Amburgo, 10 Agosto 2015
International Tribunal for the Law of the Sea
PRESIDENTE: Prego seduti
Il Tribunale ora
continuerà l’udienza nel caso
riguardante l’incidente della
Enrica Lexie. Questo pomeriggio ascolteremo le prime dichiarazioni orali di
parte indiana.
Prima di dare la
parola al rappresentante indiano, vi chiedo di parlare in modo da consentire
agli interpreti di seguire le vostre esposizioni. Questa mattina abbiamo avuto
qualche difficoltà.
Ora invito il
rappresentante dell’India, Signora
Neeru Chadha, a dare inizio alle proprie dichiarazioni.
MS CHADHA: Signor
Presidente, Signor Vice Presidente e onorevoli membri del Tribunale, è un onore e di certo
un privilegio per me presentarmi di fronte a questo Tribunale quale rappresentante
dell’India.
Darò un’ampia panoramica
del caso mentre i miei colleghi si soffermeranno più dettagliatamente
sulle questioni giuridiche sollevate dall’Italia
in questo procedimento relativo alla misure provvisionali.
Signor Presidente,
l’India è rimasta stupita dal
tono e dal tenore delle richieste Italiane di questa mattina. Hanno
rappresentato i militari italiani accusati come le vere vittime, ignorando
totalmente i pescatori indiani, che sono le reali vittime dell’incidente della
Enrica Lexie, che hanno perso la vita.
Questa mattina il
rappresentante italiano ha fortemente obiettato al fatto che l’India usi il
termine assassinio per descrivere il fatto, mentre i loro stessi documenti lo
fanno. Il documento identificato come 11 del fascicolo italiano evidenziato da
Sir Daniel Bethlehem dice chiaramente che la Procura presso il Tribunale
Militare di Roma ha aperto un fascicolo penale a carico dei militari per l’accusa di omicidio.
Dunque ci sorprende che l’India sia accusata
di presentare un’accusa eccessiva.
Questo caso
conosciuto come Incidente della Enrica Lexie realmente nasce dall’uccisione di due
innocenti pescatori indiani a bordo di un peschereccio, St. Antony, che stava
legalmente pescando in acque territoriali indiane.
Il 15 febbraio 2012,
circa alle 16,30 ora indiana, il St. Antony, impegnato nella pesca alla
distanza di circa 20,5 miglia nautiche dalla costa indiana, ha affrontato una
raffica di fuoco aperta da due persone in uniforme a bordo di una petroliera
che era a circa 200 m dalla barca. Valentina Jelastine che era al timone, fu
colpito alla testa da una pallottola, a Ajeesh Pink, che era a prua fu colpito
al petto. Entrambi morirono sul posto come conseguenza di colpi evidentemente
sparati per uccidere. Oltre alle vittime l'incidente ha causato anche gravi
danni alla barca, mettendo in pericolo la sua navigazione sicura e la vita
degli altri nove membri dell’equipaggio.
Quando la
notizia delle uccisioni è giunta alle autorità indiane,
era del tutto
ragionevole per
loro che, ai sensi di legge, avrebbero aperto un'inchiesta. Dai
movimenti della
nave nella zona, è stato accertato che
l’Enrica Lexie era
stata coinvolta nel cosiddetto incidente, così le è stato
chiesto di tornare indietro e partecipare alle indagini. Nessun trucco, nessuna
coercizione, come invece sostenuto dall’Italia.
C'erano sei
militari italiani a bordo della Enrica Lexie. Due di loro sono stati arrestati
una volta accertato
che avevano sparato i colpi che avevano ucciso i due pescatori. I procedimenti
legali sono stati quindi avviati nei tribunali indiani ai sensi delle
disposizioni della Legge indiana, in quanto le vittime erano cittadini indiani
ed erano stati uccisi a bordo di un peschereccio indiano.
L’Italia ha
sottolineato più volte questa
mattina di avere rivendicato la competenza fin dalle prime fasi del caso. La
iniziale rivendicazione di giurisdizione da parte l'Italia non esclude all’India di esercitare
la giurisdizione sulla uccisione di propri cittadini che stavano pescando nella
zona economica esclusiva indiana.
Signor Presidente,
si può notare che i due
pescatori indiani sono morti a causa dei colpi provenienti dalla Enrica Lexie,
una nave mercantile. Anche se questo non è il
momento di entrare nel merito, mi sento in dovere di fare alcune osservazioni
sulla descrizione dei fatti esposta dall’Italia
nella sua notifica, decisamente di parte ed insensibile.
Nell’esposizione
dell'incidente, l'Italia ricostruisce abilmente lo scenario per dimostrare che
i colpi dalla Enrica Lexie avevano lo scopo di respingere un presunto attacco
di pirateria ed evitare possibili collisioni in alto mare. Questo è stato fatto in
primo luogo per trovare criteri che attribuissero la competenza all'Italia ai
sensi della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e non sulla
base di qualsiasi approfondita indagine da parte dell'Italia. Inoltre deve
essere sottolineato che il giorno dell'incidente non c'era alcun allarme
pirateria nella regione né il peschereccio
assomigliava ad una barca pirata.
L'Italia ha omesso di
menzionare che che i militari italiani hanno aperto il fuoco con armi di tipo
militare su una barca da pesca indifesa, che non poteva rappresentare alcuna
minaccia per la Enrica Lexie. La verità, signor Presidente, è che i militari
italiani, a bordo di una nave mercantile, non a bordo di una nave da guerra o
di una nave non commerciale su ordine del governo, in una giornata limpida, con
ottima visibilità,
hanno sparato per uccidere due persone in una piccola barca. Ai sensi degli
articoli 95 e 96 della Convenzione, l'immunità dalla
giurisdizione di qualunque Stato diverso dallo Stato di bandiera è ammissibile solo
per le navi da guerra e navi di Stato in servizio per fini non commerciali.
Effettivamente, i militari italiani erano a bordo di una nave mercantile, di
conseguenza, il governo indiano non era obbligato a riconoscere la loro pretesa
di immunità ai sensi della Convenzione o di
qualsiasi altro principio di diritto internazionale.
Inoltre, non esiste
un accordo bilaterale tra India e Italia per garantire tale immunità al
personale delle forze armate Italiane. L’India
aveva, infatti, anche prima dell’incidente
della Enrica Lexie, respinto la richiesta Italiana di stipulare un accordo per
l’ingresso,
permanenza o transito dei loro reparti di protezione navale
attraverso l’India, in quanto lo
stesso non è consentita dalla
legislazione indiana.
Pertanto, signor
Presidente, è molto chiaro da un
breve riassunto di questo caso che
non vi era alcuna
collisione, alcun incidente di navigazione, per poter applicare l'articolo 97
attribuendo la competenza allo Stato di bandiera. Inoltre non c'era nessun
attacco di pirateria o minaccia che potrebbe giustificare l'uccisione di due
pescatori indiani in modo da ottenere l'applicazione della Convenzione e quindi
la giurisdizione, prima facie, di un tribunale arbitrale (di cui all’allegato VII della
Convenzione).
Signor Presidente,
l'India è orgogliosa della
sua adesione ai principi di legalità e
del suo sistema giudiziario che dà l'accesso
alla giustizia, garantisce un giusto processo e pari opportunità per
tutti di fare valere i propri diritti. Nel corso degli ultimi tre anni,
l'Italia ha beneficiato di questo processo. I Tribunali indiani
hanno agito con la massima correttezza nei confronti dell’Italia e dei due
imputati miliari, nonostante siano stati invasi da numerose istanze, ritardi e
inconsistenti richieste da parte loro. Sarà chiaro
dalla successiva esposizione di parte indiana come l'Italia ha utilizzato il
sistema giudiziario indiano a suo vantaggio e ora si lamenta dello stesso
sistema per presunti ritardi e mancanza di giurisdizione.
L’India ed i
tribunali indiani hanno anche fatto di tutto per facilitare le condizioni di
vita dei militari, molto più di quanto sarebbe
stato accordati ad un civile che avesse ucciso due persone inermi con armi da
fuoco. Questo sarà esposto con maggiori dettagli dal
professor Pellet.
Signor Presidente,
l'India ha legittimi timori sulla capacità dell'Italia
di mantenere le sue promesse, avendo tentato due volte in precedenza di
rinnegare la parola. Una prima volta, l’Italia
ha tentato di violare la garanzia fornita alla Corte Suprema indiana ed ha
ufficialmente informato l'India che i militari, autorizzati a tornare in Italia
per quattro settimane per esercitare i loro diritti di voto, non sarebbero tornati.
Come detto, hanno fatto ritorno, ma solo dopo intensi sforzi diplomatici
perseguiti dal governo indiano.
In seguito,
l'Italia in realtà ostacolato l'inchiesta violando la
promessa di far tornare gli altri quattro militari a bordo dell’Enrica Lexie per
l'investigazione, e molto più tardi li ha resi
disponibili a testimoniare solo tramite videoconferenza. C’è una modalità nella condotta
italiana che l’India osserva
seriamente e quindi ha legittime preoccupazioni per quanto riguarda la misura
in cui l'Italia può essere attendibile
a mantenere i suoi impegni.
India e Italia sono
stati impegnati su questo tema attraverso i canali diplomatici.
La posizione
dell'India è stata coerente durante
tutta tale attività volendo una rapida
soluzione della questione in modo da non gettare un'ombra sopra gli amichevoli
rapporti tra i due paesi. A tal fine, l'India ha sempre esortato l'Italia a
partecipare al processo giudiziario in India per far progredire le cose, e non
ritardare o distogliere il processo dalla corte speciale.
L’India ha più volte garantito al
governo italiano un processo rapido, indipendente, libero e giusto per i
militari italiani in India, che tenga conto di tutti gli aspetti legali
sollevati da parte italiana, compresa la questione della competenza.
Particolare
attenzione
è stata presa per
assicurare l'Italia che i militari sarebbero stati trattati in modo equo e con dignità.
L’India ha anche
sopito le preoccupazioni dell'Italia sul quantum della pena con la garanzia
che, se riconosciuta la colpevolezza, la pena di morte non sarebbe stata
applicata agli imputati.
Questa è stata, signor
Presidente, sempre la posizione dell'India fin dall'inizio di questo caso e l’Italia ne è consapevole. Nulla è cambiato o ha
acquisito urgenza particolare di recente per l’Italia, per ora adire questo tribunale
per la prescrizione di misure provvisorie in attesa della creazione di un
tribunale arbitrale.
I miei colleghi
discuteranno le questioni di cui sopra in modo più dettagliato e dimostreranno che non vi
è assolutamente
alcuna giustificazione nella richiesta italiana di misure provvisorie. Il Tribunale
Arbitrale che deve essere costituito non sarebbe competente in questo caso e
non ci sarete imminente urgenza che richieda misure provvisorie da parte di
questo Tribunale pendente la formazione del Tribunale arbitrale.
Prima di illustrare
il resto delle memorie dell’ India, vorrei menzionare
un punto ulteriore. L'Italia ha fatto riferimento a circostanze di natura
medica e umanitaria. In questo contesto, vorrei chiedere al Tribunale di
ricordare la maggiore perdita, trauma e sofferenza delle famiglie dei due
pescatori indiani che sono stati uccisi. La loro perdita, signor Presidente, è permanente e irreversibile.
Sono ancora in attesa della giustizia che è stata
ritardata dalla intransigenza dell'Italia.
Signor Presidente,
il resto delle memorie indiane sarà così presentato.
In primo luogo, il
Procuratore Aggiunto Generale d'India fornirà una
panoramica del caso e dei procedimenti giudiziari in India che coinvolgono
l'Italia ed i militari e presenterà la
verità dei fatti.
Il professor Alain Pellet
tratterà la materia oggetto
della controversia e la domanda di competenza e la sua ammissibilità. Egli dimostrerà che
la esposizione italiana dell’oggetto del
presente caso è viziata e
fuorviante in diversi modi e lascia forti
dubbi sulla
competenza del tribunale arbitrale e presenta altri elementi che confermano che
la richiesta italiana è irricevibile.
Il Signor Rodman
Bundy si occuperà anche delle questioni di competenza e
della ricevibilità e proverà che in questo caso non c'è né alcuna urgenza né alcun rischio di
danno irreparabile ai diritti dell'Italia.
ll professor Alain
Pellet tornerà sul podio per dimostrare che questo
Tribunale
non può prescrivere la
seconda misura provvisoria richiesta dall’Italia.
Egli dimostrerà che non vi è alcuna urgenza, per
non parlare della situazione di emergenza "aggravato" che l’articolo 290 (5)
richiede. Egli quindi dimostrerà che il secondo
provvedimento provvisorio necessariamente pregiudicherebbe il merito della
causa e pregiudicherebbe in maniera irreversibile i diritti dell’India.
Chiedo
al tribunale di chiamare il Procuratore Generale Aggiunto, Sig. P.S.
Narasimha, per la
sua esposizione.
IL PRESIDENTE: Grazie, sig.ra
Chadha. Ha facoltà di parola l'onorevole Narasimha.
Vorrei chiedervi di
parlare in modo tale che gli interpreti possano seguirvi.
MR NARASIMH: Signor Presidente, onorevoli membri di questo Tribunale, è davvero un piacere
e un privilegio per me comparire dinanzi questo Tribunale nell’interesse della
Repubblica dell'India.
Una semplice
lettura della richiesta di misure provvisorie seguita dalla istanza presentata
dall’Avvocato di parte Italiana
dimostrerà, purtroppo, che
gli argomenti si basano su fatti che sono o incompleti o in alcuni casi
imprecisi. Le conclusioni tratte da tali fatti e anche le richieste che sono
state avanzate sono in una certa misura un pò
lontano dalla verità.
Signor Presidente,
credo che i fatti devono parlare da soli. Sarà mio
sforzo dimostrare che molte delle domande e delle questioni emerse potrebbero
effettivamente essere risolte alla luce dei fatti correttamente esposti. Quali
sono questi fatti? Ci sono quattro serie di fatti che sono rilevanti che
dobbiamo considerare. In primo luogo, il contesto di fatto in cui l'Italia ha
invocato la competenza dell'arbitrato dell'allegato VII nel 2015. La
comprensione di ciò, signor Presidente,
avrà un impatto diretto sul principio della
visione prima facie che questo Tribunale dove avere presente per attribuire la
competenza del tribunale arbitrale.
La seconda serie di
fatti per noi importanti si riferiscono al sistema giuridico indiano e i rimedi
che sono disponibili in diritto ed in particolare la procedura che l’Italia ha adottato
ed i militari hanno adottato di volta in volta. Questo racconto fattuale getterà molta
luce su una questione importante che deve essere considerato che si riferisce
all'esaurimento delle vie di ricorso.
Un terzo importante
elemento fattuale che nella mia opinione è anche
necessario approfondire ed affrontare riguarda i fatti veri e
corretti sulla base dei quali si potrebbe attribuire colpa ad una parte in
particolare e affermare che è per questa ragione
che si è verificato il
ritardo. Questo panorama fattuale avrà implicazioni
sulla questione relativa all'urgenza o all’equità, forse, di quello
i miei dotti amici hanno chiesto.
Infine, l'altra
dato di fatto che è necessario per noi
prendere in considerazione è lo sfondo in cui i
militari si sono avvicinati alla Corte Suprema dell'India per
il deferimento del procedimento oltre al fatto che la Corte Suprema ha
sospeso il procedimento dinanzi al Tribunale speciale. Questi aspetti e questo fatto
in particolare avranno di nuovo una connessione con le due istanze presentate
dall’Italia di fronte a
questo Tribunale.
Il fatto
fondamentale è che il 15 febbraio
2012 due militari italiani a bordo della naveEnrica Lexie hanno sparato a un
natante indiano. Questo incidente è costato
la vita a due preziosi pescatori innocenti. Successivamente le indagini hanno
rivelato che i colpi di arma da fuoco non erano giustificati da alcuna
ragionevole convinzione di pericolo per la vita o la proprietà /o
addirittura che siano stati sparati per legittima difesa. Il mio collega
anziano, il professor Alain Pellet, tratterà questo
aspetto in modo più dettagliato.
Signor Presidente,
in termini semplici, due pescatori disarmati del mio paese sono stati uccisi
senza alcuna colpa loro e, quindi, il governo indiano, o, se è per questo,
qualsiasi paese civilizzato del mondo, avrebbe il dovere di indagare,
investigare, e provare l'imputazione, naturalmente, attraverso un processo
legale, che è regolato dalle
regole del diritto e, molto importante, sono d'accordo con i miei amici, sui
principi della giustizia penale.
Vediamo ora la
sequenza di azioni adottate subito dopo l'incidente. Avuta notizia
dell'incidente, lo Stato del Kerala, una dei ventinove stati membri che compongono
la Federazione indiana, ha condotto un'indagine ed è arrivato ad una
prima conclusione della avvenuta commissione di un reato. Questa conclusione ha
portato alla presa in custodia giudiziaria dei due militari il 19 febbraio
2012. (I militari Italiani Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono stati
arrestati dalla polizia dello Stato del Kerala il 19 febbraio 2012). Dopo l’arresto,
l’Italia ed i
militari hanno adito la suprema corte dello stato del Kerala, l’Alta Corte,
contestando la giurisdizione dello Stato del Kerala.
