domenica 7 settembre 2014

«Latorre rientri in Italia per curarsi» Ricorso alla Corte suprema indiana

L’asimmetria piomba nel caso dei marò. Non è detto porti buon vento. L’altro ieri, i legali dei due fucilieri di Marina trattenuti a Delhi, hanno presentato un ricorso, che sarà avanzato lunedì alla Corte suprema indiana, per far rientrare in Italia Massimiliano Latorre, colpito il 1° settembre da un’ischemia (e in via di progressivo miglioramento, secondo fonti ufficiali). 

La ragione della richiesta sta nelle sue condizioni di salute: non che sia stato curato male nella capitale indiana; anzi, il ministro Roberta Pinotti ha assicurato che l’intervento dei medici è stato ottimo e tempestivo; piuttosto, perché il recupero da un’ischemia consiglia un ambiente disteso, non stressante, diverso dalle condizioni di semidetenzione — nell’ambasciata italiana ma con il divieto di lasciare Delhi — in cui si troverebbe Latorre una volta dimesso dall’ospedale (forse già oggi). La richiesta sarà avanzata a nome del fuciliere, non dello Stato italiano che non ha titolo per farlo. Si tratta però di un passaggio che rende ancora più complessa la situazione diplomatica e giudiziaria. Da una parte, ovviamente, è sperabile che la Corte suprema accetti il ricorso e consenta a Latorre di recuperare forze e tempra a casa propria. In quel caso, però, per il governo italiano si aprirebbe la questione dell’affidavit. 

L’Alta corte indiana, infatti, se decidesse di accettare la richiesta del marò vorrebbe garanzie, con ogni probabilità l’assicurazione (confermata dalle autorità italiane) che dopo un certo periodo di tempo (si possono immaginare tre mesi) egli torni in India. A quel punto, il governo italiano rischierebbe due inferni. Da una parte, ci sarebbero pressioni interne fortissime per trattenerlo definitivamente in Italia. 

Dall’altra, si aprirebbe la questione del rapporto con l’India, rispetto alla quale non solo la regola diplomatica vuole che un impegno preso sia rispettato ma la quale tratterrebbe sul suo territorio l’altro marò, Salvatore Girone: l’India è una democrazia e non lo tratterebbe da ostaggio; ma difficilmente userebbe i guanti bianchi. Certo, in tre mesi si può sperare che l’intera vicenda finisca. Ma l’esperienza fa dire che non è affatto detto. Insomma, un’ulteriore complicazione. Va però notato che, sul piano della dinamica introdotta dal malore di Latorre, l’intero caso sembra riprendere importanza anche in India e accelerare: alcuni funzionari del governo di Delhi sarebbero stati in ospedale a salutare il marò, un segno di attenzione non scontato. 

La nuova dimensione presa dalla vicenda, cioè i riflessi sulla salute dei due militari — in India da più di due anni e mezzo — potrebbe inoltre spingere il primo ministro Narendra Modi a rompere gli indugi e a spingere per una soluzione del caso in tempi ragionevoli, non fosse altro che per togliersi una distrazione e un potenziale imbarazzo internazionale. Dalla risposta che darà la Corte suprema alla richiesta che sarà formalizzata lunedì si potrà forse capire se il clima è in qualche misura cambiato. La decisione dei giudici, tra l’altro, difficilmente ci sarà subito: a Delhi qualcuno ipotizza che prima di esprimersi la Corte voglia sentire, in via informale, l’orientamento delle autorità politiche. Si avvicinano, insomma, giornate importanti: fondamentale che Roma non tolga lo sguardo dall’obiettivo. Le novità di questa settimana, infatti, hanno in parte cambiato i termini della situazione dei due marò e il ritorno in Italia di Latorre potrebbe cambiarli ulteriormente. 

L’ipotesi di avanzare un ricorso a un arbitrato internazionale e di chiedere d’urgenza lo spostamento dei due militari in un Paese terzo in attesa del processo è una carta che potrebbe dovere essere giocata d’urgenza. Se la Corte suprema respingesse la richiesta di Latorre ci sarebbe un’argomentazione in più per avanzarla. Ma se anche venisse accettata, i motivi per chiedere a un giudice internazionale che anche a Girone venga concesso di lasciare l’India rimarrebbero in essere, rafforzati anzi dall’implicita ammissione della Corte suprema dello stress che comporta tenere in semicattività e nell’incertezza quotidiana una persona. Argomenti per il governo di Roma, per il team legale italiano guidato a Sir Daniel Bethlehem ma anche per Delhi, la quale rischia di passare in breve da una posizione di forza a una difficilmente difendibile.

Fonte: http://mentiinformatiche.com/

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