Nella sua audizione di fronte alle Commissioni Difesa di Camera e Senato per riferire sulla questione dei due Marò italiani arrestati e
trattenuti in India con l’accusa di omicidio, il Commissario
straordinario del Governo per questo caso Staffan de Mistura non ha
fornito alcuna indicazione concreta capace di dissipare lo scetticismo
circa la possibilità di una rapida ed equa chiusura della vicenda, nè
per rassicurare per la sorte che attende i nostri militari. Tutto quello
che ha detto de Mistura era già stato reso di pubblico dominio dai
media nazionali, specie da pubblicazioni come ad esempio il quotidiano
on line Qelsi, che segue il caso in tempo reale sin dal suo inizio,
ponendo l’attenzione su ogni singolo risvolto o novità registrato nel
merito di questa vicenda spinosissima e senza precedenti. Nella sua
apertura, de Mistura ha sottolineato le linee guida dell’azione del
governo italiano, confermando che l’unica opzione perseguita è stata
quella di puntare ad un processo che risulti equo e rapido. Una
posizione velleitaria e rinunciataria perchè aggira tutta una serie di
problematiche giuridiche e politiche in merito alle quali si dà, quindi,
per scontato di darla vinta agli indiani accettandone supinamente ogni
pretesa, anche la più illegittima ed irragionevole. Vediamo.
C’è all’origine la questione della competenza giurisdizionale a
condurre l’inchiesta ed, in base alle risultanze di questa, ad istruire e
condurre un eventuale procedimento giuridico a carico dei responsabili
di azioni illegali e crimini. Di norma, questo tipo di inchieste sono
bipartisan e trattandosi di eventi accaduti durante la navigazione in
mare, condotte o dal Paese sul territorio del quale vengono commessi i
reati, in questo caso le acque territoriali, od oppure dal paese di
bandiera della nave a bordo della quale sono stati commessi i reati
contestati.
Una delle poche certezze di questo caso riguarda il dove
sarebbe avvenuta l’uccisione dei pescatori. Secondo l’Italia a 27 miglia
nautiche dalla costa dello stato indiano del Kerala, secondo la
Capitaneria di Porto di Kochi, la polizia del Kerala e quanto accertato
dalla Corte Suprema dell’Unione Indiana a New Delhi a 20,5 miglia dalla
costa. Il limite delle acque territoriali in quel braccio di mare è
posto a 12 miglia, quindi l’incidente è avvenuto in acque
extraterritoriali dell’India e la giurisdizione del caso spetta
all’Italia. Su questo punto de Mistura nulla ha accennato. Di fatto,
avendo optato per l’opzione voluta dagli indiani del processo in India,
si rinuncia a far valere ed a chiedere il rispetto, nelle opportune sedi
internazionali, di un diritto inoppugnabile dell’italia e dei Marò, che
è quello del giudice naturale in un giusto processo.
Lo stesso
ragionamento vale per l’immunità funzionale, rispettata e codificata da
tutti i paesi democratici del mondo, secondo la quale un soldato in
missione comandata non è responsabile verso terzi del suo comportamento,
ma solo verso le autorità che lo hanno designato ed autorizzato alla
missione (Caso Cermis, ad esempio). In altri termini, per l’uccisione
dei due pescatori, qualora accertata la responsabilità dei Marò con una
inchiesta trasparente per gli indiani, ma condotta dall’Italia, l’India
avrebbe potuto avanzare rivendicazioni verso il governo italiano, non
sequestrare, detenere e poi processare i Marò. Un processo che sarà
illegale e privo di alcuna garanzia di imparzialità per l’incapacità e
l’arrendevolezza del governo italiano, della quale ovviamente de Mistura
ha evitato di parlare.
