Noi che ci occupiamo dei due fucilieri del San Marco sin giorno del
loro arresto e ne abbiamo seguito le vicissitudini per filo e per segno,
ci siamo sempre posti una domanda alla quale finalmente riteniamo di
poter rispondere: come fa la sinistra italiana ad essere così sicura
della colpevolezza dei Marò tanto da invocare per essi una condanna
esemplare e per di più comminata dalle loro “povere vittime indiane” e
non dal giudice naturale che in questo caso sarebbe un tribunale
italiano? Intanto ci sentiamo di obbiettare circa la richiesta di
esemplarità della punizione.
Le condanne non dovrebbero essere mai
esemplari, cioè vendicative, perchè dovrebbero essere sempre comminate
sì con rigore, ma secondo giustizia e nel pieno rispetto dei diritti
alla difesa degli imputati. Sono i regimi autoritari, i dittatori che
comminano sentenze “esemplari”, per governare nel terrore con la logica
che ne “colpisci uno per educarne mille”, che appartiene alla cultura
marxista ed alla sinistra in genere, anche se obbiettivamente non in
modo esclusivo. Tra l’altro, va sottolineato che affidando alla presunta
vittima e non al giudice naturale il compito di comminare la pena
“esemplare”, di fatto si autorizza a pretendere non il diritto ad avere
giustizia, ma quello ad avere vendetta e dopo processi che rischiano di
essere sommari e con sentenza di condanna già scritta sull’onda
dell’emozione del fatto, nonchè condizionati dai peggiori istinti di
rivalsa, senza nemmeno verificare l’attendibilità e la veridicità delle
accuse. Questo è esattamente quello che sta succedendo nel caso di
Latorre e Girone. Ma qual è il ruolo della sinistra nel caso montato
sulla loro vicenda per processare e condannare i Marò con un processo
mediatico, anzichè regolarmente ed imparzialmente condotto nell’aula di
un tribunale? Qui bisogna fare un passo indietro.
Chi si ricorda della Giuliana Sgrena? Quando scriveva sul
Manifesto lei insistette per andare a fare un’inchiesta sulla
“resistenza” in Iraq, con il dichiarato obbiettivo di dimostrare la
protervia dell’invasore occidentale crudele, sanguinario, colonialista
ed imperialista in contrapposizione allo spirito di libertà che animava i
poveri mujaheddin islamici. Peccato che la Sgrena si fosse dimenticata
dello strazio dei 3mila morti del World Trade Centre e delle continue
minacce di attentati lanciate all’Occidente da nemici dell’intera
umanità annidati in quell’angolo del mondo. E peccato che non avesse
fatto caso neanche a come i “poveri talebani” volessero esportare in
Iraq il loro sistema socio-economico imposto in Afghanistan, dove hanno
ridotto alla fame il popolo ed in schiavitù le donne, impedendo loro
persino di imparare a leggere ed a scrivere, ed hanno imposto una ferrea
osservanza di tutti i più cervellotici dettami della religione
islamica, provvedendo a trucidare sistematicamente persone, comunità e
la popolazione di interi villaggi per il solo sospetto che non si
fossero allineati al loro volere fideistico, dispotico e liberticida.
La
Sgrena fu sconsigliata da più parti dall’intraprendere quel viaggio, ma
lei insistette, si sentiva al sicuro, era certa che conoscendo i motivi
del suo arrivo i guerriglieri islamici l’avrebbero ricevuta a braccia
aperte. In effetti in un certo senso ebbe ragione. I mujaheddin
l’accolsero a braccia aperte, ma solo per sequestrarla sicuri di
ottenere un lauto riscatto per la sua liberazione e pubblicità gratis in
tutto il mondo per il loro movimento. Era il 4 febbraio del 2005 e per
loro la Sgrena rappresentò vera manna caduta dal cielo. Per intercedere
per la sua liberazione si mobilitò la “sinistra intellettuale” italiana,
francese, europea, mondiale, persino il governo italiano ed il
presidente della Repubblica Azeglio Ciampi, il governo francese ed il
Papa Giovanni Paolo II in prima persona. Alla fine, i guerriglieri
fondamentalisti islamici “solo spinti dall’idealismo e non dalla
cupidigia per il vil denaro”, mollarono sì l’ostaggio, ma non prima di
aver contato qualcosa compreso tra i 4,7 milioni di euro (fonte: Libero)
ed i 6 milioni di euro (fonte : La Repubblica), ovviamente tirati fuori
dalle tasche dei contribuenti italiani. La liberazione della Sgrena
costò anche la vita all’eroico funzionario del Sismi Nicola Calipari che
fece scudo con il proprio corpo ai colpi di fuoco amico sparati per
errore contro il loro convoglio mentre la portava al sicuro
all’aeroporto di Baghdad.
Ebbene, quasta signora, appena dopo una settimana dall’arresto da
nulla giustificato dei Marò così scrisse sul loro conto sul sito
Globalist con il quale prese a collaborare dopo aver lasciato il
Manifesto:
“La questione dei due marò italiani arrestati in India con
l’accusa di aver ucciso due pescatori viene sostanzialmente ridotta a
una questione di giurisdizione. Hanno ucciso in acque indiane o
internazionali? In quest’ultimo caso sono sotto giurisdizione italiana.
