Riassumendo brevemente l'accaduto vediamo di trarre considerazioni di Diritto.
Verso la metà di febbraio del 2012, due fucilieri della marina militare italiana, appartenenti al Battaglione San Marco,
dopo varie segnalazioni ottiche e sonore, sparavano colpi di
dissuasione in aria e davanti ad una imbarcazione che si stava
avvicinando con presumibili intenzioni di abbordaggio.
Nello
stesso giorno un'altra petroliera Greca, la Olimpic Flair denunciava il
tentativo di abbordaggio da parte di due imbarcazioni.
Sono
state fatte delle dichiarazioni secondo cui i due pescatori indiani non
sono stati uccisi dai due Fucilieri, ma dalle forze di sicurezza di
un’altra petroliera che si trovava nello stesso luogo. Altra
dichiarazione, secondo la quale la presenza italiana rappresenta il
prodotto della prassi affaristica illecita ed il tentativo di tenere
lontano il made in Italy dall'India per favorire i gruppi politici
locali e contrastare l'odiata "Italiana" Sonia Gandi.
Ci
sono anche questioni attinenti l’esatta locazione dove è avvenuto
l’incidente, se si è consumato nella acque internazionali oppure nelle
acque interne dell’India. Dopo l’incidente, le autorità indiane non
hanno esitato a fermare la petroliera Enrica Lexie, battente bandiera
italiana, convincendola ad entrare nel porto di Kochi, dove hanno
proceduto al fermo dei due Fucilieri per interrogarli e, dopo aver
valutato le responsabilità su chi ha sparato, accusarli del reato di
omicidio.
Le
autorità italiane, a loro volta, hanno posto in risalto il fatto che
l’India non aveva alcuna giurisdizione in merito all'accaduto e non
hanno contestato subito la completa estraneita dei Militari di scorta
ribadendo, quindi, che solo l’Italia aveva la esclusiva giurisdizione
sui propri organi ufficiali che operavano per la sicurezza dell’Enrica
Lexie e questo in base ad un principio generale storicamente e
comunemente riconosciuto dall'ordinamento internazionale – e, da ultimo,
sancito nell'articolo 87 della Convenzione delle Nazioni Unite sul
diritto del mare del 1982 – secondo cui nelle
acque internazionali lo Stato della bandiera è il solo soggetto
normalmente legittimato ad esercitare poteri coercitivi nei confronti
delle navi iscritte nei propri registri.
Qui
si inserisce anche la responsabilità di chi ha ordinato lo sbarco dei
due Fucilieri consegnandoli di fatto a chi non aveva titolo per
procedere al fermo di due Militari in missione.
Le
autorità indiane facevano presente alle autorità italiane che spettava a
loro l’esercizio della giurisdizione, in base al loro ordinamento
interno. Il luogo dove è avvenuto l’incidente costituisce il punto
cruciale per comprendere la natura della controversia tra i due soggetti
di diritto internazionale. A parere delle autorità italiane, visto che
la petroliera Enrica Lexie si trovava in alto mare al momento
dell’accaduto, le Corti indiane non erano competenti nel giudicare i due
marò, secondo il diritto internazionale.
Questa
disputa tra i due Stati opera alcuni differenti punti: il primo, se
l’esercizio di giurisdizione da parte dell’India viene inibito dalle
rilevanti norme di diritto internazionale generale; il secondo, se
l’inseguimento e il fermo della Enrica Lexie in acque internazionali era
ammissibile; e, il terzo, se questo priva i tribunali interni indiani
ad applicare la loro giurisdizione.
Il
primo punto può essere risolto dando uno sguardo alle fonti standard
del diritto internazionale generale come, a titolo di esempio, i
trattati e la consuetudine. Classicamente lo jus cogens o, meglio, il
diritto internazionale consuetudinario disciplina l’esercizio della
giurisdizione secondo cui ciascuno Stato potrebbe esercitarla in ogni
momento, tranne dove si presenta una norma che la vieta. Su questo punto
si espresse già la Corte Permanente di Giustizia Internazionale, prima
della nuova Corte Internazionale di Giustizia, la quale affrontò un
simile caso nel 1927, sottolineando che lo Stato nazionale della nave,
dove ci furono anche dei morti, aveva tutto il diritto di esercitare la
giurisdizione perché il reato si consumò sul territorio di quello Stato,
visto che la nave era, in un certo senso, considerato lembo
territoriale.
Questo
principio trova la sua recente espressione nello jus cogens noto come
il principio del fine territoriale. Gli altri principi del territorio
sono quello soggettivo, quello della nazionalità attiva, della
personalità passiva, dell’universalità, della protezione e,
possibilmente, quelli degli effetti dottrinali. Gli Stati, pertanto,
sono liberi di limitare l’esercizio della propria giurisdizione mercé,
inter alia, accordi internazionali siglati.
