venerdì 4 settembre 2015

Chi dice che il Tribunale del Mare ha bocciato l’Italia mente o ignora.

Nel diritto l’interpretazione fa spesso da padrona. La cosa diventa ancor più minacciosa in una branca considerata astratta come il diritto internazionale. Tuttavia, nella vicenda dei Marò non c’è spazio per l’interpretazione, la norma è chiara.

L’India ha violato più di una volta il diritto internazionale nel corso di questa vicenda e, al suo posto, avrei un certo timore di quella che potrà essere la decisione del tribunale arbitrale.

Il comportamento indiano ha infatti mostrato al mondo un brutto vizio, piuttosto noto nel common law (il diritto anglosassone) e riassumibile nel principio “male captus, bene detentus”. In base a questo principio, anche se uno Stato cattura una persona in netta violazione del diritto (male captus), può comunque processarla (bene detentus).

Ebbene, già solo con l’arresto dei Marò l’India ha fatto un poker di violazioni(inseguimento dell’Enrica Lexie non iniziato nel mare territoriale indiano; arresto di due persone coperte da immunità funzionale; sequestro di beni appartenenti allo Stato italiano – le armi dei Marò!; arresto per fatti che non rientrano nella giurisdizione dello Stato indiano dal momento che non sono avvenuti nel suo mare territoriale).
Vogliamo poi parlare di quello che è letteralmente stato il sequestro dell’ambasciatore italiano nel momento in cui il nostro governo si è rifiutato di far rientrare i Marò in India? Qui, il governo indiano ha violato la norma più sacra e antica del diritto internazionale: l’inviolabilità della figura dell’Ambasciatore!

Se l’ambasciatore di uno Stato si è comportato in maniera scorretta, o non ha mantenuto la parola data, o ha fatto qualcos’altro di sbagliato, tu India (o qualunque altro Stato al mondo) lo espelli dal tuo territorio come “persona non grata”, ma non lo sequestri!
Ad ogni modo, su questi e altri aspetti scriverò a breve un altro post. Oggi voglio concentrarmi sulla recente decisione del Tribunale del Mare (ITLOS).

La Convenzione di Montego Bay del 1982 sul Diritto del Mare, di cui sia Italia sia India sono Stati Parti, recita all’articolo 97, in maniera netta, che “in caso di abbordo o di qualunque altro incidente di navigazione nell'alto mare, che implichi la responsabilità penale o disciplinare del comandante della nave o di qualunque altro membro dell'equipaggio, non possono essere intraprese azioni penali o disciplinari contro tali persone, se non da parte delle autorità giurisdizionali o amministrative dello Stato di bandiera o dello Stato di cui tali persone hanno la cittadinanza”. Quindi, essendo i nostri fucilieri di marina i presunti autori del reato, ed essendo la loro cittadinanza italiana, è più che evidente che la giurisdizione spetta all’Italia.
Vedete in questa disposizione dei margini di interpretazione? Qualcosa che lasci anche solo un piccolo appiglio all’India per affermare la sua giurisdizione esclusiva? Bene, neanch’io..
Passiamo al punto successivo: cosa fa il Tribunale del Mare?

Esso decide sulle controversie sorte in merito alle norme delle Convenzione sul Diritto del Mare; ma non in via automatica! Quando sorge una controversia, gli Stati debbono innanzitutto cercare di trovare una soluzione con mezzi pacifici. Quando però una controversia langue, ci si può rivolgere a una struttura terza, che può essere (articolo 287):
a) il Tribunale internazionale per il diritto del mare;
b) la Corte internazionale di giustizia;
c) un tribunale arbitrale costituito conformemente all'Allegato VII;
d) un tribunale arbitrale speciale costituito conformemente all'Allegato VIII.
Se le parti trovano un accordo sul giudice cui rivolgersi, nessun problema. Ma se le parti non si accordano (ed è questo il nostro caso, visto che l’India rifiuta assolutamente l’internazionalizzazione della vicenda), la controversia “può essere sottoposta soltanto all'arbitrato conformemente all'Allegato VII” (comma 5) dal momento che “si deve ritenere che uno Stato contraente, che è parte di una controversia non coperta da una dichiarazione in vigore, abbia accettato l'arbitrato conformemente all'Allegato VII”( comma 3). L’India, al momento della sua adesione alla Convenzione sul Diritto del Mare non ha presentato alcuna dichiarazione in cui rifiutava tale tipo di arbitrato, quindi adesso non può rifiutarsi di sottoporvisi.