Vista la reazione delle autorità italiane questo si può tradurre
facilmente in impunità”.
Queste parole la Sgrena le ha scritte il 22 febbraio del 2012,
appena una settimana dopo l’arresto dei Marò e senza che nulla fosse
stato chiarito della loro vicenda, nè che si potessero ancora fare
ipotesi su cosa fosse realmente accaduto. Lei, influente esponente di
Sel e vendoliana viscerale, aveva già condannato i Marò ancora prima di
sapere cosa fosse successo. Infatti non si pone neanche il problema
della loro eventuale innocenza, ma pone subito l’accento sul fatto che
stabilire la giurisdizione competente a condurre indagini e processo non
fosse un atto di giustizia dovuto, ma una scorciatoia verso l’impunità.
Solo di chi si ha certezza della colpevolezza si può dire che resta
impunito se non viene condannato. Ma a lei, ed alla sinistra che la
ritiene una sua autorevole ed attendibile portavoce, non si pone il
problema della giustizia, ma piuttosto quello di riportare tutto dentro
la stantìa ed anacronistica schematizzazione tra buoni e cattivi, ricchi
e poveri, democratici e fascisti, pacifisti o guerrafondai, militari e
proletari civili, sfruttati e sfruttatori. Vediamo allora come prosegue
nella sua farneticante elucubrazione sui Marò :
“Ancora una volta si parla di avvertimenti, quali avvertimenti
(luci, spari in aria) e contro chi? Avvertimenti che se anche ci fossero
stati non sarebbero nemmeno stati compresi da pescatori che nulla
avevano a che fare con logiche militari in acque non abituate ad atti di
pirateria”.
Questo è falso. Persino l’inchiesta della polizia del Kerala ha
stabilito che il Nucleo di Protezione Militare (NPM) a bordo della Lexie
ha seguito pedissequamente le procedure previste come confermato da
tutti i testimoni oculari di parte, ma anche neutrali, molti dei quali
di nazionalità indiana. C’era stato un equivoco, poi risolto, in merito
all’attivazione delle sirene d’allarme che i Marò avevano detto di non
avere azionato, ma solo perchè quelle, visto che i pirati non si
fermavano e si rischiava la collisione, aveva provveduto ad azionarle il
comandante della Lexie Umberto Vitelli. Poi che i mari attorno
all’India siano i più pericolosi del mondo per gli attacchi di pirati
sono in tanti ad averlo constatato, da Emilio Salgari sino all’ONU, che
nei suoi ripetuti rapporti sull’argomento ha dipinto una situazione di
estrema drammaticità e non ulteriormente sostenibile, che nel 2011 la
convinse ad approvare due Risoluzioni caldeggiate dall’India ed
approvate all’unanimità in tema di contrasto alla pirateria. Continua la
Sgrena:
“Per di più, non esistono regole d’ingaggio codificate per i
militari a bordo delle navi commerciali, mentre la responsabilità
dovrebbe essere dello Stato, in questo caso italiano, invece la nave è
sotto il controllo di civili e quindi del comandante, che però non può
dare ordini ai militari.
Falso e contraddittorio. Sulla nave gli ordini li dà il
comandante, anche ai Marò. Solo in caso di attacco le norme prevedono
chiaramente che sia il NPM a prendere il comando della nave, salvo
ovviamente per quanto attiene alle manovre di navigazione. In altri
termini, i Marò decidono se e quando virare, se fermarsi od accelerare e
quale rotta prendere, ma poi gli ordini all’equipaggio per eseguire
queste manovre li dà il comandante. D’altra parte cosa ne possono sapere
di navigazione di una nave da 100mila tonnellate i Marò? Per quanto
riguarda le responsabilità dello Stato, la Sgrena si dà la zappa sui
piedi. Infatti, i Marò in missione, sul teatro operativo e nell’ambito
del mandato ricevuto non sono responsabili verso terzi, ma solo nei
confronti di chi ha loro conferito quel mandato. Quindi il processo è
illegale perchè l’India avrebbe solo il diritto a denunciare lo Stato
italiano, a costituirsi parte civile ed a pretendere che questo processo
in Italia ai Marò stabilisca verità e responsabilità, provvedendosi a
risarcire i danni eventualmente da loro provocati. E’ quello che
chiediamo da 20 mesi che si faccia, ma gli indiani non ci sentono. Si
aggiunge poi :
“Il problema della pirateria in mare ha indotto l’Onu a emanare
una convenzione che però non prevede l’uso della forza. Tocca dunque ai
singoli stati derimere la questione, non permettere, come ha fatto
l’ex-ministro La Russa, l’imbarco sulle navi battenti bandiera italiana
di militari – d’élite come i marò – oppure, come hanno scelto altri
paesi, contractors. Come sempre i contractors sfuggono ancora più
facilmente a qualsiasi regola.
Tutto clamorosamente falso. Se le Risoluzioni dell’ONU non
prevedessero la legittima difesa con l’impiego di forze di contrasto
durante l’attacco dei pirati, come li si dovrebbero dissuadere questi
dall’abbordare, ammazzare o sequestrare? Ovvero quali altre misure che
non prevedano il ricorso alla forza possono essere immaginate o previste
per evitare di soccombere in un arrembaggio dove si spara addosso a
persone disarmate a bordo di innocue navi commerciali? Che poi il
contenzioso che Italia ed India non hanno saputo dirimere
diplomaticamente tra di loro avrebbe dovuto essere portato
all’attenzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che nel
merito di casi analoghi vanta numerosi precedenti, noi lo sosteniamo dal
16 febbraio del 2012, cosa che invece la Sgrena esclude come soluzione.
