domenica 30 marzo 2014

Troppe domande d’asilo, l'Italia rischia il collasso.

Il ministero dell’Interno annaspa sotto l’urto di tanti, troppi stranieri che accorrono in Italia a chiedere asilo politico. L’anno scorso sono stati quasi 43 mila; nei primi tre mesi dell’anno ne sono arrivati 10.724. Solo ieri le nostre navi militari ne hanno raccolti in mare altri 128. Ma notizie di intelligence parlano di 90 mila profughi siriani già arrivati in Libia, avanguardia di 900 mila in movimento verso l’Europa. E il nostro sistema di accoglienza è prossimo al tilt.
 
«Quest’anno ci aspettiamo un numero di sbarchi uguale o anche superiore a quello dell’anno scorso», dice il sottosegretario Domenico Manzione, che segue la questione dei rifugiati al ministero dell’Interno. Il punto è che accogliere cinquantamila nuovi profughi non è uno scherzo. Ci sono a disposizione circa 20 mila posti, che nel 2014 saliranno a 30 mila. Ma sono pieni. La settimana scorsa, dovendo piazzare 5000 persone sbarcate in pochi giorni, il ministero ha fatto ricorso alle prefetture chiedendo di assorbire 40/50 profughi ciascuna. «Non potevamo certo lasciarli sul molo di Augusta», spiega Manzione. Eppure c’è chi storce il naso. Arci e Caritas hanno firmato una lettera aperta: «La vicenda della cosiddetta Emergenza Nord Africa è emblematica di un approccio che non paga: non si assicurano condizioni dignitose a tutti i richiedenti asilo, si coinvolgono alberghi e altre strutture inadeguate, si creano tensioni con organizzazioni locali che pure sarebbero disponibili ad accogliere. Evitiamo di fare anche quest’anno gli stessi errori».
 

“Monti e Napolitano due massoni. Il Papa? Finirà come Luciani”

Padre Gabriele Amorth, noto esorcista, ha rilasciato un’intervista a Il Giornale in cui affronta temi scottanti e fa rivelazioni piuttosto scioccanti. Innanzitutto punta il dito contro Monti, salito al potere grazie alla massoneria: “Chi comanda è chi ha i soldi. Il nostro mondo è gestito da 7-8 persone che hanno in mano i quattrini. Di Monti cosa vuole che dica? Non per niente è stato messo su da un massone! Perché Napolitano è massone. Non lo conosco personalmente, però per essere arrivato così, di colpo, al ruolo che ha… Solo con la potenza della massoneria poteva arrivarci”. Sapere che il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio, le due massime cariche istituzionali italiane sono di origine massonica, fa un certo effetto. E non sono chiacchiere da bar, a sostenerlo è l’esorcista più famoso al mondo che opera a nome della Diocesi di Roma. Non l’ultimo arrivato, tanto per intenderci.
 
dongabrieleamorthPadre Amorth non lesina certo critiche e frecciatine a Monti, reo di aver gettato sul lastrico molte famiglie ma di non aver toccato i suoi amici, potenti e ricchi: “Sappiamo solo che hanno pestato i poveri e non hanno toccato i ricchi. Questo lo sappiamo con certezza. Per prima cosa io avrei dimezzato la paga a tutti i parlamentari, ai ministri. Le leggi di Monti… Ho visto varie persone che si sono suicidate in seguito a queste leggi. Un caso comunissimo: un cittadino possiede un appartamentino dove abita, quindi che non gli rende, e non ha entrate. Gli mettono tasse da pagare, e robuste, oltre 2.000 euro l’anno. Che fa? Io ne ho già conosciuti tanti che mi hanno detto: guardi, padre, l’unica soluzione è il suicidio”. Il suicidio, scaturito da debiti contratti in questi ultimi anni ad opera di imprenditori o commercianti, sta diventando quasi una piaga sociale.
 

Lavrov: "Se l'Occidente riconosce il 'golpe' di Kiev, deve riconoscere il referendum in Crimea"

In una intervista al canale russo Channel One il capo della diplomazia di Mosca spiega il punto di vista del suo Paese nella gestione della crisi in Ucraina. Lavrov rilancia: Costituzione federalista per Ucraina con russo come seconda lingua ufficiale. La risposta di Kiev: "No, basta ultimatum"
 
Se l'Occidente riconosce il governo di Kiev, nato da un golpe, non può non riconoscere la legittimità del referendum in Crimea.

In una intervista al canale russo Channel One a poche ore dall'incontro a Parigi con il segretario di Stato Usa Kerry, il capo della diplomazia russa Serghei Lavrov sostiene che "da un punto di vista diplomatico non ha senso riconoscere come legittimo quello che è accaduto su Maidan (nome della piazza simbolo della rivolta filoeuropea e contro il presidente deposto Viktor Yanukovich, ndr), mentre allo stesso tempo sostenere che è illegittimo quanto è avvenuto in Crimea. Tradotto, il ragionamento di Lavrov suona così: se è legittimo il primo evento, deve pur esserlo anche il secondo.

"Sanzioni Ue e Usa portano a binario morto"
Lavrov parla poi delle sanzioni. Di quelle americane ed europee contro Mosca. Secondo il ministro russo porterebbero a "un binario morto". "C'è l'impressione che i nostri partner occidentali stessero creando da tempo le condizioni per 'separare' l'Ucraina dalla Russia - dice - Quando hanno capito di avere sbagliato e di aver commesso un errore, intraprendendo azioni che hanno indebolito gli accordi raggiunti dopo il collasso dell'Unione Sovietica, non sono stati in grado di riconoscerlo. Un falso orgoglio glielo ha impedito".

Lavrov: Costituzione federalista per l'Ucraina, russo seconda lingua ufficiale
Il capo della diplomazia russa poi rilancia l'idea di una Costituzione federalista per l'Ucraina con il russo come seconda lingua nazionale, quale soluzione per superare le attuali tensioni con l'Occidente.Il ministro russo ha poi chiedto che Ue e Usa si impegnino "perché Kiev accetti una nuova Costituzione che garantisca un'organizzazione federale dello Stato".

Kiev a Mosca: basta ultimatum all'Ucraina
Secca la risposta di Kiev: l'Ucraina non diventerà uno Stato federale e non asseconderà le richieste autonomiste (e secessioniste) dei filorussi delle regioni orientali e meridionali del Paese. Il ministero degli Esteri ucraino ha invitato in una nota la Russia "a smettere di dettare ultimatum a un Paese sovrano e indipendente e a concentrare la sua attenzione sulla situazione catastrofica e sull'assenza totale di diritti per le sue minoranze, compresa quella ucraina".
 

CASO MARO’/ Toni Capuozzo: una caporetto della giustizia indiana

“La Corte Suprema di Nuova Delhi ha ammesso il ricorso di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone perché quello che sta emergendo è una caporetto della giustizia indiana. La mossa è di sospendere tutto fino alle prossime elezioni, per poi rimandare i due marò in Italia in modo a sbarazzarsi di una patata bollente”. Lo sottolinea Toni Capuozzo, direttore di “Terrà!” in onda su Rete 4. Latorre e Girone si erano appellati contro la scelta di utilizzare la polizia Nia antiterrorismo per condurre le indagini sul caso dell’Enrica Lexie. Il ricorso “contesta in toto il diritto dell’India a condurre l’inchiesta e a giudicare i marò”. Ferruccio de Bortoli ha scritto sul suo profilo Twitter: “I marò sempre più nelle mani della giustizia indiana, arbitrato internazionale lontano”.
Capuozzo, che cosa ne pensa della scelta della Corte suprema di accogliere il ricorso dei marò?
Si tratta di una svolta improvvisa e di qualcosa di clamorosamente nuovo, in quanto ciò comporta uno slittamento delle udienze a dopo le elezioni. La Nia ha più volte dato segnali di non voler arrivare a un processo, in quanto non ha in mano alcuna prova credibile per poter gestire un processo che inevitabilmente avrà una certa rilevanza internazionale. Gli inquirenti indiani hanno in mano le fotografie e il filmato dell’incidente avvenuto alla petroliera Enrica Lexie. Hanno sequestrato macchine fotografiche e telecamere a bordo, e al fine di presentare un capo d’accusa al processo si è reso obbligatorio il fatto di esibire questi documenti.
 