Ebbene, l’Italia alcuni mesi fa, e con gravissimo ritardo, ha deciso di procedere, scegliendo la soluzione c), quindi l’arbitrato previsto dall’Allegato VII e non il Tribunale del Mare (soluzione a). L’India si è opposta, ritenendo se stessa e solo se stessa competente a decidere sul caso dei Marò.
Ma,allora, per quale motivo il Tribunale del Mare si è pronunciato lo scorso 24 agosto?

Ai sensi dell’articolo 290 della Convenzione di Montego Bay, mentre un tribunale arbitrale investito di una controversia si sta costituendo “qualunque corte o tribunale designato di comune accordo dalle parti o, in difetto di tale accordo [ed è ovviamente il nostro caso!], entro un termine di due settimane dalla richiesta delle misure cautelari, il Tribunale internazionale per il diritto del mare può adottare, modificare o revocare le misure cautelari se ritiene, prima facie, che il tribunale da costituire avrebbe la competenza e che l'urgenza della situazione così esiga”.

Così, visto che non c’è stato accordo, solo al Tribunale del Mare l’Italia poteva chiedere le misure cautelari e, alla fine, ne ha chieste due:
1.La sospensione di tutte le procedure amministrative e giudiziarie da parte dell’India contro i Marò in attesa della decisione del tribunale arbitrale;
2. La libertà di movimento (compresa quindi la possibilità di tornare in Italia) per Salvatore Girone e la libertà di rimanere in Italia per Massimiliano Latorre finché il tribunale arbitrale non decide.
La prima c’è stata concessa, senza remore, dal momento che il Tribunale del Mare ha ritenuto competente il Tribunale arbitrale, checché ne dicesse l’India.
La seconda no. Ma perché no?

Come recita l’ultimo articolo che vi ho riportato, il 290, la misura cautelare è concessa solo se “l’urgenza la esiga”.  Pur non essendovi alcun dubbio che la limitazione della libertà personale dei due fucilieri sia una lesione dei diritti umani, e che la irragionevole durata del processo da parte dell’India sia una lesione dei loro diritti processuali, si può parlare di “urgenza”?
Lo stesso tribunale decise in modo diverso nel caso, citato dall’Italia stessa, dell’Arctic Sunrise. Caso in cui degli ambientalisti che protestavano, a bordo di una nave battente bandiera olandese, contro le trivellazioni nell’Artico iniziate da Gazprom, erano stati arrestati. Nonostante la mia simpatia per i Marò, non riesco ad assimilare le due condizioni: Latorre è in Italia e Girone è sì agli arresti domiciliari, ma pur sempre all’interno di un’ambasciata; mentre gli attivisti stavano nelle carceri russe, che non spiccano né per la bontà dei metodi di trattamento né per la trasparenza.

Se provo a mettermi nella testa dei rappresentanti italiani, interpreto la richiesta della seconda misura cautelare come qualcosa di simile a quelle che, nella nostra procedura civile e penale, prendono il nome di richieste sussidiarie. Cioè, la mia richiesta principale, quella a cui tengo di più, è che tu, Tribunale del Mare, faccia sospendere all’India le procedure e dichiari la giurisdizione prima facie dell’arbitrato internazionale. Poi, in via secondaria, sussidiaria, io provo a metterci anche quest’altra richiesta (la libertà per i Marò in attesa del giudizio), e se va va!

