mercoledì 28 ottobre 2015

Caso Marò: pasticci italiani… di Irene Piccolo

Il 23 ottobre è stato l’ennesimo compleanno di Salvatore Girone passato ai domiciliari a New Delhi. Per quanto, come molti fanno notare, il luogo di custodia non sia il peggior carcere indiano, ma una dépendance della nostra ambasciata, direi che questo poco conta. Il diritto umano da tutelare è il non subire un’ingiusta detenzione. Punto. E non il diritto a non subire un’ingiusta detenzione in un luogo disagiato. Il luogo disagiato può essere un’aggravante della violazione e in certi casi costituire violazione in sé.

Una detenzione, quando è ingiusta, è ingiusta sempre. Indipendentemente dal luogo in cui avviene.

Mi si potrebbe obiettare che il processo non è stato ancora fatto e quindi non posso sapere se è ingiusta o meno. Che parlo per partigianeria. Mi oppongo all’obiezione citandovi un altro diritto umano tutelato dal diritto, nazionale e internazionale: la ragionevole durata del processo. Nel momento in cui questa non viene garantita ne nascono altre conseguenze, tra cui: la custodia cautelare cui sono sottoposti gli imputati diviene ingiusta, se protratta nel tempo.

Non lo dico solo io. Anche l’Alto Commissario ONU per i diritti umani, Navi Pillay (che per intenderci è stato Presidente del Tribunale internazionale sui crimini commessi in Ruanda, che vi ho raccontato nel precedente articolo, quindi di diritti umani direi che ne capisce!), ha espressamente palesato la sua preoccupazione per la violazione dei diritti dei marò, in particolare per la protratta detenzione senza neppure un capo di imputazione.

Anche l'ordinamento italiano considera la custodia cautelare come qualcosa di eccezionale. Tant’è che di norma, il principio di presunzione di innocenza (garantito dalla nostra Costituzione) impone che nessuno debba finire in carcere se non perché condannato da una sentenza passata in giudicato (cioè, per essere semplici, divenuta definitiva e inappellabile). Poi vi sono i casi – eccezioni – in cui è prevista la custodia cautelare, e cioè quando vi sia:
  1. pericolo di reiterazione del reato;
  2. pericolo di fuga;
  3. pericolo di inquinamento delle prove.
E solo in pochissimi casi la custodia cautelare, in carcere (ad es. nel caso del 416-bis, associazione per delinquere di tipo mafioso), è obbligatoria. Vale a dire che ci sono diversi livelli di custodia cautelare e, a seconda delle esigenze, si applicano quelle più lievi o quelle più pesanti. Il carcere dovrebbe essere l’extrema ratio.
Ho usato il condizionale perché in Italia sembra che la misura cautelare sia diventata una moda, a maggior ragione quella in carcere. Tant’è che la maggior parte dei detenuti in Italia non sono persone condannate, ma persone in attesa di giudizio.

Questo potrebbe entrare in contraddizione con quanto vi ho detto sopra, circa l’ingiusta detenzione. Invece no, non entra in contraddizione. Tutt’altro. Proprio perché l’Italia fa un cattivo uso della giustizia e del sistema carcerario, è sempre presa a schiaffoni dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Piccola digressione e poi torniamo sui Marò [Ndr. Non so se ve ne ricordate, ve ne ho fatto un accenno nell’articolo sui rifugiati, e lì vi ho spiegato che la Corte europea opera in applicazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) del 1950, adottata dal Consiglio d’Europa – non dall’Unione Europea! – composta da moltissimi Stati: qui vi posto un’immagine che ne riassume la composizione così vi rimane più impresso]​​ 

Dunque dicevo: l’Italia prende schiaffoni. Sì, per violazione dell’art. 6 di questa Convenzione. Qui vi riporto solo i primi due commi, però cliccando su questo link trovate tutta la Convenzione in italiano e potete spulciarvela, se vi va.
Art.6:
“1. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, il quale sia chiamato a pronunciarsi sulle controversie sui suoi diritti e doveri di carattere civile o sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti. La sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l’accesso alla sala d’udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico durante tutto o parte del processo nell’interesse della morale, dell’ordine pubblico o della sicurezza nazionale in una società democratica, quando lo esigono gli interessi dei minori o la protezione della vita privata delle parti in causa, o, nella misura giudicata strettamente necessaria dal tribunale, quando in circostanze speciali la pubblicità possa portare pregiudizio agli interessi della giustizia.
2. Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata. ”

NB. La Convenzione che vi riporto obbliga l'Italia, non l'India che non ne fa parte. A ogni modo, questo articolo rispecchia un diritto universalmente riconosciuto e che quindi obbliga anche l'India. Paradosso: il diritto al giusto processo è un diritto che noi, Europa continentale, abbiamo "imparato" dal Common Law, diritto anglosassone, di cui l'India fa parte; perciò è un diritto che loro dovrebbero voler tutelare più di quanto facciamo noi..

Tuttavia, l’ultima sonora sberla per le carceri italiane è stata l’arci-nota (sempre per noi internazionalisti) sentenza Torreggiani del gennaio 2013. Non starò qui a narrarvi i fatti, ma vi dirò qual è la conclusione: Italia condannata perché si considera il trattamento riservato ai detenuti come trattamento inumano e degradante (vedi spazi ristretti, mancanza di acqua calda e simili) e si invita l’Italia a utilizzare misure alternative al carcere (visto che appunto nella maggior parte dei casi la detenzione era qualcosa di sproporzionato!). Dal momento che il problema italiano era considerato un problema di sistema e strutturale, l’Italia avrebbe avuto un anno di tempo per attuare misure adatte a migliorare le cose.
Risultato: ricordate lo svuota-carceri del 2014? Ecco, siccome siamo abituati a trattate le cose in modo emergenziale, il governo Letta si è ritrovato a firmare, dopo l’approvazione last minute da parte del Senato il 19 febbraio 2014, un bel decreto che risolveva il problema dello sfollamento semplicemente facendo uscire di prigione le persone, per lo più con sconti di pena dei già condannati piuttosto che con la riduzione delle misure cautelari. A onor del vero, qualche correttivo l’hanno previsto, ma di certo non era l’intervento strutturale richiesto dalla Corte.

