“Scoraggia la lite e favorisci l’accordo ogni volta che puoi”, diceva
Lincoln. Massima che sembra impossibile da applicare al caso Marò. Da più di
due anni agli arresti in India, i due fucilieri ne hanno sentite e vissute di
tutti i colori tra strategie e false promesse.
Adesso è la volta dell’arbitrato
internazionale. Ma siamo sicuri che sia lo strumento giusto? E se
l’India -come sembra- non dovesse accettare? Come funziona questo
strumento di diritto internazionale e quanto può rappresentare la chiave di
volta della vicenda ce lo spiega Ilaria De Napoli, laureata in Relazioni
Internazionali presso la
LUISS Guido Carli, con un master in studi internazionali
strategico-militari presso il Centro Alti Studi per la Difesa e attuale consulente
istituzionale.
Qualche mese fa sembrava aperta una nuova fase nella spinosa vicenda Marò. Ad
un certo punto si è parlato dell’arbitrato internazionale come la chiave di
volta della risoluzione pacifica della controversia tra Italia ed India. E’
stata una buona idea?
L’arbitrato è una delle vie percorribili per dirimere la questione dei marò
detenuti in India e ancora in attesa di un giudizio da parte del tribunale
nazionale -eventualità assolutamente non auspicabile per l’Italia dal
momento che avvalorerebbe la tesi indiana di unilateralità della giurisdizione
su un caso che, per definizione e per tipologia di diritti lesi, invece, è
internazionale. Oggi si è saputo che la prossima udienza è fissata per il
12 dicembre 2014
Dottoressa De Napoli, cosa si intende per arbitrato?
Bisogna distinguere tra la tipologia di arbitrato prevista nella
consuetudine internazionale, fondata sul consenso delle parti, e una tipologia alternativa
prevista dalla Convenzione sul Diritto del Mare (UNCLOS). Infatti, premesso che
questo tipo di risoluzione delle controversie può sempre essere complementare,
e spesso è solo successivo, ai diversi strumenti diplomatici -forse più laschi-
a disposizione degli Stati coinvolti, è bene evidenziare che tra gli strumenti
di risoluzione pacifica delle liti, quali il Tribunale Internazionale per il
Diritto del Mare (ITLOS), la Corte Internazionale di Giustizia (ICG) e un
Tribunale Arbitrale ad hoc, la
Convenzione sul Diritto del Mare –a tutti gli effetti
applicabile al caso– offre un quarto strumento: un Tribunale Arbitrale
istituito unilateralmente, ai sensi dell’Allegato VII, che può diventare una
via obbligatoria nel caso di silenzio delle parti o di mancato accordo.
Quali sono le modalità per l’attivazione della procedura arbitrale?
La procedura arbitrale a cui si fa riferimento in quest’ultimo periodo per
la risoluzione del caso Marò prenderebbe avvio sulla base di un compromesso
stipulato tra le parti in lite. Quando entrambe convengano di ricorrere
all’istituzione di un tribunale arbitrale ad hoc, esse provvedono poi
anche alla costituzione di un collegio cui conferire la competenza specifica a
dirimere la controversia sottomettendosi dunque alla conseguente pronuncia.
Ma chi sceglie i giudici/arbitri?
Salvo diversa stipulazione delle parti, nel caso di istituzione di un
tribunale arbitrale ad hoc che si occupi della controversia, i membri
del collegio saranno scelti da un elenco a disposizione degli Stati presso la Corte permanente di
arbitrato. La lista cui si richiama è composta da persone designate dagli
stessi Stati contraenti, quattro per ogni Stato (come prevede la I Convenzione
dell’Aja per la risoluzione pacifica dei conflitti internazionali, 1907). Per
quanto riguarda, invece, il caso del tribunale istituito sulla base
dell’Allegato VII della UNCLOS, il collegio arbitrale sarà composto da 5
membri. La parte che avvia la procedura di arbitrato ha facoltà di nominare un
componente, anche di propria nazionalità, dandone conoscenza alla controparte
al momento della notifica dell’avvenuta decisione di intraprendere la via
unilaterale. La controparte, a sua volta, ha 30 giorni per scegliere un
componente di propria nazionalità. I restanti tre arbitri sono scelti di comune
accordo tra le parti. Nel caso in cui non si giunga ad un accordo, la scelta
dei componenti è rimandata al Presidente della Corte Internazionale del Diritto
del Mare.