Il caso dei marò è di estrema gravità perché sancisce il diritto
di uccidere chiunque venga sospettato di poter essere un pirata: la
guerra si trasferisce dai paesi sotto occupazione alle acque più o meno
internazionali, poco importa. Importa solo se c’è uno stato che intende
far valere la propria territorialità. Come sempre l’uso delle protezioni
armate non esclude i pericoli e aumenta l’uso indiscriminato della
forza.
Qui la Sgrena dà fuori di testa. Intanto non ci pare proprio che
l’India attuale sia un paese sotto occupazione coloniale, come
sottintende maliziosamente la Sgrena. Poi, prima che le scorte armate
arrivino ad “uccidere” qualcuno occorre giungere ad un punto di non
ritorno in cui non esiste più alcuna ombra di dubbio sulle reali
intenzioni di un natante che ti punta dritto. D’altra parte, non è che i
pirati siano soliti manifestarsi issando la bandiera con teschio e
tibie su campo nero, nè che indossino la tradizionale benda nera
sull’occhio sinistro. Essi si mimetizzano da pescatori, ma anche da
diportisti, da subcquei, da clandestini in cerca di approdo. E quando ci
si accorge che si tratta di pirati in genere è troppo tardi per
sventare un abbordaggio. Capovolgendo il discorso, non diffidare dei
pirati, anzi tollerarne la presenza “fastidiosa” pur di non armarsi come
pretende che si facesse la Sgrena, servirebbe a tutelare la vita e
l’incolumità di naviganti intenti a svolgere la loro attività in mare,
inclusi i pescatori dei fatiscenti pescherecci indiani? O dobbiamo
accettare che venga sancito il diritto dei pirati di depredare, uccidere
e sequestrare uomini e navi per evitare che nelle sparatorie ci vadano
di mezzo degli incolpevoli? Ed i marinai delle navi commerciali ed i
pescatori indiani non sono tutti incolpevoli e tutti degni di essere
difesi? Infine la stoccata finale della Giuliana liberata :
“Ma nei confronti dell’India ci consideriamo noi i più forti e
quindi pronti a far valere l’obsoleta consuetudine dello zaino o della
bandiera (un militare risponde solo al paese di provenienza) e
considerare danno collaterale la morte di due pescatori indiani
disarmati e senza nessuna velleità piratesca, del resto disarmati non lo
eravamo anche noi, a bordo della Toyota Corolla quella notte del 4
marzo 2005, nei confronti dei soldati americani? Se ci siamo permessi di
lasciare impunita l’uccisione di Nicola Calipari perché non dovremmo
farlo nei confronti di due poveri, sconosciuti pescatori indiani?”
La malafede della Sgrena qui si manifesta nella sua interezza.
Primo ammette che un militare deve rispondere solo al Paese cui
appartiene, mentre appena sopra asseriva il contrario. Poi la morte dei
pescatori, non solo di quei due, ma delle decine che da anni perdono la
vita negli specchi di mare intorno alla penisola indiana, non è un
effetto collaterale della presenza dei Marò, ma l’effetto diretto della
presenza dei pirati. Se questi non esistessero, o fossero
definitivamente debellati come si tenta di fare, nessun cargo se ne
andrebbe in giro con scorte armate a bordo e nessuno si farebbe male,
neanche quei pescatori che la Sgrena pretende i difendere lasciando
liberi i pirati di scorazzare armati ed indisturbati tra il Bengala e lo
stretto di Hormuz. Ma qui la Sgrena mesta nel torbido e tradisce la sua
formazione culturale radicata nell’autunno caldo che diede origine alla
stagione del terrorismo rosso in Italia. Negli anni ’70, i compagni
incappucciati nelle manifestazioni sparavano alla polizia, che però la
sinistra e gente come la Sgrena pretendeva che fosse disarmata per
evitare che rimanesse colpito qualcuno di quelli che le sparavano
addosso! Per quanto concerne la morte di Calipari, la Sgrena farebbe
meglio a stare zitta, perchè è stata tutta e solo colpa sua, per lo
stesso motivo per il quale se un genitore lascia un bambino piccolo a
giocare da solo in cucina con una pentola di acqua bollente sul fuoco,
se poi finisce che questa gli si rovescia addosso ustionandolo
gravemente o peggio, la colpa non è del bambino.
