L’asimmetria piomba nel caso dei
marò. Non è detto porti buon vento. L’altro ieri, i legali dei due
fucilieri di Marina trattenuti a Delhi, hanno presentato un ricorso, che
sarà avanzato lunedì alla Corte suprema indiana, per far rientrare in
Italia Massimiliano Latorre, colpito il 1° settembre da un’ischemia (e
in via di progressivo miglioramento, secondo fonti ufficiali).
La
ragione della richiesta sta nelle sue condizioni di salute: non che sia
stato curato male nella capitale indiana; anzi, il ministro Roberta
Pinotti ha assicurato che l’intervento dei medici è stato ottimo e
tempestivo; piuttosto, perché il recupero da un’ischemia consiglia un
ambiente disteso, non stressante, diverso dalle condizioni di
semidetenzione — nell’ambasciata italiana ma con il divieto di lasciare
Delhi — in cui si troverebbe Latorre una volta dimesso dall’ospedale
(forse già oggi). La richiesta sarà avanzata a nome del fuciliere, non
dello Stato italiano che non ha titolo per farlo. Si tratta però di un
passaggio che rende ancora più complessa la situazione diplomatica e
giudiziaria. Da una parte, ovviamente, è sperabile che la Corte suprema
accetti il ricorso e consenta a Latorre di recuperare forze e tempra a
casa propria. In quel caso, però, per il governo italiano si aprirebbe
la questione dell’affidavit.
L’Alta corte indiana, infatti, se decidesse
di accettare la richiesta del marò vorrebbe garanzie, con ogni
probabilità l’assicurazione (confermata dalle autorità italiane) che
dopo un certo periodo di tempo (si possono immaginare tre mesi) egli
torni in India. A quel punto, il governo italiano rischierebbe due
inferni. Da una parte, ci sarebbero pressioni interne fortissime per
trattenerlo definitivamente in Italia.
Dall’altra, si aprirebbe la
questione del rapporto con l’India, rispetto alla quale non solo la
regola diplomatica vuole che un impegno preso sia rispettato ma la quale
tratterrebbe sul suo territorio l’altro marò, Salvatore Girone: l’India
è una democrazia e non lo tratterebbe da ostaggio; ma difficilmente
userebbe i guanti bianchi. Certo, in tre mesi si può sperare che
l’intera vicenda finisca. Ma l’esperienza fa dire che non è affatto
detto. Insomma, un’ulteriore complicazione. Va però notato che, sul
piano della dinamica introdotta dal malore di Latorre, l’intero caso
sembra riprendere importanza anche in India e accelerare: alcuni
funzionari del governo di Delhi sarebbero stati in ospedale a salutare
il marò, un segno di attenzione non scontato.
La nuova dimensione presa
dalla vicenda, cioè i riflessi sulla salute dei due militari — in India
da più di due anni e mezzo — potrebbe inoltre spingere il primo ministro
Narendra Modi a rompere gli indugi e a spingere per una soluzione del
caso in tempi ragionevoli, non fosse altro che per togliersi una
distrazione e un potenziale imbarazzo internazionale. Dalla risposta che
darà la Corte suprema alla richiesta che sarà formalizzata lunedì si
potrà forse capire se il clima è in qualche misura cambiato. La
decisione dei giudici, tra l’altro, difficilmente ci sarà subito: a
Delhi qualcuno ipotizza che prima di esprimersi la Corte voglia sentire,
in via informale, l’orientamento delle autorità politiche. Si
avvicinano, insomma, giornate importanti: fondamentale che Roma non
tolga lo sguardo dall’obiettivo. Le novità di questa settimana, infatti,
hanno in parte cambiato i termini della situazione dei due marò e il
ritorno in Italia di Latorre potrebbe cambiarli ulteriormente.
L’ipotesi
di avanzare un ricorso a un arbitrato internazionale e di chiedere
d’urgenza lo spostamento dei due militari in un Paese terzo in attesa
del processo è una carta che potrebbe dovere essere giocata d’urgenza.
Se la Corte suprema respingesse la richiesta di Latorre ci sarebbe
un’argomentazione in più per avanzarla. Ma se anche venisse accettata, i
motivi per chiedere a un giudice internazionale che anche a Girone
venga concesso di lasciare l’India rimarrebbero in essere, rafforzati
anzi dall’implicita ammissione della Corte suprema dello stress che
comporta tenere in semicattività e nell’incertezza quotidiana una
persona. Argomenti per il governo di Roma, per il team legale italiano
guidato a Sir Daniel Bethlehem ma anche per Delhi, la quale rischia di
passare in breve da una posizione di forza a una difficilmente
difendibile.
Fonte: http://mentiinformatiche.com/
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