Gran
parte degli Stati, che costituiscono la vita della società
internazionale, dopo la decisione della Corte Permanente di Giustizia
Internazionale inerente l’affare Lotus tra Francia e Turchia del 1927,
si sono riuniti a Montego Bay nel 1982 per dar vita alla Convenzione
delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, firmandola ed invertendo la
decisione dell’affare Lotus.
Si
menzioni il fatto che sia il governo italiano che quello indiano hanno
ratificato e firmato questo trattato del 1982, per cui sono a tutti gli
effetti vincolati ad esso.
L’articolo 97 paragrafo 1 della Convenzione di Montego Bay sul Diritto del Mare enuncia che in
caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto
mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del
comandante della nave ovvero di qualunque altro membro dell'equipaggio,
non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali
persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative
dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la
cittadinanza. Questo articolo
va applicato esclusivamente ai casi di collisione ed incidenti di
navigazione nelle acque internazionali, ad esclusione di altri eventuali
casi. La Convenzione di Montego Bay sul Diritto del Mare inibisce
l’esercizio di giurisdizione su atti che cagionano una collisione che
avviene su una altra nave battente bandiera di un altro Stato,
fondandosi, pertanto, sul principio oggettivo territoriale.
La norma generale inerente la giurisdizione in acque internazionali è sancita nell’articolo 92, secondo cui le
navi battono la bandiera di un solo Stato e, salvo casi eccezionali
specificamente previsti da trattati internazionali o dalla presente
Convenzione, nell'alto mare sono sottoposte alla sua giurisdizione
esclusiva. Purtroppo, questa
norma non specifica in modo netto la giurisdizione penale su atti che
avvengono su una nave e si concludono su di un’altra nave. Essa fa
riferimento soltanto alla giurisdizione sulle navi e si riferisce, in
larga misura, all’autorità di fermare la nave nelle acque internazionali
e di condurre l’attività di polizia giudiziaria a bordo. Sempre
l’articolo 92 può essere letto per comprendere l’esclusione della
applicazione all’approccio dell’obiettivo territoriale della
giurisdizione, facendo riferimento ai casi eccezionali. Il problema di
quest’approccio sta nel fatto che, secondo la teoria oggettiva, lo Stato
nazionale della nave, dove è stato commesso il crimine, non esercita la
giurisdizione sulla nave in cui il crimine ha avuto il suo inizio.
L’India ha sempre ritenuto di dover esercitare il proprio diritto di
considerare crimini quelle attività che si manifestano o si sono
manifestati, se pur parzialmente, sul suo territorio. Il contenuto della
norma, presente nell’articolo 92, indica come prevenire gli Stati
dall’esercizio della giurisdizione su eventi che accadono a bordo di una
nave in acque internazionali e che batte la bandiera di un altro Stato.
In aggiunta, va sottolineato che la norma, di cui all’articolo 97,
inerente la collisione, sarebbe superflua, se l’articolo 92 fosse intesa
come esclusione della competenza giurisdizionale in tutti i casi, dove
il reato viene commesso a bordo di un’altra nave.
Gli
estensori della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare
non tennero in considerazione o, meglio, esclusero la giurisdizione
solamente nei casi di collisione ed incidenti di navigazione, asserendo,
in conclusione, che in altri casi la giurisdizione è consentita.
Estendere
la giurisdizione indiana su reati che vengono commessi su navi che
battono bandiera indiana è conforme con l’attuale prassi giurisdizionale
riguardanti i reati che hanno il loro inizio nel territorio di uno
Stato e sono commessi o parzialmente compiuti nel territorio di un altro
Stato. Le Corti indiane andrebbero intese come aventi la giurisdizione
sui due Fucilieri basata sulla mancanza di ogni esplicita inibizione
della Convenzione di Montego Bay del 1982 sull’esercizio del principio
dell’obiettivo territoriale ed il fatto che la prassi giurisdizionale
attuale di solito sostiene l’esistenza di alcune giurisdizioni in
determinati casi.
Competente
a prescrivere comportamenti è, ovviamente, una questione separata dal
se perseguire o meno la petroliera Enrica Lexie in acque internazionali,
ed era consentito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del
Mare. Questo secondo problema concerne l’autorità di uno Stato di
trattenere una nave in acque internazionali. L’articolo 111 paragrafo 1
della Convenzione di Montego Bay del 1982 enuncia che è
consentito l’inseguimento di una nave straniera quando le competenti
autorità dello Stato costiero abbiano fondati motivi di ritenere che
essa abbia violato le leggi e i regolamenti dello Stato stesso.