Ma indipendentemente da tutto ciò, la vera vittoria, secondo me, sta nelle ragioni per le quali il Tribunale del Mare ha accolto la prima delle richieste italiane.
L’India per tutto il procedimento ha affermato solo e unicamente la propria giurisdizione, ritenendo che la vicenda fosse fuori dalla Convenzione del Diritto del Mare e che quindi nessun giudice internazionale potesse metterci becco.

E invece il Tribunale ha risposto picche! Il Tribunale le ha detto: “Cara India taci e rispetta per una volta in tutta questa vicenda le regole a cui ti sei vincolata! Cara India,la giurisdizione non è solo tua. Su questa vicenda può pronunciarsi un giudice internazionale, e sarà questo giudice a decidere se sarai tu India oppure sarà l’Italia a processare i Marò!”

Chi si aspettava che il Tribunale decidesse sulla vicenda dei Marò sbagliava, perché il tribunale in questo caso non poteva farlo. E neppure il Tribunale arbitrale dell’Aja potrà dire se i Marò  sono colpevoli o innocenti dell’omicidio dei pescatori indiani. Il tribunale arbitrale, infatti, applicando la Convenzione sul Diritto del Mare, potrà solo dirci a chi spetta la giurisdizione: sarà un tribunale italiano a processare i Marò o sarà un tribunale indiano?

di Irene Piccolo

Fonte: http://www.ameimportasoltantodisapere.com/#!%E2%80%9CChi-dice-che-il-Tribunale-del-Mare-ha-bocciato-l%E2%80%99Italia-mente-o-ignora%E2%80%9D/c1n6/1

2 commenti:

  1. Montego Bay disciplina i fatti accaduti in alto mare (oltre 200 miglia), l'immunità funzionale non è valida in quanto non supportata dalle funzioni ufficiali che gli erano state conferite da LaRussa, valevano solo per "lotta alla pirateria" che sempre secondo Montego è solo in alto mare.
    Poi ci sono molti altri punti a favore dell'India, che partigianeria a parte ha sofferto la perdita di due vite.

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    1. Mi permetto di rispondere. Montego Bay disciplina tutto il diritto del mare (mare territoriale, zona contigua, zona economica esclusiva, piattaforma continentale e alto mare) attribuendo la giurisdizione a diversi attori a seconda della porzione di mare interessata. L'articolo 97 che ho citato nell'articolo parla di alto mare, verissimo. Ma come spiegherò in un mio prossimo articolo, pur essendoci molta confusione sulla ricostruzione dei fatti, India e Italia su una cosa convengono:l'unica cosa certa in questa vicenda è che l'Enrica Lexie non era nel mare territoriale indiano. La versione indiana dice che l'Enrica Lexie era nella zona contigua, per quella italiana - che sembra essere supportata dalla rilevazione satellitare - la nave era nella zona economica esclusiva. In entrambi i casi, e quindi pur dando per buona la versione indiana, siamo già in acque internazionali. E in acque internazionali (dall'alto mare alla zona contigua) la giurisdizione sui fatti penali -quale l'omicidio - non appartiene allo stato costiero: appartiene allo stato di bandiera (quindi nel nostro caso all'Italia).
      Per di più, la giurisdizione penale appartiene allo stato di bandiera anche quando la nave transita nel mare territoriale (l'art. 27 della Convenzione è lapidario), e ammette poche eccezioni, tra cui nel nostro caso potremmo far rientrare le eccezioni "a) se le conseguenze del reato si estendono allo Stato costiero"; e "b) se il reato è di natura tale da disturbare la pace del paese o il buon ordine nel mare territoriale" (le altre due eccezioni non rilevano nel caso dei marò). Ma appunto sono eccezioni alla regola generale secondo cui la giurisdizione penale NON appartiene allo stato costiero, eccezioni che devono essere dimostrate e che soprattutto in questo caso non vengono in essere per il fatto che, come accennavo sopra, l'India stessa parla di zona contigua e non di mare territoriale.
      Comunque rinvio il tutto a un mio prossimo post, pirateria inclusa.

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