De Mistura ha dichiarato di avere chiesto alla NIA-National
Investigation Agency dell’India, che si occupa solo di fatti di
terrorismo e che è stata designata a rifare le indagini ed a chiudere
un’istruttoria sul caso dalla Corte Suprema dopo che questa aveva
avocato a sè l’inchiesta sottraendola allo stato del Kerala, di
procedere ad indagini suppletive che permettessero di chiarire
effettivamente fatti e dinamiche di quanto attribuito ai Marò. Su questo
punto il Commissario non ha fornito alcuna delucidazione, nè ha
riferito di risultati ottenuti. Anzi, ha descritto una situazione in cui
l’iniziativa italiana è stata a dir poco autolesionistica e
controproducente, con la NIA che ha preso in giro i Marò e l’Italia
intera. Infatti, dopo aver fatte proprie tutte le conclusioni lacunose,
contraddittorie ed incongruenti che secondo la polizia del Kerala
inchioderebbero i Marò, cioè dopo NON aver rifatto le indagini, per dare
un contentino agli italiani e simulare un suo diretto ed originale
coinvolgimento nella fase inquirente, la NIA ha pensato di pretendere di
riascoltare le testimonianze degli altri quattro Marò che erano sulla
nave Enrica Lexie con gli accusati Latorre e Girone.
Va segnalato che i
quattro Marò in questione sono stati trattenuti per due mesi sulla Lexie
ancorata nel porto di Kochi e ripetutamente interrogati dalla locale
polizia, per cui le loro deposizioni circostanziate erano già agli atti.
Evidente la pretestuosità della richiesta indiana. Inizialmente, de
Mistura ed il governo italiano nulla hanno avuto da ridire su questa
mossa perfida della NIA, solo mirata a metterci in difficoltà ed a
guadagnare tempo con una richiesta alla quale era scontato ci saremmo
rifiutati di accondiscendere. Intanto, si erano già persi oltre due mesi
per tradurre in inglese e hindi tutte le carte processuali scritte in
italiano, malayalam e tamil. Con questa sua nuova pretesa la NIA ne ha
fatti perdere, come ammesso da de Mistura, altri quattro per
un’audizione (de Mistura ha tenuto a precisare che non era un
interrogatorio) inutile che alla fine si è svolta in videoconferenza con
i quattro Marò presso l’ambasciata indiana di Roma.
Il Commissario ha
menato vanto almeno tre volte durante la sua audizione di essersi
strenuamente opposti, lui e l’Italia, all’invio dei Marò in India per
deporre. In effetti la NIA voleva solo guadagnare tempo, perchè più
questa storia dura, più la NIA ritiene di dare dimostrazione di capacità
ed autorevolezza gestendo un caso “difficile e complicato, dai mille
risvolti giuridici, politici e diplomatici” e con ciò acquisire meriti e
credibilità in India. In tutto questo, de Mistura è stato persino
ingenuo e sprovveduto quando ha attribuito ad un documento sottoscritto
un 2 di maggio non meglio specificato e non si sa bene da chi da parte
italiana, col quale l’italia si impegnava a rendere disponibili in
India, in fase istruttoria e per l’intera durata del processo, i testi
che avevano assistito all’incidente, cioè quelli che erano a bordo della
Lexie.
Qui il Commissario è incorso in un errore grossolano ed ha preso
una enorme cantonata. Contestualmente all’emissione dell’ordine di
custodia cautelativa di Latorre e Girone, il tribunale keralese dispose
altresì il sequestro della Enrica Lexie e l’obbligo di rimanere a bordo
per tutti i membri dell’equipaggio, inclusa una decina di marinai di
nazionalità indiana. Dopo qualche tempo, la società armatrice della
Lexie, la F.lli D’Amato di Napoli, cominciò dapprima a sondare il
terreno sul come ottenere il dissequestro della nave, procedendo poi ad
intavolare una trattativa vera e propria con le autorità del Kerala.
Alla fine, dopo un paio di mesi, ottenne il via libera della Lexie che
potè salpare da Kochi alla volta dell’Italia. Tra le condizioni poste
all’armatore per il dissequestro, si seppe DOPO che c’era anche quella
di impegnarsi, in caso di necessità per le indagini ed il processo, ad
inviare in India tutti i propri dipendenti la cui ulteriore
testimonianza fosse stata ritenuta necessaria.