A ‘sto giro l’abbiamo “sfangata” e, almeno fino a che le carceri non si riempiranno di nuovo in maniera asfissiante, la Corte non ci bacchetterà di nuovo. Ennesima dimostrazione che quando non rispettiamo il diritto internazionale, le mancanze si riversano su noi cittadini. Chi ha pagato davvero per lo svuota-carceri?

Tornando a noi e spiegandovi perché ho citato questa sentenza nel caso dei Marò: il punto è che la condanna dell’Italia nel caso Torreggiani è avvenuta non per l’articolo 6 che vi ho citato su, ma per l’art. 3 che vi ho già nominato in un precedente articolo (ricordate il caso Hirsi, per il respingimento collettivo verso la Libia?). Ora mi capirete meglio.

IL RIENTRO INDIA
Partiamo dall’ultima violazione in ordine di tempo che l’Italia ha commesso nel caso Marò. L’Italia NON avrebbe dovuto in nessun modo farli tornare in India, una volta che erano rientrati sul territorio italiano. Per diverse ragioni, ma la prima e principale perché facendoli rientrare l’Italia ha violato – nuovamente - l’art. 3 della CEDU. Sì, sempre lui. Prendiamo sempre bastonate per la violazione di questo articolo ma non impariamo mai, mai, e facciamo danni su tutti i fronti: già solo con i miei articoli vi ho portato tre esempi su cui la violazione di questo solo unico articolo provoca conseguenze: migrazioni, detenuti, marò.

Perché sarebbe stato legittimo, anzi obbligatorio, non farli rientrare? L’applicazione dell’art. 3 (che molto brevemente recita "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti") comporta il divieto di espatrio di persone che sono sotto la custodia dello Stato italiano (sia che si tratti di cittadini italiani che stranieri) verso Stati in cui possono essere sottoposti a tortura, trattamenti inumani e degradanti. E in tali trattamenti si ricomprende la pena di morte.
Per esempio l’Italia ha il divieto di estradizione verso i civilissimi Stati Uniti per tutte quelle persone che negli USA sono stati condannati alla pena di morte o sarebbero processati per reati puniti con la pena di morte.
E non sarebbe solo una violazione dell’art. 3: è una violazione anche della nostra Costituzione. Restituendo i Marò l’Italia HA VIOLATO LA COSTITUZIONE (art. 27, che vi riporto per intero:
La responsabilità penale è personale.
L'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato.
Non è ammessa la pena di morte”).

E non lo dico io. E non è una novità. All’università il caso di scuola è quello di Pietro Venezia, non so chi di voi lo ricorda. Era il 1996, governo Dini.
Riepilogo brevemente il fatto: Vigilia di Natale del 1993. Pietro Venezia, 40 anni, proprietario di un ristorante italiano di Miami, spara cinque colpi di pistola contro l'agente del Fisco dello Stato della Florida, uccidendolo. Accusato di omicidio di primo grado, Venezia rischia la pena capitale e si dà alla fuga. Arrestato nel 1994 in Italia, comincia il braccio di ferro sull'estradizione. Dall'America arriva la garanzia che l'italiano non sarà condannato a morte e secondo la Convenzione europea di estradizione del 1957 (quindi firmata decenni prima che all’interno degli Stati del Consiglio di Europa si bandisse la pena di morte) «se il reato per il quale è richiesta l'estradizione è punibile con la pena di morte secondo le leggi del Paese richiedente (...) l'estradizione potrà essere rifiutata a meno che la parte richiedente non dia assicurazioni, ritenute sufficienti dalla parte richiesta, che la pena di morte non verrà eseguita». E questo era confermato dall’art. 698 del nostro Codice penale (che non era stato nel frattempo aggiornato). Alla fine del 1995 il ritorno in Florida pareva inevitabile.
Tuttavia, ripeto, questo contrastava e con la nostra Costituzione e con la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, così nel giugno 1996 con una sentenza che diviene storica la Consulta (la nostra Corte costituzionale) dichiara l'incostituzionalità dell'articolo 698 negando definitivamente l'estradizione: Pietro Venezia resta in carcere in Italia. NESSUNA GARANZIA PUO’ ESSERE LA BASE GIURIDICA DELL’ESTRADIZIONE DI UN CITTADINO ITALIANO VERSO UNO STATO CHE APPLICHI LA PENA DI MORTE. 
Vi rendete conto della portata di quello che ho appena scritto vero?
Con la garanzia indiana noi non ci facevamo nulla...

Se non si voleva agire solo per via politica, con una decisione di divieto di rimpatrio, era sufficiente che la procura di Roma presso cui è aperto il caso, per omicidio, a carico dei due Marò imponesse una misura semplice semplice come l’obbligo di firma per cui i fucilieri erano obbligati a rimanere in Italia. Questa però era un sovrappiù. La decisione politica di divieto di espatrio sarebbe stata null’altro che rispettare la nostra Costituzione. Già da sola bastava.

