domenica 30 marzo 2014

SUCCESSO DEL FRONT NATIONAL: FINE DELL'EURO E PROGETTO UE?

Foto: SUCCESSO DEL FRONT NATIONAL A PARIGI: FINE DELL’EURO E DEL PROGETTO UE? Marine Le Pen è stata la *vera protagonista* delle consultazioni amministrative francesi di domenica: una sorta di "prova generale" per le elezioni europee del 25 maggio, in particolare sulla questione Euro, tema non più di “destra/sinistra”, ma estremamente sensibile per uno spettro molto ampio dell'elettorato europeo. L’FN – Front National, nato nel ’72, ha conservato a lungo alcune sue peculiarità: coltivare la "grandeur" politica e culturale della Francia, alimentare pulsioni xenofobe e antisemite, apparire insofferenti all'affermazione dei diritti dell'uomo quali eredità – paradossalmente -  proprio dell'illuminismo e della stessa Rivoluzione Francese. La successione di Marine Le Pen a Jean Marie Le Pen produceva tre anni fa una svolta moderata, con l’abbandono – almeno ufficialmente - delle posizioni antisemite e xenofobe, ma ci vorrà di sicuro del tempo per dimostrare alla prova dei fatti l’autenticità del nuovo corso del FN in senso più moderato. Per contro non sembra per nulla utile - ed è comunque inconcludente e semplicistica - la "demonizzazione" di quella che sta diventando *una considerevole forza politica eletta con regole democratiche*. Le differenze tra *Francia e Italia* sono tuttavia sostanziali, in quanto l’FN richiede:
1) l’uscita dal Comando Integrato della Nato;
2) una grande politica mondiale della Francia che restauri la credibilità della potenza francese attraverso lo strumento diplomatico e militare;
3) l'offerta alla Russia di un'Alleanza strategica avanzata fondata su un partenariato militare ed energetico approfondito;
4) la proposta alla Germania di associarsi in un'Alleanza Trilaterale “Parigi-Mosca-Berlino";
5) la proposta di formare un'Unione Paenuropea di Stati Sovrani che includa Russia e Svizzera, ma senza la Turchia;
6) il rinegoziato dei partenariati economici con il Maghreb sulla base dell'interruzione dei flussi migratori;
7) la promozione della Francofonia in Africa;
8 ) il silenzio su qualsiasi riferimento ai diritti umani e alle libertà fondamentali quali riferimenti essenziali della politica estera dei Paesi occidentali.
La convinzione che basti la *negazione dei valori euro-atlantici*, la rinuncia a una Difesa unica UE, la sfiducia verso la Nato, e una politica di "potenza nazionale" ancorata all'illusione che nel mondo di oggi basti l'arma nucleare e il veto in Consiglio di Sicurezza dell’ONU per risolvere i problemi contemporanei, è davvero assai ingenua e non porta da nessuna parte, rischiando di “richiudere” la Francia in una dimensione di Stato-Nazione del tutto inadeguata a *vincere le sfide globali*. Sulla questione dell'Euro, poi, il Front National francese emette una condanna senza appello: le promesse di prosperità sono state disattese, il tasso di cambio è troppo elevato, la deindustrializzazione accelera, e la moneta unica è divenuta il simbolo di una politica europea federalista che tutela solo elites finanziarie pronte a “sacrificare il popolo" sull'altare dei propri interessi… La risposta del’FN a questi disagi – in parte assolutamente reali – non è tuttavia la rinegoziazione del “patto” europeo in chiave meno Germano-centrica (anzi, casomai il contrario, viste le mire di partenership franco-tedesca dell’FN…) bensì un drastico piano di uscita dall’Euro, da tempo elaborato e decisamente semplicistico, che però costituirà il vero “focus” delle imminenti elezioni Europee… In Italia, cosi come in altri Paesi Euro, il sostegno o il rifiuto della moneta unica viene presentato sia in forma “assoluta” (dobbiamo tenercelo per forza, o dobbiamo abbandonarlo in ogni caso?) che in forma “condizionata” (non potremo più stare nell'Euro se non si allenteranno i parametri del Fiscal Compact e del Six Pack…). Voci molto autorevoli esistono sia a sostegno della prima opzione che della seconda, tra le prime, vi è sicuramente quella del Professor Paolo Savona, che osserva: "Occorre un piano A per restare nell'Euro in modo differente da oggi, e un piano B per uscirne se l'Europa non fa le riforme necessarie, se non ci si muove verso un'Unione politica che consenta di non dipendere da pochi Paesi, Germania in testa. L'architettura monetaria e fiscale europea ha basi inaccettabili per un'area monetaria al cui interno esistono divari strutturali così ampie, e comunque sarebbe inevitabile un'uscita dall'Euro se la crescita produttiva restasse al di sotto di quel 3-4% necessario a far riprendere l'occupazione". Sul secondo fronte si collocano invece la maggior parte degli economisti e le organizzazioni imprenditoriali e di categoria, sostenendo che l’uscita dall’Euro causerebbe:
- disallineamento degli spreads e default almeno parziale dell'ingente debito pubblico, che rifinanziamo - in euro - al ritmo di circa un miliardo al giorno;
- congelamento dei crediti alle aziende più indebitate e internazionalizzate;
- esplosione dei costi energetici;
- inflazione a doppia cifra;
- nessun vantaggio dalle svalutazioni competitive, che perderebbero gran parte dei loro effetti nella realtà delle "filiere globali" dove il 60% degli scambi di merci e l'80% dei servizi riguarda “prodotti intermedi”;
- "credit crunch" per le aziende, dato l'indebolimento che un’uscita dall'Euro produrrebbe sul sistema bancario.
In ogni caso, si tratta di un *dibattito di estrema importanza* per il futuro delle economie europee, dal momento che *il modello di Europa che abbiamo va sicuramente riformato*. Il denominatore comune – quello che dobbiamo sicuramente andare a fare - è un urgente e profondo riequilibrio dello scenario UE, e le imminenti elezioni europee sono un'occasione preziosa per rimettere in discussione quella che è sinora stata l'inscalfibile preminenza a senso unico della Germania…VOI COSA NE PENSATE...?Marine Le Pen è stata la *vera protagonista* delle consultazioni amministrative francesi di domenica: una sorta di "prova generale" per le elezioni europee del 25 maggio, in particolare sulla questione Euro, tema non più di “destra/sinistra”, ma estremamente sensibile per uno spettro molto ampio dell'elettorato europeo. L’FN – Front National, nato nel ’72, ha conservato a lungo alcune sue peculiarità: col...tivare la "grandeur" politica e culturale della Francia, alimentare pulsioni xenofobe e antisemite, apparire insofferenti all'affermazione dei diritti dell'uomo quali eredità – paradossalmente - proprio dell'illuminismo e della stessa Rivoluzione Francese.
 