Le decisioni dei giudici sono vincolanti?
Il parere del collegio arbitrale è sempre subordinato al consenso
preventivo delle controparti. Qualora l’India acconsentisse all’arbitrato, il
ricorso a tale metodo di risoluzione implicherebbe l’impegno, a monte, ad
assoggettarsi – in buona fede - alla pronuncia del collegio.
L’arbitrato internazionale è caratterizzato dalla volontà degli Stati di
dirimere una controversia. Ma l’India al momento non sembra
propendere per una decisione in questa direzione. E’ la solita storia
del cane che si morde la coda? O c’è una via di fuga?
Questo punto è controverso. L’arbitrato è uno strumento che nasce su base
consensuale delle parti in lite. Dunque, in effetti, in mancanza della
reciproca volontà, non è una strada percorribile. Tuttavia, l’Allegato della
Convenzione UNCLOS – quello richiamato sopra come quarto strumento di
risoluzione della controversia – potrebbe proporsi come via alternativa
all’arbitrato classico, sempre ove siano state esperite tutte le altre
soluzioni messe a disposizione dal diritto internazionale.
A che punto è il collegio di esperti scelti dall’Italia?
L’Italia ha allestito un collegio di nove giuristi ed esperti presieduto da
Sir Daniel Bethlehem, a seguito del ritiro dell’inviato del governo Staffan de
Mistura lo scorso 24 aprile, contestualmente alla trasmissione di una nuova
nota di apertura al dialogo il 18 aprile 2014. Questo collegio potrebbe
costituire la base di una svolta di respiro internazionale per il caso
marò. Il limite predisposto per nuove azioni in questo senso era proprio
il mese di settembre, non resta che aspettare e sperare che non intervengano
nuovi ritardi nella gestione della questione.
L’arbitrato internazionale previsto dall’Allegato VII può essere
applicato a questo caso?
Sì, nella risoluzione della controversie inerenti il diritto del mare,
questo tipo di arbitrato trova applicazione come ultima istanza, in assenza di
accordo tra le controparti in merito alla scelta dello strumento
giurisdizionale. Poiché, nel caso di specie, l’India, a fronte del favore
dell’Italia di adire sia all’ITLOS che all’ICG, non ha optato per nessuna delle
due ipotesi, l’Italia potrebbe far ricorso al dettame dell’Allegato UNCLOS e
richiedere unilateralmente l’istituzione di un Tribunale arbitrale. Più nel
dettaglio, a fronte delle diverse riluttanze dell’India ad avviare una
soluzione diplomatica del caso, a fronte della mancata risposta del governo di
New Delhi alla prima proposta italiana di avviare un dialogo bilaterale (nota
che risale ormai all’11 marzo 2013), laddove continui a non concretizzarsi
alcun seguito alla seconda richiesta di collaborazione da parte dell’Italia
(con nota dello scorso 18 aprile), e a fronte dell’ostruzionismo che di fatto
sta attuando la nazione per impedire una rapida e concordata risoluzione del
caso, l’Italia potrebbe avere tutti gli strumenti per superare anche il
requisito di ammissibilità che si richiede per l’istituzione unilaterale di un
Tribunale arbitrale. Non sarebbe possibile, a quel punto, giungere ad una
soluzione della controversia attraverso gli strumenti e le disposizioni
alternative previste dal diritto internazionale.
Tuttavia, ad oggi questa procedura non è ancora stata formalizzata. Nel
senso che all’arbitrato ci si arriva, non si dovrebbe partire di li. Giusto?
È vero che all’arbitrato ci si arriva, ma è altresì necessario che vi sia
un atteggiamento collaborativo tra le parti, a monte. Questo continuerà ad
essere il limite della scelta di azione dell’Italia. Qualsiasi soluzione
negoziale può concretizzarsi solo a valle della decisione dell’India di aprirsi
ad una soluzione internazionale. Diversamente, rimane la strada dell’arbitrato
unilaterale.
