domenica 27 settembre 2015

Perché la giurisdizione indiana sui Marò fa acqua da tutte le parti.

Avevo intenzione di dedicare il mio nuovo post alla questione migratoria, ma l’ultimo articolo pubblicato sulla vicenda dei Marò ha trovato alcune contestazioni, cui ho deciso di rispondere sempre in punto di diritto. In particolare, mi si rimproverava il fatto che la Convenzione di Montego Bay disciplini solo i fatti avvenuti in alto mare, così ho deciso – tralasciando per il momento tutte le altre norme di Diritto del Mare interessate dalla vicenda dei Marò - di dimostrare che, in qualunque porzione di acqua l’incidente sia avvenuto, la giurisdizione non appartiene all’India bensì all’Italia.

Cominciamo.
Il diritto internazionale unanimemente condiviso ripartisce le acque in mare territoriale, zona contigua, zona economica esclusiva, piattaforma continentale e alto mare. La Convenzione di Montego Bay del 1982, che sostituisce (per gli Stati che l’hanno firmata e ratificata, ben 167) le precedenti Convenzioni di Ginevra del 1958 sul tema, disciplina tutte queste porzioni di mare, stabilendone l’ampiezza, i metodi di misurazione, i diritti e poteri dello Stato costiero nonché quelli delle navi battenti bandiera di Stati terzi.

Il mare territoriale è parte integrante del territorio di uno Stato e su di esso lo Stato costiero esercita tutti i poteri che esercita sulla terraferma. Secondo la Convenzione di Montego Bay (art. 12), può raggiungere l’estensione massima di 12 miglia marine; il che significa che uno Stato può stabilire il proprio mare territoriale anche al di sotto di tale estensione, ma non può superarla.

La zona contigua (art. 33) può raggiungere al massimo 24 miglia marine. Quindi, se uno Stato decide di costituirla, dalla linea di costa fino alle 12 miglia marine è mare territoriale, dalle 12 miglia in poi (fino a massimo 24 miglia) è zona contigua. I poteri che lo Stato costiero esercita su di essa riguardano solo le violazioni delle proprie leggi e regolamenti doganali, fiscali, sanitari e di immigrazione, avvenute entro il suo territorio o mare territoriale, e le violazioni di leggi e regolamenti riguardanti il passaggio inoffensivo di navi di Stati terzi all’interno del proprio mare territoriale.

La zona economica esclusiva raggiunge un’estensione massima di 200 miglia marine (art. 57) e su questa porzione di mare lo Stato costiero ha giurisdizione (art. 56) solo su questioni inerenti “l'esplorazione, lo sfruttamento, la conservazione e la gestione delle risorse naturali, biologiche o non biologiche, che si trovano nelle acque soprastanti il fondo del mare, sul fondo del mare e nel relativo sottosuolo” nonché su “i) installazione e utilizzazione di isole artificiali, impianti e strutture; ii) ricerca scientifica marina; iii) protezione e preservazione dell'ambiente marino”. Gli altri Stati hanno piena libertà di navigazione e sorvolo, posizionamento di cavi sottomarini e attività similari. In più, gli Stati cosiddetti land-locked (che quindi geograficamente non hanno l’accesso al mare) possono venire in questa zona a pescare e comunque ad attingere alle risorse ittiche e biologiche disponibili in eccedenza.

La piattaforma continentale (art. 76) comprende il fondo e il sottosuolo delle aree sottomarine che si estendono al di là del mare territoriale (quindi dalle 12 miglia marine in poi) attraverso il prolungamento naturale del territorio terrestre di uno Stato fino all'orlo esterno del margine continentale o, fino a una distanza di 200 miglia marine, se il margine continentale si ferma prima. Lo Stato costiero esercita diritti sovrani solo allo scopo di esplorarla e sfruttarne le risorse naturali.

