari alla giustizia indiana e propone di farli testimoniare via videoconferenza. Ipotesi respinta dalla Nia  con il rischio che i quattro non possano così testimoniare, soluzione che penalizzerebbe la difesa di Latorre e Girone. 
Circa il ruolo degli altri quattro membri del team non mancano i misteri. Secondo il rapporto interno alla Marina stilato l’anno scorso dall’ammiraglio Alessandro Piroli i proiettili che la perizia indiana sostiene abbiano ucciso i due pescatori appartengono ai fucili Beretta AR 70/90 di Andronico e Voglino, non di Latorre e Girone. Quando la notizia venne resa nota fonti militari riferirono che nell’emergenza i marò potrebbero aver preso le armi dei commilitoni ma la giustificazione non regge poiché ogni soldato utilizza esclusivamente la propria arma individuale che viene regolata in base alle caratteristiche personali.
Anche l’impianto accusatorio indiano appare debole e basato su perizie e testimonianze poco affidabili. Basti pensare che Freddie Bosco, il proprietario del peschereccio Saint Anthony raccontò tre diverse versioni dell’incidente e nella prima dichiarazione resa alla televisioni e alla polizia appena arrivato a terra disse di aver subito l’attacco intorno alle 21,30, orario che correggerà in successive dichiarazioni quando già era noto che l’incidente occorso alla “Lexie” era accaduto intorno alle 16. 
Così come non convince il fatto che, dopo i primi rilievi balistici della polizia del Kerala, il peschereccio sia stato affondato e poi portato in secca attesa di demolizione in modo da rendere impossibili ulteriori esami e accertamenti.
Anche le notizie riportate dalle autorità del Kerala e dalla Guardia Costiera indiana circa l’inseguimento della petroliera italiana in fuga dopo l’uccisione di due pescatori si sono rivelate infondate dopo che sono emersi i dispacci con i quali il comandante della Enrica Lexie comunica di dirigere verso il porto di Kochi appena 11 minuti dopo aver ricevuto la richiesta indiana. 
L’aspetto paradossale è che la gran parte delle informazioni che evidenziano punti oscuri o rendono improbabili le accuse indiane sono emerse grazie a inchieste giornalistiche o ad analisi effettuate da esperti con l’utilizzo di fonti aperte ma non sono mai state diffuse da Roma che mantiene sulla vicenda un’ormai consolidata ambiguità (mentre a Difesa e Marina è stato imposto il silenzio fin dall’inizio) tesa prioritariamente a non creare contrasti con l’India e a smorzare le polemiche in Italia.
Per la loro permanenza preso l’ambasciata in India, Latorre e Girone hanno ottenuto incarichi di assistente all’addetto militare retribuiti con 6.400 euro mensili netti e vivono in due piccoli appartamenti nei quali possono ospitare le famiglie che vengono regolarmente a trovarli. Venerdì la sorella di Latorre, Carolina, ha annunciato la chiusura del seguitissimo gruppo Facebook delle famiglie dei due militari.  
“Devo comunicarvi che per motivi personali non posso più seguire il gruppo e quindi tristemente sono costretta a chiuderlo” scrive Carolina senza fornire ulteriori spiegazioni. L’ipotesi di pressioni dall’alto resta molto probabile specie considerando che mercoledì scorso la stessa Carolina Latorre aveva invitato per l’ennesima volta gli internauti a moderare il linguaggio nei loro post e commenti, perché a volte offensivo nei confronti delle istituzioni impegnate nel caso.
Il ritorno in Italia entro il prossimo Natale è un’ipotesi “ragionevole” ha detto De Mistura valutando che l’inchiesta dovrebbe concludersi “alla fine di agosto” permettendo così l’inizio del processo la cui durata è stimata in due o tre mesi. Un ottimismo forse esagerato considerate le lungaggini e i ritardi dell’apparato giudiziario indiano. In giugno fonti vicine agli ambienti giudiziari informarono la stampa indiana di non poter prevedere la data d’avvio del processo aggiungendo che solo la traduzione dalla lingua malayalam all’inglese e all’italiano di tutti gli atti avrebbe richiesto non meno di altri due o tre mesi.