La successione di Marine Le Pen a Jean Marie Le Pen produceva tre anni fa una svolta moderata, con l’abbandono – almeno ufficialmente - delle posizioni antisemite e xenofobe, ma ci vorrà di sicuro del tempo per dimostrare alla prova dei fatti l’autenticità del nuovo corso del FN in senso più moderato. Per contro non sembra per nulla utile - ed è comunque inconcludente e semplicistica - la "demonizzazione" di quella che sta diventando *una considerevole forza politica eletta con regole democratiche*. Le differenze tra *Francia e Italia* sono tuttavia sostanziali, in quanto l’FN richiede:
1) l’uscita dal Comando Integrato della Nato;
2) una grande politica mondiale della Francia che restauri la credibilità della potenza francese attraverso lo strumento diplomatico e militare;
3) l'offerta alla Russia di un'Alleanza strategica avanzata fondata su un partenariato militare ed energetico approfondito;
4) la proposta alla Germania di associarsi in un'Alleanza Trilaterale “Parigi-Mosca-Berlino";
5) la proposta di formare un'Unione Paenuropea di Stati Sovrani che includa Russia e Svizzera, ma senza la Turchia;
6) il rinegoziato dei partenariati economici con il Maghreb sulla base dell'interruzione dei flussi migratori;
7) la promozione della Francofonia in Africa;
8 ) il silenzio su qualsiasi riferimento ai diritti umani e alle libertà fondamentali quali riferimenti essenziali della politica estera dei Paesi occidentali.
 