Ovviamente i Marò non
sono dipendenti della F.lli D’Amato, ma del Ministero della Difesa e la
loro presenza a bordo era contemplata in base ad un contratto di tipo
privato sottoscritto tra Marina Militare e società armatrice per la resa
del servizio di scorta armata, previsto da apposita legge varata in
Italia nel 2011 che faceva proprie le raccomandazioni di cui a due
Risoluzioni dell’ONU approvate lo stesso anno in tema di contrasto alla
pirateria. Pertanto, affermare che l’Italia aveva l’obbligo di mandare i
quattro marò in India è FALSO.
Nel suo scialbo e burocratico intervento, de Mistura ha accennato
ad iniziative costanti prese in ambito internazionale per perorare la
causa dei Marò e sollecitare interventi esterni in questa direzione. A
tale proposito ha solo potuto riferire di un colloquio della Bonino col
premier indiano Singh incontrato per caso, dell’intervento del dr.
Perugini all’ASEM in cui, oltre a tante altre cose, ha fatto anche un
accenno ai Marò, ma non per denunciarne la detenzione, ma solo per
affermare laconicamente che in tema di azioni antipirateria occorrerebbe
meglio specificare procedure e responsabilità. Tutto qui. Eppure di
carne al fuoco se ne potrebbe mettere parecchia. L’india si è arrogata
il diritto di processare i Marò, ed è una illegalità che si può
denunciare non prendendo il the con qualche funzionario indiano, ma
procedendo con fermezza nelle più appropriate sedi internazionali.
Potendo vantare dei precedenti nella soluzione di contenziosi anche in
ambito di diritto marittimo tra stati membri, la sede più opportuna di
tutte sembra il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Poi ci sono
svariati tribunali internazionali, sedi di arbitrato, la NATO, la quale
se investita del problema non avrebbe potuto rimanere inerme ed
insensibile di fronte all’aggressione militare – come l’arresto dei due
Marò si configura – patita da uno stato membro dell’alleanza. Poi ancora
il G20, l’OCSE e così via. Nessuna iniziativa di questo ordine è stata
elencata da de Mistura, che ha solo di sporadici ed occasionali incontri
negli intervalli di riunioni internazionali con questo e con quello
durante le pause-caffè, mai nessun fatto concreto e determinato.
Addirittura ci risulta che la Bonino avrebbe declinato l’offerta di Ban
Ki-moon, segretario generale dell’ONU, che si era offerto di interporre i
suoi buoni uffici per risolvere il contenzioso tra Italia ed India.
E’ questo profilo di fari spenti e di ammiccamenti sotto traccia
ad aver incancrenito la situazione sino a cederne il pieno controllo
agli indiani. L’impressione offerta da de Mistura è che si sia pensato
di poter sistemare tutto in via bonaria, e che quando ci si è accorti
che la situazione era sfuggita di mano e di essere completamente alla
mercè degli indiani si sia voluto, ma soprattutto sia sia dovuto per
ragioni di opportunità, evitare di contrariarli e di indispettirli,
visto che ormai è solo da loro che dipendono le sorti dei Marò, per cui è
ovvio che è meglio evitare di farli incattivire. Invece di pretendere
il rispetto dei nostri diritti, e di quelli dei Marò, abbiamo deciso di
rimetterci alla clemenza della Corte. Questa è l’amara sostanza che
traspare dall’intervento di de Mistura, il quale non ha neanche
accennato a punti cardini della vicenda, sui quali si può costruire un
solido castello difensivo per scagionare completamente i Marò: la non
corrispondenza degli orari della sparatoria, i pescatori a caldo
dichiararono che avvenne alle 21.30 mentre il contatto tra Lexie e
pirati è dimostrato che avvenne alle 16.30; il peschereccio che non
corrisponde per sagoma e colore a quello descritto dai Marò appena dopo
il contatto e prima che il St Antony fosse mitragliato; l’incongruenza
sul calibro dei proiettili tra quanto dichiarato dall’anatomopatologo
che per primo eseguì l’autopsia sulle vittime – un vero esperto in
materia per le decine di perizie effettuate su pescatori uccisi da
pirati o vedette costiere dello Sri Lanka, stato contro il quale l’India
conduce una guerra non dichiarata – e quanto invece poi riferito dai
rapporti necroscopici manipolati e corretti a mano dalla polizia del
Kerala; la colpevole distruzione del relitto del St Antony, ovvero della
scena del presunto crimine che non potrà più permettere di eseguire
perizie balistiche, ma che al rientro in porto dopo la mortale
sparatoria presentava stranamente tutti i vetri intatti.