Ciò che è interessante, signor Presidente, è che
la contestazione di fronte allo Stato del Kerala si fondava sul fatto che lo
Stato non avrebbe avuto competenza in quella materia e che solo l'Unione
indiana avrebbe avuto giurisdizione per investigare. Inoltre, istanze sono
state fatte per quanto riguarda l'immunità e
la mancanza di giurisdizione. L'Alta Corte ha ascoltato la questione in
dettaglio e ha pronunciato la sentenza. Ha accettato completamente la tesi dell’Italia su alcuni
aspetti della questione. Sulla questione dell'immunità, l’Alta Corte ha affermato
che non è invocabile nel caso
di morte di una persona. Riguardo alla competenza l'Alta Corte ha anche
affermato la competenza in materia del governo Statale. Ha inoltre
disposto libertà provvisoria in più di una occasione.
La sentenza della
Corte Suprema è stata impugnata in
appello di fronte alla Corte Suprema dell’India.
Nella Corte Suprema dell'India, a parte l'appello che era stato presentato, questa
volta hanno anche presentato una istanza scritta, una istanza
che è stata presentata
direttamente alla Corte Suprema invece di un appello. L’istanza scritta e
l'appello sono stati esaminati insieme. La questione è stata sentita in
dettaglio e la Corte Suprema ha emesso il proprio giudizio.
Tre conclusioni
molto importanti sono stati raggiunte dalla sentenza dell'Alta Corte. la prima
conclusione
è che la richiesta
fatta a nome di l'Italia è stata accettata. Il
Supremo Tribunale ha dichiarato la completa incompetenza dello Stato del
Kerala. Poi la Corte ha affermato:
“Siamo
d'accordo con lo stato del Kerala e riteniamo che la competenza per indagare e
giudicare sul caso sia soltanto dell’Unione dell'India.”
Questo
è un aspetto che era molto importante
per la Corte in considerazione del fatto che trattavasi di un incidente
insolito, che si è verificato nel nostro paese, e se li
avessimo sottoposti ai nostri tribunali penali regolari ci sarebbe voluto molto
tempo. La Corte Suprema era preoccupato per questo aspetto. La Corte Suprema ha
informato il Governo ed ha dichiarato:
“Chiederemo
per questo caso l'istituzione di un tribunale speciale per esaminare e
giudicare questo caso”.
Ha anche considerato una delle istanze presentate, cioè che l’Unione Indiana e la Repubblica dell’India non hanno competenza per giudicare il caso.
In
considerazione delle conclusioni che erano state raggiunte presso l'Alta Corte,
che era giunta alla conclusione che vi fosse la competenza per il governo
statale, c’erano
alcuni fatti che dovevano essere verbalizzati tra le prove. Così la
Corte Suprema ha detto:
“Vi permetteremo di sollevare tale istanza dinanzi alla Corte speciale che è stata costituita ed il Tribunale speciale può entrare nel merito e decidere la questione se l'India sia competente o non abbia giurisdizione. Prima che lo faccia, sono necessarie le prove. Subito dopo la presentazione della prove, potete presentare la richiesta e la Corte potrebbe anche ritenere che non vi sia alcuna competenza per l'India per giudicare la materia.
“Vi permetteremo di sollevare tale istanza dinanzi alla Corte speciale che è stata costituita ed il Tribunale speciale può entrare nel merito e decidere la questione se l'India sia competente o non abbia giurisdizione. Prima che lo faccia, sono necessarie le prove. Subito dopo la presentazione della prove, potete presentare la richiesta e la Corte potrebbe anche ritenere che non vi sia alcuna competenza per l'India per giudicare la materia.
Signor
Presidente, è evidente dalla sentenza della Corte
Suprema che l'Italia ebbe ragione nel sostenere la mancanza di giurisdizione
dello Stato del Kerala, e aveva anche ritenuto che la questione della
competenza potesse nuovamente essere sollevata di fronte al Tribunale speciale,
dove potrebbe anche dimostrarsi che l'India non aveva alcuna giurisdizione
sull'incidente. Due anni e mezzo più tardi
dopo che la questione è stata tenuta aperta, l'Italia ed i
fucilieri di marina si sono rivolti con la medesima istanza davanti al
tribunale costituito ai fini all'allegato VII. Questo tribunale sarebbe
sicuramente
Quest'ultimo
dovrà necessariamente considerare la
questione di chi ha veramente la competenza, se l'India ha totale competenza,
problema che l'Italia ha cercato di lasciare aperto, al fine di discuterne
in
particolare; la Corte Suprema ha accettato ed ha lasciato spazio per questo.
Molto è stato detto a proposito del Tribunale Speciale, che è stato costituito. E’ sicuramente un motivo di
preoccupazione per chi non è a conoscenza del sistema legale
indiano. Che cosa sono questi tribunali speciali? Siate certi, signor
Presidente e Onorevoli Membri di questo Tribunale, che un tribunale speciale
non è un tribunale che è per la prima volta costituito. Tribunali speciali sono tribunali
designati. Tribunali chiamati a trattare e giudicare rapidamente le questioni
sono individuati tra i tribunali esistenti del paese, ed a tale tribunale un
caso particolare è assegnato, e il dotto giudice di tale
Corte è chiamato a risolvere la controversia
tra le parti. È assolutamente costituzionale e ciò che è molto più rassicurante in un caso di questo tipo è che questo è un tribunale composto e tenuto a
seguire la procedura penale come indicato dalla Corte Suprema, tutte le
disposizioni valgono anche per questa corte e non vi è quindi nessuna vera differenza tra un tribunale speciale e un tribunale
penale ordinario del nostro paese.
Immediatamente subito dopo la
sentenza della Corte Suprema, il Governo ne ha rispettato le indicazioni. Un
Tribunale speciale è stato costituito il 15 aprile
2013. Il Governo ha nominato un
procuratore indipendente. Il Governo ha altresì affidato la questione ad un organismo indipendente chiamato Nazional
Investigation Agency, la NIA. Immediatamente sono stati fatti passi presi, la
costituzione ha avuto luogo e il procedimento giudiziario speciale avrebbe
potuto iniziare il 15 aprile 2013. Questo tribunale sarebbe un
tribunale completamente dedicato al caso. Parlando come avvocato con
responsabilità di corte, non ci sarebbero voluti
preso più di cinque o sei mesi, in quanto
l'approccio che l’India ha preso nei confronti di
questo incidente non era conflittuale. Era costretto a trattare la questione e
assicurare alla giustizia la situazione di fatto qualunque fosse. Invece,
abbiamo oggi una situazione per cui il
procedimento dinanzi al Tribunale speciale non ha mai avuto luogo.
Questa è la seconda parte del problema che ho sottolineato: come è potuto accadere che un Tribunale speciale, costituito il 15 aprile
2013 fino ad oggi non ha preso alcuna decisione e non ha risolto la
controversia tra le parti?
I seguenti fatti dimostreranno come,
invece di partecipare al procedimento che doveva svolgersi dinanzi al Tribunale
speciale e consentire al Tribunale speciale di pronunciare la sua decisione
sulla giurisdizione dell’India, dopo la registrazione delle
prove come passo preliminare, l'Italia ed i fucilieri di marina invece hanno
scelto di adottare una tattica di deposito di multiple istanze che hanno
portato l'intero procedimento giudiziario a un punto morto.
Nel frattempo, anche se le istanze
erano state depositate presso la Corte Suprema, la National Investigation
Agency ha proseguito la sua inchiesta. Ha iniziato la sua investigazione e ha
cercato di raccogliere le dichiarazioni dei testimoni dell’incidente. L’armatore che hanno onorato l'impegno
assunto davanti alla Corte Suprema al momento del rilascio della nave da parte
della Corte Suprema, ha messo a disposizione sei membri dell’equipaggio e le loro dichiarazioni sono state raccolte. È facile dire che la registrazione delle deposizioni prese in
videoconferenza non èß stato un problema per quanto riguarda
i fucilieri di marina italiani, ma questo è
stato possibile solo dopo ripetute
richieste. L’India aveva chiesto all’Italia di garantire la presenza dei quattro militari italiani come
da loro promesso alla Suprema Corte. L'ordinanza della Corte Suprema in
particolare ha menzionato l’ impegno assunto dall’Italia al tempo dell’inchiesta:
“Quando le dichiarazioni di questi testimoni dovranno essere
raccolte, ci impegniamo a far tornare i fucilieri di marina”.
La Corte ha raccolto tale
dichiarazione e consentito alla nave di lasciare la costa del nostro paese.
A questo punto, dopo che l’India ha ripetutamente richiesto il ritorno dei testimoni per dire
quali erano state le armi utilizzate al momento dell'incidente, dire che e
testimoniante potevano essere registrate in videoconferenza è facile col senno di poi. L’intera indagine
è stata in fase di stallo a causa di tale rifiuto, e la NIA non ha
avuto altra scelta che registrare infine le dichiarazioni di questi testimoni
in videoconferenza.
Vi è un altro sviluppo molto importante che ha avuto luogo. Signor
Presidente, è anche importante notare che, anche
prima che il NIA si facesse carico delle indagini, l'Italia e i fucilieri di
marina hanno nuovamente adito la Corte Suprema chiedendo che la NIA non indagasse
sul caso. Se posso ora chiederei a questo onorevole Tribunale di permettermi di
fare riferimento alla scheda 1 del vostro dossier, paragrafo 5, è l'ordine della Corte suprema in considerazione della loro richiesta.
“Mr Rohatgi - il consigliere dei fucilieri di marina e del governo -
ha sostenuto che dal momento che la Nazional Investigation Agency poteva solo
provare i reati a lei attribuiti dalla Legge, l'inchiesta non poteva in alcun
modo essere condotta dalla NIA sotto la Legge NIA del 2008.”
Paragrafo 6
“Dopo aver ascoltato il procuratore generale per l'India e il sig
Mukul Rohatgi per i richiedenti, non vediamo il motivo per cui questa Corte
dovrebbe essere chiamata a decidere se l'agenzia debba condurre l'indagine. L’indicazione data nella nostra decisione in data 18 gennaio 2013
aveva lo scopo di determinare se i tribunali del Kerala o i tribunali indiani o
anche i tribunali italiani avessero la giurisdizione nel caso dei fucilieri di
marina italiani. Non era nostro desiderio che ad una Agenzia particolare
dovessero essere affidate le indagini e adottare ulteriori misure in relazione
ad essa. Quando abbiamo richiesto l'istituzione di un tribunale speciale, la
nostra intenzione era che il governo centrale affidasse in primo luogo
l'indagine ad un'agenzia neutrale, e poi a un tribunale dedicato competente a
condurre il processo.
Poiché il necessario è stato fatto per designare un
tribunale con giurisdizione sul caso, il Governo centrale sembra aver preso le
misure appropriate, secondo le istruzioni della nostra sentenza del 18 gennaio
2013. Spetta al governo centrale a prendere una decisione in merito.”
Il successivo paragrafo, in paragrafo
7, è importante.
“Se c'è un errore giurisdizionale da parte
del governo centrale a questo proposito, gli imputati saranno ancora in grado
di sollevare la questione di fronte al tribunale appropriato.”
Seguendo le indicazioni fornite dalla
Corte Suprema, sono stati in grado di garantire che si possa in realtà porre questa richiesta davanti al tribunale speciale.
Come indicato in precedenza, con il
completamento delle indagini da parte del NIA, i fucilieri di marina hanno di
nuovo adito la Corte Suprema nel gennaio 2014 allo scopo di impedire alla NIA
anche di formulare l’accusa in tribunale. Nel frattempo,
l'Italia ha anche chiesto all’India di escludere che l’accusa fosse formulata in base alla legge speciale chiamata Legge
per la Repressione delle Attività
Illecite (SUA Act). Il governo ha
accettato la richiesta e ha escluso l’applicazione
della legge SUA, il che dimostra che il governo ha preso una posizione molto
giusto e liberale verso la richiesta fatta per conto dei fucilieri di marina.
Questo è stato seguito da un dichiarazione
giurata da parte dell'Unione dell'India e una dichiarazione del procuratore
generale alla Corte. La Corte Suprema, in risposta a questa domanda, ha
approvato un ordinanza il 26 febbraio 2014, che trovate alla scheda 2, una
brevissima ordinanza. Richiedo a questo onorevole Tribunale a guardare la prima
pagina di questa ordinanza:
“Una dichiarazione giurata è
stata presentata oggi a nome
dell'Unione indiana, la stessa è presa verbalizzata. Secondo la
deposizione, l'Unione Indiana ha accettato il parere del Ministero della Giustizia,
secondo cui nei fatti e nelle circostanze del caso, le disposizioni della legge
SUA sono applicabili in questo caso. È
stato inoltre affermato che saranno
prese misure adeguate per assicurare che la formulazione dell’accusa rispecchi il parere preso dall'Unione indiana.”
E’
così che la formulazione dell’accusa è stata sospesa, perché c'era un’obiezione sulla applicazione di tale legge.
“In questo senso non ci sono obiezioni da Shri Mukul Rohatgi,
consigliere anziano che rappresenta il richiedente. Il rappresentante la Repubblica
d'Italia non aveva alcuna obiezione a questo problema. Tuttavia ha sollevato la
questione che, alla luce del parere espresso dal Ministero della Giustizia e la
sua accettazione da parte dell'Unione indiana,
la NIA sarà priva dell potere di indagare e
perseguire il richiedente o presentare l’accusa. Il
Procuratore Generale ha contestato questa posizione.”
La parte successiva è importante.
“Alla luce della precedente ordinanza ... realizzata da un gruppo di
tre giudici di questo tribunale ... e sui fatti, è auspicabile sentire le parti su questo punto, che è puramente una questione di diritto. Tuttavia, per soddisfare i
criteri tecnici, Mr Mukul Rohatgi, consulente anziano, ha detto che voleva
presentare una richiesta in tal senso.”
Hanno sollevato la presente richiesta
circa la capacità della NIA di indagare sulla
questione. La Corte ha permesso loro di presentare tale domanda. La questione è stata sospesa. Queste tre ordinanze che ho mostrato a questo
onorevole Tribunale e la narrazione dei fatti portano alla luce il successo
ottenuto dall’Italia avendo sollevato la causa
dinanzi alla Corte Suprema. Essi sono: la competenza a indagare e perseguire
spetta all'Unione indiana e non allo Stato del Kerala; la questione relativa al
difetto di giurisdizione della Repubblica dell'India è mantenuta aperta e ora deve essere discussa dinanzi al giudice
speciale, che potrebbe benissimo sostenere che l'India non è competente; l’Italia potrebbe anche contestare la
competenza della NIA davanti al Tribunale Speciale.
Alla luce di queste tre ordinanze,
l'Italia non potrebbe avere alcun risentimento, e tutto ciò che rimaneva per l'Italia era procedere con l'udienza dinanzi al
Tribunale speciale.
Purtroppo, però, ora i fucilieri di marina hanno adito la Corte Suprema Indiana ed
hanno aperto un nuovo caso (Petizione
scritta n 236/2014) con richieste simili a quelli che vengono sollevato davanti
al tribunale arbitrale. La corte suprema ha sentito i fucilieri di marina e, su
loro richiesta, ha approvato un ordinanza del 28 marzo 2014, che ha notificato
all'Unione dell'India e anche concesso completa sospensione del processo
davanti al Tribunale speciale. A causa di questa ordinanza i procedimenti
dinanzi al Tribunale speciale sono giunti a un punto morto.
Il mio collega Rodman Bundy si
occuperà di questa petizione scritta in
dettaglio.
Signor Presidente, come conseguenza
di questa ordinanza, l'intero procedimento di fronte al tribunale è stato tenuto in sospeso. Questa sospensione del procedimento del
Tribunale Speciale ancora continua, ed il risultato è che il meccanismo di attuazione della legge è stato completamente bloccato. Di conseguenza, le accuse formulate
dalla NIA sono state
tenute in sospeso e il Tribunale
speciale, che è soggetto agli ordini della Suprema
Corte, non è stato in grado di procedere
ulteriormente nel suo procedimento.
Questo è il contesto di fatto, nella mia presentazione rispettoso, che getta
luce su due affermazioni molto importanti fatte dai miei dotti amici. Uno è che le accuse non sono state depositate; ciò è
inaccettabile per una società civile. La seconda cosa derivante dai fatti è che il motivo del ritardo, il motivo per cui i tribunali e le
istituzioni come la NIA non hanno presentato le accuse fino al termine dell'indagine
è attribuibile all'Italia ed ai fucilieri di marina, che sono intervenuti nel corso della procedura.
Posso capire una situazione in cui,
in un caso pendente dinanzi al giudice, la
decisione non è intervenuta. Questo è chiaramente un caso in cui per il
loro intervento, le loro richieste e le loro azioni, la Corte è stata chiamata a emettere ordinanze di volta in volta per impedire
la prosecuzione dell’indagine.