Quali sono le conseguenze?
Se ciò che emerge da queste immagini è il fatto che la Lexie non ha incrociato il Saint Anthony bensì un altro peschereccio, significa servire su un piatto d’argento le prove dell’innocenza di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Tutto ciò che sta avvenendo è un’enorme Caporetto indiana, pur con ben poco merito da parte dell’Italia. Ciò non è avvenuto grazie al lavoro dei precedenti governi, né tantomeno della voce dura sull’arbitrato internazionale. E’ un’implosione dell’implosione dell’impianto accusatorio indiano.
Perché è così sicuro che immagini e filmati provino l’innocenza dei marò?
Sono diversi gli elementi a documentarlo. Il capitano del peschereccio Saint’Anthony per esempio ha dichiarato a caldo che l’incidente era avvenuto alle 21.30, mentre quello che ha coinvolto l’Enrica Lexie si è verificato alle 16.30. Inoltre non si capisce perché gli inquirenti indiani, dopo avere messo le mani su foto e video, abbiano scelto di non utilizzarne i contenuti neppure in una fase istruttoria del procedimento. Ciò testimonia che è un filmato che va a discolpa dei marò.
Chi è il vero responsabile di questa caporetto dell’India?
Toni Capuozzo I risultati dell’udienza documentano un palleggiamento di responsabilità, in quanto la giustizia indiana di fatto sta dicendo al governo che è stato quest’ultimo ad avere creato il problema e ora sta a lui risolverlo per via extragiudiziaria. La vicenda è stata cioè gestita male innanzitutto da un punto di vista politico. Il ministro della Difesa indiano, A. K. Antony, è stato uno dei grandi accusatori di Latorre e Girone, ed è considerato una figura incorruttibile. Con suo grande disappunto, è stato citato però come testimone nella vicenda delle tangenti di Finmeccanica e non verrà ricandidato.
 
Che cosa farà a questo punto il governo indiano?
L’Italia procederà sui tempi lunghi dell’arbitrato internazionale. Con buona probabilità, per la prima volta dall’indipendenza dell’India, le elezioni sanciranno la fine del potere del Partito del Congresso fondato da Gandhi. Al suo posto saliranno al governo i nazionalisti del Bharatiya Janata Party. Nella finestra che si aprirà nell’alternanza tra i due partiti politici, l’India potrebbe anche concedere una libertà provvisoria ai due marò per sbarazzarsi di una presenza che si sta trasformando in una vera e propria patata bollente.
 
Fonte: http://www.ilsussidiario.net/
 

SUCCESSO DEL FRONT NATIONAL: FINE DELL'EURO E PROGETTO UE?

Foto: SUCCESSO DEL FRONT NATIONAL A PARIGI: FINE DELL’EURO E DEL PROGETTO UE? Marine Le Pen è stata la *vera protagonista* delle consultazioni amministrative francesi di domenica: una sorta di "prova generale" per le elezioni europee del 25 maggio, in particolare sulla questione Euro, tema non più di “destra/sinistra”, ma estremamente sensibile per uno spettro molto ampio dell'elettorato europeo. L’FN – Front National, nato nel ’72, ha conservato a lungo alcune sue peculiarità: coltivare la "grandeur" politica e culturale della Francia, alimentare pulsioni xenofobe e antisemite, apparire insofferenti all'affermazione dei diritti dell'uomo quali eredità – paradossalmente -  proprio dell'illuminismo e della stessa Rivoluzione Francese. La successione di Marine Le Pen a Jean Marie Le Pen produceva tre anni fa una svolta moderata, con l’abbandono – almeno ufficialmente - delle posizioni antisemite e xenofobe, ma ci vorrà di sicuro del tempo per dimostrare alla prova dei fatti l’autenticità del nuovo corso del FN in senso più moderato. Per contro non sembra per nulla utile - ed è comunque inconcludente e semplicistica - la "demonizzazione" di quella che sta diventando *una considerevole forza politica eletta con regole democratiche*. Le differenze tra *Francia e Italia* sono tuttavia sostanziali, in quanto l’FN richiede:
1) l’uscita dal Comando Integrato della Nato;
2) una grande politica mondiale della Francia che restauri la credibilità della potenza francese attraverso lo strumento diplomatico e militare;
3) l'offerta alla Russia di un'Alleanza strategica avanzata fondata su un partenariato militare ed energetico approfondito;
4) la proposta alla Germania di associarsi in un'Alleanza Trilaterale “Parigi-Mosca-Berlino";
5) la proposta di formare un'Unione Paenuropea di Stati Sovrani che includa Russia e Svizzera, ma senza la Turchia;
6) il rinegoziato dei partenariati economici con il Maghreb sulla base dell'interruzione dei flussi migratori;
7) la promozione della Francofonia in Africa;
8 ) il silenzio su qualsiasi riferimento ai diritti umani e alle libertà fondamentali quali riferimenti essenziali della politica estera dei Paesi occidentali.
La convinzione che basti la *negazione dei valori euro-atlantici*, la rinuncia a una Difesa unica UE, la sfiducia verso la Nato, e una politica di "potenza nazionale" ancorata all'illusione che nel mondo di oggi basti l'arma nucleare e il veto in Consiglio di Sicurezza dell’ONU per risolvere i problemi contemporanei, è davvero assai ingenua e non porta da nessuna parte, rischiando di “richiudere” la Francia in una dimensione di Stato-Nazione del tutto inadeguata a *vincere le sfide globali*. Sulla questione dell'Euro, poi, il Front National francese emette una condanna senza appello: le promesse di prosperità sono state disattese, il tasso di cambio è troppo elevato, la deindustrializzazione accelera, e la moneta unica è divenuta il simbolo di una politica europea federalista che tutela solo elites finanziarie pronte a “sacrificare il popolo" sull'altare dei propri interessi… La risposta del’FN a questi disagi – in parte assolutamente reali – non è tuttavia la rinegoziazione del “patto” europeo in chiave meno Germano-centrica (anzi, casomai il contrario, viste le mire di partenership franco-tedesca dell’FN…) bensì un drastico piano di uscita dall’Euro, da tempo elaborato e decisamente semplicistico, che però costituirà il vero “focus” delle imminenti elezioni Europee… In Italia, cosi come in altri Paesi Euro, il sostegno o il rifiuto della moneta unica viene presentato sia in forma “assoluta” (dobbiamo tenercelo per forza, o dobbiamo abbandonarlo in ogni caso?) che in forma “condizionata” (non potremo più stare nell'Euro se non si allenteranno i parametri del Fiscal Compact e del Six Pack…). Voci molto autorevoli esistono sia a sostegno della prima opzione che della seconda, tra le prime, vi è sicuramente quella del Professor Paolo Savona, che osserva: "Occorre un piano A per restare nell'Euro in modo differente da oggi, e un piano B per uscirne se l'Europa non fa le riforme necessarie, se non ci si muove verso un'Unione politica che consenta di non dipendere da pochi Paesi, Germania in testa. L'architettura monetaria e fiscale europea ha basi inaccettabili per un'area monetaria al cui interno esistono divari strutturali così ampie, e comunque sarebbe inevitabile un'uscita dall'Euro se la crescita produttiva restasse al di sotto di quel 3-4% necessario a far riprendere l'occupazione". Sul secondo fronte si collocano invece la maggior parte degli economisti e le organizzazioni imprenditoriali e di categoria, sostenendo che l’uscita dall’Euro causerebbe:
- disallineamento degli spreads e default almeno parziale dell'ingente debito pubblico, che rifinanziamo - in euro - al ritmo di circa un miliardo al giorno;
- congelamento dei crediti alle aziende più indebitate e internazionalizzate;
- esplosione dei costi energetici;
- inflazione a doppia cifra;
- nessun vantaggio dalle svalutazioni competitive, che perderebbero gran parte dei loro effetti nella realtà delle "filiere globali" dove il 60% degli scambi di merci e l'80% dei servizi riguarda “prodotti intermedi”;
- "credit crunch" per le aziende, dato l'indebolimento che un’uscita dall'Euro produrrebbe sul sistema bancario.
In ogni caso, si tratta di un *dibattito di estrema importanza* per il futuro delle economie europee, dal momento che *il modello di Europa che abbiamo va sicuramente riformato*. Il denominatore comune – quello che dobbiamo sicuramente andare a fare - è un urgente e profondo riequilibrio dello scenario UE, e le imminenti elezioni europee sono un'occasione preziosa per rimettere in discussione quella che è sinora stata l'inscalfibile preminenza a senso unico della Germania…VOI COSA NE PENSATE...?Marine Le Pen è stata la *vera protagonista* delle consultazioni amministrative francesi di domenica: una sorta di "prova generale" per le elezioni europee del 25 maggio, in particolare sulla questione Euro, tema non più di “destra/sinistra”, ma estremamente sensibile per uno spettro molto ampio dell'elettorato europeo. L’FN – Front National, nato nel ’72, ha conservato a lungo alcune sue peculiarità: col...tivare la "grandeur" politica e culturale della Francia, alimentare pulsioni xenofobe e antisemite, apparire insofferenti all'affermazione dei diritti dell'uomo quali eredità – paradossalmente - proprio dell'illuminismo e della stessa Rivoluzione Francese.
 
