Nel lontano 1990, alcuni osservatori avevano
previsto che la fine del Patto di Varsavia avrebbe automaticamente
comportato anche la fine dell'Alleanza Atlantica. La stessa tipologia
di analisti sta ora alimentando un dibattito sull' "inarrestabile
declino dell' Occidente”.
Si evocano nell’ordine: le incertezze
americane e europee in Siria, lo stallo dell'iniziativa Usa in Medio
Oriente, le incognite sul negoziato nucleare
iraniano, l'annessione russa della Crimea con il protagonismo Russo, le
rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar della Cina, etc etc
L’Occidente è in una situazione di stallo che lo rende incapace di
influire sulla realtà mondiale nel medio e lungo periodo? Quali sfide
dovremo impegnarci a vincere per tornare a essere “centrali” sullo
scenario globale? Questi i temi da affrontare senza altro ritardo:
1) una rivoluzione demografica senza precedenti nella storia dell'umanità ha portato la popolazione del pianeta in un solo secolo da 1,3 a 9 miliardi di esseri umani, e la crescita è polarizzata nelle regioni maggiormente esposte a tensioni per scarsità di risorse;
2) una deriva climatica ormai irreversibile, come indicano tutti gli ultimi rapporti ONU. Il riscaldamento atmosferico è all' origine di sempre più frequenti disastri naturali, di enormi carenze idriche e di migrazioni massicce, tutti eventi che hanno poi un impatto fortissimo anche sulle nazioni occidentali, e - a meno di inserire correttivi immediati - il degrado ambientale, l'inquinamento delle aree urbane dove vive più della metà della popolazione mondiale, la desertificazione e la scomparsa di foreste toccheranno nel secolo in corso livelli incompatibili con la sopravvivenza dell'intero ecosistema;
3) una crescita economica apparentemente infinita ma in realtà illusoria, insostenibile per l’Umanità. La crescita dell'economia mondiale, accelerata anche dal ruolo spregiudicato dei Paesi emergenti, tende ad aggravare rapidamente la scarsità delle risorse alimentari, idriche, energetiche e il degrado ambientale. Basti un esempio: agli attuali ritmi di crescita del Paese, il PIL pro-capite cinese potrebbe raggiungere la parità con l'odierno PIL pro-capite americano - oggi superiore di ben 9 volte a quello cinese - in soli 40 anni, ed entro il 2025 la Cina potrebbe superare in PIL la somma di tutti i Paesi del G7. Se già il PIL cinese attuale fa di quel Paese il principale "emettitore" di CO2 e di particelle inquinanti nell'atmosfera, appare chiara la drammaticità del bisogno di sterzare verso diversi modelli di crescita, di consumi e di assetti socioeconomici. Con ogni cautela verso previsioni a così lungo termine che prescindono da rivolgimenti politici, recessioni e cicli economici, il raddoppio dell'economia cinese ogni sette/otto anni e la prospettiva di un suo PIL decuplicato in quarant'anni pone inquietanti interrogativi quanto alla "tenuta" di modelli economici mirati esclusivamente alla crescita senza un occhio alla sostenibilità ambientale e sociale;
4) le diversità nello
sviluppo umano tra "the West... and the Rest". Resteranno in ogni caso
fondamentali differenze anche nel lungo termine tra "Cindia" e area OCSE
per quanto riguarda gli standard di vita. Non è certo irrilevante il
fatto che Cina e India siano ancora oggi al 101 e 134 posto nell'indice
sullo sviluppo umano stilato da UNDP, mentre i Paesi Occidentali
occupano le prime 25 posizioni, e la Russia la 66ma. Un dato che sembra
contare più di molti altri nel dimostrare la "vitalità" dell' Occidente e
del suo sistema di valori basati sulla democrazia, la libertà
individuale e lo Stato di diritto;
5) la crescita nell'era della
globalizzazione che allarga sempre più il divario - come titola un
saggio di De Rita e Galdo - tra "Il popolo e gli Dei", ovvero tra il 99%
e l'1% della popolazione, come accusano movimenti tipo Occupy Wall