Questo è un aspetto della questione. Svolgerò ora un altro aspetto che è
stato toccato sulla base del fatto
che l'India avrebbe dovuto adottare un comportamento umanitario.
Quando i due fucilieri di marina
hanno chiesto alla Corte Suprema un permesso per tornare in Italia per poter
votare, la Suprema Corte ha esaminato l'istanza ed ha concesso loro il permesso
di tornare in Italia per quattro settimane e successivamente tornare.
La successiva richiesta è stata fatta alla Corte Suprema quando un’istanza è stata presentata nell’interesse del signor Latorre chiedendo l'autorizzazione del
tribunale di partire per l'Italia per motivi di salute. Quando la Corte Suprema
ha chiesto il parere del Governo in relazione all’allentamento delle condizioni della cauzione, io mi sono presentato
ed ho rappresentato il governo a quel tempo. Il Governo mi ha chiaramente
incaricato di rispondere che non eravamo contrari alla richiesta, soprattutto
quando un uomo è malato, perché ci sarebbe dovuta essere obiezione? Ho riferito l’opinione del mio governo alla Corte e non c’è stata altra decisione in materia. Non c’è stato accertamento se ciò
fosse vero o meno. Non era necessario
entrare nel merito della questione e nel merito dei documenti che provavano lo
stato di salute. Non avevamo preoccupazioni a tale proposito. L’affermazione che non stava bene era per noi sufficiente. Non avevamo
bisogno di andare oltre. Noi abbiamo accettato la sua dichiarazione per vera e
detto che se non era in buona salute aveva il diritto di andare all’estero e avere cure. Tale ordinanza è tra i documenti. Essa riflette chiaramente la dichiarazione da me
rilasciata che non avevamo nulla in contrario affinché lasciasse il paese.
Signor Presidente, anche prima della
scadenza dei quattro mesi concessi dalla Suprema Corte il sig Latorre ha
chiesto una estensione per un ulteriore periodo di quattro mesi per motivi di
salute. Contemporaneamente, un'altra istanza è
stata presentata anche a nome del
sig. Girone chiedendo che anche lui fosse consentito di tornare in Italia. Può essere vero che la corte non non fosse disponibile ad accettare entrambe,
ma la realtà è che entrambe le istanze sono state ritirate. Non c'è mai stata decisione negativa della Corte Suprema in relazione alla
concessione del permesso di lasciare il paese.
Il sig Latorre, che era già in Italia, ha fatto una terza istanza alla Corte Suprema per un
prolungamento del soggiorno. Questa richiesta è stata esaminata dalla Corte Suprema il 14 gennaio 2015 e una
ulteriore proroga di tre mesi della permanenza n Italia è stata concessa al signor Latorre.
Anche per questa udienza c’erano 'istruzioni specifica del Governo - e la mia
dichiarazione è stata che non c'era alcuna difficoltà a tale proposito.
Il Sig. Latorre ha poi fatto una
quarta istanza subito prima del suo ritorno, chiedendo un'ulteriore estensione
della sua permanenza in Italia per motivi di salute e mediche. Questa istanza è stata nuovamente esaminata dalla Corte Suprema che non gli ha negato
ciò che chiedeva e ha emanato un’ordinanza il 9 aprile 2015. Con la stessa ordinanza, la Corte ha
anche chiesto di programmare l’udienza sulla questione principale.
E ‘
in questa fase che una notifica fa
riferimento a un tribunale. La Corte ha chiesto perché la questione fosse stata rinviata così tante volte. Tuttavia, non ha posto difficoltà per i motivi di salute.
E‘
in questa fase che siamo stati
chiamati, dalla notifica effettuata, dicendo che la questione doveva essere
decisa da un arbitrato ai sensi dell'allegato VII.
Questo è il contesto di fatto di prendere in considerazione per la
comprensione dei passi compiuti dall’Italia.
Invece di far tornare il sig. Latorre
in India, sono state depositate altre due istanze. I miei amici ne hanno
riferito in dettaglio.
Un’istanza
dichiarava che non stava bene, ma che non si
sarebbe dovuto insistere sul fatto che tornasse fino a quando il
tribunale non decida sul fatto. La seconda istanza sosteneva che i procedimenti
dinanzi ai giudici devono essere aggiornata sine die.
In realtà, il procedimento dinanzi al tribunale non è mai iniziato. Non vi è
nessuna udienza perché la Corte Suprema lo ha sospeso. Tale procedimento non andrà avanti. E’ possibile che non proceda fino
all'udienza davanti al tribunale arbitrale perché è
la parte italiana che ha avviato
questa procedura. Loro hanno richiesto l'arbitrato.
Io davvero non capisco quindi che da
un lato questi procedimenti sono pendenti di fronte alla Corte Suprema e poi il
processo e tutto è fermo. Poi
questa istanza dice che le udienze
sono rimandate fino alla decisione.
E’
in questa prospettiva che chiedo
umilmente che questa onorevole Tribunale dovrebbe guardare la richiesta di
misure provvisorie.
Concludo perché altri due oratori dopo di me si occuperanno di importanti aspetti della questione.
La richiesta di provvedimenti
provvisori è in due parti. La prima parte:
“L’India deve astenersi dal prendere
misure giudiziarie o amministrative
nei confronti del sergente
Massimiliano Latorre e del sergente Salvatore Girone in relazione all'incidente
della Enrica Lexie e dall’esercitare qualsiasi altra forma di
giurisdizione sull'incidente della 'Enrica Lexie”.
Questo, a mio avviso, è realizzato dal fatto che la Corte Suprema ha effettivamente sospeso il caso. Non sarebbe
esagerato dire che fino a quando il tribunale non sia stato costituito ed abbia
sentito la questione, non vi è alcuna ipotesi che il caso sia
ripreso e che ci sia una decisione negativa contro di loro.
La seconda parte si riferisce ai due
Fucilieri di Marina. Uno è già
in Italia per motivi di salute. Non
diciamo che dovrebbe tornare se la sua salute non lo permette. Per quanto
riguarda l'altra persona coinvolta, questo è
l'unico richiesta odierna; il resto è stato realizzato. Quindi, immagino, che il governo della Repubblica
indiana, che sta cercando di perseguire il caso e trovare la verità della questione e di come questo incidente si è verificato e chi ne è responsabile, ha il diritto di vedere
il procedimenti arrivare alla loro conclusione logica.
Signor Presidente, con il suo
permesso chiedo che Alain Pellet prenda la parola.
IL PRESIDENTE: Grazie, signor Narasimha. Ha facoltà di parola l'onorevole Alain Pellet.
MR PELLET: Signor Presidente, Signora giudice
(purtroppo al singolare), Signori membri della Corte, in questo primo
intervento, vorrei tornare sul vero oggetto del caso che ci ha portato qui e
che l'Italia ha presentato sotto una luce errata. Dimostrerò che questo non è privo di implicazioni sulla
competenza del Tribunale a pronunciarsi sulle misure che lo Stato ha chiesto
vengano applicate.
Esaminerò gli altri elementi che dimostrano che il tribunale arbitrale che l’Italia chiede di istituire non ha competenza a giudicare il caso che
cerca di sottoporgli.
Signor Presidente, mi chiedo se
questo tribunale non sia stato in qualche modo indotto fuori strada dal nome che
l'Italia ha pensato bene di dare a tale controversia, che intende portare davanti a un tribunale arbitrale ai
sensi dell'allegato VII della UNCLOS.
L’”incidente della
Enrica Lexie" fa pensare che si tratta di un evento di secondaria importanza, anche se generalmente sfortunato,
per citare il dizionario Larousse; mentre gli eventi che hanno dato origine a
questo caso, che è infatti molto sfortunato, non sono affatto secondari. Si
tratta della morte di due pescatori indiani, il Sig. Ajeesh e il Sig Valentine,
membri dell'equipaggio del St. Antony. Potete vedere la nave sullo schermo.
Sono vittime del fuoco irresponsabile
delle armi automatiche di due Fucilieri di
Marina italiani a bordo della petroliera Enrica Lexie. Potete vedere una foto
ora sullo schermo.
Va da sé, signor Presidente, che se si guardano le rispettive dimensioni
delle due navi, la Enrica Lexie vince a mani basse, ma l'incidente non ha
causato alcun danno di sorta alla petroliera. Sono il S. Antony ed i suoi
occupanti che sono stati vittime della sparatoria: due uomini morti; traumi per
gli altri nove pescatori; e gravi danni alla nave. In punto di
fatto, qui abbiamo a che fare con il caso del S. Antony; e lasciate che nessuno
venga a dirci che la realtà dei fatti è impugnabile, nonostante le falsità e le macchinazioni dei Fucilieri di Marina sulla Enrica Lexie. I
fatti sono stati confermati dall'indagine approfondita condotta dalla polizia dello Stato del Kerala e poi
dalla National Investigation Agency indiana, e dal semplice fatto che l'Italia
ha già versato un risarcimento ai parenti più prossimi delle vittime e al proprietario del St Antony. Chi potrebbe
pensare che chiunque sano di mente potrebbe considerare il St. Antony una
pericolosa nave pirata, in procinto di attaccare Enrica Lexie, una petroliera
protetta da filo spinato e da sei membri delle forze armate italiane?
Stando così le cose, signor Presidente, gli imputati non sono ancora stati
perseguiti. Il loro processo potrebbe dimostrare che essi non sono responsabili
penalmente; o che possono avere il beneficio delle circostanze
attenuanti. Tuttavia, essi dovrebbero essere processati per i crimini di cui
sono stati accusati, in effetti sulla base di motivi molto plausibili. Si
oppongono a ciò e l'Italia pure - l'Italia, che
sembra considerare che la presunzione di innocenza implichi l'assoluzione
totale.
Signor Presidente, onorevoli membri
del Tribunale, tale è il vero oggetto di questo caso, che,
a parte il fatto che ha avuto luogo in mare nella zona economica esclusiva dell’India, ha ben poco collegamento con la legge del mare. Non si tratta
di alcuna collisione in mare, come nel caso della SS Lotus e non è un incidente di navigazione ai sensi dell'articolo 97 della
Convenzione sul diritto del mare. Si tratta dell’uccisione di due pescatori indiani da parte di due cittadini
italiani.
Ai sensi dell'articolo 287 della
Convenzione, questo tribunale, come quei tribunali costituiti ai sensi
dell'allegato VII o la Corte internazionale di giustizia, sarebbe competente a
pronunciarsi su una controversia solo se tale controversia riguarda
l'interpretazione o l'applicazione della Convenzione.
Non basta limitarsi a recitare una
lunga litania di disposizioni della convenzione che potrebbero avere qualche
tenue connessione con i fatti del caso di specie, come Sir Michael e il
professor Tanzi hanno fatto questa mattina, per stabilire la giurisdizione del
tribunale. La vera questione è sapere se la controversia tra le
parti rientra in una o più disposizioni della Convenzione. A prima vista questo non è il caso, se ci si concentra sul vero oggetto della controversia. In
effetti, la Convenzione non prevede la situazione
che è davanti a voi, e questo mette
seriamente in discussione la competenza del tribunale arbitrale che l'Italia chiede
di istituire, e, indirettamente, la vostra stessa giurisdizione, illustri
membri del Tribunale.
Per sostenere il contrario l'Italia
si basa sulla dichiarazione interpretativa che ha fatto quando ha firmato la
convenzione:
“I diritti e la giurisdizione dello Stato costiero in tale zona non
includono il diritto di avere notizia di esercitazioni militari o manovre o per
per autorizzarle.”
[NB nella versione francese si legge:
Inoltre, nella dichiarazione
interpretativa resa all’atto della ratifica della
Convenzione, il governo della Repubblica dell'India considera - e cito:
“Che le disposizioni della convenzione non autorizzano altri Stati a
effettuare nella zona economica esclusiva e sull’altopiano Continentale, esercitazioni militari o manovre,
soprattutto se comportare l'uso di armi o esplosivi,
senza il consenso dello Stato costiero”].
Non è possibile affermare che l'uccisione di due pescatori indiani ha
qualche cosa fare con la lotta contro la pirateria. Il St'Antony non ha niente
in comune con una nave pirata, e i pescatori non poteva ragionevolmente essere
scambiati per pirati, visto che le due navi erano appena a 100 metri l'una
dall'altra, quando la sparatoria ha avuto luogo, soprattutto se i Fucilieri di
Marina avevano utilizzato il binocolo, come l'Italia afferma I due Fucilieri di
Marina sono le uniche persone che affermano di aver visto armi sul St. Antony.
Questo riferimento alla necessità di combattere la pirateria è
quanto più bizzarra in quanto l'India ha trionfato su questo flagello, che, al
momento in cui questi eventi hanno avuto luogo, era già stato praticamente debellato nella zona in questione, come si può vedere nella tabella del documento 11 del vostro
dossier, che è sullo schermo ora. In ogni caso, è chiaro che al momento non vi era alcuna avvistamento di navi pirata
nella regione. Il grafico che potete vedere
completamente conferma ciò.
Questo grafico viene dal sito
internet della Centre Navale NATO e illustra le
diverse segnalazioni e gli attacchi reali che hanno avuto luogo nel corso del
2012.
Come si può vedere dal documento della scheda 12 nella cartella dei giudici, ci sono stati 11 allarmi e una attività sospetta registrati nella regione che si
estendeva nel febbraio 2012 dalla costa occidentale dell'India fino alla costa
somala, e questa attività, solo sospetta, è evidenziata in blu sulla punta del
subcontinente indiano. Che è la regione che è di particolare interesse per noi.
Permettetemi, illustri membri del
Tribunale, di attirare la vostra attenzione su due punti specifici. In primo luogo, tale attività sospetta è stata segnalata il 2 febbraio 2012.
Nessun’altra attività sospette o atto di pirateria è
stato segnalato il 15 febbraio.
In secondo luogo, il grafico conferma
che la parte orientale dell'Oceano Indiano al largo della costa indiana era al tempo in cui questi fatti
sono avvenuti, praticamente priva di pirati. Naturalmente, occorre essere
essere vigili e vigilanza è ancora chiesta, ma questa situazione
in nessun modo giustificava particolare nervosismo e certamente non il
nervosismo dimostrato dai signori Girone e Latorre.
Signor Presidente, l'Italia non può invocare gli articoli 100 e ss. della Convenzione del 1982 più di quanto possa per l’articolo 97. Lo
stesso vale per l'articolo 32 della Convenzione. Quello è l'unico articolo relativo all'immunità, a parte gli articoli relativi alla immunità delle Autorità e le vostre immunità, eminenti membri del tribunale. L'articolo 32, al quale l’ltalia non fa riferimento, si riferisce all’ immunità delle navi da guerra e altre navi di
Stato per fini non commerciali. Non stiamo qui parlando di immunità della Enrica Lexie, il che, del resto, non è coperto da questa disposizione, ma dell’immunità che l'Italia reclama per i Fucilieri
di Marina che erano a bordo, su cui la Convenzione non dice assolutamente
nulla.
Come avete detto nell’ordinanza del 15 dicembre 2012 nel Caso "ARA Libertad"
“in questa fase del procedimento, il Tribunale non ha bisogno di
stabilire definitivamente l'esistenza dei diritti rivendicati dall'Argentina e
tuttavia, prima di prescrivere misure provvisorie, il
Tribunale deve assicurarsi che le disposizioni invocate dalla ricorrente
appaiano, prima facie, costituire una base su cui fondare la competenza del
tribunale arbitrale dell’allegato VII.”
Questo richiama la giurisprudenza
costante della Corte internazionale di giustizia, che considera inoltre che la
fase delle misure provvisorie:
“non ha bisogno di risolvere le pretese delle parti [... o] di
determinare in via definitiva l’esistenza dei diritti che [le parti]
vogliono vedere tutelati.”
Tuttavia, come Sir Michael e il
Professore Tanzi hanno ricordato questa mattina, il Tribunale deve decidere se i diritti rivendicati
dall'Italia sul merito e su cui l'Italia cerca tutela, sono plausibili.
Questa pre-condizione per stabilire
la giurisdizione del futuro tribunale arbitrale non è verificata prima facie. Come i legali della controparte hanno
insistito questa mattina, ogni valutazione più approfondita dai questo tribunale supporrebbe un riesame dei fatti.
Un riesame, illustri membri del Tribunale, che
avete anche meno diritto di effettuare, dato che non siete giudici di merito.
Se lo faceste, invadereste la competenza del futuro tribunale che dovrà decidere in seconda istanza, dal momento che ai sensi dell'articolo
290 della Convenzione
“Una volta costituito, il tribunale a cui è stata presentata la controversia può modificare, revocare o confermare queste misure cautelari, agendo
conformemente ai numeri da 1 a 4.”
Naturalmente, quel tribunale può prescrivere misure cautelari, anche se questo tribunale si è astenuto dal farlo.