La convinzione che basti la *negazione dei valori euro-atlantici*, la rinuncia a una Difesa unica UE, la sfiducia verso la Nato, e una politica di "potenza nazionale" ancorata all'illusione che nel mondo di oggi basti l'arma nucleare e il veto in Consiglio di Sicurezza dell’ONU per risolvere i problemi contemporanei, è davvero assai ingenua e non porta da nessuna parte, rischiando di “richiudere” la Francia in una dimensione di Stato-Nazione del tutto inadeguata a *vincere le sfide globali*. Sulla questione dell'Euro, poi, il Front National francese emette una condanna senza appello: le promesse di prosperità sono state disattese, il tasso di cambio è troppo elevato, la deindustrializzazione accelera, e la moneta unica è divenuta il simbolo di una politica europea federalista che tutela solo elites finanziarie pronte a “sacrificare il popolo" sull'altare dei propri interessi…
 
La risposta del’FN a questi disagi – in parte assolutamente reali – non è tuttavia la rinegoziazione del “patto” europeo in chiave meno Germano-centrica (anzi, casomai il contrario, viste le mire di partenership franco-tedesca dell’FN…) bensì un drastico piano di uscita dall’Euro, da tempo elaborato e decisamente semplicistico, che però costituirà il vero “focus” delle imminenti elezioni Europee… In Italia, cosi come in altri Paesi Euro, il sostegno o il rifiuto della moneta unica viene presentato sia in forma “assoluta” (dobbiamo tenercelo per forza, o dobbiamo abbandonarlo in ogni caso?) che in forma “condizionata” (non potremo più stare nell'Euro se non si allenteranno i parametri del Fiscal Compact e del Six Pack…). Voci molto autorevoli esistono sia a sostegno della prima opzione che della seconda, tra le prime, vi è sicuramente quella del Professor Paolo Savona, che osserva: "Occorre un piano A per restare nell'Euro in modo differente da oggi, e un piano B per uscirne se l'Europa non fa le riforme necessarie, se non ci si muove verso un'Unione politica che consenta di non dipendere da pochi Paesi, Germania in testa.
 
L'architettura monetaria e fiscale europea ha basi inaccettabili per un'area monetaria al cui interno esistono divari strutturali così ampie, e comunque sarebbe inevitabile un'uscita dall'Euro se la crescita produttiva restasse al di sotto di quel 3-4% necessario a far riprendere l'occupazione". Sul secondo fronte si collocano invece la maggior parte degli economisti e le organizzazioni imprenditoriali e di categoria, sostenendo che l’uscita dall’Euro causerebbe:
- disallineamento degli spreads e default almeno parziale dell'ingente debito pubblico, che rifinanziamo - in euro - al ritmo di circa un miliardo al giorno;
- congelamento dei crediti alle aziende più indebitate e internazionalizzate;
- esplosione dei costi energetici;
- inflazione a doppia cifra;
- nessun vantaggio dalle svalutazioni competitive, che perderebbero gran parte dei loro effetti nella realtà delle "filiere globali" dove il 60% degli scambi di merci e l'80% dei servizi riguarda “prodotti intermedi”;
- "credit crunch" per le aziende, dato l'indebolimento che un’uscita dall'Euro produrrebbe sul sistema bancario.
In ogni caso, si tratta di un *dibattito di estrema importanza* per il futuro delle economie europee, dal momento che *il modello di Europa che abbiamo va sicuramente riformato*. Il denominatore comune – quello che dobbiamo sicuramente andare a fare - è un urgente e profondo riequilibrio dello scenario UE, e le imminenti elezioni europee sono un'occasione preziosa per rimettere in discussione quella che è sinora stata l'inscalfibile preminenza a senso unico della Germania.
 

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