La successione di Marine Le Pen a Jean Marie Le Pen produceva tre anni fa una svolta moderata, con l’abbandono – almeno ufficialmente - delle posizioni antisemite e xenofobe, ma ci vorrà di sicuro del tempo per dimostrare alla prova dei fatti l’autenticità del nuovo corso del FN in senso più moderato. Per contro non sembra per nulla utile - ed è comunque inconcludente e semplicistica - la "demonizzazione" di quella che sta diventando *una considerevole forza politica eletta con regole democratiche*. Le differenze tra *Francia e Italia* sono tuttavia sostanziali, in quanto l’FN richiede:
1) l’uscita dal Comando Integrato della Nato;
2) una grande politica mondiale della Francia che restauri la credibilità della potenza francese attraverso lo strumento diplomatico e militare;
3) l'offerta alla Russia di un'Alleanza strategica avanzata fondata su un partenariato militare ed energetico approfondito;
4) la proposta alla Germania di associarsi in un'Alleanza Trilaterale “Parigi-Mosca-Berlino";
5) la proposta di formare un'Unione Paenuropea di Stati Sovrani che includa Russia e Svizzera, ma senza la Turchia;
6) il rinegoziato dei partenariati economici con il Maghreb sulla base dell'interruzione dei flussi migratori;
7) la promozione della Francofonia in Africa;
8 ) il silenzio su qualsiasi riferimento ai diritti umani e alle libertà fondamentali quali riferimenti essenziali della politica estera dei Paesi occidentali.
 
La convinzione che basti la *negazione dei valori euro-atlantici*, la rinuncia a una Difesa unica UE, la sfiducia verso la Nato, e una politica di "potenza nazionale" ancorata all'illusione che nel mondo di oggi basti l'arma nucleare e il veto in Consiglio di Sicurezza dell’ONU per risolvere i problemi contemporanei, è davvero assai ingenua e non porta da nessuna parte, rischiando di “richiudere” la Francia in una dimensione di Stato-Nazione del tutto inadeguata a *vincere le sfide globali*. Sulla questione dell'Euro, poi, il Front National francese emette una condanna senza appello: le promesse di prosperità sono state disattese, il tasso di cambio è troppo elevato, la deindustrializzazione accelera, e la moneta unica è divenuta il simbolo di una politica europea federalista che tutela solo elites finanziarie pronte a “sacrificare il popolo" sull'altare dei propri interessi…
 
La risposta del’FN a questi disagi – in parte assolutamente reali – non è tuttavia la rinegoziazione del “patto” europeo in chiave meno Germano-centrica (anzi, casomai il contrario, viste le mire di partenership franco-tedesca dell’FN…) bensì un drastico piano di uscita dall’Euro, da tempo elaborato e decisamente semplicistico, che però costituirà il vero “focus” delle imminenti elezioni Europee… In Italia, cosi come in altri Paesi Euro, il sostegno o il rifiuto della moneta unica viene presentato sia in forma “assoluta” (dobbiamo tenercelo per forza, o dobbiamo abbandonarlo in ogni caso?) che in forma “condizionata” (non potremo più stare nell'Euro se non si allenteranno i parametri del Fiscal Compact e del Six Pack…). Voci molto autorevoli esistono sia a sostegno della prima opzione che della seconda, tra le prime, vi è sicuramente quella del Professor Paolo Savona, che osserva: "Occorre un piano A per restare nell'Euro in modo differente da oggi, e un piano B per uscirne se l'Europa non fa le riforme necessarie, se non ci si muove verso un'Unione politica che consenta di non dipendere da pochi Paesi, Germania in testa.
 
L'architettura monetaria e fiscale europea ha basi inaccettabili per un'area monetaria al cui interno esistono divari strutturali così ampie, e comunque sarebbe inevitabile un'uscita dall'Euro se la crescita produttiva restasse al di sotto di quel 3-4% necessario a far riprendere l'occupazione". Sul secondo fronte si collocano invece la maggior parte degli economisti e le organizzazioni imprenditoriali e di categoria, sostenendo che l’uscita dall’Euro causerebbe:
- disallineamento degli spreads e default almeno parziale dell'ingente debito pubblico, che rifinanziamo - in euro - al ritmo di circa un miliardo al giorno;
- congelamento dei crediti alle aziende più indebitate e internazionalizzate;
- esplosione dei costi energetici;
- inflazione a doppia cifra;
- nessun vantaggio dalle svalutazioni competitive, che perderebbero gran parte dei loro effetti nella realtà delle "filiere globali" dove il 60% degli scambi di merci e l'80% dei servizi riguarda “prodotti intermedi”;
- "credit crunch" per le aziende, dato l'indebolimento che un’uscita dall'Euro produrrebbe sul sistema bancario.
In ogni caso, si tratta di un *dibattito di estrema importanza* per il futuro delle economie europee, dal momento che *il modello di Europa che abbiamo va sicuramente riformato*. Il denominatore comune – quello che dobbiamo sicuramente andare a fare - è un urgente e profondo riequilibrio dello scenario UE, e le imminenti elezioni europee sono un'occasione preziosa per rimettere in discussione quella che è sinora stata l'inscalfibile preminenza a senso unico della Germania.
 

CASO MARO': NON SONO TERRORISTI!

Foto: CASO MARO': NON SONO TERRORISTI! Noi lo sapevamo da sempre: ma ora l'ha riconosciuto anche la Corte Suprema indiana, che poche ore fa ha accolto il ricorso presentato dalla difesa di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone contro la presentazione dei capi d'accusa da parte della NIA - la polizia antiterrorismo indiana - nel processo a loro carico. La Corte Suprema ha infatti temporaneamente bloccato il processo ai due militari, che stava venendo istruito secondo le regole dell'antiterrorismo paragonando i nostri due soldati ai pirati che invece loro erano impegnati a combattere proprio in India. Indubbiamente un primo significativo successo, frutto della pressione internazionale generata anche dalla forte attenzione dell'opinione pubblica sul caso…grazie quindi anche a tutti Voi, membri di questa community! Ora, è necessario proseguire ENERGICAMENTE con la strategia che da oltre un anno ho suggerito: 1) contestazione senza riserve della giurisdizione indiana 2) apertura di un Arbitrato internazionale 3) attivazione di un contenzioso in sede ONU. CONTINUIAMO…E RIPORTIAMOLI A CASA!!!
Noi lo sapevamo da sempre: ma ora l'ha riconosciuto anche la Corte Suprema indiana, che poche ore fa ha accolto il ricorso presentato dalla difesa di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone contro la presentazione dei capi d'accusa da parte della NIA - la polizia antiterrorismo indiana - nel processo a loro carico.
 
La Corte Suprema ha infatti temporaneamente bloccato il processo ai due militari, che stava venendo istruito secondo le regole del...l'antiterrorismo paragonando i nostri due soldati ai pirati che invece loro erano impegnati a combattere proprio in India. Indubbiamente un primo significativo successo, frutto della pressione internazionale generata anche dalla forte attenzione dell'opinione pubblica sul caso…grazie quindi anche a tutti Voi, membri di questa community!
 
Ora, è necessario proseguire ENERGICAMENTE con la strategia che da oltre un anno ho suggerito:
1) contestazione senza riserve della giurisdizione indiana
2) apertura di un Arbitrato internazionale
3) attivazione di un contenzioso in sede ONU.
 
CONTINUIAMO…E RIPORTIAMOLI A CASA!!!
 

sabato 29 marzo 2014

Napolitano e i marò: "rispetteremo gli impegni" e fu così che li riconsegnarono all'India

Come si sono permessi di gettare alle ortiche la parola d’onore dell’Italia e degli italiani? Con quale diritto? E a quale prezzo visto che oltre agli incalcolabili danni sulla nostra immagine internazionale già malconcia di suo adesso ci va di mezzo l’ambasciatore italiano a New Delhi che risulta praticamente sequestrato dalle autorità indiane? C’erano tanti modi per affrontare la controversia sui due marò accusati dell’assassinio di due pescatori del Kerala: il governo Monti ha scelto la strada peggiore e quella più disonorevole. Che comincia alla vigilia del Natale 2012 quando il governo indiano concede a Girone e Latorre una licenza di due settimane per trascorrere le feste in famiglia. Come garanzia per il ritorno dei militari, il governo italiano offre 800 mila euro di cauzione, più l’impegno esplicito dell’ambasciatore d’Italia e dello stesso ministro degli Esteri Terzi, più una dichiarazione d’onore dei marò, ci mancherebbe altro. Ma l’atto più solenne viene dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che dichiara: “Rispetteremo gli impegni”.
 
Napolitano, Angelilli, Pittella - foto di Parlamento europeoE ciò che avviene la prima volta, ma non la seconda quando, siamo a febbraio, gli ufficiali ottengono dagli indiani un secondo permesso e ritornano in Italia per votare alle elezioni. Poi l’improvviso voltafaccia italiano, il “colpo gobbo” come è stato allegramente definito da alcuni giornali: i militari restano a casa e tanti saluti alla nostra parola d’onore. Solo che a Delhi la prendono malissimo e l’inevitabile ritorsione colpisce l’ambasciatore Mancini che non può più muoversi dalla sede diplomatica, tanto che neppure i familiari riescono a contattarlo. Altro che colpo gobbo, una vera idiozia non considerare che la firma di un impegno scritto avrebbe trasformato l’ambasciatore Mancini in una sorta di ostaggio da tenere sotto chiave per ogni evenienza. Ma è la parola d’onore violata che resta un atto vergognoso perché è anche la parola d’onore di tutti gli italiani. Possibile che il capo dello Stato abbia avallato l’inaccettabile dietrofront del governo Monti? E quella frase: “Rispetteremo gli impegni” è da considerarsi anch’essa una finzione? Sarebbe gravissimo, non possiamo crederlo. Presidente, dica qualcosa per favore.
 