Di questi fatti
fondamentali de Mistura non fa menzione per la semplice ragione che non
li ha mai sollevati nei suoi incontri con gli indiani. Tutto quanto
ottenuto in due anni di negoziati sono i domiciliari presso l’ambasciata
italiana per i due Marò; la chiusura di una inchiesta assolutamente
inattendibile e polarizzata che gli indiani avevano minacciato di potere
trascinare per le lunghe; di far fare una inutile deposizione di
quattro Marò in Italia, anzichè in India; un giudice monocratico, senza
sapere che tutti i giudici della NIA in pratica sono monocratici, visto
che si occupano solo di terrorismo.
Circa gli sviluppi futuri della vicenda giudiziaria de Mistura è
stato reticente in merito ai capi d’accusa, il che fa presagire il
peggio, nè ha saputo fornire una qualche indicazione circa la durata del
processo. Infine nulla ha detto in merito alla possibilità che i Marò,
essendo processati nell’ambito della legislazione SUA 2002 – per questo
hanno scelto la NIA, cioè l’agenzia antiterrorismo – sono passibili di
pena di morte mediante impiccagione se non riconosciuti innocenti, senza
vie di mezzo. Questo pericolo esiste ed è reale nonostante una
dichiarazione verbale di alcuni membri del governo indiano circa il
fatto che nella fattispecie ai Marò non sarà applicabile la pena
capitale.
A questo proposito, de Mistura ha mancato una irripetibile
occasione per denunciare di fronte alle Commissioni riunite, in pratica
di fronte al Parlamento, l’illegalità anticostituzionale della decisione
(di Monti) di rispedire in India i Marò quando erano venuti in Italia
per votare. C’è una sentenza della Consulta (sentenza no. 223 del 27
giugno 1996)
in cui si è ritenuta insufficiente la semplice garanzia formale della
non applicazione della pena di morte per concedere l’estradizione, atto
cui si conforma il “rinvio” dei Marò in India. Ma c’è di più, perchè la
Corte Costituzionale, che più nello specifico si è espressa attraverso
la Sezione VI (Sentenza n. 45253 del 22 nov. 2005, Cc. Dep. Il 13 dic.
2005, Rv, 232633 ) e da ultimo con quanto sentenziato dalla Sez. VI il
10 ottobre 2008 n. 40283, dep. 28 ottobre 2008 ha tra l’altro affermato
che “ai fini della pronuncia favorevole all’estradizione, è richiesta
documentata sussistenza e la valutazione di gravi indizi”.
A tutt’oggi
nessuna prova è stata prodotta per sostenere l’accusa nei confronti dei
Marò, nè sussistono gravi e comprovati indizi di coinvolgimento a
qualsiasi titolo nei fatti loro contestati dalla polizia indiana.
Sarebbe bastato che un qualsiasi pm avesse spiccato un ordine di cattura
nei confronti di Latorre e Girone, notoriamente accusati di omicidio,
per trattenerli in Italia, facendo scivolare il contenzioso nei
tribunali. Invece, violando la Carta Costituzionale, abbiamo estradato
due non-colpevoli in un Paese dove si applica la pena di morte, cosa che
evitiamo di fare persino per i più efferati e sanguinari terroristi dei
quali si sia accertata la colpevolezza. Forse il buon de Mistura
avrebbe potuto trovare un modo migliore per passare la mattinata che non
riferire al Senato di una vicenda che, se non coinvolgesse la vita di
due nostri valorosi soldati, meriterebbe solo di essere coperta dal più
pietoso dei veli e di affondare nel silenzio.
Fonte: http://www.qelsi.it/
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