Ora dobbiamo ammettere che pur essendosi impegnata al massimo e
nonostante abbia sciorinato tutto il suo più squallido repertorio di
luoghi comuni veterocomunisti, la Giuliana Sgrena non sia per niente
riuscita ad impressionarci e non abbia neanche minimamente scalfito la
nostra tetragona convinzione che non esiste al momento alcuna prova
della colpevolezza dei Marò, mentre ne esistono diverse, solide e
consistenti, a favore della presunzione non della loro innocenza, ma
addirittura della loro assoluta estraneità ai fatti loro contestati. In
effetti, a formare nella sinistra ufficiale italiana il convincimento
della loro colpevolezza la Sgrena poco ha influito, al di là di fornire
qualche indicazione di massima alla macchina del fango a lei limitrofa,
sull’opportunità di strumentalizzare il caso previa la costruzione di un
teorema accusatorio che “incastrasse” i Marò agli occhi della pubblica
opinione nazionale e non. Per farlo bastava poco; bastava accogliere
acriticamente le tesi accusatorie e le risultanze strumentali delle
indagini della polizia del Kerala e sostenerne la piena validità contro
tutto e contro tutti. Il solito giochetto sfascista, secondo l’ovvia
considerazione che confutare aprioristicamente è più facile che
ragionare, vagliare e cercare di arrivare a determinare la verità. La
sinistra ha, ancora una volta come sempre quando le fa comodo, capovolto
il principio fondamentale del diritto in qualsiasi democrazia : la
presunzione di innocenza sino a prova contraria. Quindi i Marò sono
colpevoli, non perchè abbiano sparato ai pescatori, ma perchè lo dice la
polizia del Kerala e quello che dice ci piace e fa comodo per
combattere l’imperialismo, il capitalismo, l’anti-islamismo, il diritto
alla difesa dell’Occidente, che più questo è debole e meglio è per
l’Internazionale socialista comunque ora si mimetizzi.
Ecco allora spuntare per scendere finalmente in campo l’apostolo,
il vate, l’oracolo cui tutti a sinistra si sono ispirati per fare un
vero salto di qualità in chiave colpevolista nell’affare dei Marò. Si
tratta dello scribacchino di un blog con cornice rosso-comunista e
caratteri cinesi, dal nome che è tutto un programma di China Files. Un
tizio che vive a Calcutta dove si suppone non si cibi di grilli fritti,
ma che viva una esistenza invidiabile in una residenza dorata sulle
spalle dei compagni, servendo regolarmente giornali della sinistra che
includono il Fatto e La Repubblica, ed offrendo saltuarie corrispondenze
dall’Estremo Oriente all’Espresso. Un ideologo rigoroso ed autorevole
dalle sue parti, uno senza emozioni, senza mai cedimenti, senza
incertezze o tentennamenti, al confronto del quale il sovietico Suslov
appare un annoiato risolutore di cruciverba e l’ultra-nazi Goebbels il
conduttore di un noiooso talk-show. Un pensatore obbiettivamente un po’
sgangherato, ancorchè molto accreditato a sinistra dove però si sa che
s’accontentano di poco, il quale risponde al nome e cognome di Matteo
Miavaldi. Questi è uno dei cinque “intellettuali” di estrazione
rigorosamente maoista, quindi tardivi e pigri epigoni di una sinistra un
po’ datata, dèmodèe, se vogliamo dirla così, che costituiscono il
gruppo “wu-ming” che ha creato un blog che vuole essere una “comunità di
lettori”.
Il materiale a quei poveri malcapitati che si avventurano nel
sito sino-maoista lo forniscono gratis loro: scritti e saggi, persino
romanzi, alcuni scritti dai singoli componenti il gruppo, altri scritti
tutti insieme, a dieci mani. In molti si sono chiesti, ed ancora si
chiedono, cosa ci sia scritto in quelle pubblicazioni, ma è difficile
trovare una risposta al quesito visto che neanche gli autori lo sanno.
Comunque fanno il loro “lavoro” da volontari, senza chiedere alcun
compenso, ma accettano volentieri contributi con carte di credito,
postpay e persino bonifici bancari relativamente ai quali espongono il
relativo Iban. La tendenza culturale prevalente del gruppo sta tutta nel
nome del suo sito : “wumingfoundation/giap”, dove giap non sta per
Giappone, ma per Vo Nguyen Giap, il sanguinario generale nordvietnamita a
cui si richiamano idealmente – perchè per loro un Che Guevara sarebbe
poco – quel generale, cioè, che sterminava tutti i vietnamiti del Sud
che riteneva non collaborazionisti del Nord-Vietnam comunista, cosa che
la sinistra italiana ed europea ha sempre pietosamente nascosto, ma che è
entrato nella leggenda di certe cosche rivoluzionarie perchè agiva come
unabomber e nascondeva bombe a mano e micidiale esplosivo in oggetti
all’apparenza innocui, come bambole, giocattoli, lattine di Coca Cola,
bottiglie, radioline e così via. In questo modo “intelligente” fece
saltare in aria centinaia di ingenui ed inesperti ventenni americani
spediti in faccia ai viet cong, senza troppe raccomandazioni sui rischi
insiti circa le operazioni condotte nella jungla tropicale vietnamita,
da autentiche icone dei movimenti democratici mondiali, da noi
rappresentati dal PCI, come il mitico presidente USA J.F. Kennedy, un
“pacifista” talmente innocuo e pacifico che s’inventò la guerra del
Vietnam, ed il suo degno successore Lindon Johnson, entrambi espressi
dal partito democratico.