Tutto questo implica che, fosse mai uno dei due Marò o entrambi si rivolgessero alla Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Italia potrebbe ricevere l’ennesima sberla.

Delle violazioni compiute dall’India nel caso del rientro, parleremo un’altra volta. Ma ripeto quello che ho detto nel primo articolo dedicato ai marò: l’ambasciatore è una figura sacra. Non lo si può sequestrare, neppure per eventuale parola data e disattesa. Non gli si può impedire di lasciare uno Stato. Considerate che anche nel caso in cui ci sia la guerra tra due Stati (es. Italia contro Francia), l’Italia non può impedire all’ambasciatore francese di lasciare il territorio italiano. GIAMMAI. Neppure nei conflitti armati un ambasciatore va toccato. Non esistono eccezioni.

INGRESSO NEL MARE TERRITORIALE
Anche su questo punto la violazione indiana la raccontiamo in un altro articolo. Parliamo del pasticcio italiano...
Sull’ingresso nel mare territoriale, le versioni erano due:
  • Quella italiana. Circa 3 ore dopo l’incidente, le autorità indiane hanno comunicato all’Enrica Lexie che avevano catturato una nave pirata e le chiedevano di rientrare in porto per effettuarne il riconoscimento. Giunti al porto, vengono a sapere che due dei sospetti pirati erano morti.
  • Quella indiana: inizialmente l’Enrica Lexie non voleva collaborare così lo Stato costiero ha dovuto fare pressioni e mandare guardia costiera ed elicotteri della marina. Peggio mi sento: uso della forza o minaccia dell’uso della forza per far rientrare una nave dall’alto mare nel mare territoriale… Praticamente un pugno nello stomaco alla Convenzione di Montego Bay (sul diritto del mare).
Ma per oggi ci soffermiamo sulla posizione italiana: l’Italia né sotto pressione né su invito alla collaborazione avrebbe dovuto far entrare l’Enrica Lexie nel mare territoriale indiano. Infatti, l’obbligo di cooperazione previsto dall’art. 100 della Convenzione sul diritto del mare non fa cenno alcuno al fatto che si debba entrare nel mare territoriale a fare riconoscimenti... in caso, il riconoscimento posso farlo dovunque. La cooperazione è un’altra cosa.
E se fosse vera la versione indiana, l’Italia avrebbe dovuto denunciare l’accaduto all’ONU, e al Consiglio di sicurezza in particolare.

Questo errore ha pregiudicato tutto il seguito.
Difatti, con l’ingresso nel mare territoriale l’India è diventato Stato del foro, cioè quello competente a pronunciarsi.
Mi spiego meglio, perché mi rendo conto che può essere un passaggio complicato.
Dunque, nel diritto esistono due categorie: competenza e giurisdizione. In Italia abbiamo per esempio tre giurisdizioni: quella penale, quella civile e quella amministrativa. Quindi è qualcosa che riguarda, per farvela molto semplicistica, la materia di cui ci andiamo ad occupare.
La competenza invece riguarda altri criteri: ad esempio quello territoriale. Per un fatto avvenuto a Roma è competente il tribunale di Roma, non quello di Firenze. Ma anche quando mi rivolgo al tribunale di Roma, devo azzeccare la giurisdizione. Non posso chiedere al giudice civile di giudicare un caso di omicidio. O al TAR di decidere su un contratto di locazione! Ma che succede se io mi rivolgo al giudice amministrativo, quindi il TAR (l’Italia, entrando nel mare territoriale è come se avesse fatto domanda al TAR, in metafora), ma su un fatto per cui il TAR non ha giurisdizione? Ebbene, non è che il TAR può ignorarmi. Il TAR mi dovrà rispondere, ormai è stato investito della questione. Ma l’unica e sola risposta che potrà darmi è: “Mi dispiace, caro Signor X. Io non ho GIURISDIZIONE. Per il suo caso deve andare dal giudice civile”.
Così, la Corte indiana doveva ormai rispondere, ma l’unica risposta che poteva dare era: “Io NON HO GIURISDIZIONE. LA GIURISDIZIONE SUL CASO SPETTA ALL’ITALIA”. E invece da anni ormai rinvia e inventa modi per allungare il brodo.
Comunque, l’errore a monte è stato italiano.

LA CONSEGNA DEI FUCILIERI DI MARINA
Mentre il diritto di visita sulle navi è ammesso, il sequestro delle armi dei Marò (che sono proprietà dello Stato italiano!) e il loro arresto non doveva essere consentito. Il comandante della nave, seppur commerciale, è comunque un pubblico ufficiale: aveva il potere di impedire il tutto. E ne aveva anche l’obbligo.

Inizialmente non si capiva se fosse stato l’armatore o il Ministero della Difesa ad autorizzare la consegna. In entrambi i casi, abbiamo un’altra bella violazione.
Infatti, i Marò sono coperti da immunità funzionale. Nel diritto internazionale le immunità sono due: quella personale (legata alla persona, ad esempio Capo dello Stato, del governo, ecc.) e quella funzionale (legata alle funzioni. Teoricamente anch’io potrei esserne coperta se vengo delegata dallo Stato italiano a una qualche missione all’estero!). I marò erano militari in servizio, rispondevano gerarchicamente a persone inquadrate a loro volta in una gerarchia, e si trovavano a bordo dell’Enrica Lexie in virtù di una legge italiana oltre che in un più ampio contesto internazionale.