Vorrei aggiungere che i molto lunghi
argomenti addotti questa mattina dalla parte opposta relative a considerazioni
che non hanno praticamente nulla a che fare con la legge del mare è un'altra indicazione - e lo dico con il massimo rispetto - che
l'Italia ha adito la corte errata. Assente un reale collegamento alla
convenzione, l'iniziativa dell’Italia costituisce un abuso di
procedimenti legali, un abuso su cui l'India si riserva il diritto, a tempo
debito, di richiamare l'attenzione del futuro tribunale arbitrale ai sensi
dell'articolo 294 della Convenzione. Purtroppo, illustri membri del Tribunale,
tale disposizione non vi da competenza a decidere in tal senso.
Signor Presidente, c'è un altro aspetto che assolutamente esclude prima facie la
giurisdizione del tribunale che deve essere istituito in base all'allegato VII
- e sul quale sarà ovviamente chiamato a pronunciarsi in
via definitiva in questo senso a tempo debito.
Secondo i termini dell'articolo 295
della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare
“Ogni controversia tra gli Stati parti relativa all'interpretazione o
all'applicazione della presente convenzione può essere sottoposta alle procedure previste in questa sezione”
- questa è la sezione sulle procedure obbligatorie sfocianti in decisioni
vincolanti -
“solo dopo che i ricorsi interni sono stati esauriti ove ciò sia richiesto dalla legge internazionale.”
Nel caso di fronte a noi due motivi
validi richiedono l'esaurimento dei ricorsi interni dal parte dell’Italia.
Anche se l'Italia afferma il
contrario, in realtà agisce per proteggere i diritti dei
suoi cittadini: i due accusati da una parte, e la petroliera battente bandiera
italiana Enrica Lexie, dall'altro. Le parole usate dall’Italia non lasciano spazio a dubbi. La sua intenzione è chiara nella notifica del 26 giugno, per cui nell'ambito della prima
richiesta l'Italia chiede al tribunale di cui all'allegato VII di giudicare e
dichiarare che - cito:
“L’India ha agito e sta agendo in
violazione del diritto internazionale reclamando ed esercitando la sua
giurisdizione sull’Enrica Lexie e i due Fucilieri di
Marina italiani in relazione con l’incidente della
Enrica Lexie.”
Che l'unico intento sia quello di
proteggere i cittadini italiani diventa cristallino quando consideriamo le due
misure provvisorie che Italia chiede di prescrivere - e ricordiamoci che le
misure provvisorie sono destinate
esclusivamente a preservare i diritti delle parti in causa, su cui
l'organo che deciderà nel merito ha competenza. Questi sono
i diritti che l'Italia cerca di proteggere.
“L’India si astenga dal prendere o
applicare qualsiasi misura giudiziaria o amministrativa nei confronti del
sergente Massimiliano Latorre e del sergente Salvatore Girone in relazione all’incidente della Enrica Lexie, e di esercitare qualsiasi altra forma di giurisdizione sull’incidente della Enrica Lexie.”
Questo è la prima richiesta dell’Italia.
Qui è la seconda:
“L’India adotti tutte le misure
necessarie per garantire che le restrizioni alla libertà, alla sicurezza e al movimento dei Fucilieri di Marina siano
sollevate immediatamente per consentire al sergente Girone di tornare e
rimanere in Italia ed al sergente Latorre di rimanere in Italia per tutta la
durata del procedimento dinanzi al tribunale arbitrale.”
Ripeto:
“per garantire che le restrizioni alla libertà, alla sicurezza e al movimento dei Fucilieri di Marina siano sollevate immediatamente per consentire al sergente Girone di tornare e rimanere in Italia ed al sergente Latorre di rimanere in Italia”.
Avrei potuto anche fare riferimento a
ciò che ha detto il professor Verdirame
questa mattina e cito:
“I Fucilieri di marina, e di conseguenza l'Italia, avrebbero subito
irreparabili danni.”
E’
davvero, per usare la nota
espressione di Mavrommatis in materia di protezione diplomatica, “nella persona dei suoi cittadini" che l'Italia mira a garantire
il rispetto del diritto internazionale.
Sono chiaramente i Fucilieri di
Marina, sergente Girone e sergente Latorre, che devono essere protetti. Quindi si tratta di protezione
diplomatica. Tuttavia, come sappiamo, la tutela diplomatica è soggetta a due condizioni indispensabili. In primo luogo, che i beneficiari della protezione devono avere
la nazionalità dello Stato che protegge - questa
condizione è soddisfatta - e che i ricorsi interni
devono essere stati esauriti. Come il Procuratore Generale ha sottolineato, ciò non è stato.
Lo abbiamo già detto e torneremo su questo argomento. Come la Corte Internazionale
di Giustizia ha sottolineato, si tratta di "una regola ben consolidato del
diritto consuetudinario" e anche "un principio importante" di
quella legge.
Certo, come la ILC ha sottolineato
nel suo commento all'articolo 14 dei suoi articoli relativi alla protezione
diplomatica, non è sempre facile
“decidere se la richiesta è
"diretta" o
"indiretta" dove viene "miscelata", nel senso che contiene
elementi sia del danno allo Stato sia del danno ai cittadini dello Stato.”
Tuttavia, nel caso di specie, come
dimostrano i passaggi che ho citato dalle memorie scritte dell'Italia, non ci
può essere alcun dubbio che il criterio
della preponderanza di cui al paragrafo 3 dell'articolo 14 della ILC - l’unico criterio con il quale secondo l'ILC la distinzione può essere fatta - è soddisfatta.
“La richiesta [qui] è condotta in maniera preponderante
sulla base di un danno ad un cittadino.”
Qui, come nell’affare ELSI, per esempio,
“la materia che colora e pervade tutta la richiesta nel suo insieme, è il preteso danno che [i due cittadini italiani] dicono aver
sofferto.”
Pertanto, un tribunale arbitrale può esercitare la propria giurisdizione e decidere sulle richieste dell’Italia solo una volta che tutte le azioni disponibili per i due
imputati sono state esaurite. Ma non sono stati esaurite e non può essere ragionevolmente sostenuto che non sarebbero efficaci, in
primo luogo, perché l'India ha una tradizione giuridica
di indipendenza e imparzialità che è incontestabile e, in secondo luogo, perché i tribunali indiani hanno evidenziato un atteggiamento straordinariamente
benevolo in occasione delle numerose istanze dilatorie presentate dai due
accusati e dall'Italia. Se il risultato è
stato che le vie di ricorso interne
non sono state esaurite, possono solo incolpare se stessi.
Tuttavia, c'è un'altra cosa, signor Presidente, un altro motivo per cui il rinvio
ad un tribunale arbitrale è destinato al fallimento. Ciò è
dovuto proprio alla strategia
giudiziaria che l’Italia ha adottato. Infatti, invece
di incoraggiare i suoi cittadini ad esaurire i ricorsi interni il più rapidamente possibile, ricorsi che offrono tutte le garanzie
desiderate, in modo da essere in grado, se necessario, di esercitare la sua
tutela nel loro interesse, la stessa Italia ha condotto azioni presso i
tribunali indiani a sostegno delle numerose istanze dilatorie presentate dai
propri cittadini.
Signor Presidente, io non ho
intenzione di entrare nel dettaglio di questi interventi dell'Italia nei vari
procedimenti riguardanti l “incidente della Enrica Lexie", o
meglio il caso dell’omicidio dei due pescatori a bordo
del St. Antony, prima di tutto, perché
i procedimenti penali di common law
sono per me un mistero impenetrabile e anche perché questi tecnicismi hanno poca importanza. I fatti sono i seguenti:
In primo luogo, per tentare di
ottenere l'aggiornamento o l’abbandono dell'azione penale contro i
signori Latorre e Girone, l'Italia ha presentato una petizione ai tribunali
indiani. Il Procuratore Generale lo ha spiegato e il signor Bundy sta per
riparlarne brevemente.
In secondo luogo, tali procedimenti
non hanno fatto il loro corso completo: rimangono in sospeso. Questo è in particolare il caso del procedimento dinanzi
al Tribunale Speciale; come abbiamo appena sentito dal
procuratore generale, questa non è
una corte d'eccezione, al contrario
di quanto i nostri amici dall'altra parte
insinuano. Questo tribunale è competente a pronunciarsi su tutti
gli aspetti del caso, anche per quanto riguarda la questione della
giurisdizione dei tribunali indiani. Questo è un elemento
chiave della questione nel suo complesso e dei procedimenti di cui si tratta in
particolare. Permettetemi di riferirmi alla
sentenza della Corte Suprema dell'India datata 18 gennaio 2013 che ha
trasferito il caso a un tribunale speciale in modo che:
“lo stesso venga smaltito rapidamente.”
Potete trovare il passaggio rilevante
nella scheda 13 del dossier dei giudici. Ne consegue - e sto ancora citando il
paragrafo 101 - che:
“la questione della competenza dell'Unione Indiana ad indagare sull’incidente e per i tribunali indiani a perseguire gli imputato può essere riesaminata.”
"può essere riesaminata". E ancora più nettamente al punto 102, che cito:
“una volta che la prova è
stata raccolta, sarà possibile per i richiedenti sollevare nuovamente la questione della
competenza dinanzi alla Corte del procedimento che avrà la libertà di riconsiderare la questione alla luce degli elementi di prova, che
possono essere addotti dalle parti e in conformità alla legge.”
"che avrà la libertà di riconsiderare la questione alla luce degli elementi di
prova".
In terzo luogo, è sia paradossale sia molto deplorevole il fatto che, dopo essere
riuscita ad assicurare che si tenesse pienamente conto delle sue preoccupazioni,
l'Italia ha fatto tutto il possibile - e apparentemente la procedura
giudiziaria indiana offre una serie di possibilità di farlo - per ritardare, in realtà per evitare, la decisione rapida previsto dalla Corte Suprema. E’ particolarmente deprecabile che l'Italia denigri oggi tali ritardi
dei quali l'Italia sola è responsabile.
Sia chiaro, signor Presidente,
l'obiezione qui non riguarda il mancato esaurimento dei ricorsi interni - che è un'altra obiezione -, ma il fatto che l'Italia ha scelto di servirsi
dei tribunali indiani e ora se ne allontana e cerca di portare il caso a
livello internazionale, anche se non c'è
alcun nuovo elemento, come ad esempio
un dubbio sollevato sull'imparzialità
dei tribunali indiani. E’ il principio di buona fede che è
in discussione qui - non vale la pena
parlare di preclusione - fondamentale principio di diritto internazionale che
non si può avere sia caldo che freddo.
Ciò
significa, nel tipo di situazione che
abbiamo davanti, che c'è l'obbligo di non cambiare forum
giudiziale. Una volta scelto uno, è
necessario attenersi ad esso.
Certamente questo non significa che non sarà possibile appello a un altro forum, se questo è consentito. Come molti principi elementari del diritto
internazionale, questo può essere detto in latino, in breve,
electa una via
e se si desidera apparire più dotti si potrebbe dire:
Electa una via, non datur recursus ad
alteram
che suona particolarmente felice in
italiano:
Scelta una via, non è ammesso il ricorso ad un’altra...
Questo principio è più comunemente applicato al diritto
degli investimenti, per esempio, che in diritto internazionale pubblico, perché è
raro che uno Stato compaia davanti al
giudice di un altro Stato, come l'Italia ha fatto, con il rischio di perdere la
sua immunità dalla giurisdizione (come l'Italia ha
fatto nel nostro caso).
Detto questo, le ragioni di economia
processuale e di equità che giustificano l'applicazione del principio dell’electa una via in reti transnazionali sono altrettanto se non più convincenti nelle controversie tra Stati.
Nel caso di specie l'Italia ha scelto
di ricorrere ai tribunali indiani. Questi tribunali hanno annunciato la loro
intenzione di esaminare la questione della propria giurisdizione o mancanza
della stessa a giudicare i due imputati. L'Italia non può ora, senza agire in mala fede, girare le spalle a tali giudici,
giudici che l'Italia ha adito, e ora chiede che sia un organo giudiziario
internazionale a giudicare, mentre i casi proposti dall’Italia sono ancora pendenti in India e non
c'è niente - se non fosse per le tattiche
dilatorie delle persone interessate e dell'Italia stessa -
che dia motivo di pensare che i casi non saranno chiusi in un tempo
ragionevolmente breve.
Illustri membri del Tribunale, il
caso di omicidio di fronte a voi non può
essere risolto mediante l'applicazione della legge del mare, di cui Voi
siete i vigili guardiani. E quindi non potete trattare questo caso, non più di quanto possa farlo il tribunale arbitrale la cui costituzione l’Italia chiede. Né quel tribunale, né voi avete alcun motivo per prendere il posto dei giudici indiani ai
quali l'Italia si è prima rivolta per risolvere la
questione che ora cerca di porre davanti a un tribunale internazionale senza
aver permesso ai tribunali indiani di pronunciarsi sulla propria giurisdizione
o la sua mancanza. In ogni caso -
e questo è un argomento diverso - in quanto è
principalmente un caso di tutela dei
diritti ed interessi dei signori Girone e Latorre, nessun tribunale
internazionale ovunque potrebbe avere giurisdizione in questo momento dato che
i ricorsi locali non sono stati esauriti.
Signor Presidente, la competenza
prima facie del tribunale arbitrale è
ben lungi dall’essere stabilita. Per lo stesso motivo, illustri membri del
Tribunale, è impossibile per voi esaminare la
richiesta italiana di misure provvisorie.
Vorrei ringraziarvi molto per la
vostra cortese attenzione. Signor Presidente, il prossimo rappresentante
dell'India a prendere la parola, se vorrete dargliela, sarà il signor Rodman Bundy. Grazie.
IL PRESIDENTE: Grazie, signor
Pellet. Essendo vicini all’interruzione, non voglio che il
signor Bundy inizi per poi essere interrotto, quindi propongo che ci ritiriamo
per 30 minuti e ci ritroviamo alle 16:55, quando il signor Bundy avrà la parola.
(breve aggiornamento)
IL PRESIDENTE: Ora inizieremo l'udienza. do la
parola all'onorevole Rodman Bundy.
MR BUNDY: Molte grazie, Signor Presidente,
distinti Membri del Tribunale. E’
veramente un onore essere di fronte a
voi oggi e rappresentare la Repubblica dell’India in questo
importante caso.
In questa parte della memorie dell’India, torneremo sulla
irricevibilità delle due richieste che appaiono alla
fine dell’istanza italiana per le misure
provvisorie. Inizierò affrontando la prima richiesta dell’Italia, la sua richiesta il Tribunale ordini all’India di astenersi dal prendere o applicare qualsiasi misura
giudiziaria o amministrativa neo confronti dei due Fucilieri di Marina Italiani
in relazione all’incidente dell’Enrica Lexie, e dall’esercitare qualsiasi altra forma di
giurisdizione su tale incidente. Dopo di me di me, il professor Pellet si occuperà della seconda richiesta dell'Italia, in cui l'Italia chiede al
Tribunale di prendere tutte le misure necessarie per garantire che le restrizioni
in materia di libertà, sicurezza e movimento dei Fucilieri
di Marina, siano tolte immediatamente in modo da consentire ai Fucilieri di
Marina di tornare e restare in Italia per tutta la durata del procedimento
dinanzi al tribunale arbitrale di cui all’allegato VII.
E‘
pacifico che entrambe le richieste
dipendono dalla dimostrazione da parte dell'Italia che, come previsto dall’articolo 290, comma 5, della Convenzione, «l'urgenza della situazione lo richiede
".
Così, "urgenza" è
una condizione fondamentale per il
Tribunale per prescrivere qualsiasi misura provvisoria.
Non mi accanirò sul punto perché la giurisprudenza del Tribunale sulla questione è ben nota. Ciò che vorrei
ricordare è che il Tribunale ha messo in chiaro che le misure provvisorie non devono essere
prescritte a meno che non ci sia una necessità di scongiurare un rischio reale e
imminente che possa essere causato un pregiudizio irrimediabile ai diritti in
questione prima della decisione definitiva.
La Camera Speciale lo ha recentemente ribadito nel caso
Ghana/Costa d’Avorio.
Vi è un ulteriore elemento riferito al concetto di “urgenza” che emerge dall’articolo 290, al
comma 5. Normalmente, non dovrei menzionarlo ma il modo in cui l’Italia ha gettato le proprie richieste di provvedimenti
provvisori, rivela che all’Italia è ignaro il punto,
nonostante il tentativo di Sir Michael di porre rimedio ai danni di
stamattina. Mi permettiate di disporre
le dichiarazioni dell’Italia sullo
schermo così da poterle vedere (anche voi).
Il Tribunale osserverà che, rispetto alla prima presentazione
dell’Italia, l’Italia non pone alcun limite di tempo alla sua richiesta.
L’Italia cerca semplicemente un provvedimento generale del
diritto indiano di adottare o eseguire qualsiasi misura giudiziaria o
amministrativa contro i due marines o altra forma di giurisdizione per l’accaduto. Se
guardiamo alla seconda presentazione dell’Italia, essa
chiede che le restrizioni sui marines siano immediatamente revocate
per tutta la durata del procedimento dinanzi al Tribunale
di cui all’allegato VII della Convenzione.