Un anno dopo a Strasburgo il Presidente Giorgio Napolitano, parlava del caso dei  marò definendoli "fratelli italiani''. E  ribadiva: ''La mia posizione è internazionalmente nota, non perdo occasione per prendere io l’iniziativa con i partner europei e non e sollecitare il loro caso''. La direzione è adottare un 'approccio che ''deve essere di interesse comune europeo''.
 
           http://www.euractiv.it/
         

Gli indiani fermano il processo Marò, c'è la prima vittoria. Ora riportiamoli in Italia

"Decidere di tener fuori l'agenzia antiterrorismo indiana dalle investigazioni sui marò è un piccolo passo avanti, frutto di una pressione che finalmente il governo italiano ha iniziato ad esercitare coi maggiori partner internazionali.
Soprattutto è il risultato dell'annuncio che l'Italia intende attivare un arbitrato obbligatorio davanti all'Onu sul conflitto di giurisdizione, iniziativa che per un anno è rimasta  inspiegabilmente chiusa nei cassetti del governo». Così commenta la decisione della Corte suprema indiana l'ex ministro degli Esteri, Giulio Terzi, che di battagliare per una soluzione che ci ridia dignità nazionale, che restituisca l'onore ai nostri militari, non ha smesso mai, anche fuori dal governo, anche ingiustamente ignorato e denigrato.
Seguo la vicenda dei marò dall'inizio, ho scritto tanti di quegli articoli che a pensarci mi viene la rabbia, e all'inizio Terzi l'ho anche attaccato. Ma sbagliavo,costruiva una strategia che era l'unica possibile e che gli hanno impedito di portare a buon fine. Terzi è un servitore dello Stato di intelligenza e di schiena dritta come raramente ne ho conosciuti, è l'anti de Mistura di questa brutta storia. Latorree Girone li aveva riportati in Italia, e in Italia intendeva tenerli.
Ora non sarà facile, l'India  in campagna elettorale per ora ha solo preso tempo. Con la defenestrazione della Nia Matteo Renzi e il suo governo incassano una prima vittoria nel contenzioso, ed è bastato poco. Complimenti: è un bene che il presidente del Consiglio mantenga freddezza e mandi a dire che non è finita così, che i nostri marò devono tornare a casa e nessun processo in India sarà consentito. Una buona notizia è una buona notizia, pazienza se arriva con un anno di ritardo, due governi Monti e Letta ferocemente contrari, un ministro degli Esteri che si è dovuto dimettere pubblicamente per rispetto allo Stato, ma si è preso gli insulti, e il successivo Emma Bonino schierata con feluche e affaristi nell'arroganza di non voler avere niente a che fare coni due marò italiani, giudicati colpevoli contro ogni garantismo e legislazione internazionale.
Aggiungo per dovere di scomoda cronaca un presidente della Repubblica eccezionalmente distratto, disinteressato, quasi non fosse il comandante delle Forze Armate. E dunque, finalmente un po' di resistenza nazionale si è sentita. Finalmente un ricorso contro le procedure illegali della Nia gliel'hanno lasciato fare a Massimiliano Latorre e Salvatore Girone i zelanti incaricati italiani, quell'inviato speciale Staffan de Mistura che per due anni ha consentito senza mai cambiare espressione del volto che gli indiani ci torturassero e insultassero.
Quel de Mistura che voleva il processo in India, che si è perfino seduto in tribunale accanto all'avvocato italiano, quel de Mistura che ha permesso che la Nia, l'agenzia indiana and terrorismo, interrogasse a Roma i testimoni presenti sulla petroliera Lexie. Quando va a casa de Mistura? Si è mai visto un negoziatore buono per tutte le tesi, i governi, le stagioni, buono anche quando si cambia completamente metodo e si definisce il precedente, ovvero quello scelto e ostinatamente perseguito da de Mistura, sbagliato e contrario agli interessi
nazionali? Ci è chiaro che è bastato fare «bù!» dopo due anni di grande paura perché la Corte suprema indiana cambiasse sistema smentendo sé stessa e il governo?
 
Renzi dice che non è sufficiente, che devono tornare a casa Massimiliano Latorre e Salvatore Girone. Molto bene,  cerchiamo di capire come, il governo ammetta quale marchiano errore è stato  commesso un anno fa rimandando i marò in India, riabiliti con il dovuto risarcimento morale Terzi, segua esattamente le procedure che l'allora ministro degli Esteri aveva avviato un anno fa, tra Tribunale del mare e Consiglio di sicurezza Onu. De Mistura subito a casa. Certo, c'è ancora Lapo Pistelli agli Esteri, oggi parla di internazionalizzazione, qualche mese fa sproloquiava di processo condiviso. E a Palazzo Chigi campeggia Sandro Gozi, presidente di Italia-India, che sulla morte dei poveri pescatori indiani ci ha afflitto a lungo. Accontentiamoci che venga allontanato, e con ignominia, Staffan de Misura, visto che è evidente che la dignità di dimettersi e scusarsi è sentimento che non lo sfiora.
Che fare per andare oltre il primo punto a favore? Cito ancora Terzi: «Si è visto che la  strategia  corretta è questa, bisogna accendere tutti i riflettori della comunità internazionale e far vedere che l'Italia vuole difendere i suoi diritti con tutti i mezzi dati dall'ordinamento internazionale.
Perchè l'Italia deve essere così timida nell'adire il Consiglio di sicurezza su una questione che riguarda un principio fondamentale, quello della libertà di navigazione in alto mare?".
 
di MARIA GIOVANNA MAGLIE

I marò e la lenta giustizia indiana: Uno spiraglio ingannevole!!!!

C’è una questione della quale i ministri del governo Renzi parlano spesso e a voce alta ma che in realtà pare essere piuttosto bassa nelle priorità dell’esecutivo. È il caso dei marò, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, trattenuti da oltre due anni in India con l’accusa di omicidio di due pescatori mentre erano in missione antipirateria. Gli sviluppi delle ultime ore indicano che l’iniziativa italiana è finita nella sabbia, bloccata per lo più a causa di incoerenza e insufficiente decisione del governo. Come se il caso fosse stato derubricato da questione nazionale, sulla quale l’Italia si gioca la reputazione internazionale, a seccatura della quale parlare ma sulla quale non decidere. Il guaio è che non basta un buon incontro con il presidente Obama per ritrovare un ruolo internazionale.

Ieri, la Corte Suprema di New Delhi ha ritenuto ammissibile il ricorso presentato dai due fucilieri italiani contro l’utilizzo della polizia antiterrorismo Nia nel loro processo. In apparenza una piccola vittoria per gli italiani. In realtà, una sconfitta o comunque una battuta d’arresto seria della strategia italiana di ricorso a un arbitrato internazionale. Cioè della strategia portata avanti, con dichiarazioni forti, dalle ministre degli Esteri Federica Mogherini e della Difesa Roberta Pinotti e condivisa da Matteo Renzi. Per internazionalizzare il processo, infatti, occorre rifiutare a tutti i livelli la giurisdizione indiana sul caso: prendere una serie di iniziative tese a ricostruire una controversia con New Delhi, controversia che era venuta meno nel marzo del 2013, quando i marò furono rimandati in India, dunque accettando il diritto di Delhi di processarli. Su questa strada sono stati fatti molti passi, negli scorsi mesi. Ma poi l’Italia è caduta in una trappola che in gran parte si è costruita da sola e la giustizia indiana ne ha brillantemente approfittato.
Lo scorso 6 marzo, Girone e Latorre - probabilmente consigliati dal team dei loro legali indiani - hanno presentato alla Corte un ricorso contro l’utilizzo della Nia (National Investigation Agency) nel processo. Con ciò riconoscendo ovviamente la legittimità della giustizia indiana, alla quale si sono appellati, a procedere nel caso. È a questo punto che il massimo tribunale del Paese non ha fatto altro che ammettere la legittimità del ricorso e dare il via a una procedura - prossimo appuntamento tra un mese - per entrare nel merito delle loro eccezioni. Difficile, in questa situazione, sostenere da parte dell’Italia che l’India non ha giurisdizione mentre la Corte Suprema di Delhi si appresta a discutere un caso sollevato dai due marò stessi. Non solo. Gli indiani potrebbero anche sostenere, davanti a un giudice internazionale, di essersi dimostrati benevoli nei confronti di Girone e Latorre. Prima infatti hanno escluso la pena di morte, poi la legge antiterrorismo Sua Act e ora garantiscono di stare ad ascoltare i due militari, accusati di omicidio, sulla questione della Nia.
Si sarebbe dovuta ricostruire una controversia, Delhi potrebbe al contrario dire di essere nella migliore disposizione d’animo verso gli italiani. A questo punto ricorrere a un arbitrato internazionale per l’Italia è molto rischioso. È che Roma non si è mossa in modo coordinato come avrebbe dovuto. Nella vicenda è mancata la guida decisa del governo, e dunque hanno prevalso i consigli del team legale indiano dei marò, che probabilmente amerebbe mantenere il processo a New Delhi. Ieri, Palazzo Chigi ha ribadito «con forza» la rivendicazione della giurisdizione italiana sul caso e ha di nuovo chiesto «l’immediato ritorno dei nostri militari in Italia». In realtà, a questo punto la strategia pare sottosopra. Come minimo, i tempi per internazionalizzare il processo diventano più lunghi e le chance di successo minori. E torna in campo l’ipotesi che sia l’India, alla fine, a giudicare i due fucilieri. Pasticcio grave, per Girone e Latorre, che erano in missione antiterrorismo, in divisa e sotto la bandiera italiana. E grave per la reputazione del Paese. All’origine, mancanza di convinzione e di leadership.