Street. E' questo l'altro versante della "rivoluzione" che sta
attraversando l'economia mondiale: l'inarrestabile concentrazione della
ricchezza e delle attività finanziarie è accompagnata dal regresso della
"middle class" e da segnali di forte impoverimento per le fasce basse
di reddito. La concentrazione della ricchezza a ritmi così elevati anche
nei periodi di recessione costituisce un trend particolarmente dannoso:
comprime l'investimento produttivo a vantaggio di quello speculativo,
destabilizza la rappresentatività democratica, in quanto le lobby
finanziarie sono infinitamente più forti delle altre categorie
organizzate che rappresentano interessi settoriali, crea forte
insoddisfazione e tensione sociale. ATTENZIONE: il punto di rottura
degli equilibri istituzionali e politici giunge quasi sempre inatteso:
come ha osservato Niall Ferguson, i sistemi ad elevata complessità delle
"potenze imperiali" del passato sono passati dall'erosione al collasso
non attraverso cicli graduali ma improvvisamente. Merita perciò
riflettere sull'importante lavoro dell'economista francese Thomas
Piketty, "Il capitale nel ventunesimo secolo": ne è scaturito un
dibattito che dà la temperatura di un forte malessere, causato
dall'inarrestabile concentrazione della ricchezza su scala mondiale;
6) la società dell'informazione e della conoscenza costituisce il motore più potente dello sviluppo globale. Un'enorme forza per il mondo Occidentale, dove ancora negli ultimi anni le spese per la scienza e la ricerca sarebbero state più della metà del totale mondiale, e che si sta diffondendo nelle economie emergenti con progressi rapidissimi. In India ogni anno si laureano due milioni e mezzo di studenti, ma le università americane e europee continuano ad attrarre centinaia di migliaia di cinesi e di indiani. La leadership occidentale nella società della conoscenza e dell'informazione non è assicurata tanto dal possesso e dal continuo avanzamento di tecnologie, di reti, di scoperte scientifiche, ma dal clima di libertà nella ricerca, di rispetto della dignità della scienza e dell'espressione del pensiero umano. Sin dal Rinascimento l'universo della scienza collega valori dell'uomo e progresso in uno stretto rapporto. Nel frattempo però le tecnologie dell'informazione tendono anche a esasperare le conflittualità: utilizzo dei "metadati", cybersecurity, intrusioni esponenzialmente accresciute nella Sovranità altrui per destabilizzare politicamente (Ucraina),economicamente (Estonia), militarmente (Siria) paesi ritenuti ostili, o per carpire progetti industriali o danneggiare la concorrenza, sono ormai all'ordine del giorno. Il CSIS di Washington ha calcolato che i danni complessivi prodotti da attacchi cibernetici si situino tra i 375 e i 575 miliardi di dollari annui, dei quali circa 9 miliardi solo in Italia…
IN DEFINITIVA: viviamo in una realtà "liquida", fortemente condizionata dalle sei sfide globali che ho sopra richiamato. Domanda: c'è un'Agenda comune dei Paesi "revisionisti", le nuove potenze mondiali? Russia, Cina e Iran coltivano una grande visione per un nuovo “ordine mondiale alternativo” a quello costruito attorno ai valori Occidentali…? O più semplicemente sono mossi dall'interesse ad affermare la propria Sovranità e il dominio sulle rispettive regioni, per massimizzarne i benefici commerciali, economici e tecnologici? Se così è, l'Occidente deve accentuare l'"engagement", rafforzare il sistema internazionale di rapporti basati sui valori liberali e democratici, e attuare una strategia coerente nelle alleanze, nelle istituzioni multilaterali, nella diplomazia… QUALE MODELLO PERMETTERA’ ALL’OCCIDENTE DI SOPRAVVIVERE E RIACQUISTARE CENTRALITA’ SULLO SCENARIO GLOBALE…?
Fonte: https://www.facebook.com/ambasciatoregiulioterzi?hc_location=timeline
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