Negli ultimi tempi, in merito al caso marò, più volte in vari articoli è stato citato l’articolo 698 del Codice di Procedura Penale e il Caso Venezia. In relazione a quale caso scaturì l’intervenuta incostituzionalità di tale disposto? Il 24 Dicembre 1993, Pietro Venezia,
40 anni, proprietario di un noto ristorante italiano di Miami, sparò
cinque colpi di pistola contro l’agente del Fisco dello Stato della
Florida Donald Bonham, 61 anni. Venezia, accusato di
omicidio di primo grado, per il quale in Florida è prevista la pena di
morte, fuggì in Italia. Il successivo 30 dicembre venne spiccato il
mandato di cattura e scattò la caccia internazionale all’uomo che si
concluse con l’arresto nel 1994, a Laterza in provincia di Taranto.
L’America fece richiesta all’Italia di estradizione, con la garanzia che
non sarebbe stata inflitta la pena capitale, poiché non ammessa
dall’ordinamento italiano, come sancito dall’articolo 27 della nostra Costituzione:
“La responsabilità penale è
personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al
senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte.”
Il Caso Venezia diventò fin da subito
oggetto di dibattito parlamentare e giuridico, in quanto l’Italia,
nonostante le garanzie dell’America, non voleva concedere
l’estradizione, in deroga alla Convenzione europea di estradizione del
1957 stabilisse che: “se il reato per il quale è richiesta
l’estradizione è punibile con la pena di morte secondo le leggi del
paese richiedente e se per tale reato la pena di morte non è prevista
dalla legge dello Stato cui viene fatta la richiesta o non è normalmente
eseguita, l’estradizione potrà essere rifiutata, a meno che la parte
richiedente non dia assicurazioni, ritenute sufficienti dallo Stato
estradante, che la pena di morte non verrà eseguita“. Quest’ultima ipotesi infatti, era contemplata dal secondo comma dell’art. 698 del Codice di Procedura Penale italiano.
Quindi, avendo dato l’America queste “assicurazioni”, alla fine del
1995 il ritorno in Florida pareva inevitabile. Nel giugno ’96, Venezia
presentò ricorso al Tar, che demandò la questione alla Corte Costituzionale. Quest’ultima,
con una sentenza destinata a fare giurisprudenza, dichiarò
l’incostituzionalità dell’articolo sopra citato, negando definitivamente
l’estradizione, in quanto:
“il ripudio della pena di morte, sancito dall’art. 27 della Costituzione, non può dirsi adeguatamente tutelato dal riferimento alle «sufficienti garanzie» che tale pena non venga inflitta o comunque eseguita, contenuto nella norma in esame. Per le medesime ragioni è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale della l. 26-5-1984, n. 225, di ratifica ed esecuzione del trattato di estradizione fra Italia e Stati Uniti, nella parte in cui si riferisce all’art. 9 del trattato medesimo.”
Sostanzialmente, la Corte Costituzionale
reputò che le garanzie volte da uno Stato richiedente l’estradizione
circa la mancata esecuzione della prevista pena capitale, non potevano
essere sufficienti a determinare la “consegna” dell’imputato, in quanto
tale condanna lede il Diritto alla Vita sancito dalla nostra stessa
Costituzione. Pietro Venezia fu quindi, processato e condannato, in
Italia, per l’omicidio volontario premeditato di Donald Bonham in
Florida e gli furono inflitti 23 anni di reclusione.
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