Fonte:  http://www.corriere.it/

mercoledì 26 marzo 2014

IL SEQUESTRO DEI MARO' LATORRE E GIRONE - BREVE COMMENTO ALL' ODIERNA AUDIZIONE IN COMMISSIONE DELL'INVIATO DE MISTURA, di Stefano Tronconi


IL SEQUESTRO DEI MARO' LATORRE E GIRONE -
BREVE COMMENTO ALL' ODIERNA AUDIZIONE IN COMMISSIONE DELL'INVIATO DE MISTURA

26 Marzo 2014

Stefano Tronconi

L'inviato De Mistura, colui che al tempo delle indagini in Kerala dichiarò che la magistratura indiana si stava muovendo in modo corretto e trasparente e che successivamente fu uno dei principali sostenitori della scelta di rimandare in India i due fucilieri di marina per là sottoporli a processo, ha oggi dichiarato, con assoluto sprezzo del (proprio) ridicolo, che l'Italia non accetterà di sottoporre Latorre e Girone ad alcun processo indiano.

Visto che a De Mistura ci sono voluti più di due anni, ed ormai incalcolabili cambi di 'ferme' posizioni, per arrivare a ciò che a tutte le persone dotate di minimo buon senso (e di conoscenza delle leggi e dei contesti politici) era assolutamente chiaro fin dall'inizio, speriamo ora che non ci voglia altrettanto tempo per arrivare ad avere il coraggio di affermare ad alta voce che i due marò sono del tutto innocenti e che le accuse nei loro confronti sono state una delle più grandi montature occorse nei rapporti tra Stati che la storia recente ricordi.

In realtà, avendo avuto l'occasione di discuterne personalmente in questi giorni, speravo che già oggi in audizione venisse sollevata la questione del perché non si trovi il coraggio di portare pienamente alla luce del sole l'innocenza dei marò.
Senza volere da parte mia giustificare tale scelta, segnalo come il presidente Elio Vito abbia in realtà spiegato nel suo intervento in chiusura perché sia stato ancora una volta scelto di non farlo e abbia ancora prevalso (anche da parte dei parlamentari più consapevoli) la scelta di muoversi come ci si muove all'interno di un negozio di cristalleria.

So che per chi non aspetta altro che il rientro di Latorre e Girone in Italia da innocenti quali sono questi ulteriori tatticismi siano difficile da comprendere e tollerare, ma per capire perché ciò avvenga posso solo riproporre quanto avevo scritto lo scorso 10 Febbraio:
"Chi si sorprende della difficoltà e della tortuosità di quello che continuiamo a credere sia il percorso che ci sta comunque avvicinando al rientro in Italia dei marò Latorre e Girone probabilmente non ha ancora fatto del tutto mente locale sulle due grandi mostruosità che hanno segnato la vicenda.
La prima è l'enormità del fatto che le menti del sequestro dei due fucilieri di marina siedano oggi al vertice del potere politico e del governo di un grande (parliamo in questo caso di dimensioni) Paese come l'India (parliamo di India! Non di Somalia o Corea del Nord!).
La seconda è l'enormità, altrettanto inimmaginabile, del fatto che, almeno fino alla diffusione della nostra nuova ricostruzione della vicenda avvenuta nel Giugno 2013 (ma di fatto anche successivamente), siano state le stesse istituzioni italiane a lavorare per una 'soluzione' che, pur di salvaguardare altri interessi, sacrificasse, sull'altare della ragione di Stato, l'innocenza dei due marò.".

La battaglia continua.



fonte : https://www.facebook.com/stefano.tronconi.79?hc_location=timeline

Caso marò, De Mistura: “Renzi ne parlerà con Obama”



Il commissario straordinario: i fucilieri non andranno al processo. In campo un’iniziativa internazionale che dovrebbe produrre effetti nel giro di un mese

Il no è secco. L’Italia non riconosce la giurisdizione indiana sul caso dei marò, e per questo rifiuterà il processo e non presenterà i suoi fucilieri in tribunale. L’inviato speciale del governo per la questione dei due fucilieri, Staffan De Mistura, appena rientrato dall’ennesima missione a New Delhi, ha aggiornato il parlamento sulle iniziative italiane per uscire da una vicenda che si trascina da oltre due anni. E che verrà sollevata anche con il presidente statunitense Barack Obama in arrivo a Roma.

È in campo «un’iniziativa internazionale che dovrebbe produrre i propri effetti in termini concreti nel giro di un mese», ha inoltre annunciato il diplomatico alle Commissioni congiunte di Esteri e Difesa, senza scendere nei dettagli per «evitare che le controparti abbiano elementi eccessivi per poter fare contromosse». Ma come annunciato la settimana scorsa dal ministro degli Esteri Federica Mogherini, e dopo l’incontro infruttuoso di ieri all’Aja con il collega indiano Salman Khurshid, la carta che l’Italia ha deciso di mettere in campo è l’arbitrato internazionale. Una strada che, ha spiegato oggi De Mistura, «può avere tempi lunghi ma è un elemento di forte di pressione» nei confronti dell’India.

Nessun «processino» in India dunque - come lo chiama ancora il diplomatico - perché il caso è sempre più «politico», con le elezioni indiane che si avvicinano e che non aiutano a distendere il clima. Bisogna invece continuare con «l’internazionalizzazione della vicenda», con i presidenti di Commissione che hanno chiesto al premier Matteo Renzi di «sollevare il caso» anche con Obama da stasera a Roma. «Sono certo» che sarà fatto, ha commentato l’inviato speciale, spiegando che «gli americani sono molto consapevoli di quanto la questione sia importante per noi e hanno avuto anche loro momenti difficili» in India.

A New Delhi si attende la nuova udienza della Corte Suprema, venerdì 28 marzo, che dovrà decidere sul ricorso presentato da Massimiliano Latorre e Salvatore Girone contro il fatto che sia la polizia antiterrorismo Nia a condurre le indagini sulla morte di due pescatori indiani, il 15 febbraio 2012 al largo delle coste del Kerala. «Qualunque cosa accadrà il 28 marzo, noi al processo non andremo. La posizione italiana è fermissima: niente processo», ha ribadito De Mistura.

In sostanza, se e quando sarà avviato il processo vero e proprio nei confronti dei maro’, i due fucilieri (che De Mistura descrive come «confortati» dalla fermezza del governo italiano) non si presenteranno in tribunale, «con tutte le conseguenze che può comportare un nostro rifiuto». Tenerli nell’ambasciata italiana a Delhi - dove ora risiedono - aiuterebbe a internazionalizzare la vicenda, «come sarebbe accaduto se non fossero scesi dalla nave» Enrica Lexie (sulla quale i marò operavano in servizio antipirateria) due anni fa nel porto di Kochi.

Per Edmondo Cirielli, deputato di Fratelli d’Italia, è stata quest’ultima «un’allusione grave all’operato dell’ex ministro Giulio Terzi». «Le affermazioni diffuse in una nota dall’onorevole Cirielli sono frutto di un equivoco - ha poi precisato De Mistura - Ne ho informato lo stesso Cirielli che ne ha preso correttamente atto». Ma per la Lega, «il governo italiano non riesce ad uscirne fuori. Cosa che evidenzia una volta di più come la credibilità del nostro Paese agli occhi del mondo sia ormai bassissima», ha dichiarato Marco Marcolin, capogruppo del Carroccio in commissione Difesa.

Fonte: http://www.lastampa.it/

domenica 23 marzo 2014

Barroso ammette "UE pensata apposta per essere un antidoto ai governi democratici".

José Manuel Barroso MEDEF 2.jpgIl presedente della Commissione Europea, Josè Manuel Barroso, è arrivato ad ammetterlo pubblicamente.