Presumibilmente, la prima presentazione dell’Italia dovrebbe essere anche letta come una richiesta di
provvedimento provvisorio sino al momento in cui il Tribunale di cui all’allegato VII della Convenzione rende la sua decisione
finale, sebbene l’Italia nella sua prima presentazione
non lo dica specificatamente; essa lascia il termine temporale completamente
aperto.
Ma non è questo che l’articolo 290, al
comma 5, dice. Esso prevede che,
in attesa della costituzione di un tribunale arbitrale al
quale venga sottoposta una controversia,
questo Tribunale può prescrivere misure provvisorie, e che,
una volta costituito, il tribunale al quale è stata sottoposta
la controversia può modificare, revocare o confermare quelle misure provvisorie…
Dato che l’Italia ha
sottoposto la controversia al tribunale arbitrale di cui all’allegato VII della Convenzione con la sua notifica del 26
giugno, ne consegue che vi è un limite temporale alla durata di eventuali misure
provvisorie che possono essere prescritte da questo Tribunale. Analogamente, vi
è un elemento
temporale alla questione se vi sia una situazione d’urgenza.
Come il Vostro Tribunale ha affermato nell’ordinanza riguardante il caso Land Reclamation (Bonifica
dei terreni):
l’urgenza della
situazione dev’essere valutata tenendo conto del
periodo in cui il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII non è ancora nella
posizione di “modificare, revocare o confermare
quelle misure provvisorie”
In altre parole, contrariamente a quanto sostenuto dall’Italia, il ricorso a questo Tribunale prima di essere
costituito il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII è una procedura
eccezionale. Con rispetto, il Vostro Tribunale non è chiamato a
prendere in considerazione alcuna misura provvisoria che rimarrà in vigore per
tutta la durata dell’arbitrato di cui
all’allegato VII. Fare ciò significherebbe
sconfinare sulla competenza del tribunale arbitrale di cui all’allegato VII. Il problema è solo se vi è urgenza alcuna
per i prossimi mesi, dopodiché il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII sarà costituito e sarà in grado di affrontare la questione.
Oltre al requisito di urgenza, l’articolo 290, comma 1, della Convenzione stabilisce che
una corte o un tribunale può prescrivere le misure provvisorie che ritiene opportune
secondo le circostanze per preservare i diritti delle parti in causa – in altre parole
sono i diritti di entrambe le parti che devono essere preservati. Ancora una volta, ritengo necessario
sottolineare questo punto a causa della natura unilaterale delle richieste
italiane. L’Italia presuppone di essere l’unica parte che dispone di diritti che devono essere
preservati. Ciò è stato ripetuto stamattina dal signor
Busco quando ha detto che sono in discussione i diritti dell’Italia, senza neanche menzionare i diritti che l’India possiede.
Come vedremo, l’India ha anche i
diritti più fondamentali che devono essere preservati. Dopotutto, come il prof. Pellet
ed il rappresentante dell’India hanno
descritto, l’intera controversia è sorta a causa
dell’omicidio di due pescatori indiani
innocenti e disarmati al largo della costa dell’India nella sua
zona economica esclusiva. Questo è il fatto chiave, costantemente ignorato dai nostri avversari,
che ha dato origine all’esercizio della
giurisdizione da parte dei giudici indiani sulla questione. L’Italia e i suoi marines hanno tratto pieno vantaggio dei
diritti che possiedono in quei procedimenti innanzi ai giudici indiani, e sono
stati trattati con estrema correttezza da parte della Corte Suprema Indiana.
L’affermazione,
purtroppo ripetuta sia da Sir Daniel che dal professor Verdirame, che che non
vi sia stato un giusto processo dinanzi ai giudici indiani è tanto offensivo
quanto errato. Il Tribunale ha solo bisogno di esaminare il rapporto innanzi
alla Corte Suprema dell’India, che è stato immesso in
questi procedimenti al fine di realizzare il carattere irresponsabile delle
accuse. Come spiegherò, i marines si
sono spinti sino innanzi ai giudici indiani per chiedere alla Corte Suprema
dell’India di pronunciarsi sulla questione
della competenza e la loro presunta immunità. Il fatto che
solo un mese fa i marines abbiano cambiato idea e chiesto un differimento di
tale procedimento, procedimento che loro avevano presentato, è pregiudizievole
per i diritti dell’India a esercitare la giurisdizione
cui gli stessi marines avevano ricorso, ed è fatale per la presente domanda di
provvedimenti provvisori.
Infine, ovviamente, è ben assodato che la prescrizione di misure provvisorie
non è opportuna laddove tenderebbe a pregiudicare i meriti della causa che, in
questo caso, sono riservati al tribunale arbitrale di cui all’allegato VII.
Come il professor Pellet ed io Vi mostreremo, non vi è alcuna urgenza di
sorta che giustifica la prescrizione di misure provvisorie, e nessun rischio
reale e imminente che pregiudizio irreparabile possa essere causato ai diritti
pretesi dall’Italia prima che il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII sia in grado di assumere la competenza sul
caso. Al contrario, è diritto dell’India vedere che
sia fatta giustizia per i due pescatori morti, vedere che i procedimenti che l’Italia e i suoi marines stessi hanno lanciato innanzi ai
giudici indiani siano ammessi a seguire il loro corso, e che le famiglie dei
pescatori risulterebbero fortemente pregiudicate dalla concessione alla
richiesta italiana di far parte nel proseguimento della competenza
giurisdizionale indiana nel caso.
Con questa breve panoramica dei principi giuridici che
regolano l’esame della richiesta italiana, vorrei
ora passare ai fatti, perché è solo alla luce
delle particolari circostanze del caso che la questione se esiste una
situazione di urgenza, nel senso di un rischio reale e imminente che un pregiudizio
irreparabile può essere causato ai diritti delle parti, può essere valutata.
L’essenza della
rivendicazione italiana si basa sulle seguenti affermazioni: i marines sono
stati sottoposti alla giurisdizione dei tribunali indiani per oltre tre anni
(richiesta, par. 24); ciò è dovuto a ritardi
e complicazioni derivanti dalle azioni dell’India (richiesta,
par. 24); il processo legale indiano non è riuscito in tutto questo periodo ad affrontare
adeguatamente la situazione concernente la competenza giurisdizionale per
giudicare i marines e la loro presunta immunità giudiziaria (richiesta, par. 25); l’India ha rifiutato di cooperare con le autorità inquirenti
italiane (richiesta, par. 35(d)); e la situazione ha ormai raggiunto un livello
di urgenza critica (richiesta, par. 25).
Tali affermazioni sono semplicemente false. Esse si
basano su una considerazione altamente selettiva e fuorviante di ciò che è realmente
accaduto innanzi ai tribunali indiani e in connessione con l’inchiesta dell’incidente.
Qualsiasi ritardo nel processo investigativo e giudiziario indiano, e quindi
ritardi nel portare accuse contro i marines italiani dinanzi al Tribunale
Speciale, sono interamente il risultato delle tattiche dell’Italia e dei suoi marines in costante presentazione di
nuovi ricorsi sottoposti innanzi alla Corte suprema indiana, sfidando il
diritto della NIA (Agenzia nazionale investigativa indiana) per svolgere le
indagini dell’incidente, contestando la competenza
giurisdizionale del Tribunale Speciale, e impedendo al NIA di fornire loro
risultati al procuratore. La ricezione da parte del pubblico ministero che sarà responsabile
presso il Tribunale Speciale dei procedimenti della relazione d’indagine, che è stata bloccata dalle tattiche dell’Italia e dei suoi marines, è una condizione preliminare per la
capacità di portare accuse contro i marines. Non c’è stata alcuna mancanza di giusto
processo per la mancanza di accuse; la ragione per cui le accuse non sono state
portate dinanzi al Tribunale Speciale è perché l’Italia e i
marines hanno presentato ricorsi bloccando questo processo.
Fermo restando che, la Corte Suprema dell’India è andata oltre il suo modo di considerare favorevolmente le
richieste dei marines, che sia l’allentamento
delle condizioni di libertà provvisoria, che il professor Pellet affronterà in seguito, o
altre forme di aiuto. Lungi dall’India interferire
in presunte indagini dell’Italia sulla
questione, è stata l’Italia che ha ostacolato l’inchiesta che è stata affidata al NIA, in primo luogo venendo meno ad un
impegno solenne fatto per garantire alcuni suoi testimoni chiave – gli altri quattro
marines che erano di istanza sulla Enrica Lexie – che sarebbero dovuti essere
disponibili per un interrogatorio in India, e, in secondo luogo, contestando la
legittimità delle indagini e l’inchiesta del
NIA.
Ma forse l’esempio più eclatante di
comportamento abusivo dell’Italia si è avuto un mese fa,
quando i due marò hanno depositato un ricorso dinanzi la Corte suprema dell’India per chiedere il differimento di una petizione che
loro stessi avevano presentato nel marzo 2014, chiedendo alla Corte Suprema – non è vero, non al
tribunale arbitrale di cui all’allegato VII – a pronunciarsi
sulla questione della competenza giurisdizionale dell’India sui marines e se godevano di immunità, e cercando di sopprimere non solo le indagini del NIA,
ma anche tutti i procedimenti innanzi al Tribunale Speciale. Tale comportamento
– il desiderio dei
marò di rinviare i procedimenti che loro stessi hanno avviato – può eventualmente
dare luogo ad una situazione d’urgenza che
giustifica il fatto che la prescrizione di misure provvisorie richieste dall’Italia sia rimasta inspiegata dai nostri avversari.
Permettetemi di riassumere alcuni degli elementi chiave
della vicenda che l’Italia non è riuscita a portare
all’attenzione del Tribunale, ma che
colloca la natura errata della sua richiesta nella giusta prospettiva.
Come l’illustre
Procuratore Generale Aggiunto ha precedentemente spiegato, nell’aprile 2012 l’Italia insieme ai
due marines ha depositato un atto di citazione (Scrittura no. 135) innanzi alla
Corte Suprema dell’India chiedendo una sentenza con la
quale i giudici dello Stato del Kerala, che avevano esercitato la giurisdizione
sui marò, non fossero stati competenti, e che
l’Unione dell’India – che è lo Stato stesso – prendesse in
custodia i due marines.
Mentre anche la richiesta che l’India dovrebbe poi consegnare i marò all’Italia, ha affermato, come potrete vedere dall’estratto della petizione (par.D), che si allega nella
scheda 15 delle vostre cartelle, che per lo meno l’India dovrebbe mantenere la custodia dei marò sino a quando
India e Italia non hanno preso una decisione definitiva per quanto riguarda i
principi e le immunità giurisdizionali che dovrebbero essere applicati. La
domanda è andata poi a richiedere alla Corte Suprema di non approvare ulteriori
ordinanze che la Corte ritenga appropriate ai fatti e circostanze del caso.
La Corte Suprema ha accolto favorevolmente queste
richieste con un’ordinanza del 18 gennaio 2013, che è stata rimessa a
entrambe le parti oggi (scheda 13). La Corte Suprema ha ordinato che la
custodia dei due marò sia trasferita dalla corte del Kerala a quella di Dheli.
Ha anche stabilito che, alla luce delle circostanze e delle questioni
giuridiche implicate, i tribunali del Kerala non avevano giurisdizione. L’India è stata dunque orientata dalla Corte Suprema a istituire un
Tribunale Speciale, d’intesa con il
Presidente della Corte Suprema dell’India, per
giudicare la questione. L’indagine dell’incidente è stata anche affidata ad un’agenzia per
essere studiata dal governo indiano.
Come avete udito, nella sua ordinanza, la Corte Suprema
ha sottolineato che il diritto dell’Italia ad
affermare la questione della giurisdizione dinanzi ad un foro adeguato è rimasto
preservato. Ciò che andrebbe anche ricordato è che l’azione che ha
portato alla costituzione di un Tribunale Speciale, ed il trasferimento di
custodia dei marò a Delhi, non è venuto dall’India. È stato il risultato del ricorso che l’Italia aveva fatto chiedendo che l’India assicurasse la custodia a quest’ultima, e che la Corte Suprema non approvi alcuna delle
altre misure ritenute appropriate. Così l’Italia, nella sua
petizione formale alla Corte Suprema, ha lasciato alla discrezionalità di quest’ultima come procedere.
A seguito di quest’ordinanza, l’India ha preso i provvedimenti necessari per istituire il
Tribunale Speciale. Il 1° aprile 2013 viene anche affidata al NIA la responsabilità di condurre l’indagine dell’incidente, ed è conseguentemente
notificata al Tribunale Speciale ed al Procuratore Pubblico Speciale. Tuttavia,
fu a questo punto, che nella primavera del 2013, l’Italia e i suoi marò hanno intrapreso uno sforzo comune per contrastare il
procedimento giudiziario che loro stessi avevano avviato.
In primo luogo l’Italia si è rivolta alla
Corte Suprema contestando la decisione del governo indiano di affidare l’inchiesta al NIA. La Corte Suprema ha rifiutato di
intervenire nella questione, perché riteneva di aver già dato indicazioni opportune nella sua ordinanza del 18
gennaio 2013. Dopo aver riesaminato la sostanza del provvedimento che aveva
dato a suo tempo, la Corte Suprema ha osservato che delle misure sono state
adottate ai sensi della propria ordinanza al fine di nominare il tribunale
competente – il Tribunale Speciale. Con riferimento all’indagine, la
Corte Suprema ha dichiarato che spettava al governo indiano prendere una
decisione in materia con l’avvertimento importante
che, se ci fosse qualche errore giurisdizionale in materia, i marò accusati
potrebbero discuterne innanzi ad un foro adeguato. Ancora una volta, i diritti
dell’Italia e dei suoi marò sono stati
pienamente tutelati.
Durante questo periodo, l’Italia pose due
ulteriori ostacoli, che hanno ritardato notevolmente il processo investigativo
e giudiziario. Il primo ostacolo è stato il rifiuto iniziale dell’Italia a onorare il suo impegno a restituire i due marò all’India dopo che era stato concesso loro dai tribunali
indiani di tornare in Italia per quattro settimane, con il pretesto di votare
alle elezioni italiane. Questo è (ciò che è) accaduto all’inizio del 2013. Il professor Pellet tornerà a quell’incidente in un attimo. Il secondo è stato il
fallimento dell’Italia di essere fedele ad un altra
promessa fatta all’India di far tornare gli altri quattro
marines che erano stati di istanza sulla nave nel caso fossero stati necessari
nell’ambito delle indagini dell’incidente.
Lasciate che vi spieghi cosa è successo a tal
proposito. Nel 2012, l’anno in cui ha
avuto luogo l’incidente, il governo italiano aveva
fornito all’India con una dichiarazione formale,
come parte degli accordi per assicurare il rilascio della Enrica Lexie, il suo
equipaggio e gli altri quattro marines che erano di istanza sulla nave. Tale
dichiarazione alla scheda 16, allegata alle nostre argomentazioni scritte,
conteneva il seguente impegno, che è sullo schermo:
La Repubblica Italiana è d’accordo a
garantire alla Corte Suprema dell’India che se la
presenza di questi marines è richiesta da un qualsiasi Tribunale o in risposta a
qualsivoglia atto di citazione emesso da qualsiasi tribunale o legittima
autorità, quindi (fatto salvo il loro diritto
a contestare la produzione di tali citazioni o la legittimità di qualsivoglia
ordinanza), la Repubblica Italiana deve
assicurare la loro presenza presso un tribunale o autorità competente.
Il 10 maggio 2013, il NIA ha inviato una nota al
Ministero degli Affari Esteri indiano chiedendo di emettere avvisi all’Italia attraverso canali diplomatici per far tornare in
India i quattro marines per fornire dichiarazioni in relazione alla fucilazione
dei pescatori. Il Ministero ha a sua volta inviato una nota verbale all’Italia tre giorni dopo allegandovi le notifiche a
testimoniare che erano state emesse dal NIA.
L’Italia ha
risposto con una nota verbale del 15 maggio 2013. Nella sua risposta, l’Italia fa riferimento alla richiesta da parte del NIA ed
ha espresso:
la sua volontà e l’impegno ad
ampliare tutta la possibile cooperazione all’indagine, al fine
di accertare nel caso i fatti veri e completi, nudi e crudi.
L’Italia ha inoltre
affermato nella nota che è pienamente impegnata per una conclusione rapida dell’inchiesta – pienamente impegnata per una conclusione rapida dell’inchiesta. Tuttavia, la nota italiana continuava dicendo
che l’Ambasciata Italiana era stata
informata che i quattro marines erano attualmente assegnati a postazioni
sensibili e che sarebbe stato difficile rilevarli immediatamente dai loro
incarichi al fine di presentarsi per un interrogatorio al NIA. L’Italia nella nota ha successivamente proposto delle
alternative per interrogare i quattro marines che non comportino il loro ritorno
in India.
