Il famoso competente di geopolitica George Friedman, sulla rivista
“Stratfor” (numero 1230, del 30.12.2014) parla dei cinque principali
avvenimenti del 2014. Qui segue la traduzione di ciò che egli scrive del
primo e più importante dei cinque: “Il persistente declino
dell’Europa”.
L’avvenimento più importante, nel 2014, è
uno che non si è verificato: l’Europa non ha risolto i suoi annosi
problemi economici, politici e sociali. Lo pongo al numero uno perché, a
parte il suo declino, l’Europa rimane una figura centrale nel sistema
globale. L’economia dell’Unione Europea è la più grande del mondo, presa
tutta insieme, e il continente rimane un centro di commercio, scienza e
cultura. L’incapacità dell’Europa di risolvere i suoi problemi, o di
realizzare realmente un qualunque significativo progresso, può non
comportare l’uso di eserciti ed esplosioni, ma può distruggere il
sistema globale più di qualunque altro fattore presente nel 2014.
L’enorme divergenza dei risultati
dell’esperienza europea turba quanto il malessere economico generale.
L’esperienza è influenzata da molte cose, ma certamente è una
caratteristica centrale di essa l’incapacità di trovare un impiego
remunerativo. Gli enormi tassi di disoccupazione in Spagna, in Grecia e
nell’Europa meridionale in generale toccano profondamente un grandissimo
numero di persone. La relativa prosperità della Germania e dell’Austria
diverge grandemente da quella dell’Europa meridionale, tanto da mettere
in dubbio la capacità di sopravvivenza dell’Unione Europea.
Effettivamente, abbiamo visto il sorgere
di partiti anti-Ue non soltanto nell’Europa meridionale ma anche nel
resto dell’Europa. Nessuno di loro ha superato la soglia per avere il
potere, ma molti si stanno rinforzando, nel corso del tempo, con l’idea
che i benefici dell’essere associati all’Europa unita, costituita com’è,
sono superati dai costi. La Grecia avrà un’elezione nei mesi prossimi,
ed è possibile che un partito che è a favore di un ritiro dall’eurozona
divenga il centro del potere. Il partito UKIP del Regno Unito è
addirittura a favore di un ritiro dall’Unione Europea.
Vi è un significativo e crescente rischio
che o l’Unione Europea dovrà essere rivista radicalmente per
sopravvivere, oppure, semplicemente, andrà in frantumi. La
frammentazione dell’Unione Europea farebbe di nuovo spostare l’autorità,
formalmente, ad una miriade di nazioni-Stato. L’esperienza dell’Europa,
in materia di nazionalismo, è stata certamente tale da turbare – per
dire il minimo – nella prima parte del XX Secolo. E quando una regione
tanto importante come l’Europa ridefinisce sé stessa, l’intero mondo ne
risentirà le conseguenze.
Per tutto ciò, l’incapacità dell’Europa
di realizzare un significativo progresso nel trovare una soluzione
definitiva ad un problema che cominciò ad emergere sei anni fa ha una
straordinaria importanza globale. Essa fa anche porre serie domande
riguardo al fatto che il problema sia solubile. A me sembra che, se lo
fosse, sarebbe già stato risolto, visti i rischi che esso fa correre.
Ogni anno che passa, dobbiamo accettare la possibilità che questa non
sia più una crisi che passerà, ma una nuova realtà permanente
dell’Europa. Questo è qualcosa a cui abbiamo accennato per anni, e la
situazione ci induce a fare previsioni sempre più pessimistiche, perché
non mostra segni di miglioramento.
Stratfor 1230. “The Top Five Events in 2014 is republished with permission of Stratfor.”.
Una nota. In linea di principio, le
cose scritte da Friedman sono tutte plausibili. E non è strano che le
giudichi così il sottoscritto, dal momento che cose pressoché identiche
le ho scritte tante volte. Ma un’obiezione è inevitabile. Egli scrive
che l’incapacità dell’Europa di risolvere il problema “fa anche porre
serie domande riguardo al fatto che il problema sia solubile. A me
sembra che, se lo fosse, sarebbe già stato risolto, visti i rischi che
esso fa correre. Ogni anno che passa, dobbiamo aprirci alla possibilità
che questa non sia più una crisi che passerà, ma una nuova realtà
permanente dell’Europa”.
Che il problema non sia stato risolto,
e che ciò faccia correre enormi rischi all’Europa è incontestabile. Ma
non altrettanto sicuro è che il problema sia insolubile o che i
governanti europei non sappiano come risolverlo. Ragionando a colpi di
spada, come Alessandro Magno, potrebbe dirsi che, identificate le cause
del malessere, basterebbe rimuoverle e se ne rimuoverebbero anche gli
effetti. Molti europei si lamentano dell’euro? Sciogliamo l’euro. Molti
europei sono oppressi dal debito sovrano? Dichiariamo che nessuno lo
pagherà. Gli europei sono stanchi dell’austerity? Aboliamone i vincoli. E
soprattutto: molti europei sono stanchi dell’Unione Europea? Sciogliamo
anche questa, e lasciamo una zona di libero scambio. Almeno per gli
Stati che sono d’accordo. Il punto infatti non è se questi provvedimenti
sarebbero salutari od esiziali, benefici o disastrosi, cause di un
peggioramento o di un miglioramento: il punto è che i parlamenti europei
non hanno il coraggio di adottare né questi provvedimenti, né altri
provvedimenti che siano risolutivi. I possibili rimedi hanno infatti
l’insuperabile inconveniente di un alto costo politico ed elettorale. Un
costo che nessuno vuol pagare. E allora si continua a navigare a vista,
sperando che il problema si risolva da sé o – se proprio deve
concludersi con un big bang – che lo faccia quando al governo c’è
qualcun altro.
L’Europa non è scema: è vigliacca. Si
considera un successo non la soluzione del problema, ma il fatto che non
si aggravi ulteriormente e ci sia speranza che continui a non
aggravarsi. Almeno non troppo velocemente.
Insomma, dopo avere tanto deriso “lo
spirito di Monaco” e Chamberlain, l’intero continente sembra ricoperto
da uno spirito di Monaco più denso di una nebbia londinese. E ci si
rifiuta di guardare al di là del proprio naso.
Gianni Pardo, pardonuovo@myblog.it
Fonte: http://scenarieconomici.it/
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