Ecco le dichiarazioni della più alta e potente carica in Europa che, purtroppo, ci rappresenta nel mondo. "Le ragione per cui abbiamo bisogno dell'Unione Europea è proprio perchè non è democratica. Lasciati a se stessi, i governi eletti potrebbero arrivare a fare ogni sorta di cosa semplicemente per guadagnare voti. I governi democratici avessero avuto sempre ragione non avremmo la situazione che abbiamo oggi: le decisioni adottate dalle istituzioni più democratiche del mondo sono spesso molto sbagliate"


E continua: "Questa è stata in larga misura, la logica e l'obiettivo principale per l'unificazione europea. I padri fondatori avevano attraversato la Seconda Guerra Mondiale e ne sono usciti con una visione stanca di democrazia. Così hanno deliberatamente progettato un sistema in cui iol potere supremo è esercitato da commissari nominati che non hanno bisogno di preoccuparsi dell'opinione pubblica. Essi - i padri fondatori - credevano che il processo democratico a volte ha bisogno di essere guidato, temperato, vincolato.

Ora sappiamo che chi parla di democrazia dichiarandosi un sostenitore di questa Unione Europea, sta mentendo. In Europa non esiste nessuna dempcrazia, decidono 28 "super-commissari" nominati che "non devono preoccuparsi del consenso del popolo. 

Nigel Farage parla apertamente in questo eloquente video di YouTube  "Anni fa la signora Thatcher ha capito cosa si nascondesse dietro il progetto europeo. Ha capito che l'intento era quello di togliere la democrazia agli Stati nazionali per mettere quel potere in mano a persone che non possono essere chiamate a rispondere di ciò che fanno".

"I furti dai conti correnti della gente, pur di tenere in piedi questo totale fallimento che è l'Euro. Se si guarda a stati come la Spagna, dove la bancarotta delle imprese aumenta del 45% ogni anno possiamo vedere qual'è il piano della Commissione per affrontare i prossimi salvataggi quando si presenteranno. Agli investitori -continua Farage - dico di togliere i soldi dall'eurozona, prima che vengano a cercarvi. Quello che è stato fatto a Cipro è stato di suonare la campana a morte dell'Euro.....". Infine cita Dimitri Medvedev che ha paragonato le azioni della Commissione Europea  alle decisioni prese dalle autorità sovietiche....."

http://www.youtube.com/watch?v=ooWH3qaYS60&feature=player_embedded


Fonte: Press News

sabato 22 marzo 2014

Crisi Italia-India. La ministra della Difesa fa la faccia dura: ‘Situazione marò non è più sostenibile’

Roberta Pinotti, presente al giuramento degli allievi della Scuola Militare “Teulliè”, ha dichiarato che il “loro caso è una spina nel cuore del governo e degli italiani”. Martedì 18 marzo aveva indirettamente “bacchettato” il collega Alfano, che aveva chiesto al presidente dell’Assemblea Generale ONU, John Ashe, un intervento a favore dei fucilieri del San Marco
 

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La ministra della Difesa italiana ha mostrato oggi la faccia dura verso l’India, da cui tuttavia non giungono notizie di timori diffusi nelle residenze dei membri del governo federale. In occasione della cerimonia di giuramento degli allievi della Scuola Militare “Teulliè” di Milano, Roberta Pinotti ha definito “non più sostenibile” la situazione dei due fucilieri del Reggimento San Marco della Marina militare italiana, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, trattenuti in India da due anni con l’accusa – ancora non formulata formalmente – dell’omicidio (con proiettili di calibro non usato dalla NATO…) di due pescatori del Kerala, dopo averli scambiati per pirati.
 
La professoressa Pinotti ha ricordato agli allievi il proprio recente incontro con i due militari in India, riferendo di aver portato loro “il conforto del governo italiano. Sono andata – ha affermato – per dire che ci sentiamo vicini e impegnati, devono tornare a casa perché erano in missione e sono lì da due anni senza capo di imputazione. La situazione non è più sostenibile, è una spina nel cuore per il governo e penso anche per tutto il popolo italiano“.
 
Martedì scorso, 18 marzo, Pinotti aveva bacchettato a distanza Angelino Alfano, ministro dell’Interno, che nel corso di una sua visita istituzionale alla sede delle Nazioni Unite aveva chiesto al presidente dell’Assemblea Generale, John Ashe, un intervento dell’ONU perché i Marò possano tornare in Italia. Sulla questione è intervenuto ieri il governatore del Kerala che, in una lettera al primo ministro, ha chiesto che si mettano sotto processo i due militari italiani.
 
La situazione resta complicata“, un motivo sufficiente perché il Paese parli “con una sola voce“, aveva affermato Roberta Pinotti durante l’audizione presso le le Commissioni Difesa di Camera e Senato, riunite in sessione congiunta.
Sennonché, sarebbe utile capire chi sarebbe più legittimato a parlare di tal intricata questione. Forse la ministra degli Esteri, Federica Mogherini? O il presidente del Consiglio dei Ministri? O, al contrario, Roberta Pinotti intendeva rilevare che la più indicata a esercitare tale ruolo di commentatrice maxima sulla questione? Ah saperlo…
 

Luca e Paolo contro tutti.



Nella nuova trasmissione di Mediaset Canale 5 prima serata intitolata "Giass" - Luca e Paolo contro tutti (http://www.tgcom24.mediaset.it/televisione/2014/notizia/-giass-parte-domenica-la-missione-impossibile-di-luca-e-paolo_2032313.shtml), domenica scorsa i due comici hanno interpretato una gag sui due Fucilieri di Marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, a mio modesto parere di cattivo gusto.

La satira in una democrazia moderna è un innegabile segnale di libertà di espressione di pensiero ma c'è un limite a tutto.

Ora è comparsa su Facebook una foto ripresa dalla trasmissione almeno credo in cui indossano l'uniforme della Marina Militare con le stellette al bavero, credo non consentito a chi non ricopre lo status militare a meno che non siano stati autorizzati dal Ministero della Difesa per dileggiare due nostri militari in ostaggio dell'India.

Non sono sicuro che la foto sia autentica, ma nel dubbio la pubblico affinché chi fra gli amici ha la possibilità di approfondire i contenuti ed accertare se esistano i termini di reato porti avanti ai dovuti livelli di conoscenza il fatto.

Se poi la foto  è un "fake" la segnalo a Luca e Paolo a loro tutela  affinché dichiarino che non appartiene a loro.

Fernando Termentini, 22 marzo 2014

Fonte:  http://fernandotermentini.blogspot.it/

mercoledì 19 marzo 2014

La trappola del Fiscal compact

Si parla tanto del #FiscalCompact ma pochi sanno come funziona veramente. E non solo in Italia. Nei corridoi di Bruxelles la voce che gira è che il testo completo del patto “l’hanno letto in 10 e capito in 3″. Quanto c’è di vero, dunque, su quello che si sente in giro?
 
Tanto per cominciare, c’è da dire che il Fiscal Compact di nuovo introduce molto poco. Il testo poggia in buona parte sul Trattato di Maastricht (1991) e sul Patto di stabilità e crescita (1999) - le tavole su cui sono incise le sacre regole di bilancio dell’Ue -, e poi riprende e integra un insieme di disposizioni proposte dalla Commissione nel periodo 2010-11 e per la maggior parte già adottate dal Consiglio e dal Parlamento europeo, come il Patto per l’euro e in particolare il six-pack e il two-pack.
 
Com’è noto, il Trattato di Maastricht – successivamente rafforzato dal Patto di stabilità e crescita – si componeva di due “regole d’oro”:
Il divieto per gli stati membri di avere un deficit pubblico superiore al 3% del Pil. Questo limite risultava l’unico soggetto a sanzioni in caso di mancato rispetto: la Procedura per deficit eccessivo (Pde) obbligava i paesi “in difetto” a intraprendere unapolitica di restrizione fiscale e a rendere conto delle sue decisioni in materia di spesa alla Commissione e al Consiglio e infine, eventualmente, a pagare una sanzione.
Il divieto di avere un debito pubblico superiore al 60% del Pil. Superato questo limite, i paesi “in difetto” dovevano avviare delle politiche correttive. Ma questo vincolo non prevedeva procedimenti sanzionatori.
 
I pacchetti di regolamenti six-pack e two-pack – entrambi approvati dal Parlamento Europeo – hanno poi introdotto nell’ordinamento europeo l’obbligo del “pareggio di bilancio strutturale” e la sorveglianza multilaterale sui bilanci degli stati membri (che in futuro avranno l’obbligo farsi pre-approvare le finanziarie dalla Commissione).
Di fatto, quello che fa il Fiscal Compact è estendere, rafforzare e radicalizzare la normativa esistente (a partire dal Patto di stabilità e crescita), e istituzionalizzare su base permanente il “regime di austerità” che è stato imposto in Europa in seguito alla crisi.
 