E’ a lui, a uno come Matteo Miavaldi che si ispira a Giap che il
Fatto Quotidiano, la Repubblica e l’Espresso si sono rivolti per cercare
di smontare le tesi innocentiste portate avanti da chi come noi, o Tony
Capuozzo od altri opinion makers od analisti neutrali come Alfredo
D’Ecclesia cerca di ricostruire obbiettivamente la realtà fattuale, non
quella che fa comodo per sostenere tesi precostituite. Miavaldi aveva
ricostruito la vicenda dei Marò appena dopo la delibera della Corte
Suprema di gennaio 2013 che di fatto ignora, senza nemmeno entrare nel
merito e senza alcuna motivazione, il quesito di competenza
giuridizionale sollevato dalla parte italiana. Una ricostruzione, la
sua, molto polarizzata, in cui quello che dicono le fonti indiane viene
sempre preso per oro colato, mentre le dichiarazioni dei Marò vengono
sistematicamente presentate come ipotetiche o rese in malafede. Però in
questa descrizione accusatoria della sinistra ufficiale ci sono tre
punti deboli in corrispondenza di tre pilastri della difesa dei Marò,
che per essere credibili bisogna assolutamente far saltare.
Questi sono :
la buona fede dei Marò che hanno denunciato un incidente del quale
nessuno avrebbe altrimenti mai saputo nulla; l’ora dell’incidente che
dimostra che il peschereccio incrociato non era il St Antony, cioè
quello a bordo del quale sono rimasti uccisi i due pescatori; le
risultanze delle perizie balistiche che, per quanto contradittorie e
manipolate, fanno concludere agli stessi inquirenti indiani che a
sparare non furono i fucili di Latorre e Girone. In effetti si tratta di
punti sui quali per qualche tempo non c’è stata una assoluta certezza,
diciamo che si vegetava in un limbo di incertezza, anche se tutto quanto
poteva dedursi a loro riguardo era più a favore che contro i Marò. Ma è
lo scorso luglio che per la sinistra colpevolista sembrò che la vicenda
potesse prendere una brutta piega, cioè favorevole ai Marò, quando Tony
Capuozzo e Canale 5 hanno reso di pubblico dominio l’intervista
rilasciata a caldo dal comandante del St Antony ad una TV indiana
nell’immediatezza dell’accaduto, che di fatto sconfessava tutte le tesi
accusatorie, dimostrandone l’assoluta infondatezza. E’ a questo punto
che la sinistra italiana disorientata e smarrita si rivolge trepidante
all’ideologo colpevolista che vive a Calcutta, al quale si implora di
trovare “un qualcosa” che permetta di rintuzzare l’attacco innocentista.
E’ allora che il buon Miavaldi fa quello che tutti gli
intellettualoidi di sinistra fanno quando i riscontri oggettivi latitano
e gli argomenti di discussione sono esauriti :la buttano in caciara,
cioè in politichese per dimostrare con ragionamenti para-filosofici ciò
che la realtà delle cose impedirebbe loro di poter dimostrare. Non
potendo dimostrare che i Marò sono colpevoli, si smette di esaminare gli
elementi di riscontro oggettivo, costruendone altri falsi od immaginari
per arrivare a dimostrare la loro colpevolezza filosoficamente, per
processo induttivo. Infatti, sul sito sino-vietcong-maoista di China
Files ecco che il 9 luglio appare un rifacimento di Miavaldi
dell’analisi della vicenda dei marò che esordisce così:
“L’ingarbugliata vicenda dei due marò in India è la cartina al
(al sarebbe di, ndr) tornasole di un’Italia afflitta da due enormi
fardelli che, nel 2013, rappresentano un handicap insostenibile: un
rapporto irrisolto col nostro passato fascista e la superficialità degli
Esteri sui nostri giornali……(Omissis)
L’esaltazione acritica delle
forze dell’ordine e dei militari, immacolati ed innocenti per
definizione, nel caso dei due marò ha trovato facile sponda nel
rigurgito fascistoide che contraddistingue una cospicua minoranza del
nostro paese (Minoranza? Ma li ha letti i risultati elettorali? ndr). La
tesi, facendo una media ragionata delle conversazioni da bar, è
pressapoco (strano per un intellettuale omettere una delle tre p
necessarie nel vocabolo. Persino il Corsera ammette che non si scrive
pressapoco, ndr) questa: i marò erano in missione antipirateria con
mandato Onu (una missione Onu su petroliere civili?!), potranno anche
aver sbagliato, ma erano in buona fede ed in acque internazionali,
l’India si sta accanendo contro di noi perché è una potenza economica,
l’Italia subisce perché c’è la crisi e vende l’onor patrio per contratti
commerciali come Finmeccanica; quegli straccioni degli indiani vogliono
solo spillarci soldi”.
Parole anarcoidi in libertà che non meritano commento, ma solo
disprezzo per il ribrezzo che suscita il loro putridume. Solo
richiamiamo l’attenzione sull’inciso di Miavaldi circa “una missione ONU
su petroliere civili?” che dimostra l’assoluta ignoranza, la pochezza
culturale, l’ingiustificata presunzione che caratterizza un personaggio
che a sinistra ritengono una sorta di profeta. Intanto le petrolierie
sì, certo che sono civili, mai inteso di petroliere militari, che nel
caso si chiamerebbero navi appoggio o navi rifornimento. Ma poi ce la
vedreste l’ONU ad intervenire a favore delle navi militari? Perchè il
buon Matteo non si preoccupa piuttosto della sicurezza e della vita
stessa di troppi “lavoratori del mare” spesso messa a repentaglio dai
pirati in quei mari? O dei lavoratori loro si interessano solo per fare
numero negli scioperi strumentali con i quali hanno affondato il Paese o
creare dei bacini elettorali da utilizzare per preservare i loro
privilegi di politicanti? Resta comunque che le ragioni per le quali i
Marò sono colpevoli sono quelle sopra esposte: nessun fatto, nessun
elemento oggettivo analizzato criticamente, nessuna prova, nessuna
testimonianza, solo ideeologia e demagogia. E’ su queste basi che FQ, la
Repubblica e l’Espresso si augurano che i Marò vengano condannati e,
perchè no, impiccati in India.