La definizione di alto mare la ricaviamo a contrario, cioè la Convenzione non ci dice cos’è bensì cosa non è. L’articolo 86 infatti recita che le disposizioni sull'alto mare si applicano “a tutte le aree marine non incluse nella zona economica esclusiva, nel mare territoriale o nelle acque interne di uno Stato, o nelle acque arcipelagiche di uno Stato-arcipelago”. Quindi, mettendo da parte le acque interne (ad es. fiumi e laghi) e gli Stati formati da arcipelaghi (un esempio a caso, l’Indonesia), l’alto mare è tutta quella parte di mare che non rientra nel mare territoriale e nella zona economica esclusiva. Qui vige il principio di libertà e nessuno Stato ha più diritti di altri.
Si può notare che i poteri dello Stato costiero decrescono sempre più mano a mano che ci allontaniamo dal mare territoriale e andiamo verso l’alto mare.

A questo punto, la domanda è: dove si trovava l’Enrica Lexie al momento dell’incidente?

Questo è l’unico aspetto della vicenda su cui India e Italia concordano: l’incidente dell’Enrica Lexie è avvenuto approssimativamente a 20,5 miglia marine dalla costa (lo ribadisce anche l’ordinanza del Tribunale del Mare del 24 agosto: paragrafo 36 quanto alla versione italiana, paragrafo 43 per quella indiana). Ora, sulla base delle misurazioni che abbiamo visto poco fa, siamo nettamente fuori dal mare territoriale (massimo 12 miglia marine) e quasi al limite della zona contigua (massimo 24 miglia).

Sia India che Italia, tuttavia, parlano concordemente di zona economica esclusiva. E a noi sta benissimo, dal momento che in tale zona lo Stato costiero (India nel nostro caso) ha giurisdizione SOLO per questioni inerenti le risorse naturali, biologiche o meno, più installazioni artificiali e ricerca scientifica e simili. Ora, fino a prova contraria, i Marò sono esseri umani, e non pesci o coralli. Come fa l’India a pretendere di aver giurisdizione?
Non trascuriamo, per spirito di completezza, che l’India al momento della ratifica della Convenzione ha fatto una bella dichiarazione interpretativa, affermando che nella sua lettura la Convenzione “non autorizza altri Stati a condurre nella zona economica esclusiva o sulla piattaforma continentale esercizi o manovre militari senza prima avvisare lo Stato costiero”. L’India potrebbe decidere di far valere questa dichiarazione, considerando in una meravigliosa fictio giuridica l’incidente dell’Enrica Lexie come qualcosa di militare vista la presenza dei Marò. Se non fosse che, sia l’Italia che altri Stati, al momento della ratifica, hanno prontamente fatto delle loro dichiarazioni interpretative (più fedeli alle disposizioni contenute nella Convenzione) nelle quali hanno chiaramente detto che lo Stato costiero non gode di diritti ulteriori rispetto a quelli già previsti dalla Convenzione per la zona economica esclusiva, e in particolare non gode del diritto di rilasciare o meno l’autorizzazione, previa notifica, per manovre ed esercizi militari. Attraverso questa “controdichiarazione”, la dichiarazione indiana diventa del tutto inapplicabile all’Italia: essa vale infatti solo e unicamente nei confronti di quegli Stati che non hanno fatto “controdichiarazioni”. Per chi avesse voglia, qui trovate tutte le dichiarazioni fatte dagli Stati.

Ma vagliamo tutte le ipotesi: non lasciamo nulla al caso.
Oltre a essere zona economica esclusiva, le 20,5 miglia marine in cui è avvenuto l’incidente potrebbero essere zona contigua. Più su abbiamo detto che in quest’area la giurisdizione dello Stato costiero sussisterebbe solo in materia doganale, fiscale, di immigrazione o sanitaria, oltre che in caso di violazione di passaggio inoffensivo. E qui l’India non ha giurisdizione per ben due motivi:
  • siamo di fronte a un caso di omicidio, non di questioni fiscali o le altre in elenco;
  • le violazioni di cui si parla debbono essere avvenute nel mare territoriale indiano. Tuttavia, se anche l’India concorda che l’incidente è avvenuto a 20,5 miglia, mi pare evidente che non siamo nel mare territoriale.
Dalla definizione a contrario di alto mare, abbiamo desunto che la zona contigua rientrerebbe nell’alto mare. Quindi, facendo un’altra finzione per assurdo, e ipotizzando che l’India non avesse costituito una sua zona economica esclusiva, l’incidente sarebbe avvenuto in pieno alto mare e si applicherebbe l’articolo 97 della Convenzione che ho citato nel mio precedente articolo.