Vi racconto solo quest’ultima cosa e poi chiudiamo l’articolo di oggi. Come nasce l’idea di militari a bordo di navi mercantili?
Dunque, alcuni stati c.d. open registry (Bahamas, Isole Marshall, Panama, Liberia) hanno le c.d. bandiera ombra (o bandiera di comodo. Cioè le bandiere di Stati che hanno regole di registrazione più agevoli e semplici, per cui molti mercantili decidono di utilizzarle per avere un regime di favore. Potremmo definirli i “paradisi fiscali” per i mercantili). Tuttavia, questi Stati non hanno una propria marina che possa difendere i mercantili battenti la loro bandiera. Allora, che hanno fatto? Hanno adottato una risoluzione congiunta nel 2009 che prevedeva l’utilizzo di contractors (totalmente privati!) a bordo delle loro navi.
Pratica approvata da alcuni Stati, ma totalmente disapprovata dall’IMO (che è l’Organizzazione Marittima Internazionale) che in linea di massima preferisce misure meno “violente”, quali l’utilizzo degli idranti o di segnalazioni luminose per allontanare i pirati. Si è capito però ben presto che tali rimedi erano inefficaci e allora l’IMO ha dato l’ok a militari a bordo che agivano come organi dello stato. E qui torniamo all’immunità funzionale: quando agisci come organo dello Stato sei immune.

Essere immune non significa che non sei processato e quindi puoi compiere qualunque misfatto e passarla liscia. NO. L’immunità è immunità dalla giurisdizione di Stati che non siano il tuo Stato di cittadinanza. Tradotto: se i marò hanno commesso un reato, saranno processati, ma non dall’India né da alcun altro Stato. Solo dall’Italia!

Dalla ricostruzione fatta, sembra che l’Enrica Lexie al momento dell’attacco (sì, l’Enrica Lexie ha subito un attacco pirata, il dubbio è se dall’altro lato c’era il St.Antony o un’altra imbarcazione!) non abbia né cambiato rotta né usato gli idranti costringendo quindi di fatto i Marò a sparare. Tuttavia, la normativa antipirateria prevede espressamente che non è punibile il militare che, in difesa, fa uso o ordina di fare uso delle armi. Quindi i marò possono considerarsi responsabili solo e unicamente se hanno agito con imprudenza, senza valutare bene le circostanze di fatto o in violazione degli ordini ricevuti.

A ogni modo, errori gravi, grossolani e commessi in serie dall’Italia… non si capisce bene se per sbadataggine, per imprudenza, per incompetenza o altri interessi. Fatto sta che a pagare adesso sono i due Marò.

di Irene Piccolo

Fonte: http://www.ameimportasoltantodisapere.com/#!Caso-Mar%C3%B2-pasticci-italiani%E2%80%A6/c1n6/562df5680cf24d7704e4bcae

martedì 27 ottobre 2015

#Marò in India: sono innocenti, ecco le prove - Annex 1


PREMESSA
Nel corso delle udienze che si sono svolte presso il Tribunale Internazionale sul Diritto nel Mare di Amburgo (di seguito ITLOS), relative alla richiesta di parte italiana per il ricorso all'arbitrato previsto dai trattati internazionali vigenti, le due parti (Italia e India) hanno espresso per bocca dei loro rappresentati ufficiali le proprie ragioni sulla controversia.
Tutti i verbali degli interventi sono riportati in una apposita pagina web dello ITLOS, e sono scaricabili in formato .pdf;
LINK  alla pagina ITLOS dedicata alla vicenda

Poiché lo ITLOS era stato chiamato a sentenziare unicamente sulla competenza di giurisdizione(quindi se spettasse all'Italia o all'India in diritto di imbastire un processo penale sui fatti del 15/2/2012)non c'era ragione per nessuna delle parti di intervenire con affermazioni di colpevolezza o innocenza a carico dei due accusati dall'India, M. Latorre e S. Girone.
Ma mentre da parte italiana ci si è attenuti a questo concetto da parte indiana è accaduto il contrario e i rappresentanti dell'India hanno più volte proclamato la colpevolezza dei due accusati come se questa fosse già stata accertata in un processo penale che neanche in India è mai iniziato.
Addirittura prima ancora che l'ITLOS iniziasse le audizioni verbali dei vari rappresentanti delle parti in causa l'India ha depositato un documento scritto in cui si descrivono gli eventi e si proclama dandola per certa la colpevolezza dei due militari italiani per la morte dei due pescatori.
PDF Osservazioni sottoposte dall'India il 6 agosto 2015 - Vol. 1