Ora questa sorta di farneticanti argomentazioni va bene per molti
di quelli che militano nelle fila della sinistra e che prendono
ciecamente per buono tutto quello che il PD o Sel o il M5S, per non dire
dell’Unità, di FQ o della Repubblica raccontano loro. Il problema è che
nella stessa area politica dimorano un sacco di scocciatori, come
cattolici, socialdemocratici, radicali, ex democristiani che non sempre
sono disposti ad accettare acriticamente sempre e tutte le verità
ufficiali costruite artificiosamente e propagandate dalla sinistra.
Insomma talvolta occorre che il fumo non sia originato solo da legna
bagnata che brucia male, ma anche da un po’ di carne buttata a cuocere
sulla brace. Ma Miavaldi non si scoraggia. Ci mette un po’, ma alla fine
trova il modo di far contente tutte le variegate componenti della
composita sinistra italiana e costruisce una verità “oggettiva” ed
inoppugnabile, accettabile per tutti. Come fa? Semplice: prende dei
riscontri oggettivi, veri documenti ed atti dell’istruttoria keralese, e
ne mistifica pretestuosamente il significato del contenuto,
corredandoli di omissioni laddove sarebbe impossibile anche ad uno come
lui offrire una spiegazione congrua con i fatti, o semplicemente
inventando dei fatti mai esistiti. Semplice, no? Vediamo un po’.
Cominciamo dal primo punto: smontare la buonafede dei Marò
riconosciuta persino dagli indiani laddove la Corte Suprema nella
delibera per affidare il caso giudiziario alla NIA scrive nel capo
d’accusa che i Marò “hanno sparato a dei pescatori scambiati per pirati,
causando la morte di due di essi”. Così non va bene, bisogna dimostrare
che i Marò erano in malafede e che sapevano benissimo che si trattasse
di pescatori e che si sono divertiti ad utilizzarli per fare il tiro a
segno. La presunzione di buonafede poggia soprattutto sul fatto che
furono i Marò stessi a denunciare alle autorità indiane dell’incidente,
specificando peraltro che nell’occasione erano stati sparati solo colpi
d’avvertimento.
Per dimostrare che i Marò erano in malafade secondo
Miavaldi basta dimostrare che i messaggi di allarme relativi
all’incidente sono stati lanciati dalla Lexie solo DOPO che la polizia
portuale del Kerala li aveva già individuati come gli aggressori del
peschereccio St Antony. Ecco allora che una corrispondenza da Calcutta
di Miavaldi, pubblicata lo scorso 9 luglio sull’Espresso, sotto il
presuntuoso aspetto di una inchiesta dal titolo “Marò in India, le balle
di Canale 5″ Miavaldi procede alla criminalizzazione artificiale dei
Marò, in vitro, nel suo laboratorio del fango. Allo scopo esibisce due
documenti originali, allegati agli atti del processo, due e-mail. La
prima partita dalla Lexie alle ore 19.16 locali, diretta alla società
armatrice F.lli D’Amato ed al MSCHOA (Maritime Security Centre, Horn of
Africa) che coordina le attività antipirateria dei NPM, in cui si
rapporta dell’incidente avvenuto; la seconda e-mail è di 20 minuti dopo,
delle 19,36, e contiene indicazioni fornite dagli indiani sul da farsi a
seguito del fatto denunciato. Sembrerebbe tutto in ordine, parte la
denuncia, arriva di ritorno la reazione degli indiani. Ma Miavaldi è un
furbacchione di tre cotte e dimostra che le autorità indiane sapevano
dell’incidente ben prima delle 19,16, ora in cui l’hanno denunciato i
Marò, che sono stati costretti ad inviare quella e-mail per tentare di
costituirsi un alibi ed un’aureola di buona fede dopo essere stati
identificati come gli aggressori. Infatti Matteo da Calcutta “scopre”
che nella e-mail arrivata dopo quella spedita dai Marò, c’è scritto
“facendo seguito alla teleconferenza delle 13.30 utc…”. Ora l’ora utc è
quella del meridiano di Greenwich-Londra e differisce di 5 ore e mezza
da quella indiana, per cui le 13.30 circa sono le 19.00 ora locale
dell’India. Ergo, Miavaldi fa la stupefacente scoperta che la
capitaneria di porto del Kerala sapeva già dell’incidente un quarto
d’ora prima che lo denunciassero i Marò, i quali hanno mentito su questo
punto, ergo sono in malafede.