E, infine, l’ultima ipotesi: e se tutti quanti si fossero sbagliati e l’incidente fosse avvenuto nel mare territoriale indiano, chi avrebbe la giurisdizione?
Ebbene, l’articolo 27 della Convenzione è lapidario:
"Lo Stato costiero non dovrebbe esercitare la propria giurisdizione penale a bordo di una nave straniera in transito nel mare territoriale, al fine di procedere ad arresti o condurre indagini connesse con reati commessi a bordo durante il passaggio, salvo nei seguenti casi:
a) se le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero;
b) se il reato è di natura tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale;
c) se l'intervento delle autorità locali è stato richiesto dal comandante della nave o da un agente diplomatico o funzionario consolare dello Stato di bandiera della nave; oppure
d) se tali misure sono necessarie per la repressione del traffico illecito di stupefacenti o sostanze psicotrope.
Escludiamo sin da subito le ipotesi c) e d). Trattiamo prima l’ipotesi b): l’uccisione dei due pescatori ha disturbato la pace del paese o il buon ordine del suo mare territoriale? Lascio a voi la risposta, che mi sembra self-evident.
Ipotesi a): questa è in teoria l’unica ipotesi in cui, affermando che l’uccisione di due cittadini indiani produce conseguenze che si estendono allo Stato indiano, potrebbe in qualche modo sussistere la giurisdizione indiana. Tuttavia, per correttezza, devo evidenziare che l’articolo 27 si applica ai reati commessi a bordo della nave straniera: l’incidente dell’Enrica Lexie configura un reato che è stato commesso in parte a bordo di una nave italiana e in parte a bordo di quella indiana. Qui dovrei aprire la digressione su qual è il luogo considerato come luogo di commissione del reato: quello in cui l’autore ha compiuto l’azione (per intenderci dove i marò hanno sparato) o quello in cui si sono prodotti gli effetti del reato (dove i due pescatori sono morti)?
Ma non sarebbe utile ai nostri fini, dal momento che è indiscutibile ormai che l’incidente dell’Enrica Lexie non è avvenuto nel mare territoriale, bensì – ripeto – a 20,5 miglia marine dalla costa.

L’accenno al mare territoriale l’ho fatto solo e unicamente per dimostrare che già lì, nel mare territoriale, dove i poteri dello Stato costiero sono più forti, la giurisdizione penale gli spetta solo in determinati casi e non sempre. Figuriamoci quindi cosa avviene man mano che ci allontaniamo dal mare territoriale!?

La Convenzione sul Diritto del Mare parla ancora di giurisdizione penale solo in riferimento all’alto mare (l’ormai ultracitato articolo 97). Per tutte le altre porzioni di mare dice, invece, in quali materie lo Stato costiero ha giurisdizione (fiscali, sanitarie, ecc.): su tutte le altre materie lo Stato costiero NON ha giurisdizione, fatti penali inclusi. E il caso “Enrica Lexie” è un fatto penale.

di Irene Piccolo

Fonte: https://lnkd.in/dDQWXCJ

1 commento:

  1. Ottima esposizione teorica ma abbiamo a che fare con un'India avvezza a calpestare il diritto internazionale qualora dettato da interessi di politica interna. Figuriamoci poi quando si trova con "governi scendiletto" come quelli Monti-Letta-Renzi. Se, una volta scoperto l'inganno di Kochi, la Marina avesse puntato i piedi e ingaggiato un braccio di ferro (nessuno sale o scende dalla Lexie) da Delhi avrebbero convinto Trivandrum a lasciar perdere. Così non è stato per vigliaccheria politica italiana che ha permesso a Chandi di imporre il principio "male captus bene detentus".

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