Si potrebbe pensare ad una misura provvisoria, decisa da una Corte
internazionale, che permetta a Latorre e Girone di lasciare l’India per andare
in un Paese terzo in attesa del processo?
La via di una misura provvisoria potrebbe essere contestuale alla richiesta
di ricorso all’arbitrato internazionale o alla costituzione unilaterale di un
Tribunale arbitrale, al fine di salvaguardare i diritti di sovranità nazionale
e, ancor più, in questa fase critica che vede risentirne lo stato di salute di
uno dei due marò, quelli del singolo. Purtroppo anche una eventuale misura
provvisoria dovrebbe essere concordata con l’India, ma, laddove non sia
possibile, ci sono comunque due alternative, sebbene comportino maggiore
tempo. La prima opzione sarebbe quella di attendere la costituzione del
Tribunale per un tempo massimo di 120 giorni e poi dare concretezza comunque
alla misura, fatto salvo il giudizio ex post che dovrebbe comunque dare
in merito il Tribunale, una volta costituito. La seconda contemplerebbe
l’ipotesi di proporre la misura al vaglio dell’ITLOS, trascorse due settimane
dalla notifica dell’intenzione alla controparte. Anche in questo caso è fatta
salva la possibilità del Tribunale Arbitrale di revocare o modificare la
decisione, una volta istituito.
Non pensa che siano stati commessi troppi errori in questa vicenda? Dove
si è sbagliato?
Al principio. L’errore più grave è stato, quel 15 febbraio 2012,
acconsentire alla richiesta della guardia costiera indiana di attraccare al
porto di Kochi. Una serie di errori a catena, o forse l’ottimismo, la buona
fede e la convinzione di aver agito nel rispetto delle regole e di non aver
bisogno di quelle garanzie che sarebbero rimaste intatte se l’Enrica Lexie
avesse continuato a navigare in acque internazionali.
Quali sono i precedenti storici di controversie che sono state risolte
con un arbitrato internazionale?
Nella prassi, la lista dei ricorsi alla procedura di arbitrato, pubblicata
presso la Corte
Permanente di Arbitrato, che funge anche da Cancelleria del
Tribunale arbitrale, mostra che nella maggioranza dei casi il giudizio si è
protratto per almeno due anni. Altro aspetto da considerare è la possibilità
che, nel caso di ricorso unilaterale al tribunale arbitrale, lo Stato citato
contesti la competenza del Tribunale, o ricusi uno dei giudici, tutti casi che
compromettono una facile risoluzione della lite, dilungandone le tempistiche.
Tutti elementi utili, questi, anche per valutare la congruità dell’azione da
intraprendere e per considerare, nel frattempo, l’attuazione di misure
provvisorie o, ancora, per riconsiderare, nell’interesse di entrambi gli Stati,
una soluzione negoziale della controversia.
Non è un po’ tardi per l’arbitrato? Forse doveva essere fatto dal primo
momento.
Sicuramente è una strada che doveva essere percorsa dall’inizio, sin da
quando l’India ha imposto una giurisdizione unilaterale ad un caso che di
nazionale non ha nulla. Rimane comunque l’unica alternativa valida e
percorribile. La negoziazione può e deve essere portata avanti su un piano
parallelo, ma è un dato di fatto che abbiamo a che fare con un Paese poco
collaborativo.
Quanto accaduto a Latorre qualche giorno fa, e la conseguente decisione
di farlo rientrare a Roma, possono portare ad un’accelerazione dei tempi?
L’India purtroppo ha dimostrato in più occasioni la propria fermezza a
mantenere il controllo della situazione, escludendo nei fatti ogni ipotesi di
collaborazione. Tuttavia sicuramente questo episodio ha finalmente riacceso i
fari su una questione che si dilunga da ormai troppo tempo e che rischia solo
di peggiorare, qualora non si attui una linea governativa chiara e immediata.
Fonte: http://www.lindro.it/