L’inseguimento deve iniziare quando la nave straniera o una delle sue
lance si trova nelle acque interne, nelle acque arcipelagiche, nel mare
territoriale, oppure nella zona contigua dello Stato che mette in atto
l’inseguimento, e può continuare oltre il mare territoriale o la zona
contigua solo se non e` interrotto.
L'analisi
effettuata dal Perito Giudiziario Luigi di Stefano, oltre che confutare
tutte le prove iniziali addotte dalle autorità del Kerala, spiega
dettagliatamente e pone in evidenza tutti questi aspetti.
L’esatta
locazione della petroliera italiana Enrica Lexie, al momento
dell’inseguimento iniziato – se al di là del mare territoriale –, può
essere considerato come un violare i diritti nella zona dell’alto mare,
in cui la nave italiana si trovava in quel momento. Nonostante tutto,
alcune cose possono essere evidenziate con certezza. Le autorità indiane non avevano alcun diritto di inseguire la nave Enrica Lexie,
visto che i presunti atti di omicidio sono avvenuti oltre il loro mare
territoriale e, quindi, in aree non soggette alla sovranità dello Stato
indiano. Contrariamente, a parere di chi scrive, essi avevano pienamente
il diritto e l’autorità di fermare la nave battente bandiera italiana,
solamente se l’incidente fosse accaduto nelle loro acque territoriali. A
maggior ragione, visto che la nave italiana era stata trattenuta in
modo inappropriata nel porto di Kochi per alcuni mesi – il suo rilascio è
avvenuto agli inizi del mese di maggio –, le autorità indiane sono in
dovere nel risarcirla per ogni perdita giornaliera. Ciò è sancito
proprio nel paragrafo 8 dell’articolo 111, sempre della Convenzione di
Montego Bay del 1982, secondo cui una
nave che abbia ricevuto l’ordine di fermarsi o sia stata sottoposta al
fermo fuori dal mare territoriale in circostanze che non giustificano
l’esercizio del diritto di inseguimento verrà indennizzata di ogni
eventuale perdita o danno conseguente a tali misure.
Ma questo non ha ancora risolto il problema della giurisdizione indiana
circa la detenzione dei due fucilieri della marina militare, che sono
tuttora, anche se in parte liberi, in attesa della decisione dell’alta
Corte indiana per il loro via dal territorio indiano.
L’ultima
problematica concerne la questione inerente i tribunali indiani se sono
autorizzati ovvero abbiano titolo a processare i due fucilieri della
marina militare italiana per l’accusa di omicidio, in cui si suppone
pure che l’India abbia violato una serie di norme di diritto
internazionale proprio attraverso il fermo della petroliera battente
bandiera italiana e l’arresto dei due organi ufficiali. La risposta
dell’India non può che sembrare positiva come questione di diritto.
Sebbene non viene dibattuto, generalmente, il procedimento giudiziario
di un individuo sarà legale anche nel momento in cui quella persona sia
stata data in custodia alla Corte indiana con strumenti illeciti. La
Camera straordinaria del Tribunale cambogiano, ad esempio, ha
esplicitamente riconosciuto tale dottrina, mentre il Tribunale
internazionale per i crimini di guerra in Ruanda ne ha già dibattuto.
Non
pare esserci, di conseguenza, una parte del diritto internazionale che
possa regolare il modus con cui poter esercitare la giurisdizione a
causa di questo presunto arresto illegale. La presenza di questi nuclei
militari a bordo si attiene anche alla risoluzione dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite, la quale invita tutti gli Stati a contribuire al
contrasto della pirateria al largo delle coste somale e nell’Oceano
indiano. Le autorità italiane hanno insistito sul problema che, sulla
base dei principi del diritto internazionale, la giurisdizione sul caso appartiene unicamente all’ordinamento giudiziario italiano,
perché i fatti sono avvenuti in un’azione antipirateria, come pure
quest’azione è stata compiuta in alto mare su una nave battente bandiera
italiana e anche per il fatto che ne sono stati protagonisti militari
italiani, organi ufficiali dello Stato italiano.
L’incidente
avvenuto in acque internazionali tra la petroliera battente bandiera
italiana ed il peschereccio indiano viene dipinto come una specie di
giallo internazionale.
Alla
luce di queste considerazioni si può ragionevolmente pensare che nessun
giudice Indiano, forte degli insegnamenti del diritto anglosassone ,
non può non valutare tutte le norme indicate e quindi pronunciare una
sentenza assolutoria per Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, mentre
la responsabilità delle decisioni, da qualsiasi livello siano
pervenute, sono esclusivamente dei vertici di comando sia politico che
Militare (indipendentemente da chi li ha comunicati) in primis di chi è
al vertice della catena.