Il cuore del Fiscal Compact è l’articolo 3.1, che riguarda il famoso“pareggio di bilancio”. Esso afferma che “la posizione di bilancio della pubblica amministrazione di una parte contraente [deve essere] in pareggio o in avanzo”; questa regola si considera soddisfatta se il deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche risulta inferiore allo 0,5% del Pil. I paesi devono garantire una convergenza rapida verso questo obiettivo, o verso l’obiettivo di bilancio di medio specificato per il singolo paese, secondo una forcella stabilita tra il -1% del Pil e il pareggio o l’attivo. I tempi di questa convergenza verranno definiti dalla Commissione. I paesi non possono discostarsi da questi obiettivi o dal loro percorso di aggiustamento se non in circostanze eccezionali. Un meccanismo di correzione è avviato automaticamente se si individuano forti divergenze; ciò comporta l’obbligo di adottare misure volte a correggere queste deviazioni in un periodo determinato.
 
Ma cosa si intende esattamente per “bilancio (o deficit) strutturale”?Secondo la logica alla base del Fiscal Compact, sussiste un deficit strutturale quando un paese continuare a registrare un deficit pubblico anche se la sua economia sta operando al “massimo potenziale”. Si tratta in sostanza di un indicatore che dovrebbe permettere alla Commissione di giudicare se il deficit pubblico di un paese sia dovuto alla congiuntura economica – come nel caso di una crisi economico-finanziaria, per esempio -, nel qual caso potrebbe essere eliminato per mezzo della crescita; o se invece sia “strutturale”, ossia continuerebbe a sussisterebbe anche se il paese riprendesse a crescere e arrivasse ad operare al massimo potenziale. La premessa è che in condizioni economiche “normali” un deficit è considerato “normale” se non supera lo 0,5% del Pil. Questa idea riflette la visione neoliberista della politica di bilancio come di una politica “neutrale”, che non è né espansiva (attraverso un’iniezione di reddito all’interno del circuito economico) né recessiva (mediante un aumento del risparmio pubblico).
 
Ovviamente, per valutare quale sarebbe il deficit in assenza di una recessione o in caso di ripresa economica, serve una teoria. Quale sarebbe il livello della produzione – gli economisti la chiamano la “produzione potenziale” – se la situazione fosse “normale”? Più la differenza tra la produzione reale – quella che viene misurata – e la produzione potenziale è significativa, più la parte considerata congiunturale del deficit risulterà rilevante, e più il deficit strutturale verrà considerato basso. E viceversa. Questa differenza è chiamata nel gergo della Commissione “output gap”. Supponiamo che uno stato membro registri un tasso di crescita dello 0,5% e un deficit pubblico del 3% (quindi in linea con i parametri di Maastricht); la Commissione potrebbe stabilire, secondo i suoi calcoli, che se l’economia del paese in questione operasse al massimo potenziale il deficit – quello strutturale, appunto – sarebbe del 2% (in questo caso l’output gap – ovvero la percentuale del deficit imputabile alla congiuntura economica - sarebbe di -1%), e dunque il paese dovrebbe effettuare una manovra fiscale equivalente all’1,5% del Pil, per mezzo di un consolidamento di almeno lo 0,5% del Pil l’anno, per portare il deficit strutturale entro i limiti imposti dello 0,5% del Pil (pur, ripetiamo, rispettando i parametri di Maastricht).
 
Gli stati possono temporaneamente deviare dall’obiettivo del pareggio di bilancio strutturale o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di “circostanze eccezionali”, ossia eventi inusuali che sfuggono al controllo dello stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione – nel qual caso anche la Commissione sarebbe costretta ad ammettere l’esistenza di un significativo output gap congiunturale -, “purché la deviazione temporanea della parte contraente interessata non comprometta la stabilità del bilancio a medio termine”. E comunque,appena quel paese uscisse dalla recessione e ricominciasse a crescere, anche di poco, l’output gap si ridurrebbe, e il paese sarebbe costretto a ridurre nuovamente il deficit (per mezzo di ulteriori tagli alla spesa).
 
Tornando all’esempio di prima, se il paese in questione aumentasse il suo tasso di crescita dell’1% (arrivando al suo “massimo potenziale” di 1,5%) e il suo deficit pubblico rimanesse invariato al 3%, l’output scenderebbe a 0, e di conseguenza il deficit strutturale arriverebbe a coincidere col deficit effettivo (3%), costringendo il paese a una manovra ancora più pesante (pari al 2,5% del Pil). In sostanza, il Fiscal Compact costringe i paesi a implementare misure di austerità sia in tempi di recessione o di bassa crescita che di crescita sostenuta (soprattutto in questi casi).
 
Questo presenta una serie di problemi.
Il primo è di ordine teorico, nel senso che non esiste nella teoria economia un metodo generalmente accettato per misurare la “produzione potenziale” di un paese.
In base all’approccio liberista, a cui si ispira la Commissione, se la produzione ha un calo non è dovuto tanto a un’insufficienza della domanda quanto a problemi di offerta (produttività o competitività insufficiente, salari troppo elevati, mercato del lavoro troppo rigido, ecc.), e dunque non è possibile avere una produzione molto maggiore allo stato attuale; la componente ciclica del deficit in questo caso è minima, e quello che serve sono invece “riforme strutturali” e ulteriori tagli alla spesa.
Questo metodo tende a sottovalutare il divario tra la produzione reale e la produzione potenziale, particolarmente nei periodi di recessione. A tal proposito è interessante notare che secondo i calcoli della Commissione, tra il 2008 e il 2014 il bilancio strutturale non è mai andato vicino al pareggio in nessuno dei paesi della periferia (eccetto la Grecia, per effetto delle pesantissime misure di austerità), di cui tutto si può dire fuorché che non abbiano riscontrato una “grave recessione”. E questo nonostante il fatto che prima della crisi alcuni di questi (Irlanda e la Spagna) – sempre secondo la Commissione – registrassero deficit (sia effettivi che strutturali) vicini allo zero o addirittura in avanzo.
 
Il secondo problema è di ordine politico, nel senso che, proprio perché non esiste alcuno strumento per misurare oggettivamente il bilancio strutturale di un paese – a differenza del bilancio effettivo -, è la Commissione a decidere, secondo dei parametri del tutto arbitrari (e molto discutibili), quale sia il livello del suddetto bilancio, e a imporre le misure correttive necessarie. Ed è sempre la Commissione, tramite le sue previsioni, a stabilire se e quanto l’economia di un paese è destinata a crescere l’anno seguente, e a chiedere sulla base di quelle previsioni misure di austerità “preventive”, in vista della riduzione dell’output gap. A tal proposito va ricordato che la Commissione è celebre per la sua tendenza a sovrastimare clamorosamente le prospettive di crescita degli stati membri. Va specificato che la Commissione può anche stabilire che un paese sta operando al di sopra del suo massimo potenziale, il che determinerebbe un output gap positivo e un conseguente peggioramento del bilancio strutturale.
Supponiamo che un paese cresca a un ritmo del 2,5% e registri unbilancio pubblico di -0,5% (quindi praticamente in pareggio); la Commissione potrebbe stabilire che l’economia è di 0,5% al di sopra del suo potenziale massimo di 2% (perché, per esempio, il livello di disoccupazione è sceso al di sotto di quello che Commissione ritiene essere il “tasso naturale” per quel paese). In quel caso l’output gap sarebbe anch’esso di +0,5%, risultando in un deficit strutturale dell’1%. Con la conseguenza che il paese, pur avendo un bilancio in pareggio o quasi, sarebbe comunque costretto a effettuare una manovra dello 0,5% del Pil.
 
In definitiva, possiamo concludere che non ci sono conti pubblici che tengano, per quanto “in ordine”, di fronte ai “calcoli” della Commissione. Ma c’è di più: anche nel caso in cui un paese registri un bilancio strutturale in pareggio, la Commissione può lanciare una Procedura per deficit eccessivo semplicemente sulla base della previsione che il deficit tornerà a crescere. È quello che la Commissione chiama il“braccio preventivo” (che va a complementare il “braccio correttivo”, che viene attivato nel caso di uno sforamento): una sorta di equivalente fiscale della nozione di “precrimine” immaginata daPhilip Dick nel suo racconto Rapporto di minoranza.
Il terzo problema è di ordine costituzionale, nel senso che il Fiscal Compact – imponendo l’obbligo del pareggio o quasi di bilancio strutturale – parrebbe violare il Trattato di Maastricht, che in tutte le sue successive versioni, da quella originaria del 1992 a quella di Lisbona del 2007, ha sempre previsto un margine di deficit del 3%. Su questo punto, però, va detto che in realtà il Trattato di Maastricht imponeva già agli stati membri un pareggio (o surplus) di bilancio de facto. Il deficit pubblico di un paese, infatti, include gli interessi sul debito pubblico. Considerando che in media tra il 2000 e il 2009 la spesa annuale per interessi dei paesi dell’eurozona è stata pari al 3.2% del Pil, vuol dire che gli stati membri sono stato costretti ad avere un avanzo primario (al netto degli interessi) di almeno 0.2% solo per rientrare nei parametri di Maastricht.
 