L’India ha
obiettato con una propria nota verbale del 5 giugno 2013, in cui ha informato l’Italia che le sue proposte erano in contrasto con il suo
precedente impegno – la dichiarazione italiana. La questione è andata avanti e
indietro per diversi mesi senza essere risolta. Nonostante la sua precedente
garanzia che l’Italia “deve assicurare” la presenza dei
marines, e la nota italiana che diceva che i marò non sarebbero potuti essere
riconsegnati immediatamente, l’Italia rifiutò di muoversi.
Eppure, non è credibile che i marines non potessero essere messi a disposizione in nessun
momento durante il periodo di sei mesi, da maggio 2013 a novembre 2013. In
quelle circostanze, trascorsi sei mesi e non avendo l’Italia assolto il suo impegno di garantire la presenza
dei marines, il NIA è stato lasciato senz’altra alternativa
che interrogare i marines mediante videoconferenza nel novembre 2013. Non solo
ha inficiato e ritardato le indagini, ma è venuto in essere un altro esempio di promessa non
mantenuta da parte dell’Italia.
Stamattina Sir Daniel ha sostenuto che l’Italia ha rispettato il suo impegno perché l’intervista tramite videoconferenza è una procedura
legalmente riconosciuta ai sensi del diritto indiano. Ciò non coglie il
punto. L’Italia si era impegnata a garantire la
presenza dei quattro marines in India. L’Italia non ha
onorato questo impegno.
Tale andamento dimostra
anche il cinismo da parte dell’Italia in
relazione all’indagine indiana. Nessuna delle note
italiane in merito all’interrogatorio
dei quattro marines ha mai messo in dubbio l’autorità del NIA per la
conduzione dell’inchiesta. Al contrario, l’Italia disse che era impegnata ad una risoluzione rapida
delle indagini e alla fine ha permesso ai quattro marines di essere interrogati
dagli agenti del NIA mediante videoconferenza. Non c’era alcun problema con il NIA per l’interrogatorio ai quattro marines e lo svolgimento dell’indagine, almeno quando si leggono le note verbali dell’Italia durante questo periodo del 2013. Tuttavia, ciò che i nostri
avversari non dicono è che allo stesso tempo in cui ciò accadeva, l’Italia e i suoi marines contestavano il diritto e l’autorità del NIA per la conduzione dell’indagine innanzi alla Corte Suprema indiana; e così facendo, era l’Italia con i suoi marines responsabile del fatto che non
potessero essere avanzate imputazioni ai marines. Le imputazioni sarebbero
potute essere presentate solamente dopo che il rapporto investigativo fosse
stato sottoposto al procuratore; ma al NIA è stato impossibile presentare tale
relazione, perché la questione è stata messa in discussione dall’Italia e dai
marines innanzi alla Corte Suprema. Tentare di dare la colpa di questa
situazione all’India, come ha cercato di fare questa
mattina il consigliere legale, è a mio parere perverso.
Signor Presidente, signori del tribunale, giungo adesso
ad un altro elemento critico del procedimento innanzi alla Corte Suprema
indiana che le difese italiane scritte hanno evitato di discutere. Si tratta di
una richiesta importante che i due marò hanno depositato presso la Corte Suprema nel marzo 2014,
e che i due marines hanno successivamente deciso di chiedere alla Corte Suprema
di rinviare l’esame ad appena un mese fa, il 4
luglio 2015, poco prima che l’Italia abbia
depositato la sua richiesta per le misure provvisorie. Come dimostrerò, il modo in cui i
marines hanno inquadrato la loro richiesta, e poi 16 mesi più tardi hanno
chiesto alla Corte Suprema di rinviarne l'esame, mina totalmente la tesi
italiana dell’esistenza di una situazione di urgenza
con i rischi di danni irreparabili se il procedimento giudiziario indiano non
sia ingiunto. I fatti salienti di questo episodio sono i seguenti:
Il 6 marzo 2014, i due marines hanno presentato una
petizione ai sensi dell'articolo 32 della Costituzione indiana davanti alla
Corte Suprema. Questa petizione è divenuta nota come Scrittura No. 236. Si tratta di un
documento molto importante. Mentre l'Italia non ha ritenuto opportuno produrlo
nei suoi atti, il Tribunale troverà una copia depositata sotto l’allegato 40 delle deposizioni scritte dall’India.
Nella petizione, i ricorrenti, i marines, hanno lamentato
che fosse passato più di un anno dalla sentenza del 18 gennaio 2013 della Corte
Suprema di istituire un Tribunale Speciale, durante il quale l’agenzia inquirente, il NIA, non era stato in grado di
presentare la sua relazione innanzi a nessun tribunale. Di conseguenza, quanto
asserito dalla petizione, i due marines furono arrestati in India senza
comunque alcuna accusa contro di loro. Questo è ciò che hanno detto a marzo 2014, e suona
piuttosto similare a quello che abbiamo sentito stamani.
Significativamente, l’Italia a quanto
pare non ha considerato che ciò ha presentato una situazione sufficientemente urgente da
giustificare la deposizione di una notifica di cui all’allegato VII contro l’India o una
richiesta di misure provvisorie.
Detto questo, ciò che è ancora più sorprendente circa la petizione è l’aiuto che i due marines hanno chiesto alla Corte Suprema,
che troverete nella scheda 17 delle vostre cartelle, che è un estratto della
loro petizione ai sensi della Scrittura no.236.
In primo luogo, i firmatari hanno chiesto alla Corte
Suprema di dichiarare che l’indagine ed il perseguimento
della NIA nei confronti dei marò era illegale, invalido e nullo. Questo non era altro che
una ripetizione di ciò che l’Italia aveva
precedentemente presentato alla Corte nel 2013. Tuttavia, la petizione non era
riuscita a sottolineare che la ragione per cui il NIA non era stato in grado di
depositare la sua relazione fu perché l’Italia ne aveva
ritardato l’elaborazione, rifiutando di rendere i
quattro marines disponibili per un interrogatorio in India come l’Italia aveva precedentemente assunto l’impegno di fare, e perché l’Italia e i marò avevano anche
prima contestato il diritto del NIA a svolgere le indagini.
Nella petizione i marò hanno anche chiesto alla Corte di
dichiarare che la designazione del Tribunale speciale per discutere il caso
tramite il Ministero degli Affari Interni era illegale e non competente, e in
qualche modo in contrasto con l’ordinanza della
Corte Suprema del 18 gennaio 2013. Ma il Ministero aveva agito nel pieno
rispetto delle indicazioni della Corte Suprema di cui a quell’ordinanza del 2013.
Inoltre, i marines hanno chiesto alla Corte suprema di
dichiarare che essi - i marines – godevano dell immunità funzionale e sovrana dall’essere perseguiti in India, e di conseguenza, di ordinare
il loro rilascio.
Permettetemi di sospendere per un momento in modo che il
Tribunale possa vagliare il significato di questa applicazione e per le
ripercussioni che ha la richiesta dell’Italia che il
Tribunale precetti l’India dall’esercizio di ogni ulteriore competenza nel caso.
Nella scrittura n.236, i due marò hanno in primo
luogo chiesto alla Corte Suprema indiana di annullare, eliminare, l’indagine del NIA. Eppure, nel 2013, l’Italia aveva detto esattamente il contrario. Nelle sue
note verbali all’India, l’Italia aveva
garantito all’India la sua disponibilità e impegno ad
estendere tutta la possibile cooperazione nelle indagini in modo da risolvere
rapidamente il caso. Un completo voltafaccia.
In secondo luogo, i marò hanno chiesto alla Corte Suprema di pronunciarsi sulla
questione se il Tribunale Speciale abbia competenza a giudicare il caso contro
di essi. Ora, tuttavia, nel presente procedimento l’Italia sta chiedendo al Vostro tribunale di ordinare il
contrario: ovvero, che l’India non
eserciti alcuna competenza nel decidere la questione sulla giurisdizione,
quando furono gli stessi marines che avevano chiesto alla Corte Suprema di
farlo. In terza luogo, i marines hanno anche chiesto alla Corte Suprema di
decidere la questione se i marines godessero dell’immunità. Eppure, ancora una volta, nella sua richiesta di misure
provvisorie, l’Italia sta ora cercando il contrario:
che i tribunali indiani debbano astenersi dall’esercitare ogni
ulteriore giurisdizione su questo caso – riguardo a una questione che i marines stessi avevano
chiesto al tribunale di decidere. Ciò rasenta la malafede; e certamente non giustifica la
prescrizione di misure provvisorie.
Ma non è la fine della storia, perché in risposta alla Scrittura No.236
presentata dai marines il 28 marzo 2014, la Corte Suprema ha ordinato che il
provvedimento del Tribunale Speciale sia messo in sospeso in modo che la
scrittura possa essere pienamente valutata. Troverete il relativo ordine della
Corte Suprema di sospendere il giudizio del Tribunale Speciale nella scheda 3
delle cartelle.
Ad oggi continua così. I procedimenti
dinanzi al Tribunale Speciale sono sospesi. Non vi è alcuna
prospettiva che la sospensione di tali procedimenti sarà revocata, o che l’accusa presenterà i risultati dell’indagine del NIA,
che era stata bloccata dal ricorso dell’Italia e dei marò, che presenterà detto rapporto al Tribunale Speciale o che gli imputati
avranno la loro opportunità di rispondere a detta causa. Non vi è alcuna possibilità che ciò accada in un
prossimo futuro, e certamente non prima che il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII sia istituito e funzionante.
La dichiarazione allarmistica di Sir Daniel di stamane
che i procedimenti penali contro i marines sono imminenti e che questo abbia
cristallizzato la situazione d’urgenza è del tutto falso.
Non si tratta di quale sia la situazione, e non che la situazione è a causa dell’Italia e dei suoi marines che abbiano presentato ricorso
dinanzi ai tribunali indiani. A parte le tattiche dilatatorie che l’Italia e i suoi marines hanno esercitato negli ultimi due
anni e mezzo, non c’è alcun rischio che un pregiudizio irreparabile possa
essere causato ai diritti dell’Italia dal
continuo esercizio della giurisdizione da parte delle autorità giudiziarie e
amministrative indiane.
E c'è ancora di più. Infatti, su sollecitazione
dei marò, l'udienza era stata fissata per il
13 luglio 2015 per ascoltare gli argomenti concernenti la Scrittura No. 236. Il
4 luglio, invece, i marines hanno depositato una nuova richiesta alla Corte
Suprema chiedendo alla Corte di rinviare l'udienza a dopo che il tribunale
arbitrale di cui all'allegato abbia deciso il caso. In altre parole, dopo aver
lamentato dei ritardi e aver presentato una petizione nel 2014, chiedendo alla
Corte Suprema dell'India di pronunciarsi sulle questioni di competenza e delle
immunità, i marines ora hanno cambiato idea e
vogliono che la Corte Suprema si astenga dal giudicare la petizione.
In risposta a questa nuova applicazione, la Corte ha
assecondato i marò ancora una volta annullando l’udienza del 13
luglio e consentendo a entrambe le parti di depositare atti processuali nel
corso delle settimane successive. Ma prima che l’India potesse
presentare anche la propria risposta, l’Italia ha
presentato la sua richiesta di misure provvisorie innanzi a questo Tribunale.
In breve, la posizione dell’Italia è totalmente in
malafede. Da un lato, sedici mesi fa i marò hanno chiesto alla Corte Suprema indiana di decidere due
delle questioni essenziali del caso: le questioni della giurisdizione e dell’immunità. Dall’altra parte, poco prima che la Corte Suprema fosse convocata
per un’udienza a riguardo, i marò si sono
presentati innanzi a Voi ed hanno dichiarato: “No, noi vogliamo
rinviare tale procedimento”, e l’Italia si è presentata con la sua richiesta di misure provvisorie,
dicendo che è necessaria un’ingiunzione in quanto tali questioni
dovrebbero essere lasciate al tribunale arbitrale di cui all’allegato VII.
Nella sua forma più generosa, queste manovre dimostrano che la tempistica
della richiesta italiana per i provvedimenti provvisori è del tutto
arbitraria, e che non v’è alcuna situazione
d’urgenza che giustifichi la prima presentazione italiana.
Esaminati con maggiore obiettività, essi
costituiscono, in realtà un abuso del processo ed hanno permesso la menzogna dell’accusa italiana che vi sia stato un fallimento del
processo giudiziario indiano o in qualche modo l’assenza di un
giusto processo. Ciò non è assolutamente vero.
Per riassumere la questione dell’urgenza con riferimento alla prima domanda, non è cambiato nulla da
marzo 2014, che abbia creato una situazione di urgenza. I procedimenti
giudiziali del Tribunale Speciale sono stati in sospeso per sedici mesi. L’ultima nota diplomatica che l’Italia ha inviato all’India è stata ad aprile
2014. Non c’è assolutamente alcuna prova a sostegno della tesi del consulente legale che
fu solamente a maggio di quest’anno che fu
evidente che non è stata possibile alcuna soluzione diplomatica della controversia. Non
accadde nulla a maggio per cambiare quello che era stato lo status quo negli
ultimi 14 mesi. Inoltre, la recente protesta diplomatica creata per conto dei
marò in relazione alla loro richiesta alla Corte Suprema di rinviare un’udienza sulle questioni che gli stessi marines avevano
presentato, è interamente di loro produzione. La tempistica della notifica italiana così come la sua
richiesta di misure provvisorie è quindi del tutto arbitraria; è in contrasto con
le richieste che i marò stessi avevano presentato alla Corte Suprema; ed è artificioso asserire
l’urgenza quando non esiste.
Negli ultimi minuti, signor Presidente, ho bisogno di
spendere qualche parola sulla questione del pregiudizio irreparabile e la
necessità di tutelare i diritti delle parti, compresi i diritti dell'India.
La richiesta dell'Italia si fonda sul presupposto che
"i diritti dell'Italia subiranno un danno irreversibile" se all'India
viene permesso di continuare ad esercitare la giurisdizione sui marines e
sull'incidente. Ho dimostrato che questo non è assolutamente vero. L’Italia e i suoi
marines hanno usato più e più volte – anzi si potrebbe dire abusato de – il processo
giudiziario indiano. Dato il modo imparziale in cui la corte suprema indiana ha
trattato le loro domande, unitamente alla natura delle domande che gli stessi
marò hanno presentato alla corte, non c’è alcun fallimento di giusto processo e nessun rischio di
danno irreparabile ai diritti dell’Italia e non è necessario far
cessare l’India dall’esercizio della sua giurisdizione, nonostante gli
impedimenti che l’Italia e i marò hanno cercato di
immettere nel procedimento indiano.
Ciò che l’Italia ignora
sconsideratamente è che, se non altro, l’India possiede
diritti anche più importanti che devono essere tutelati. I due pescatori hanno già sofferto il danno
più irreversibile che
si possa immaginare. Essi sono stati uccisi a causa delle azioni dei marines.
Questa mattina Sir Daniel ha suggerito che ciò stava compromettendo la questione. Il
mio dotto amico da dove pensa che provenivano gli spari? E perché l’Italia avrebbe aperto un’inchiesta contro
i marò per il reato di omicidio? Nessun ammontare di risarcimento può riportare in vita
i due pescatori morti o portare conforto alle loro famiglie e ai loro cari. Non
ci servono certificati per fare il punto su qualcosa del tutto evidente. Le
famiglie e le persone care delle vittime continueranno a soffrire gravi danni
emotivi sino a quando il caso non sarà giudicato e deciso. Ciò che può essere tutelato e ciò che dovrebbe
essere preservato, l’India sostiene, è l’attesa di questi individui affinché sia fatta
giustizia e che i tribunali indiani possano continuare il procedimento che sono
stati avviati, nonostante i ripetuti tentativi dell’Italia e dei marò di interromperlo. Il diritto di fare luce attraverso
questo processo è un diritto fondamentale dell’India, ed una
responsabilità che deve alle vittime di questo tragico evento, e la prima domanda dell’Italia ha l’effetto di
calpestare questi diritti. L’India sostiene
rispettosamente che debba essere respinta.
L'Italia sostiene che se i tribunali indiani e le autorità amministrative
sono autorizzati a continuare ad esercitare la giurisdizione, l'Italia subirà danni
irreversibili a causa del – cito dagli atti
processuali dell'Italia –
rischio di pregiudizio alle future decisioni del tribunale
arbitrale di cui all’allegato
VII.
Tale affermazione è offensiva per l'India e non ha alcun merito. I tribunali
indiani hanno agito in maniera esemplare. Lo stesso non può proprio dirsi
della condotta dell’Italia e dei suoi
marines. Non ci sono motivi per lo spettro sollevato dall'Italia che l'India e
i suoi tribunali non potranno comportarsi giustamente in futuro. L’India rispetta il diritto internazionale. Ciò include gli
impegni che l’India ha assunto in base alle
disposizioni della convenzione di Montego Bay, compreso l'allegato VII. Poiché il Tribunale è ben consapevole,
l'articolo 11 dell'allegato VII prevede che la sentenza del tribunale arbitrale
sarà definitiva e vincolante, e che deve essere rispettata da entrambe le parti
della controversia. Questo è più che sufficiente per rispondere alle preoccupazioni
dell'Italia.