I pifferi di montagna, che pure furono suonati, erano meno
sprovveduti del buon Matteo al quale tutti credono, perchè la sua
scoperta è stata ripresa e trionfalmente sbandierata con grande risalto,
oltre che dall’Espresso, anche dal solito codazzo di pennivendoli che
include, ma non si limita a, FQ, La Repubblica ed il Corsera. Per fare
sembrare vero il suo asserto Miavaldi commette un falso ed una omissione
gravemente tendenziosa. Il falso è che la e-mail alla Lexie non la
spedisce la Guardia Costiera del Kerala, come lui afferma nell’articolo
sperando che nessuno ci faccia caso, ma l’MRCC di Mumbai (ex Bombay),
che è il centro internazionale della zona indiana dell’IMO –
International Maritime Organization – una agenzia dell’ONU, che come
Centro per il coordinamento del recupero e soccorso in mare, svolge
attività per la sicurezza della navigazione, un ruolo che nulla ha a che
fare nè con la guardia costiera keralese, nè tanto meno con gli
inquirenti della polizia portuale che si è inizialmente occupata del
caso Marò. Basta leggere il mittente della e-mail per rendersene conto.
L’omissione grave e voluta in malafede è che la stessa e mail si
conclude con l’invito alla Lexie di avvertire la Guardia Costiera
keralese dell’avvenuto incidente, suggerendo altresì l’opportunità di
indicare alle autorità locali del Kerala l’ETA, cioè l’ora stimata per
l’arrivo nel porto di Kochi. Il testo della e-mail prodotta da Miavaldi è
un boomerang che distrugge la sua tesi perchè dimostra che ancora alle
19,36 la Guardia Costiera non era affatto informata dell’incidente,
tanto che l’MRCC chiede alla Lexie la cortesia di avvertire le autorità
portuali, forrnendo loro addirittura due numeri di telefono ed il canale
radio da utilizzare per il collegamento. Miavaldi respinto con perdite,
basta leggere la e-mail per convincersene facilmente, ma quanti a
sinistra lo avranno fatto?
Nella stessa “inchiesta” Miavaldi tenta di smantellare pure la
tesi secondo la quale gli orari non coincidono, per cui si può escludere
addirittura che il St Antony e la Lexie siano mai venuti a contatto. La
prova fondamentale è un video recuperato da Tony Capuozzo da una TV
indiana, in cui c’è l’intervista rilasciata a caldo dal capitano del St
Antony appena sbarcato nel porticciolo di Neendakara a notte fonda,
verso le 23.30, un dettaglio quest’ultimo di fondamentale importanza.
Che dice Freddy Bosco? Parlando in lingua malayalam afferma che il suo
peschereccio è stato aggredito da una nave che gli ha sparato addosso,
provocando la morte di due dei nove pescatori a bordo. Alla domanda se
avesse letto il nome della nave il capitano risponde letteralmente: “No,
è successo alle 21,30 circa, era buio pesto. Ho solo potuto intravedere
la sagoma di una grande nave di colore nero, con banda rosso scuro alla
linea di galleggiamento. Ora, una indicazione come questa fornisce la
stessa quantità di informazione che fornirebbe il dire, per dare
indicazioni su un albero, che aveva le foglie verdi. Infatti quasi tutte
le navi commerciali hanno colore a bande nere e rosso scuro, ed in
particolare ce n’erano cinque di questi colori in navigazione nella zona
quella sera, una delle quali era la Lexie. Facciamo ordine e
ricapitoliamo: l’incidente avviene alle 16.30 ora locale, il cessato
allarme attorno alle 17.00, il contatto tra Lexie ed MRCC attorno alle
19.00, il primo resoconto dell’incidente con la sua breve ricostruzione
avviene alle 19,16 con l’MRCC di Mumbai, la risposta alla Lexie
dall’MRCC con l’invito a contattare la Guardia Costiera del Kerala è
delle 19,36. L’incidente del St Antony è stato collocato dallo stesso
responsabile del peschereccio alle 21.30, due ore dopo che tutti ormai
sapevano di un contatto tra la Lexie e dei pirati. Che c’entrano allora
la Lexie ed i Marò con l’uccisione dei due pescatori?
Questa è dura da
rimontare, ma a sinistra non si scoraggiano mai e l’editorialista
maoista dell’Espresso, non potendo opporre dei fatti, ricorre alla
psicanalisi e sentenzia : Freddy Bosco era in stato di shock. Alle
23.30, a sette ore dal fatto, un marinaio navigato come Bosco, rotto a
tutte le disavventure in un mare pericoloso come quello attorno l’India,
anche le più tragiche, secondo Miavaldi farfuglia frasi ripetute più
volte, mischia malayalam col tamil, non è in quel momento in grado di
intendere e di volere. Freddy Bosco, quindi, secondo Miavaldi s’è
sbagliato, era confuso, non connetteva ed ha detto buio pesto, invece
era pieno giorno, ha detto che erano le 21.30 ed invece erano le 16.30,
non ha letto il nome della nave, ma poi dopo tre giorni se lo è
improvvisamente ricordato: Enrica Lexie. Peccato che, qualche tempo
dopo, Bosco confessi a Fiamma Tinelli una giornalista del settimanale
Oggi, che il nome della nave glielo abbia “suggerito” la polizia del
Kerala perchè altrimenti non avrebbero potuto incolpare i nostri Marò. E
senza capri espiatori niente risarcimento di danni biologici e
materiali per il capitano del St Antony. Ma questa Miavaldi non l’ha
letta. Tra l’altro, il medesimo neanche si pone la domanda perchè il St
Antony abbia impiegato ben sette ore, dalle 16.30 alle 23.30 a
percorrere le 20,5 miglia sino alla costa, mentre scappava macchine a
tutta dal luogo dell’aggressione. Un peschereccio di quel tipo ha una
velocità di crociera di 9 nodi e max di 14, per cui il tempo di
percorrenza delle 20,5 miglia può essere ragionevolmente assunto in un
paio d’ore, un tempo che rende perfettamente coerenti l’ora
dell’incidente indicata da Bosco nelle 21.30 e l’ora d’arrivo, circa le
23.30. Ma tutto questo Miavaldi non lo sa, o se lo sa l’ignora e finge
di non saperlo.