da Written observations of the Republic of India, 6 August 2015 - Volume 1

Questo documento è corredato da una lunga serie di "Allegati" (ANNEXes) dal n. 1 al numero 56, e per esperienza ritengo che in Tribunale i proclami valgono assai poco se non sono supportati da elementi probatori verificabili, e che questi elementi probatori sono in genere proprio negli allegati chiamati esplicitamente a supporto del proclama, di colpevolezza o innocenza che sia.
Ritengo inoltre che questa continua "proclamazione di colpevolezza" ripetuta continuamente per iscritto e per voce abbia potuto influenzare i giudici nella loro decisione finale.
Nessuno si aspettava che a fronte della sentenza che ammette la controversia all'arbitrato internazionale, ingiunge a Italia e India di sospendere i provvedimenti giudiziari e rimanda la soluzione definitiva della controversia al Tribunale dell'Aia, si sarebbe poi lasciato i due accusati privati della libertà personale in India, e quindi ancora sotto la giurisdizione penale indiana. Sembra un controsenso.
Leggo inoltre che l'ITLOS ha ingiunto alle due parti Italia e India di presentare entro il 24 Settembre un documento riepilogativo sulla vicenda che diventerà "Atto" ufficiale sia allo ITLOS che al Tribunale dell'Aia.
E' evidente che se da parte indiana si continua a proclamare la colpevolezza di Latorre e Girone con documenti scritti supportati da 56 Allegati, e da parte italiana non si contesta quello che è ormai un dato di fatto creato dall'India e non rigettato dallo ITLOS, questo influirà negativamente sulla percezione che i giudici avranno della vicenda, apparendo una tacita ammissione di colpevolezza, e condizionerà a danno dell'Italia sia i giudici dell'ITLOS sia i prossimi a l'Aia, che non avranno altro punto di riferimento che la versione indiana e saranno portati a credere che non esistano argomenti di contestazione.
Poiché da oltre tre anni seguo la vicenda su tutte le fonti aperte disponibili ed ho maturato una conoscenza approfondita su alcuni non marginali aspetti tecnici ricostruttivi, e poiché non sono mai riuscito ad avere accesso ai documenti dell'inchiesta indiana, ho deciso di richiederli allo ITLOS in base al principio che ogni documento che entra in un Tribunale ha da essere pubblico, a meno che non vi siano ragioni legali per negarlo.
Non ho richiesto "tutti" i 56 allegati ma solo quelli che riguardano il profilo tecnico e ricostruttivo degli eventi, che rientra nelle mie pluridecennali competenze di "Court Expert".
L'ITLOS dopo poche ore dalla richiesta fatta via e-mail ha risposto positivamente inviandomi tutto quanto richiesto tranne due documenti ritenuti "confidenziali".

La risposta dell'ITLOS alla mia richiesta di accesso alla documentazione processuale

Sono quindi entrato in possesso, per concessione dell'ITLOS e senza vincoli sull'utilizzo, dei documenti ufficiali indiani con i quali si è inteso supportare presso lo stesso ITLOS i proclami di colpevolezza italiana scritti e proclamati a voce.
  1. ANNEX-01 - Indian Coast Guard, diary of events, 2012
  2. ANNEX-02 - First Information Statement of Mr Freddy, 15 February 2012
  3. ANNEX-03 - Kerala police charge sheet, 15 February 2012
  4. ANNEX-04 - Post-mortem report of Mr Ajeesh and Mr Valentine, 16 February 2012
  5. ANNEX-05 - Search list for weapons, 26 February 2012
  6. ANNEX-06 - High Court of Kerala order releasing the MV Enrica Lexie and its crew, 29 March 2012
  7. ANNEX-07 - Ballistic Expert Report No B1-1001/FSL/2012, 4 April 2012
  8. ANNEX-08 - Scene examination report No. B1-873/FSL/2012, 19 April 2012
  9. ANNEX-27 - Statement of Mr Vitelli Umberto, Captain of the MV Enrica Lexie, 15 June 2013
  10. ANNEX-29 - Statement of Mr Sahil Gupta, Crew member of the MV Enrica Lexie, 26 June 2013
  11. ANNEX-33 - Statement of Mr Victor James Mandley Samson, Crew member of the MV Enrica Lexie, 24 July 2013
  12. ANNEX-46 - Affidavits of Mr Kinserian, Mr Freddy and Mr Michael Adimal, 30 July 2015 and 30 August 2015
  13. ANNEX-47 - Photographs
  14. ANNEX-48 - Position of the St.Antony and the MV Enrica Lexie at the moment of the shooting
Questo lavoro sarà quindi l'analisi dei documenti ricevuti "come se fossi" un Consulente Tecnico della Difesa. E quindi con il compito di verificare che siano o meno probanti quanto sostenuto dall'accusa alla quale, è bene ricordare, spetta "dimostrare" la colpevolezza e non soltanto di "proclamarla".
La Difesa esercita un diritto e adempie a un dovere evidenziando carenze, omissioni, contraddizioni e quant'altro dell'impianto accusatorio, ricordando che in Tribunale l'accusa deve fornire "certezze", non ipotesi e meno che mai congetture.
IMPORTANTE
Dalla lettura degli allegati ITLOS emerge una circostanza sino ad ora inedita di cui però dovremo necessariamente tenere conto nel corso dell'analisi:

in ANNEX 29 - Statement of Mr Sahil Gupta, Crew member of the MV Enrica Lexie, 26 June 2013:
"Ship time is 30 minutes behind IST" (Pag. 4 ultima riga)

in ANNEX 33 - Statement of Mr Victor James Mandley Samson, Crew member of the MV Enrica Lexie, 24 July 2013:
"The ship time is 30 minutes behind Indian Standard Time" (Pag. 4 riga 9)

Sulla Enrica Lexie gli orologi non segnano l'ora locale dell'India (ist +5:30) che ha adottato un fuso orario intermedio, ma quello universalmente considerato standard a quella longitudine (TIME ZONE E (echo) + 5:00). Pertanto nel redigere il timing degli eventi alcuni orari dovranno essere rivisti, spostandoli indietro di 30 minuti. Questa circostanza sarà contrassegnata di seguito con l'icona elt (Enrica Lexie Time - Ship Time).

ANNEX 1: Guardia Costiera, il diario degli eventi

Il diario degli eventi fornito dalla Guardia Costiera indiana (di seguito ICG) relativi allo "sparamento dalla petroliera Ernica Exie" (nessun errore, questo il titolo del documento) sarà esaminato dal momento dell'incidente fino all'arrivo della nave italiana nei pressi del porto di Kochi dove sarà costretta all'ancora, ovvero alle fasi della vicenda che precedono l'irruzione a bordo da parte delle Autorità indiane. E' quello che ci interessa per la ricostruzione dei fatti processualmente rilevanti.