Signor Presidente, signori membri della corte, ciò mi conduce al
termine del mio intervento. Vi ho mostrato il motivo per cui la prima istanza
dell’Italia non soddisfi i requisiti per la
prescrizione di misure provvisorie né risulti la tutela dei diritti dell’India, per non parlare dei diritti delle vittime, le vere
vittime qui, i pescatori e le loro famiglie.
Ringrazio il Tribunale per la sua attenzione, e Le
chiedo, signor Presidente, che la parola possa essere data ora al professor
Pellet.
SIG. PRESIDENTE: Grazie, signor Bundy. Do’ ora la parola
nuovamente al professor Pellet per le difese orali dell’India.
MR PELLET: Signor
Presidente, illustri membri del Tribunale, nella sua seconda richiesta l'Italia
vorrebbe che il Tribunale garantisca che le restrizioni alla libertà, alla sicurezza e al movimento dei marò siano immediatamente
revocate per consentire al sergente Girone di viaggiare verso e rimanere in
Italia e al sergente Latorre di rimanere in Italia per tutta la durata del
procedimento dinanzi al Tribunale arbitrale di cui all’allegato VII.
A parte la mancanza prima
facie del tribunale arbitrale di cui all’allegato VII
competente a decidere su esso, di cui ho parlato giusto prima della pausa,
questa richiesta è soggetta ad una serie di obiezioni che vi impedisce di concederlo, illustri
membri del Tribunale. Come il primo provvedimento, non può essere giustificata
da motivi di urgenza. Non è necessario al fine di salvaguardare i diritti rivendicati
dall’Italia in questo caso, ma
pregiudicherebbe più seriamente quelli dell'India e costituirebbe un
pre-giudizio, reso ancora più odioso dalla mancanza di giurisdizione di questo
tribunale a pronunciarsi sul merito.
Signor Presidente, il rilassamento delle benevoli e
benigne condizioni di cauzione imposte ai signori Girone e Latorre non può essere
giustificato e chiaramente non c’è alcuna urgenza.
Ho intenzione di dimostrare il punto, ma prima di farlo
vorrei tornare a quello che abbiamo sentito stamattina. Signor Presidente,
questi due individui sono accusati di omicidio e nessuno ha ancora sostenuto
che l'accusa è stata portata con leggerezza - nemmeno l'Italia, che sostiene senza prova
di aver condotto una indagine penale. L'imposizione di condizioni cauzione è assolutamente
normale conseguenza di una tale situazione. E 'inevitabile che queste
condizioni portano ad un minimo di disagio e di stress per gli interessati e la
loro famiglia e gli amici. L'uccisione dei due pescatori indiani ha anche
causato disagio e stress. E 'sempre saggio confrontare le sofferenze di persone
diverse, ma posso suggerire che la morte, che è irreversibile, è molto più tragica della
minaccia di essere portati in giudizio.
Prima di dimostrare che l'urgenza rivendicata dall’Italia è frutto della sua immaginazione, penso che non sarebbe una
brutta cosa risalire ai fatti. Dopo l'inchiesta preliminare sull'uccisione dei
due pescatori indiani, i signori Girone e Latorre sono stati arrestati dalla
Polizia di Stato del Kerala il 19 febbraio 2012.38 Il 19 aprile, prima che l'indagine fosse stata
completata, gli imputati e l'Italia ha contestato la legittimità delle indagini
presso la Corte Suprema.
La relazione finale dell'indagine, che ha confermato le
accuse, è stata completata in data 15 maggio 2012.
Gli imputati sono quindi comparsi il 30 maggio davanti
all'Alta Corte del Kerala, che ha ordinato il loro rilascio su cauzione
Gli imputati, una volta rilasciati, avrebbero potuto e
dovuto essere processati molto rapidamente se, insieme all’Italia, non avessero contestato la competenza dell’Alta Corte del Kerala e avanzato procedimenti innanzi
alla Corte Suprema il 19 aprile.
Ciò non ha impedito loro di richiedere dell'Alta Corte un
rilassamento delle loro condizioni di cauzione e il permesso di andare a
trascorrere due settimane in Italia per le vacanze natalizie. Il giudice ha
accolto tale richiesta il 20 dicembre Sono tornati in India il 3 gennaio 2013, come concordato
e previsto.
Ciò tuttavia non è avvenuto a seguito della decisione, questa volta da parte
della Corte Suprema, il 22 febbraio, accordando alle loro richieste di permesso
di andare in Italia per quattro settimane per poter votare, a condizione che
tornassero alla scadenza di tale termine accordato più che generosamente, e tuttavia, nonostante l’impegno assunto a riguardo dall’ambasciatore italiano, essi sono tornati solo dopo un’estenuante trattativa diplomatica di guerra tra i due
Paesi.
Ciò non ha impedito alla Corte Suprema, ancora una volta di
accordare la richiesta del signor Latorre che il suo obbligo di riferire
periodicamente alla questura fosse revocato a causa dei suoi problemi di
salute.
La Corte Suprema ha anche accolto la richiesta dello
stesso imputato di andare in Italia per quattro mesi per motivi di salute.
Questo è stato concesso attraverso un’ordinanza del 20
settembre 2014.
La stessa cosa per le successive due richieste da parte
del signor Latorre affinché il periodo di permanenza in Italia venisse esteso. Una
proroga di tre mesi è stata accordata con un’ordinanza del 14
gennaio 2015.
Un’ulteriore proroga
di tre mesi è stata concessa il 9 aprile 2015.
Anche dopo il deposito della notifica del 26 giugno, la
Corte Suprema ha esteso ulteriormente tale autorizzazione per altri sei mesi.
In nessuna di queste circostanze l'India si è opposta ad un
ammorbidimento delle condizioni di cauzione imposte all'accusato.
Contrariamente a quanto l'Italia vorrebbe farci credere, l'Unione indiana non ha fatto
eccezione alla richiesta del signor Girone del 9 dicembre 2014, e per la più convincente delle
ragioni. La richiesta è stata ufficialmente ritirata, come indicato nell'Ordine
della Corte Suprema del 16 dicembre 2014.53 Per quanto riguarda la richiesta del Girone, del 4
luglio 2015, l'India è stata invitata a rispondere con un ordine dello stesso
tribunale del 13 luglio, che prevede un'udienza che si terrà il 26 agosto a
tal proposito – il 26 di questo mese, in altre parole.
Questi fatti parlano da sé. Non c'era
alcuna urgenza di revocare le (molto clementi) condizioni di cauzione dei due
marò italiani accusati di omicidio, tra cui un soggiorno a tempo indeterminato
in Italia nel caso del signor Latorre od un ritorno in Italia nel caso del sig
Girone.
Per quanto riguarda il primo, il signor Latorre, egli
naturalmente è già in Italia. Il permesso di rimanervi è stato esteso dalla Corte Suprema il 13 luglio, è vero per soli
altri sei mesi, allorché lui e l’Italia chiedevano
che fosse permesso di rimanere lì sino al termine del procedimento innanzi al tribunale
arbitrale di cui all’allegato VII – che, per inciso,
non sembra esservi un ardente desiderio da parte dell’Italia di giungere ad una rapida conclusione del
procedimento. Le osservazioni di Sir Michael non sono rassicuranti su questo
punto. Lasciatemi citare noi non sappiamo quando verrà costituito il
tribunale di cui all'allegatoVII, o quando sarà in grado di agire.
Tale pessimismo è ingiustificato.
Il mio instancabile assistente, Benjamin Samson, ha fatto i suoi calcoli e
sostiene che ci vogliono in media appena tre mesi di tempo per istituire un
tribunale arbitrale di cui all'allegato VII. Nulla per inciso, avrebbe
giustificato tale estensione, e certamente non l'urgenza. Il sig. Latorre è autorizzato a
rimanere in Italia fino al 15 gennaio prossimo, in altre parole, ben oltre il
tempo necessario a costituire il tribunale di cui all'allegatoVII, e secondo
tutte le indicazioni, la Corte Suprema sarà d’accordo a un
prolungamento del suo soggiorno in Italia se lo richiederanno le sue condizioni
di salute. Non vorrei discutere i contenuti del file medico confidenziale che l’Italia ha allegato alle sue deposizioni, ma vorrei
segnalarvi, membri del tribunale, alcuni estratti da quel file, come copiato al
paragrafo 3.43 delle nostre osservazioni scritte, che stabiliscono che
contrariamente a quanto è stato detto, lo stato di salute dell’imputato non sta solo cambiando, come confermato
stamattina da Sir Daniel, come considerazione statica ma in più la sua salute è in via di
guarigione. Questo
ovviamente giustificherebbe una visita medica di tanto in tanto. Certamente non
giustifica una proroga a tempo indeterminato per motivi di urgenza.
Per quanto riguarda il signor Girone, il suo destino è infinitamente
meno tragico e patetico di quanto l’Italia voglia
farci credere. Fatto salvo solo per l’obbligo di
riferire una volta la settimana alla stazione di polizia a tre chilometri giù dalla strada
della residenza dell’ambasciatore
italiano, egli sta
trascorrendo un piacevole periodo nella residenza. La sua famiglia ha diritto a
fargli visita. Lo hanno fatto in diverse occasioni. Suo figlio e sua moglie lo
ha visitato otto volte, sua sorella sei volte, i suoi genitori cinque volte.
Per quanto riguarda le visite dei familiari al signor Latorre quando era agli
arresti domiciliari, i numeri sono comparabili. Vorrei far notare, inoltre,
che, sin dal ritorno del signor Girone a Delhi nel marzo 2013dopo le quattro
settimane generosamente concesse, ma eccessivamente estese, che ha potuto
trascorrere in Italia ed esercitare le sue funzioni di cittadino, il signor
Girone non ha assolutamente fatto alcuna richiesta per eventuali modifiche alle
condizioni di cauzione cui era stato soggetto sino al 9 dicembre 2014. In quella data ha chiesto il permesso
di tornare in Italia, ma, contrariamente a quanto è stato ripetutamente
affermato dalla controparte, la Corte Suprema non ha respinto tale richiesta;
fu lo stesso signor Girone che si ritirò durante l'udienza. La Corte Suprema ha semplicemente
notificato il ritiro nella sua ordinanza del 16 dicembre 2014. Né i 22 mesi trascorsi tra il ritorno di
Girone in Italia e la sua richiesta del dicembre 2014, né il ritiro di tale
richiesta prima di qualsiasi reazione da parte dell’India, testimoniano una particolare urgenza. Eppure,
nulla è cambiato da allora per quanto riguarda lo stato degli accusati, fatta eccezione
per la notifica italiana del 26 giugno, che non può di per sé ragionevolmente
avere alcun impatto sulla urgenza di revocare le condizioni di cauzione. Ma
questo non ha impedito al signor Girone di depositare il 4 luglio 2015 la
richiesta che tutti i procedimenti siano fermati sino a quando il tribunale
arbitrale di cui all’allegato VII non
abbia raggiunto la sua decisione. Ciò riguarda, ovviamente, in primo luogo il primo
provvedimento provvisorio, ma certamente non può avere alcun impatto su quanto urgente
sarebbe per voi pronunciarsi sulla seconda misura.
Signor Presidente, signori membri del Tribunale, la
seconda misura non può essere giustificata da motivi di urgenza, come richiesto
dall’Italia, molto meno vi può essere alcuna
forma di urgenza grave ad agire innanzi a questo Tribunale prima che il
tribunale di cui all’allegato VII
possa costituirsi. Tale ragione da sola rende inammissibile la richiesta, ma
non è la sola ragione.
Se doveste accogliere tale domanda, signori membri del
tribunale, pregiudichereste i diritti dell’India di cui
trattasi nella fattispecie e li pregiudichereste in maniera irreversibile.
Molto brevemente, vorrei ancora una volta visualizzare la
seconda misura provvisoria richiesta dall'Italia, ciò a cui sono
interessati per il momento. Il suo obiettivo è di prescrivere che l'India
"prenda tutte le misure necessarie per garantire che le restrizioni alla
libertà, alla sicurezza" – come se la loro
sicurezza fosse in pericolo – "e il
movimento dei marines siano immediatamente revocate in modo che possano
viaggiare per in Italia e rimanervi per tutta la durata del procedimento
dinanzi al tribunale arbitrale di cui all’allegato VII
".
In altre parole, vi si chiede semplicemente di revocare
tutte le misure di controllo giudiziario, per quanto lieve, imposte a coloro
che sono accusati – accusati di omicidio, vi ricordo.
Nella sua richiesta di cui alla lettera (d), l'Italia
chiede al Tribunale di dichiarare che "l'India deve cessare di esercitare
qualsiasi forma di giurisdizione sul incidente della Enrica Lexie e sui marò italiani,
comprese le eventuali misure di restrizione per quanto riguarda il sergente
Latorre ed il sergente Girone". Tuttavia, se questo Tribunale dovesse
accogliere la richiesta dell’Italia, il
tribunale arbitrale di cui all’allegato VII
verrebbe a trovarsi con nulla da
decidere. I due imputati potrebbero godere di un momento tranquillo in Italia
senza essere soggetti ad alcuna misura coercitiva dal momento che tali misure
sarebbero state abolite dal Tribunale. Questo sarebbe un pregiudizio, signor
Presidente, che annullerebbe interamente ogni pretesa dell'Italia nel merito.
Tale decisione sarebbe incompatibile con il vero scopo
delle misure provvisorie, che è quello di tutelare i diritti delle parti in attesa della
sentenza di merito, di non prefigurare tale sentenza o per giungere ad una
situazione in cui, in definitiva, non c'è nulla da decidere. Come il Tribunale ha più volte dichiarato,
un'ordinanza che prescrive provvedimenti
provvisori – e cito:
non pregiudica affatto la questione della giurisdizione
del tribunale arbitrale di cui all’allegato VII nell’affrontare il merito della causa, o ogni altra questione
riguardante il merito stesso.
La Camera speciale formata in Ghana / Costa d'Avorio ha
recentemente costituito esattamente lo stesso punto:
l'Ordinanza non deve pregiudicare alcuna decisione nel
merito.
Tale requisito è anche conforme alla consolidata giurisprudenza della
Corte internazionale di giustizia.
Inoltre, signori membri del tribunale, ci sono due
fattori aggiuntivi cui vi invito a prestare particolare cautela a riguardo.
In primo luogo, e soprattutto, prescrivendo il
provvedimento provvisorio richiesto dall’Italia, si potrebbe
pregiudicare non solo il merito della causa a suo favore, ma si andrebbe
seriamente a minare, forse
irrimediabilmente, le pretese che l'India intende affermare e, in secondo
luogo, non sarebbe appropriato per questo tribunale, che non è la sede
"naturale" per decidere questo caso nel merito, se così posso dire, per
sostituire il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII la
cui costituzione è stata richiesta dall’Italia e che è l'unico
autorizzato a governare nel merito
Sul primo punto, e questo è solo un promemoria, ma non riguarda un
aspetto importante, questo caso è stato portato davanti a voi, membri del Tribunale, quasi
"per difetto", perché l'istanza, che in linea di massima è competente a
pronunciarsi sul caso, non è stata ancora costituita. Naturalmente, ciò non impedisce
alle parti di decidere di comune accordo di portare il caso dinanzi a questo Tribunale,
come è accaduto nel caso del Bangladesh /Myanmar, o, se del caso, a una sezione
speciale, che è ciò che la Costa d 'Avorio e Ghana hanno deciso, nel caso che ho appena citato,
ma finché questo non accade - e non è ancora successo - il vostro Tribunale deve, credo, agire
con particolare cautela e moderazione, tanto più in quanto è necessario
valutare fatti che, a meno che le parti non decidano diversamente, saranno
discussi e giudicati in altra sede.
Senza alcun dubbio, ai sensi del paragrafo 5
dell'articolo 290 della Convenzione sul diritto del mare, una volta costituito,
il tribunale a cui è stata presentata la controversia – nel nostro caso
un tribunale arbitrale di cui all’allegato VII – potrebbe in linea
di massima "modificare, revocare o confermare tali misure provvisorie
".
Ma si deve ammettere, signor Presidente, che non è particolarmente
pratico. Richiederebbe che le parti (di propria iniziativa o su iniziativa di
tale tribunale) invochino la loro causa di nuovo davanti al tribunale, che lo
rende una sorta di organo d'appello nei confronti della decisione presa dal Tribunale
stimato. Ciò non è molto soddisfacente o molto sano e non vi è tanto più motivo per non procedere in questo
modo poiché, sia come Rodman Bundy ed io abbiamo
dimostrato, la fretta con cui l'Italia ha portato questo caso dinanzi a voi,
non può essere giustificata in alcun modo, a meno che non sia per
"ragioni" – "ragioni" tra virgolette – relative alla
politica interna o a propaganda elettorale, su cui, i membri del Tribunale,
naturalmente non possono essere in grado di concentrarsi.