In realtà l’effettivo avanzo primario dell’eurozona in quegli anni è stato ancora più alto, 0.8%; altro che deficit massimo del 3%! A tal proposito, è utile ricordare che anche il Fondo monetario internazionale consiglia di basare le regole di bilancio sul bilancio primario, non su quello totale, proprio perché il pagamento degli interessi non può essere considerato una spesa produttiva che va a incidere sulla domanda aggregata(e anzi rappresenta il suo opposto: un trasferimento di risorse dall’economia reale verso i creditori, nazionali ed esteri). In questo senso, dovremmo dire che il Fiscal Compact, più che il pareggio di bilancio istituzionalizza definitivamente il “surplus di bilancio” obbligatorio.
L’altro pilastro del Fiscal Compact riguarda la riduzione del debito in eccesso. In base all’articolo 4, qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la soglia del 60%, gli stati membri sono tenuti a ridurlo a un rimo medio di un ventesimo della parte in eccedenza all’anno. A vedere le raccomandazioni fatte ai singoli paesi, però, questa sembra essere l’unica misura sulla cui implementazione la Commissione sembra disposta a essere un po’ più flessibile - se non altro per l’entità irrealistica dei tagli che alcuni paesi si vedrebbero costretti a operare.
 
In definitiva, possiamo concludere che non è esagerato affermare cheil Fiscal Compact, per mezzo dell’”invenzione” del bilancio strutturale, elimina definitivamente anche quell’esiguo margine di manovra fiscale previsto dal Trattato di Maastricht e dal Patto di stabilità e crescita, condannando l’Europa – ad eccezione di un cambio di politica radicale – all’austerità permanente. Nei prossimi giorni vedremo nel dettaglio quali sono le implicazioni del Fiscal Compact per l’Italia e per gli altri paesi dell’eurozona, e riveleremo alcune inquietanti indiscrezioni trapelate in questi giorni dalla Commissione.
 

domenica 16 marzo 2014

Marò in India: l'informazione omessa...... denuciamo la stampa!!!!!

Forse non tutti sanno che i mezzi d'informazione, hanno un potere più forte di quello politico, rappresentano l'ago della bilancia sul modo di pensare. Del resto sappiamo benissimo che il cosi detto "quarto potere" (economico) rappresenta i maggiori rischi principali per la democrazia. Gli usi impropri di questo potere sono costituiti dal controllo politico dei mezzi di informazione e dall'accentramento di essi nelle mani di un ristretto gruppo di persone. L’informazione è potere.
 

In una società globalizzata dove i beni concreti sono sempre più facilmente reperibili e duplicabili da chiunque è diventata fondamentale l’importanza dei beni intangibili: conoscenze, capacità, relazioni, informazioni. Il possesso di determinate informazioni è quello che, in un’organizzazione, può fare la differenza tra il successo e il fallimento. Bene il ricordare che i politici non hanno detto a loro tempo, qualcuno non lo fa neppure ora, ma questi personaggi dell'informazione, una volta conclusa la vicenda, dovrebbero rispondere pure loro di reato: omissione di informazione. Soprattutto quelli delle reti televisive statali (Rai), visto che il cittadino italiano paga un canone, oneroso, per un informazione che non c'è.
 
I media sono un elemento completamente integrato nella struttura di potere di uno stato. Nella sua applicazione pratica, i media sono più importanti di un esercito. L’uso della forza comporta degli svantaggi, mentre la propaganda e le pubbliche relazioni tendono a disturbare meno il normale flusso di un business.
 
L’obiettivo primario dei media è quello di dare forma alla pubblica opinione in un modo che supporti l’agenda del potere. Ma la TV indipendente ed Internet rappresentano la più grande minaccia a questo processo. Entrambi forniscono fonti divergenti di informazione che superano il processo di filtro tradizionale operato dai media business-friendly.
 
L’obiettivo ultimo di ogni sistema di informazione integrato al potere è quello di avere un controllo completo del ciclo delle notizie in modo che gli eventi siano disposti per servire gli interessi delle aziende e delle corporazioni. Il pubblico non deve comprendere la stretta relazione tra stato ed industria.
Per raggiungere tutto questo i media devono apparire come indipendenti e parlare con voci differenti, quando in realtà, semplicemente ri-dicono la stessa cosa esaltandone vantaggi diversi.
 
La democrazia è impossibile dove l’informazione viene controllata da poche corporazioni potenti che raccontano storie ad uso e consumo dei propri interessi. Ci deve essere un accesso senza restrizioni ai fatti di cui abbiamo bisogno per prendere decisioni informate su questioni che influenzano le nostre vite e il futuro della nazione.

giovedì 6 marzo 2014

I piloti boicottano l'alfabeto in volo in onore dei due Marò

















E' una protesta garbata e non violenta quella che frulla nella testa dei piloti civili italiani, che volano in tutto il mondo, per sostenere le ragioni della liberazione dei due Marò. A due anni di distanza dal fermo dei fucilieri Salvatore Girone e Massimiliano Latorre in India si sta diffondendo tra i comandanti e i piloti l'idea di boicottare il tradizionale alfabeto Icao, quello usato per le comunicazioni in volo – per intenderci il linguaggio da Top gun per cui Alpha sta per "a", Bravo sta per "b", Tango per "t" –, e sostituire il canonico "India" con "Italy" o "Italia".
 
Il tam tam sulla rete è partito a fine febbraio e nei cieli qualcuno ha già cominciato a cambiare linguaggio e così sarà finché i due militari della Marina non saranno liberi e rimpatriati. Si tratta di piloti degli aerei di linea, chissà se anche quelli dell'aeronautica militare decideranno di rivedere il loro alfabeto.
 

L’Ucraina e lo scontro tra civiltà

Quando, con il crollo del comunismo, si avviò una radicale trasformazione del sistema delle relazioni internazionali, la teoria politica fu sollecitata ad uno sforzo straordinario di riflessione, per aggiornare schemi di analisi improvvisamente invecchiati.
 
Державний прапор України (Deržavnyj prapor Ukraïny)Due furono i modelli che allora, nel corso degli anni Novanta, si imposero, in sostanziale contrasto fra loro, entrambi in allontanamento dal paradigma classico del ‘realismo politico’: la teoria di Fukuyama della ‘fine della storia’, cioè dell’inevitabile affermarsi della democrazia occidentale, sistema politico senza più veri rivali nel mondo, e la teoria di Huntington dello ‘scontro tra civiltà’, cioè dell’assurgere dell’identità culturale a nuovo fattore determinante del conflitto internazionale dopo la Guerra Fredda.
Gli eventi, da allora, hanno alternato elementi di conferma e di smentita di entrambi i modelli, che restano però, a distanza di un quarto di secolo, le due suggestioni di portata più generale che la teoria politica abbia prodotto per ‘pensare’ le relazioni internazionali nel XXI secolo.
Così, se Fukuyama ha potuto interpretare la Primavera araba come una conferma del suo assunto di fondo, di una spinta irresistibile verso la democratizzazione, quanto sta accadendo in Ucraina sembra confermare l’importanza del fattore culturale, identitario, profetizzato da Huntington (nel senso, sia chiaro, che è questo il principale pericolo per la pace mondiale).
Per quanto riguarda l’Europa, la tesi generale di Huntington era che, dopo esser stata per mezzo secolo la ‘cortina di ferro’ la principale barriera divisiva dell’Europa, “oggi tale barriera si è spostata di diverse centinaia di chilometri ad est e separa i popoli cristiano-occidentale da quelli musulmani e ortodossi”. Su tale base, rispetto all’Ucraina, il politologo americano poteva contestare la tesi realista classica (difesa da Mearsheimer) circa un inevitabile contrasto per la sicurezza tra Ucraina e Russia, puntando l’attenzione anzitutto sul contrasto interno, storico, tra Ucraina orientale ortodossa e Ucraina occidentale ‘uniate’ (cioè dei cattolici di rito orientale). La differenza di approccio è rilevante, perché in un modello realista, statista, le differenze ‘interne’ non sono rilevanti, e lo Stato è considerato un soggetto politico unitario.
Quanto sta accadendo sembra dar parzialmente ragione ad entrambi gli approcci: se l’indipendenza dell’Ucraina, una sua completa ‘europeizzazione’, attiva una minaccia per la sicurezza di Mosca, avvertita come intollerabile, la risposta dell’Ucraina sembra disporsi lungo la linea di faglia culturale indicata da Huntington. Fallito l’incauto progetto europeo di ‘associare’ l’intera Ucraina nell’orbita di Bruxelles, gli scenari più probabili restano quelli indicati da Huntington: o una spaccatura dell’Ucraina, con l’annessione della parte orientale da parte della Russia, o una preservazione dell’unità del paese, ma nell’ambito di uno stretto legame con Mosca.
La debolezza dell’Occidente, in tutto ciò, emerge sempre più netta.
 
Fonte: http://www.liberadestra.it/ di Gianluca Sadun Bordoni