N.B: Per gli orari potete guardare la figura con la conversione degli orari più sopra

.Nella ricostruzione cronologica fornita in ANNEX 1 dalla ICG si vuole dare un quadro drammatico degli eventi: accreditando la versione della Enrica Lexie (di seguito Lexie) che si allontana senza dare l'allarme sottraendosi così alle proprie responsabilità: la "fuga"; magnificando l'efficienza tecnologica-investigativa che ha portato all'identificazione dei colpevoli: la "caccia"; quindi si descrive l'efficacia dell'operazione aeronavale senza la quale non si sarebbe potuti giungere ad assicurarli alla giustizia: la "cattura" 

Fuga, caccia e cattura. Le tre parti di un racconto che come dimostrerò è semplicemente falso. Ancora una volta si deve evidenziare un pregiudizio da parte della Guardia Costiera che tramite una serie di comportamenti omissivi riporta i fatti in modo diverso da come si svolsero realmente.

La fuga
Così come risulta nel rapporto inviato dal Comandante della Lexie, Umberto Vitelli, e confermato successivamente agli inquirenti (ANNEX 27) dopo aver udito gli spari e subito dopo aver ordinato all'equipaggio di mettersi al sicuro (...this is not a drill, and everyone proceed to Engine Control Room we are under pirate attack...) attiva l'allarme SSAS (Ship Security Alert System) della nave che in automatico e in tempo reale invia i dati salienti dell'accaduto alle Autorità nazionali italiane e al Centro di Coordinamento Soccorsi Marittimi (MRCC) competente in quell'area: IMRCC (quello dalla Guardia Costiera Indiana con sede a Mumbai).

Il rapporto inviato dal comandante della Lexie ad armatore e organizzazioni antipirateria (MSCHOA-UKMTO)

La prima evidenza che l'allarme venne effettivamente lanciato ce la fornisce lo stesso Vitelli quando comunica di essere stato già contattato dalla Nave da guerra "Grecale", la fregata lanciamissili italiana che nell'ambito della missione NATO antipirateria "Ocean Shield" incrocia nel golfo di Aden a 992 miglia nautiche (di seguito Nm) dalla Lexie (oltre 1800 Km). Troppo distante per poter intervenire.
(fonte: comunicato Uff. Stampa Marina Militare su L'Unità del 2 aprile 2013)
Tornerà a parlare del SSAS l'avvocato Sir Daniel Bethlehem QC (Member of the Bar of England and Wales) il 10 agosto 2015 durante la prima udienza ITLOS, affermando che:
"La posizione della nave, come raffigurata sulla mappa, è stata ripresa da quanto generato in automatico dal Sistema Allarme e Sicurezza della nave Enrica Lexie, attivato alla rilevazione dell’apparente attacco pirata, ed è compresa nel Messaggio generato in automatico in quel momento. (...) Le coordinate indicate nel Messaggio sono state generate in automatico quando è stato premuto il pulsante di allarme. Nessuno contesta, essendo questo un dato di fatto, che l’incidente abbia avuto luogo ben oltre il mare territoriale Indiano." (pag. 7 #32-39)
PDF TRASCRIZIONE DELLA SEDUTA PUBBLICA DELL'ITLOS DEL 10 AGOSTO 2015
Il messaggio di allarme SSAS esiste ed è allegato agli atti (ANNEX A3)

Il messaggio automatico generato dal SSAS della Lexie

La pretesa indiana di non aver ricevuto l'allarme SSAS starebbe a significare che tutto il sistema indiano preposto al soccorso e all'ascolto era fuori servizio. Non solo le basi terrestri ma anche le navi militari alla fonda o in navigazione.

Le installazioni militari e della polizia del Kerala nel tratto di costa antistante l'incidente

Appare assai grave che una richiesta di soccorso sia stata ricevuta da tutti meno da chi lo doveva ricevere o peggio: sia stata ricevuta quindi ignorata senza intervenire.
Nel merito della vicenda possiamo solo evidenziare che l'allarme SSAS che fu lanciato dalla Lexie alle 11.23 utccronologicamente avrebbe dovuto essere il primo evento riportato dalla ICG in ANNEX 1 ma non c'è.
Una grave omissione che stravolge completamente il quadro di riferimento e reca un insanabile pregiudizio nei confronti degli uomini bordo della nostra nave: essere fuggiti senza informare le Autorità indiane. Una biasimevole menzogna. Nulla di più falso.

La caccia 
Alle 17:40ist la Coastal Police Station di Neendakara (di seguito CPS) contatta IMRCC. La Polizia del porticciolo dove fa base il St.Antony informa che: "Una nave mercantile ha sparato contro il peschereccio St.Antony uccidendo due pescatori[ 1 ] fornendo anche tutte le indicazioni ricevute fino a quel momento dal St.Antony (che la CPS nel suo rapporto (ANNEX 3) definisce: "cryptic informationregarding this incident) senza le quali sarebbe impossibile per la ICG avviare alcuna ricerca.
Indicazioni quali, ad esempio: nome della nave (Enrica Lexie), nazionalità della bandiera (italia), tipologia (petroliera), una sommaria descrizione (nera e rossa), luogo e orario dell'incidente (16:30, 20.5Nm al largo di Allepey), direzione velocità (330°, 13-14 kts.).
Se Neendakara avesse fornito a IMRCC dati simili a questi l'ufficiale di servizio che da quarantacinque minuti ha sul tavolo l'allarme SSAS della Lexie (che riporta ora e posizione dell'incidente, rotta e velocità della nostra nave) avrebbe scatenato immediatamente l'intera ICG sulle tracce della Lexie. Inizia invece la ricerca ad una generica "nave sospetta" (suspect vassel) [ 3 ] che si protrae per un'ora e mezza.
Quali indicazioni fossero giunte dal St.Antony a Neendakara quindi a Mumbai, ovvero cosa e dove cercasse la ICG non è chiaro. Lo possiamo desumere dal rapporto stilato dal pilota dell'aereoricognitore Dornier CG760 (ANNEX A7) che riceve le istruzioni di missione quando è sulla pista in attesa dell'ordine di decollo.