Inoltre, come ho già detto, c'è un altro motivo che dovrebbe indurre questo tribunale a
dar prova di moderazione.
Non si può sopravvalutare il fatto che le misure provvisorie
previste da un organo giudiziario, qualunque esso sia, abbiano lo scopo di
tutelare i diritti di entrambe le parti. Come la sezione speciale in Ghana /
Costa d'Avorio, il Tribunale
deve preoccuparsi di tutelare i rispettivi diritti che
possono essere giudicate nella sentenza sul merito di appartenere a una delle
parti.
Sir Michael ha citato questo passaggio stamane, ed è stato anche
evidenziato da Rodman Bundy. Accogliendo la richiesta dell’Italia, si andrebbe ben oltre la tutela dei diritti di
quel paese. Si anticiperebbe il loro riconoscimento nel giudizio sul merito e,
allo stesso tempo, si comprometterebbe ogni possibilità dell'India nel
vedere riconosciuti i propri diritti o almeno applicati efficacemente.
Abbiamo già posto l’accento, signor
Presidente, sul ripetuto fallimento dell’Italia a
mantenere la parola sovrana, la parola di uno Stato sovrano. Credetemi, non
proviamo piacere in questo, ma è un elemento chiave sul quale l’Italia ha mantenuto un silenzio curioso e totale nella
notifica del 26 giugno e nella richiesta del 21 luglio, e questa mattina i suoi
legali hanno fatto tutto il possibile per tentare di aggirare il problema.
Vorrei fare riferimento prima di tutto alla garanzia
fornita in una dichiarazione formale resa davanti alla Corte Suprema
dell'India, secondo la quale l'Italia era... favorevole a dare una garanzia alla Corte Suprema
dell'India che, se la presenza di questi marines è richiesta da un tribunale ovvero in
risposta a qualsiasi atto di citazione emesso da qualsivoglia tribunale o
legittima autorità, allora (fatto salvo il loro diritto
di contestare la produzione di tali citazioni o la legittimità di qualsiasi
ordinanza) l'Italia deve assicurare la loro presenza davanti al tribunale o
autorità competente.
Tale affermazione,
visualizzata sullo schermo solo ora da Rodman Bundy, si può trovare nella
scheda 16 delle cartelle, signori membri del Tribunale, e vorrei richiamare
alla vostra attenzione la parola "presenza", che appare due volte.
Con tutto il rispetto per Sir Daniel, non è proprio compatibile semplicemente tenendo una teleconferenza.
L'altro impegno solenne che l’Italia non è riuscita a onorare è stato dato anche davanti alla Corte Suprema indiana
attraverso una dichiarazione giurata dell'ambasciatore italiano a sostegno
dell'impegno da parte degli imputati di tornare in India dopo quattro settimane
di ferie in Italia, che avevano richiesto, al fine di poter votare alle
elezioni del febbraio 2013. Fu in questa circostanza esplicita, il loro
ritorno, che la Corte Suprema, avente piena fiducia nella parola dell’ambasciatore di uno Stato estero, ha accolto la richiesta
presentata dal sig. Latorre e del sig. Girone, e cito:
Il suddetto intervistato [cioè Daniele Mancini,
Ambasciatore d'Italia in India] ha anche affermato una dichiarazione giurata di
impresa il 9 febbraio 2013, per cui ha preso la piena responsabilità per il
richiedente nn. 1 e 2 [cioè i due marines] per procedere in Italia sotto la custodia
e il controllo del Governo d'Italia e per garantire il loro ritorno in India in
termini di questo ordine.
E ripeto:
per garantire il loro ritorno in India.
l'Italia non ha onorato le
sue promesse sovrane in nessuno di questi due casi. Gli altri quattro marines
non si sono recati in India per essere interrogati dal National Investigation
Agency, cui è stata affidata l'inchiesta, avendo l'Italia dichiarato che – cito da una nota
verbale:
i citati quattro marò italiani [curiosamente tutti e quattro ...] sono
attualmente assegnati a posti sensibili e sarebbe difficile rilevarli dai loro
compiti.
Per quanto riguarda gli imputati, sì, come Sir Daniel ha sottolineato questa mattina, hanno
fatto ritorno in India dopo le quattro settimane di "congedo
elettorale", ma solo dopo un periodo di altissima tensione diplomatica tra
i due Stati dopo che
l'Italia ha formalmente dichiarato – e cito ancora:
i due marò italiani, il signor Latorre e il signor Girone, non
torneranno in India alla scadenza del permesso concesso a loro.
Sir Daniel non citò questo, eppure è chiaro come è schietto.
Si può ben pensare, signori membri del Tribunale, che un
informale atteggiamento del genere nel mantenere la parola non può accadere di
nuovo, questa volta non per gli impegni unilaterali dell’Italia, ma per gli obblighi derivanti dalla decisione di
un alto tribunale internazionale, e che l'India dovrebbe non essere preoccupata
per i propri diritti rispettati. Se il tribunale di cui all’allegato VII decide, come riteniamo dovrebbe, che l'India
ha il diritto di giudicare gli imputati, l'Italia deve assicurare che sia in
grado di farlo. Purtroppo, temo che questa è una visione un po' ottimistica della
situazione.
Signor Presidente, nessuno contesta che l'Italia è uno Stato
governato dallo stato di diritto, almeno nella misura in cui il proprio diritto
interno è interessato, ma quando si tratta di diritto internazionale, è una questione del
tutto diversa. Come abbiamo notato nelle nostre osservazioni scritte, le più alte corti
italiane, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione, consentono
sistematicamente i principi del diritto costituzionale italiano, interpretato
in senso lato, di prevalere sugli obblighi internazionali dell'Italia. In
questo senso, la sentenza 238/2014 della Corte costituzionale italiana, che
cita numerose pronunce di entrambi i giudici supremi, non lascia spazio a dubbi
(gli estratti pertinenti, che sono più di quelli indicati sullo schermo, sono riportati nella
scheda 20 delle cartelle). Leggerò quelli che mi sembrano essere i passaggi più rilevanti:
Come è stato confermato più volte da questa Corte, non vi è dubbio che i
principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale e dei diritti umani
imprescindibili costituiscono un "limite per l'introduzione (...) di norme
generalmente riconosciute del diritto internazionale, a cui il diritto italiano
si conforma ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 1 della Costituzione
"(...).
Spetta esclusivamente alla Corte assicurare il rispetto
della Costituzione e in particolare dei suoi principi fondamentali, e quindi di
esaminare la compatibilità della normativa internazionale (...) di tali principi.
(...) Un simile controllo è essenziale alla luce dell'articolo 10, paragrafo 1, della
Costituzione, che impone che questa Corte verifichi se la norma consuetudinaria
internazionale della immunità dalla giurisdizione degli Stati esteri, come interpretato
nell'ordinamento giuridico internazionale, può essere incorporata nell'ordine
costituzionale, in quanto non è in conflitto con i principi fondamentali e i diritti
inviolabili. [Al contrario], se ci fosse un conflitto, “il rinvio alla normativa internazionale non
opererebbe" (sentenza n ° 12 311/2009). Pertanto, l'incorporazione, e quindi
l'applicazione, della norma internazionale sarebbe inevitabilmente esclusa, in
quanto è in conflitto con principi e i diritti inviolabili.
Queste citazioni sono
abbastanza lunghe, signor Presidente, ma sono utili per capire perchè il ritorno degli
imputati in Italia – almeno del sig. Girone perché il signor Latorre
è già lì – porrebbe fine alla speranza dell'India di essere in grado
di giudicarli, tanto più che la legge indiana impedisce un processo in contumacia
in un caso del genere.
Non metto in dubbio, signor Presidente, che Sir Daniel è sincero nel
pensare di poter sottoscrivere un impegno innanzi a Voi che gli imputati
sarebbero tornati in India se la giurisdizione dei suoi tribunali fossero
decise dal tribunale arbitrale di cui all’allegato VII.
Purtroppo, non credo che il mio amico stimato può impedire la giurisprudenza che ho
appena citato dall’essere applicata a questo caso, come è stato in quello
Germania c. Italia. Anche se non ho il tempo di soffermarmi su questo punto,
vorrei aggiungere che la sentenza del 22 ottobre 2014 è di interesse non
solo per queste ragioni di principio, ma in particolare:
Esso dimostra un chiaro rifiuto da parte della suprema
Corte costituzionale italiana dell’esecuzione di una
sentenza della Corte internazionale di giustizia. Lo stesso potrebbe applicarsi
ai conferimenti da parte di un tribunale arbitrale, che ha “ancor meno” carattere esecutivo in assenza di protezione equivalente,
che è certamente piuttosto illusoria, a quella offerta dall’articolo 94 della Carta delle Nazioni Unite per l’esecuzione delle decisioni ICJ.
La sentenza della Corte Costituzionale italiana riguarda
questioni di immunità da giurisdizione, che sono davvero differenti da quelle
sollevate dall’Italia in questo caso. Ciononostante,
essa offre alcuni chiarimenti interessanti circa l'idea italiana della nozione
di immunità e dei suoi limiti. A titolo di prova, mi limiterò a dare questa
ultima citazione – la porterò in inglese poiché non ho trovato una traduzione francese della sentenza
della Corte:
Immunità dalla giurisdizione di altri Stati ... può giustificare sul
piano costituzionale il sacrificio del principio di tutela giurisdizionale dei
diritti inviolabili garantiti dalla Costituzione, solo quando è collegato -
sostanzialmente e non solo formalmente - alle funzioni sovrane dello straniero
Stato, vale a dire con l'esercizio dei suoi poteri di governo dubito, signor Presidente,
che l'assassinio di pescatori disarmati che non posano assolutamente alcuna
minaccia sia connesso con l'esercizio dei poteri di governo.
I diritti che erano in esame non sono certamente estranei
a questo caso. In tale sentenza la Corte fa riferimento all'articolo 2,
relativo alla garanzia dei "diritti umani inalienabili", e
all'articolo 24 della Costituzione italiana, sul diritto di accesso alla
giustizia, su cui l'Italia può benissimo contare nel caso in esame a fine di liberarsi
dall'obbligo di rispettare il futuro giudizio del tribunale arbitrale.
Se da un lato, questo Tribunale prescrive la seconda
misura provvisoria che viene richiesta e se, dall’altro, il
tribunale di cui all’allegato VII sostiene
il caso dell’India, è altamente improbabile – e si sta usando
un eufemismo – che l’Italia rispetterà il giudizio e che
obblighi i due imputati a tornare in India per essere giudicati lì – tanto più se il tribunale arbitrale di cui all’allegato VII dovesse constatare che entrambi gli Stati
siano competenti a giudicare il loro caso.
Non pensiamo che sia questo il caso, ma l'ipotesi, che
non può essere respinta a priori, dimostra quanto sia grave l'argomento del
pregiudizio. L’ordine dell’India per restituire gli imputati – almeno il sig.
Girone, poiché le probabilità che il sig. Latorre torni in India, sebbene la sua salute migliori, sono
poche (che è anche un eufemismo - infinitesimale sarebbe più preciso) – come stavo dicendo,
ordinare questo equivarrebbe a sostenere in anticipo che l’India non è competente a giudicarli o privare l’India anticipatamente di qualsiasi possibilità di esercitare
tale competenza.
Fa questo del signor Girone un “ostaggio”, come l’Italia sostiene scandalosamente, e come Sir Daniel ha avuto l’audacia di ripetere stamattina? Ovviamente no. Mi
riferisco alla Convenzione contro la presa degli ostaggi del 1979:
Qualsiasi persona che prende o detiene e minaccia di
uccidere, ferire o continuare a detenere un'altra persona (...) al fine di
costringere un terzo, vale a dire, uno Stato, un'organizzazione internazionale
intergovernativa, una persona fisica o giuridica, o di una gruppo di persone,
di fare o astenersi dal fare qualsiasi atto come condizione esplicita o
implicita per la liberazione dell'ostaggio commette il reato di presa di
ostaggi ("presa di ostaggi"), ai sensi della presente convenzione.
L’India non ha mai praticato tale ricatto e fa sì che tale
insinuazione sia odiosa. Ciò che è vero, però, è che la presenza
del sig. Girone sul suolo indiano offre la garanzia che egli sarà in grado di
essere giudicato una volta che arrivi il momento; in altre parole che i diritti
che l'India farà valere davanti al tribunale di cui all'allegato VII, se riconosciuto come
competente, possano essere effettivamente esercitati. Questo è il fine
perfettamente legittimo di un qualsivoglia controllo giudiziario. Prescrivendo
che l’Italia dovrebbe concedergli di andare
in Italia, come l’Italia ha chiesto, voi “garantirete” (se così può dirsi) che l’India sarà privata di quella
possibilità; andreste a prescrivere un tipo di
misura “anti-cautelare”.
Sarebbe anche una misura ingiusta che verrebbe percepita
come illegittima dal pubblico indiano, e sarebbe comprensibile.
Questi due individui, signor Presidente, sono accusati di
omicidio.
Essere posti sotto controllo giudiziario è la normale
conseguenza di una tale accusa, anche se questo è certamente stressante per coloro che
sono coinvolti e quelli vicini a loro.
Detto questo, i due marines stanno beneficiando di un
trattamento particolarmente favorevole. Non ho sentito parlare di casi in cui
le persone contro cui vi siano tali gravi accuse siano più o meno libere di
muoversi come vogliono e condurre una vita abbastanza piacevole, a parte,
ovviamente, i problemi di salute di Latorre.
Tuttavia, i tribunali indiani, sia che si tratti dell’Alta Corte del Kerala o della Corte Suprema, hanno
dimostrato grande indulgenza per lui a titolo umanitario, senza farlo pagare
per la maleducazione del suo paese.
Non si può dire che l'Italia abbia mostrato la stessa compassione
verso le vittime e le loro famiglie, che sono quelli dimenticati nelle
deposizioni italiane.
La notifica e la richiesta, per non parlare della difese
orali di questa mattina, si sforzano di smuovervi pietà per il destino
dei due imputati, ma non vi è alcuna menzione delle vittime. E 'molto semplice, signor
Presidente: questa parola non viene utilizzata neanche una volta, non una sola
volta! Questo vale anche per le memorie scritte ed è vero anche per le
difese orali svolte di questa mattina. Non ho l'abitudine di giocare la carta
emozionale, e sono il primo a pensare che la legge deve essere applicata anche
se porta a risultati che possono essere discutibili nei termini umani - dura
lex, sed lex. Tuttavia, non è questo il problema. L'Italia sta usando l’"argomento compassione" di per sé, senza alcuna connessione con la legge. Illustri membri
del Tribunale, ciò che è la compassione per uno è compassione per tutti, quindi vorrei richiamare la vostra
attenzione74 al fatto che due
famiglie sono in lutto per la perdita di un figlio, un marito, un padre, e in
termini meno emotivo – anche se questo non dovrebbe essere trascurato – un capofamiglia
che sosteneva la famiglia (anche se è una famiglia abbastanza povera) attraverso il suo lavoro.
Il proprietario del St. Antony non ha più alcun reddito
perché non può usare o vendere la sua barca, e il compenso pagato dall’Italia non compensa le perdite subite o la perdita di
guadagno.
Gli altri nove pescatori che erano a bordo della barca il
giorno della sparatoria, soffrono per un trauma a lungo termine.
Oltre a ciò, la comunità del villaggio,
tradizionalmente orientata alla pesca, è stata e rimane in uno stato di profondo shock al punto
che a quanto pare, secondo l'Arcivescovo locale, i pescatori sono riluttanti a
uscire in mare per paura di essere uccisi come conigli da guardie incompetenti
o teste calde.
Signor Presidente, signori del tribunale, queste non sono
considerazioni di diritto; siamo pienamente consapevoli di ciò; ma la giustizia non è necessariamente cieca, e dal momento
che l'Italia ha decisamente preso questa strada abbiamo ritenuto necessario
darvi una descrizione più equilibrata della situazione "umanitaria", che
l'Italia invoca spudoratamente, ma a torto.
Signori Membri del Tribunale, la mia presentazione
termina il primo giro di difese orali della Repubblica dell'India. A nome di
tutta la nostra squadra vorrei ringraziarvi per l'attento e partecipato
ascolto.
Grazie,
signor Presidente.
IL PRESIDENTE: Grazie, signor
Pellet. La prima tornata di argomenti da entrambe le parti è conclusa.
Continueremo l'udienza domani alle ore 10:00 per ascoltare il secondo turno
delle argomentazioni orali d'Italia, e nel pomeriggio, alle 04:30 dell'India.
Fonte: https://www.itlos.org/fileadmin/itlos/documents/cases/case_no.24_prov_meas/ITLOS_PV15_C24_2_E_checked.pdf
https://cdn.fbsbx.com/hphotos-xft1/v/t59.2708-21/11818224_579558112182213_868188643_n.docx/DEPOSIZIONE-INDIANA-PRIMO-GIORNO.docx?oh=e01a6ecf1f1804ed409d542261f0c050&oe=55DF8927&dl=1
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