Infine ci stanno le risultanze taroccate delle perizie, che
invece di denunciare per la loro manomissione, Miavaldi prende per buone
difendondole a spada tratta. L’anatomopatologo che eseguì a caldo le
autopsie dei pescatori, il prof. Sisikala, un vero esperto riconosciuto
della materia considerate le decine di perizie necroscopiche fatte sul
corpo di pescatori indiani uccisi in mare aperto, stabilì che si
trattava di proiettili calibro 7.65, che, qualche tempo dopo, divengono
stranamente di calibro 5.65 nei rapporti allegati all’inchiesta della
polizia, un calibro quest’ultimo, compatibile con le armi NATO in
dotazione ai Marò. A “smontare” le accuse nei confronti degli inquirenti
indiani per la manipolazione delle prove balistiche, o meglio delle
loro risultanze, aveva provveduto il 5 gennaio di quest’anno Luca
Pisapia sul Fatto Quotidiano, riprendendo un ragionamento in merito
apparso sul solito sito Wu Ming, cioè scaturito dalla mente di Miavaldi.
Per confutare la controperizia effettuata da Luigi Di Stefano, un noto
perito balistico, Pisapia non elenca nè fatti concreti, nè
argomentazioni attinenti all’argomento, ma si limita a distruggere la
credibilità del professionista, del quale cerca di discreditare
professionalmente ed umanamente la figura. Infatti Di Stefano non viene
contestato per le sue controdeduzioni precise e puntuali, ma accusato di
“non essere ingegnere” e di essere un fascista simpatizzante di
Casapound. La prima accusa è gratuita, perchè deriva dalla ignoranza
crassa degli accusatori.
Si deve sapere che Di Stefano è stato il perito
del tribunale per la strage di Ustica ed è colui che ha dimostrato che
l’aereo Itavia esplose non per una bomba a bordo, ma perchè colpito da
un missile dall’esterno. Siccome quella perizia “antimilitarista” alla
sinistra piaceva molto, ecco che Di Stefano, che ha frequentato un corso
di specializzazione para-universitario negli USA, è stato gratificato
dalla stampa di sinistra del titolo di ingegnere, che lui non aveva mai
millantato, traducendo male l’americano engineer che negli States
designa un tecnico specialista in qualche disciplina, diplomato, ma non
laureato. Adesso, siccome la contro-perizia non piace a sinistra, ecco
che Di Stefano è diventato un millantatore e per di più fascista, quindi
inattendibile pure se dice buongiorno alle 9 di mattina.
Tra l’altro, Di Stefano per Ustica si è potuto avvalere del
recupero dei resti dell’Itavia, mantre la stessa cosa non potrà essere
fatta per il St Antony che hanno provveduto a rottamare per distruggere
ogni traccia dei colpi ricevuti. Visto che è così bravo, perchè Miavaldi
non prova a dare una risposta a questi quesiti: perchè quando è
rientrato in porto dopo la sparatoria il St Antony aveva TUTTI i vetri
intatti? Eppure la prima vittima era al timone nella cabinola di
pilotaggio, ergo come hanno fatto ad ucciderlo a fucilate senza rompere
nessuno dei vetri che gli stavano attorno? Non sarà che non gli hanno
sparato dall’alto, come dice la polizia, ma a pelo d’acqua, dal basso in
alto dlla zona poppiera come testimoniato dai due bozzi sul tettuccio
della cabina riferiti da inascoltati testimoni oculari? E perchè il
rapporto della perizia balistica presenta cancellature sopra alle quali
si è scritto a mano? E perchè gli indiani continuano a tenere
prigionieri Latorre e Girone, mentre nella perizia consegnata all’amm.
Alessandro Piroli della nostra Marina Militare si citano come numeri di
serie dei fucili che hanno sparato non quelli corrispondenti a quelli
dei due Marò accusati, ma quelli di altri due loro colleghi? Che fanno,
accusano due Marò, ma detengono e vogliono processarne altri due
incolpevoli che loro sanno essere tali? Provi a rispondere il Matteo
Miavaldi, siamo impazienti di conoscere il suo fantastico mondo
sino-viet-mao-comunista. Per il momento noi ci accontentiamo di aver
dato una misura di quella che è l’intellettualità sbandierata dalla
sinistra, e della perversione di una ideologia giustizialista che
vorrebbe che due soldati d’Italia, sino a prova contraria innocenti,
venissero condannati sulla base di elementi contraddittori ed
insussistenti, non corraborati neanche da mezza prova.
Fonte: http://www.qelsi.it/
Nessun commento:
Posta un commento