Le istruzioni di missione fornite al pilota del ricognitore

Scrive il pilota: "Ero diretto a condurre la ricerca di una nave sospetta tra Kollam e Kodungallur". Nessun altra indicazione: non si parla di petroliere, non si parla di navi nere e rosse, non si indica se diretta a nord o a sud. Nulla.

La ricerca aeronavale
La ricerca avrebbe l'obiettivo di rintracciare una "nave sospetta" non meglio specificata in una area di 80 miglia (più o meno la distanza tra Civitavecchia e Ischia) in prossimità di uno dei porti cargo più moderni dell'India (solo nel 2012 nel porto di Kochi sono transitate oltre 20 milioni di tonnellate di merci), lungo la via d'acqua che interconnette Europa, Africa e terminali petroliferi arabi con l'Asia. La "western india marine highway", la rotta mercantile più trafficata del pianeta. In queste condizioni le possibilità di successo di una ricerca aeronavale risultano talmente basse che nei fatti non fu neanche tentata.
L'aereo non viene fatto neanche decollare e resta in attesa sulla pista, la ICGS Samar dirige "a tutta velocità" verso il luogo dell'incidente che è ormai deserto.

La ricerca strumentale (AIS)
Secondo quanto riporta ANNEX 1 alle 19.10ist grazie all'analisi dei dati AIS-SB (la rilevazione dei dati AIS invece che tramite stazioni costiere è assicurata tramite un satellite in orbita bassa) l'indagine esce dall'impasse. Dai tracciati AIS-SB infatti giunge la conferma: la nave sospetta è stata identificata: è la motonave Enrica Lexie[ 4 ]
Le cose non andarono proprio così. Nel rapporto militare redatto in seguito all'irruzione sulla Lexie (ANNEX A9) abbiamo una descrizione più esaustiva di come la ICG giunse all'identificazione:
Assetto antipirateria
Come la ICG giunse all'identificazione della Lexie
In realtà l'analisi AIS-SB, sempre che ci fossero dati di partenza corretti, restrinse la ricerca a quattro target compatibiliquattro navi da cui potrebbero essere stati esplosi i colpi contro il peschereccio (incidente St. AntonyATTENTI ORA: ma siccome solo una delle quattro ha dichiarato alle autorità antipirateria di aver sparato (incidente Lexie) ... sono stati loro.
In pratica hanno applicato la regola delle "puzzette in ascensore": quando tra bambini a chi lamentava per primo "allarmi olfattivi" per schernirlo s'usava dire: "chi la dice, l'ha fatta!". Il metodo investigativo indiano me la ricorda molto. La frase è diversa... l'odore identico.
La ICG procede quindi escludendo nel modo più categorico che possano essere più di una le navi da cui si spara quel pomeriggio, il motivo per ora ci sfugge. Lo capiremo quando saranno chiamati a spiegarlo ai giudici in sede dibattimentale.
Quattro sospettati un indagato.
Delle altre tre navi "compatibili" si perde ogni traccia. Nel merito di questa analisi e per quanto risulta 'agli atti' non vennero neanche interpellate sfuggendo così ad ogni controllo.
All'epoca dei fatti circolarono sulla stampa indiana i nomi di alcune navi (Kamome Victoria, Ocean Breeze, MBA Giovanni) ma quando tentammo dei riscontri emerse che per direzione, posizione e orari nessuna poteva essere ricondotta alla scena del crimine
Invece siamo certi, perchè denuncerà alcune ore dopo anch'essa un tentato abbordaggio, che nell'area di ricerca come è stata definita dal pilota si trova "almeno" un'altra petroliera nera e rossa (Olympic Flair) ma data l'inattendibilità della documentazione fornita dalla ICG in cui chi risulta non c'è e chi c'è non risulta non possiamo escludere ce ne fossero altre, forse molte altre...

La questione dell'AIS
Sulla circostanza dell'essere stati identificati tramite tracciati AIS pesa un grave dubbio.
Si parlò del sistema anti-collisioni AIS nei giorni immediatamente successivi l'incidente, quando qualcuno notò che poco dopo essere stata rilevata in prossimità dello Sri Lanka alle 13:51utcdel 14 febbraio la Lexie scompare dai tracciati AIS.

Ultimo AIS
L'ultima posizione AIS della Lexie prima dell'incidente
E' prassi abituale spegnere l'AIS proprio per non essere individuati dai pirati approssimandosi alla HRA (l'Area ad alto rischio pirateria che comprende le coste dell'india occidentale).

Ultimo AIS
Il percorso della Lexie attraverso la High Risk Area
Troviamo sul Giornale di Bordo della Lexie (ANNEX A14) un riscontro relativo a quel che accadde effettivamente.
Alle 18:00 eltdel 14 febbraio il C.te Vitelli annota di aver dato le disposizioni previste per la navigazione in HRA. Rinforzata la vigilanza, attivate le precauzioni.

Assetto antipirateria
Giornale di Bordo Lexie - 14 febbraio 2012 - Orari elt
E per quanto ci è dato di capire e salvo la prova del contrario la Lexie naviga fin della sua partenza dallo Sri Lanka con il dispositivo AIS spento.
Sarebbe piuttosto imbarazzante per la ICG se la circostanza venisse confermata.

La Cattura
C'è un altro evento in ANNEX 1 che la ICG 'dimentica' di annotare: 
Intorno alle 19:00 ist (ANNEX A9) poco prima di annunciare urbi et orbi di aver identificato la 'nave sospetta', IMRCC contatta via INMARSAT la Lexie, la circostanza è menzionata in diversi documenti (ANNEX 27) (A9) (A14) ma non in ANNEX 1.
Ecco come venne annotata la telefonata sul Giornale di bordo della Lexie dal C.te Vitelli.

mail MRCC evidenziata
Giornale di Bordo Lexie - 15 febbraio 2012 - Orari elt
Vitelli scrive a riguardo: "Ci hanno detto che erano stati informati circa il sospetto attacco pirata, di conseguenza avevano sequestrato due barche." - quindi l'allerta SSAS è giunta alla ICG - "Hanno fatto domande circa la nostra rotta e velocità," - quindi non erano ne visibili ne tracciati dal sistema AIS-SB - "mi hanno chiesto di virare e dirigermi a Cochin (India) per fare il punto e testimoniare" - una bugia, un inganno, una falsa informazione o come riporterà alla stampa "il comandante della Guardia costiera dell'India occidentale, S.P.S Basra: una TATTICA INGEGNOSA" (da Il Giornale del 9 marzo 2012) di fronte alla quale Vitelli avanza una sola richiesta - "Ho chiesto, e ricevuto, una richiesta scritta" - che giunge poco dopo via e-mail.

MRCC dirigersi a Kochi
La richiesta di dirigere a Kochi che IMRCC invia alla Lexie
Alle 19.45 ist la Lexie dirige verso Kochi così è riportato sul Giornale di bordo della nave: la nuova rotta impostata, la virata iniziata. Non sono state necessarie navi ed aerei per catturarla, è stata sufficiente una bugia.
Quando giunge a Kochi, come la ICG ha chiesto [ 10 ] viene destinata dall'autorità portuale (CPT Cochin Port Trust) verso un ancoraggio esterno, 7 Nm al largo. Getta le ancore alle 22:18istmonitorata dalla ICGS Lakshmibai in pattugliamento [ 11 ], il viaggio della Lexie è finito.

Gli 'effetti speciali'
La INS Kabra che salpa (19:30) [ 5 ], il Dornier CG760 che decolla (19:35) [ 6 ], la Polizia che invia 4 agenti a bordo della ICGS Lakshmibai [ 7 ], il ricognitore che avvista la nave e le intima di dirigersi a Kochi (alle 19:50 quando già la nave vi si sta dirigendo) [ 8 ], La ICGS Lakshmibai che salpa con la Polizia a bordo (giungerà in vista della Lexie solo alle 21:30) [ 9 ] non fatevi impressionare, sono solo effetti speciali che la Guardia Costiera indiana ha pensato di inserire di contorno nella storia. E non si limiterà a questo.
La mattina del 16 febbraio, poco prima che la ICG e la Polizia (che ha inviato 36 uomini) facciano irruzione sulla nave, si porta un peschereccio simile al St. Antony sotto le murate della Lexie.

ICG News release del 16.02.12
Appena il tempo sufficiente per scattare da un aereo alcune fotografie che vorrebbero ritrarre "il carnefice", "la vittima" e "il giustiziere". Da notare che sia le navi che l'imbarcazione sono ferme.
Immediatamente diffusa dall'ufficio stampa della Guardia Costiera, ripresa e rilanciata da tutti i giornali e i siti di news del pianeta questa foto diventa l'icona della "colpevolezza italiana" nonostante fosse apparso chiaro sin dal momento del rientro del peschereccio nel porto di Neendakara avvenuto la sera prima, che a partire dagli orari ma non solo, qualcosa non tornava...

ICG News release del 16.02.12
Ufficio stampa della ICG. Lancio stampa del 16 febbraio 2012
Il vero St. Antony è ovviamente sotto sequestro a Neendakara, distante almeno 130 km dalla petroliera. Quello che si vede nella fotografia è solo "simile", trovato appositamente magari nella notte per iniziare la costruzione della colpevolezza italiana evidentemente decisa a tavolino prima ancora che inizino le indagini
Per una più ampia trattazione di questo specifico episodio:
ita www.seeninside.net/piracy/inizio.pdf
eng www.seeninside.net/piracy/beginning.pdf

ANNEX 1 Conclusioni
Il documento ANNEX 1 appare viziato da gravi omissioni e palesi contraddizioni al solo scopo di formare un quadro pregiudizievole. Quindi nessuna fugacaccia o cattura solo il puerile tentativo di accreditare una pretesa colpevolezza italiana, con la Lexie che fugge nell'oceano indiano e la Guardia Costiera che lancia una operazione aereonavale per andarla a catturare.
In concreto la modalità con cui si giunge a circoscrivere l'area di ricerca quindi ad identificare la nave risultano per nulla convincenti. Inspiegabile il quadro investigativo con ben quattro sospettati di cui però uno solo sarà indagato.
Gravi le omissioni riguardo l'allerta SSAS come pure riguardo l'impiego di TATTICHE da parte di un Centro di Soccorso.
Ancor più grave che si sia andato a cercare un falso peschereccio St. Antony per raggiungere questo scopo, tanto più che fin dalla sera precedente si sapeva che esisteva una marcata contraddizione sugli orari della sparatoria contro il peschereccio. Contraddizione che avrebbe dovuto suggerire da subito una maggior prudenza rispetto alla proclamazione del colpevole.
 
di Luigi Di Stefano
 
Fonte: Seeninside
            http://tentor-maurizio.blogspot.it/